Il 5 Maggio 1821 moriva Napoleone Bonaparte | Storia Laggera

il 5 Maggio 1821 moriva Napoleone Bonaparte, un uomo che nella propria vita fu più di un uomo, fu un sogno, un idea, una visione, ma anche un incubo, una dannazione, una delusione.
Il 5 Maggio moriva un uomo, ma non la leggenda di Napoleone.

Ei fu. Siccome immobile, Dato il mortal sospiro, Stette la spoglia immemore…

Al Manzoni non serve altro per definire quel momento, non servono nomi, perché la storia, la fama e l’eco della leggenda di Napoleone sono più che sufficienti affinché chiunque legga, sappia e capisca che si parla di lui e della sua inattesa e prematura scomparsa.

Un unico indizio ci viene dato, nel titolo, la data, quella data, il 5 maggio, quel 5 maggio, quel fatidico 5 maggio 1821, in cui Napoleone lasciò per le proprie spoglie mortali.

Prologo

200 anni fa, il 5 Maggio 1821 moriva Napoleone Bonaparte, un uomo che nella propria vita fu più di un uomo. Napoleone fu un sogno, un idea, una visione, ma allo stesso tempo Napoleone fu un incubo, una dannazione, una delusione.

Celebrato, osannato, temuto, discusso, deriso.

Napoleone fu tutto e nulla, fu uomo e leggenda e quel 5 maggio la sua morte segnò una ferita profonda nella storia dell’umanità.

Luce polare o macchia indelebile che fosse, il 5 maggio napoleone morì, e il mondo sapeva che con la sua morte qualcosa finiva, ma allo stesso tempo sapeva, perfettamente che quel giorno moriva un uomo, ma non la sua leggenda.

Così, giocando con le parole di Alessandro Manzoni e della sua ode “il 5 maggio” , un componimento che in me ha sempre acceso le stesse sensazioni della “stagioni” di Francesco Guccini (brano che cita la stessa 5 maggio, ma questa è un altra storia, che vi ho già raccontato qualche anno fa), ho voluto scrivere questo mio post, questo mio pensiero su quell’uomo che cavalcò sull’Europa, che conquistò i cuori di milioni di uomini e donne, di milioni di anime in tutta Europa, anime che deluse furono la causa della sua caduta.

La notizia

La notizia giunge in Europa diverse settimane dopo la dipartita dell’ex imperatore, ma è normale, ci troviamo agli inizi del XIX secolo, i tempi dell’informazione dell’epoca sono molto lenti, perché una notizia giunga dalla periferia estrema dell’impero britannico, dall’isola di Sant’Elena, luogo di prigionia dell’ex imperatore, scelta perché lontana dalle principali rotte commerciali, è necessario che una nave parta ed approdi in qualche porto più frequentato, e da lì, può diffondersi verso l’Europa e il mondo.

L’aria che si respira in Europa è in quel momento un’aria tesa, pesante, è aria di tempesta che mina le fondamenta stesse dell’Europa post congresso di Vienna. Italia e Spagna sono attraversate da un’idea di rivoluzione, che però non riesce a concretizzarsi, almeno non in quel momento, e le rivolte che si consumano in quegli anni tra 1820 e 1821, una dopo l’altra vengono sedate nel sangue proprio in quel 1821.

Il tessuto del congresso di Vienna regge, l’Europa delle teste coronata è sopravvissuta a Napoleone, o almeno così sembrava in quel momento.

Gli effetti della morte di Napoleone sulla gente

Napoleone Bonaparte era morto, l’uomo era morto, ma non il suo ricordo, non le leggende né l’eco del suo nome. Un nome che, anche se non particolarmente amato era sinonimo di cambiamento. Napoleone era stato la spina nel fianco delle teste coronate e nonostante tutto, aveva portato in Europa una nuova classe dirigente di astrazione popolare.

