Annales, Il dibattito senza fine sulla narrazione storica

Storia, Microstoria, Macrostoria, è da un po’ che si discute su questi tempi, soprattutto in funzione all’opera di narrazione e divulgazione messa in atto da personaggi come Alberto Angela, che, con leggerezza e un linguaggio giocoso, si sono imposti come interpreti e divulgatori, e, a tal proposito, è esemplare il caso di Alessandro Barbero, che, con il proprio linguaggio, riesce a raccontare storia e storie, di uomini, donne, frati, mercanti e cavalieri, espressione materiale di intere epoche e della vita ordinaria, e straordinaria, in quei mondi ormai passati.

Vi sono però non pochi detrattori, non tanto di Alessandro Barbero che, nonostante tutto, è pur sempre un docente universitario con in attivo decine e decine di pubblicazioni di altissimo valore, al quale nulla si può dire, poiché schermato e protetto da un curriculum più che eccellente. Quanto per Alberto Angela, divulgatore e narratore popolare, la cui carriera è percepito più che altro, come presentatore che parla di storia, senza però essere un addetto ai lavori.

Al di la di quello che è il curriculum di Alberto Angela, e di quelli che sono i suoi titoli, nei suoi programmi, lui non è un deus ex machina, senza il quale il programma non va avanti, e ciò che viene raccontato, si basa su documentari realizzati da professionisti e i suoi lunghi e appassionati interventi, ricordiamo, sono monitorati, revisionati e corretti da un comitato scientifico d’eccellenza, di cui fa parte, tra gli altri, anche Alessandro Barbero.

Fatta questa lunga premessa di carattere generale, il nocciolo della questione è il metodo narrativo, per i detrattori della divulgazione storica, è un “errore” narrare la storia partendo dall’aneddotica e dalle piccole cose, da storie ordinarie di uomini comuni, per raccontare un passato che è molto più grande e complesso, e sarebbe più consono, utilizzare un metodo più “scolastico“, raccontando soprattutto i grandi eventi, le grandi ideologie e le grandi battaglie.

Questo metodo narrativo, parliamo di narrazione non di ricerca, in cui ci si focalizza sui grandi eventi, sulla macro storia per intenderci, è un metodo, che è stato dimostrato essere inefficace e a tratti noioso. E una divulgazione , una narrazione noiosa, sarete d’accordo con me, non è una buona divulgazione. Se io sto ascoltando qualcuno che mi racconta qualcosa, e nel raccontarlo mi annoia, a me ascoltatore, non rimarrà nulla di quel racconto. E queste osservazioni, non sono figlie di quest’epoca televisiva, ma vengono dal secolo scorso.

Negli anni 20 del novecento, per essere più precisi, nel 1924, lo storico francese Marc Bloch, insieme al suo collaboratore e caro amico, Lucien Febvre, fondò la rivista Les Annales, una rivista destinata a fare storia e scuola, tanto che, ne sarebbe proprio derivato il termine “scuola degli annales”. Marc Bloch che noi conosciamo come l’autore dell'”apologia della storia o il mestiere di storico” uno dei saggi più iconici e fortunati del settore, e siamo soliti raccontare Bloch come uno storico del medioevo, un medievalista, perché la sua opera più importante (da non confondere con la più famosa) è dedicata allo studio della Società Feudale, tipica del medioevo, ma che in realtà, si spinge ben oltre il medioevo.

Marc Bloch, oltre ad essere uno studioso di storia, noi oggi sappiamo essere anche un personaggio storico, non tanto perché celebre nel settore per i suoi libri, ma perché, durante la seconda guerra mondiale, si unì alla Resistenza francese e combatté contro gli invasori nazisti, ma Bloch vive il proprio tempo da uomo comune, e la sua esperienza di vita, insieme alle sue teorie sul mestiere di storico e il lavoro eccellente, di ricostruzione della società feudale, che rendono il suo libro uno dei più completi e accurati, nonostante sia stato pubblicato quasi un secolo fa, ci insegnano che forse, lui aveva ragione.

Bloch racconta la società feudale, un grande tema epocale che attraversa diverse epoche, caratterizza il medioevo e gran parte dell’età moderna, è l’incarnazione di quell’ancient regime di cui spesso sentiamo parlare in contrapposizione alla società borghese figlia del XIX secolo, nella quale oggi siamo immersi, e pure, Bloch ha raccontato questo intero sistema economico, sociale e ideologico, partendo dalla vita quotidiana degli uomini, delle donne, dei frati, dei mercanti e dei cavalieri, che vivevano in quel mondo.

Discutere di micro-storia e macro-storia, oggi, alla luce di oltre mezzo secolo di dibattito sulla scuola degli annales, dibattito iniziato nel 1924 con la fondazione della rivista e continuato almeno fino al 1975, e, in alcuni ambienti fino agli anni 90, significa non avere alcuna conoscenza di natura storiografica, il che si riduce al conoscere della storia, nomi, luoghi e date, ma non sapere realmente cosa è successo in quei luoghi, a quegli uomini, in quel preciso momento.

La scuola degli annales è stata rivoluzionaria nel processo di studio e analisi storiografica ed ha gettato le basi per la costruzione di un efficace narrazione storica, che permettesse agli spettatori degli show televisivi, ascoltatori di programmi radiofonici e podcast e lettori di libri di carattere divulgativo, di avvicinarsi a quegli eventi, di entrare in empatia con quelle vicende, di appassionarsi a quegli episodi e di apprezzarne la natura viva, vivace, dinamica e avvincente.

Partendo dalla vita dell’uomo comune, in un determinato momento storico, possiamo trarre tante informazioni sul mondo in cui vive, un esempio eccellente in tal senso, ci viene fornito da Carlo Ginzburg, con il “formaggio e i vermi” in cui racconta la vita di Domenico Scandella, un mugnaio friulano del XVI secolo.

In questo saggio, Ginzburg come già detto, ci racconta la vita di un mugnaio, un uomo che che macinava la farina, di certo non un grande protagonista del suo tempo, e pure, la vita di Menocchio, così viene