Qualcuno gioiva di fronte alla notizia della dipartita del tiranno, altri speravano, o forse sapevano, che un giorno quello spirito ardente, figlio e incarnazione stessa della rivoluzionario, espressione del destino, della volontà di Dio, sarebbe ritornato ad infiammare l’Europa.

I contemporanei di Napoleone non sanno dove o quando, ma non hanno dubbi, da qualche parte, un giorno, un nuovo “Napoleone” sarebbe tornato, da qualche parte, in modo totalmente inaspettato, sarebbe apparso qualcuno che come lui avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia umana. E in quel momento Napoleone era esattamente quello, un segno indelebile, per alcuni una stella polare, per altri una macchia, nella storia umana.

Manzoni e Napoleone

Manzoni nel proprio componimento, nella sua ode “il 5 maggio” ripensa a se e al proprio rapporto con la figura di Napoleone, al quale, per scelta, prima di quel momento, mai aveva dedicato alcunché, né un ode, né una poesia, nulla.

La scelta del Manzoni è dettata dal rammarico e dalla delusione da quell’uomo, la cui vita è stata degna di un poema epico, ma al contempo, pur essendosi presentato al mondo come paladino di certi ideali rivoluzionari, rimaneva un uomo, un uomo che alla fine antepose il proprio potere e i propri interessi ai popoli d’Europa, popoli che in origine erano il muscolo più forte delle armate napoleoniche ma che alla fine gli si voltarono contro, scegliendo le antiche aristocrazie contro quello stesso Napoleone conosciuto come salvatore e liberatore.

Come era percepito Napoleone dai contemporanei?

Napoleone è stato un uomo che dal nulla creò un impero universale su suolo europeo, degno di Roma, un uomo il cui genio fu sconfitto solo dalle proprie ambizioni e dal proprio orgoglio, dal tradimento dei popoli e la riluttanza a stringere alleanze.

Napoleone è stato un uomo che si scagliò contro il mondo, andando in contro ad una certa sconfitta e, anche se sconfitto, anche quando fu “mutilato” del proprio impero, non si arrese, tornò in campo, marciò su Parigi, riconquistò il potere e solo sfidò nuovamente il mondo. Ma era tardi, e in quella lotta con il mondo, il mondo gli oppose i popoli in armi che lui per primo aveva concepito, quei popoli che lui aveva tradito, e fu proprio la collera di quei popoli abbandonati che infuriò contro l’uomo, ma non contro ciò che l’uomo rappresentava, segnando definitivamente il declino del suo potere temporale, pur lasciando accesa la fiamma di una nuova speranza.

Una speranza fondata sul ricordo nostalgico di quelle imprese raccontate nell’allegria amara di boccali di vino e calici di birra. Rigorosamente invertiti, a rappresentanza figurata di quell’ordinamento sociale già una volta stravolto. 

Napoleone è morto, viva Napoleone!!!

Il 5 maggio 1821, moriva Napoleone bonaparte, e la notizia della sua dipartita si diffuse a macchia d’olio in tutto il mondo, tra i suoi sostenitori e i suoi avversari, tra chi ancora credeva in lui, chi ne era rimasto deluso e chi lo temeva. 

Ma indipendentemente dalle proprie posizioni, tutti, senza eccezione, apprendendo la notizia rimasero senza parole, perché tutti sapevano, senza eccezione, che la morte dell’uomo non ne segnava la fine. Che il suo paradiso, o inferno, era terreno che lì sulla terra, tra gli uomini, quel nome non sarebbe stato mai più dimenticato, e in quel momento, di fronte alla notizia uno degli uomini più influenti del proprio tempo, forse il più influente di quello e dei secoli immediatamente precedenti e successivi, non era più, il mondo trattenne il fiato.

Manzoni chiude il proprio componimento richiamando la divina provvidenza, la mano di Dio che interviene per sottrarre ad una vita di sofferenze un uomo immenso, che la satira britannica dipingeva come minuto. E l’intervento divino è sufficiente a passare una mano di spugna sulla salma di Napoleone, allontanando da essa ogni parola malevola.

Napoleone come idea

Nella morte Napoleone ritrova la propria grandezza perduta, la propria essenza ascetica, dismettendo i panni del tiranno, dismettendo i panni dell’uomo e indossando ancora una volta e per sempre, la splendente veste degli ideali rivoluzionari.

Ecco che la morte passa la propria mano sulle ceneri dell’uomo, consacrando la sua leggenda e restituendo, alle generazioni future il nodo materiale del giudizio.

Napoleone per i compagni è stato, ed ora non è più, e se la sua vita sia quella di un tiranno, di un conquistatore, di un giusto tra gli uomini o di un visionario, la decisione ultima sarebbe spettata alla storia.

Manzoni lascia ai posteri l’arduo compito di esprimere un giudizio morale su napoleone, e nel proprio componimento immortale, lo racconta tra luci e ombre, attraverso l’occhio di un uomo, un poeta, un intellettuale ottocentesco che Napoleone lo ha visto e vissuto, da lontano, da uomo comune che rimane deluso per le scelte politiche del grande imperatore.

Manzoni, e come lui una fetta importante di uomini e donne europei avevano visto in Napoleone un qualcosa, una speranza, una visione mai completamente realizzata, un sogno troppo a lungo rimandato, l’uomo era stato idealizzato e in quella umana elevazione si tradusse presto in una amara delusione vissuta con sofferto rammarico, almeno fino a quel 5 maggio.

In quel giorno di maggio, Napoleone era morto – Storia Leggera

Questa settimana la storia leggera cambierà leggermente la sua veste, assumendo quasi i tratti di un commento letterario ad un’opera classica, questa settimana sotto la nostra lente non passerà una canzone, ma un ode di Alessandro Manzoni, con cui, il grande poeta italiano avrebbe celebrato la morte di Napoleone Bonaparte, un uomo che aveva trasceso la propria umanità, diventando l’incarnazione stessa di un cambiamento epocale, non serve che lo scriva, sto ovviamente parlando dell’Ode “il cinque maggio”.

Ci tengo a precisarlo, il mio non sarà un commento classico alla poesia, ma come per ogni altro articolo di questa rubrica, partirò dal cinque maggio di Manzoni, per parlare di altro.

Mentre scrivo questo articolo sorrido, perché penso che su sei articoli pubblicati fino ad oggi in questa rubrica, questo è il terzo in cui Napoleone Bonaparte la fa da protagonista e questa sua onnipresenza tra le pagine di questa rubrica, tradisce in qualche modo quello che è il mio affetto personale per questa incredibile figura storica.

Nei diversi articoli abbiamo sognato il sogno napoleonico ed abbiamo assistito alla decaduta dell’imperatore e il cinque maggio di Manzoni è un po’ la summa di tutto ciò che Napoleone era stato in vita, di tutto ciò aveva rappresentato e di ciò che la sua morte avrebbe significato. Il cinque maggio è un opera totale, scritta di getto all’indomani della notizia e perfezionata nel tempo, è un opera con cui l’autore mette a nudo i propri sentimenti, a tratti contrastanti, per l’ex imperatore e per la nefasta notizia.

Quando Manzoni viene a sapere della notizia che Napoleone Bonaparte aveva lasciato il mondo degli uomini, compiendo il proprio destino e ricongiungendosi al regno senza tempo degli spiriti eterni, il grande imperatore era passato a miglior vita già da diversi mesi. Ci troviamo ancora nella prima metà del secolo XIX, più precisamente nel 1821, la rivoluzione industriale non si era ancora compiuta e le notizie impiegavano ancora molti mesi per girare il mondo. Persino una notizia così clamorosa e importante come il decesso di Napoleone Bonaparte aveva bisogno di molti mesi per girare il mondo intero e in questo caso, il fatto che Napoleone al momento della sua morte, si trovasse prigioniero sull’isola di Sant’Elena, l’isola più lontana e irraggiungibile dell’impero Britannico, di certo non rese semplice la rapida diffusione della notizia, in quanto le uniche navi che potevano giungere su quell’isola erano quelle della flotta britannica e ciò significava che la notizia della morte di Napoleone dovette prima raggiungere Londra e da lì poté diffondersi in tutto il mondo. De facto erano passati più di settante giorni tra la morte effettiva dell’ex imperatore, avvenuta il 5 maggio 1821 sull’isola di Sant’Elena e la scoperta della sua morte da parte di Manzoni, avvenuta tra le pagine della Gazzetta di Milano del 16 luglio 1821.

Purtroppo non sono riuscito a recuperare nessuna scansione di giornali dell’epoca che riportarono la notizia della morte di napoleone, ma dagli archivi dei relativamente pochi giornali esistenti all’epoca, sappiamo che la maggior parte dei giornali europei diede la notizia della morte di napoleone nel mese di luglio e alcuni giornali americani diedero la notizia nel settembre del 1821, coerentemente con i tempi di traversata dell’atlantico dall’isola di Sant’Elena all’Europa e dall’Europa alle Americhe.

Non c’è dunque da sorprendersi per questo sfasamento temporale che oggi può sorprendere ma che in realtà, all’epoca era qualcosa di estremamente ordinario. Diciamo anzi che la diffusione della notizia della morte di Napoleone fu estremamente rapida, probabilmente per l’importanza e la rilevanza che aveva avuto la figura di Napoleone. Altre notizie impiegavano molto più tempo a diffondersi, possiamo quasi dire che, in alcune regioni del mondo, giunse prima la notizia della morte di Napoleone e poi quella della sua capitolazione o addirittura della sua incoronazione imperiale. Ovviamente questo è un estremo ironico, non dovrei neanche spiegarlo, ma su internet è meglio mettere le mani avanti, in ogni caso credo che il senso credo sia chiaro.

Testo de “Il cinque maggio” di Alessandro Manzoni: https://it.wikisource.org/wiki/Il_cinque_maggio

Nella sua opera Manzoni è diretto, il suo messaggio è chiaro, incisivo e lascia poco spazio alle interpretazioni, sceglie lo stile dell’Ode e intitola il proprio componimento con una data ben precisa, il cinque maggio.

La sola scelta del titolo ha di perse un valore simbolico ed un peso specifico enorme, quella data rappresenta un richiamo più che diretto a quel giorno in cui un uomo che nel bene e nel male aveva incarnato i sogni di milioni di europei, aveva lasciato per sempre il mondo mortale, e già nei primissimi istanti della sua Ode, Manzoni rompe ogni dubbio, scioglie ogni nodo.

“ei fu, siccome immobile” ci dice al di la do ogni ragionevole dubbio che, in quel giorno di maggio, in terra britannica del basso atlantico, era tradito e perso Nepoleone Bonaparte, e non è un caso se in questo passaggio prendo in prestito le parole di Stagioni di Francesco Guccini, canzone con cui il cantautore italiano celebra il ricordo e la percezione della scomparsa di Ernesto Guevara, per parlare di Manzoni e del suo annunciare il decesso di Napoleone. Non è un caso perché le due opere sono molto simili, se pur molto diverse e molto distanti tra loro, e sono simili perché Guccini parte dal cinque maggio per scrivere Stagioni.

Entrambe le opere raccontano la percezione del mondo a quella notizia sconcertante e sconfortante della morte prematura di un grande personaggio storico, molto amato dai propri “compagneros” e molto odiato e a tratti rispettato dai propri avversari, dai propri rivali, dai propri nemici.

In quel giorno di maggio, Napoleone era morto e con la sua morte sembravano morire anche i sogni e le speranze di un intera generazione che stava vivendo una nuova ondata rivoluzionaria, Napoleone muore nel maggio del 1821 e proprio in quei mesi l’aristocrazia europea stava sedando le ultime insurrezioni e rivolte esplose nel 1820. La nobiltà europea temeva una nuova rivoluzione francese e più di ogni altra cosa, temeva un nuovo Napoleone e la notizia della sua morte, ebbe un doppio effetto. Per i bonapartisti, per i rivoluzionari, per i repubblicani, la scomparsa di Napoleone scomparsa segnò la fine di un epoca e segnò un momento di grande dolore, sofferenza e sconforto, poiché era venuta a mancare una figura estremamente carismatica, uno dei più grandi ed importanti simboli della rivoluzione. Dall’altra parte, la nobiltà europea gioiva della scomparsa di quel demonio che aveva strappato corone e stravolto gli equilibri europei in maniera così profonda da rendere impossibile un reale ritorno al passato, nonostante al congresso di Vienna fu tentata una restaurazione totale dell’Europa pre-rivoluzionaria e soprattutto pre-napoleonica, nel vano tentativo di ricostituire l’antico regime calpestato e distrutto dalle cariche bonapartiste.

Nel luglio del 1821 il mondo intero ebbe la notizia, Napoleone era morto e chi credeva in lui, chi aveva creduto in lui, continuò a credere che la sua morte non fosse definitiva, che la morte di Napoleone non potesse significare la morte delle idee di Liberà, Uguaglianza e Fraternità. Il lutto dovuto alla sua celebrazione non doveva essere la fine della rivoluzione ma doveva essere soltanto un momento di pausa, un momento di riflessione e di riorganizzazione di quelle idee, di quei moti, di quegli ideali che andavano contro l’ordine precostituito dei popoli europei, nettamente divisi nelle varie nazioni tra nobili e non nobili, tra aristocratici ed uomini comuni, tra “padroni” e “servi”.

I moti del 1820-21 erano stati un fallimento totale perché dei moti troppo borghesi, nati in un mondo in netto contrasto e in lotta con l’aristocrazia tradizionale, ma troppo debole per combattere e vincere da solo quello scontro e troppo distante dalle masse popolari ed i loro interessi per riuscire a coinvolgerle nella lotta e nella rivoluzione. Tuttavia quel fallimento non rappresentò una sconfitta totale e la morte di Napoleone diede in qualche modo un nuovo slancio ai movimenti, ai club e alle società segrete che decisero di andare avanti, di non fermarsi, di non arrendersi, decisero invece di continuare a lavorare, cospirare e pianificare nell’ombra, portando avanti le proprie bandiere ed intonando canti anarchici e di rivolta, mobilitando una reale ribellione che lentamente si sarebbe insinuata nelle strade dei quartieri più poveri delle città, nelle campagne, creando una rete universale che copriva l’intera europa riuscendo così a penetrare nei cuori delle masse popolari, delle masse contadine e successivamente anche delle masse operaie, fino ad esplodere nella maniera più clamorosa e dirompente che si possa immaginare, con i moti rivoluzionari del 1848.

La figura storica di Napoleone è importante non solo per la sua vita, ma anche per la sua morte e per ciò che iniziò dopo la sua morte, indipendentemente dal suo reale coinvolgimento e del suo ruolo nell’europa post imperiale.

Nel 1821 l’uomo Bonaparte non aveva più alcun potere in Europa, ma la sua morte lo avrebbe consacrato all’immortalità, rendendolo nuovamente un simbolo, rendendolo nuovamente un icona splendente che inglobava dentro di se gli ideali di una rivoluzione permanente, una rivoluzione che si sarebbe conclusa soltanto con l’effettivo superamento e con il collasso dell’antico regime. Ma l’ironia del destino volle che il nuovo mondo nato dalle ceneri dell’antico regime ne assumesse alcuni tratti, riproponendone i modelli gerarchici e sociali, riproponendone le strutture, segnando l’ascesa di una nuova classe dirigente, di una nuova leadership europea, segnando la nascita di una nuova élite borghese che grazie al potere acquisito con il commercio e le rivoluzioni industriali sarebbe divenuta una sorta di nuova aristocrazia contro cui le masse popolari sarebbero state chiamate a confrontarsi e a combattere in un idealistica lotta sociale che Kalr Marx avrebbe definito, lotta di classe.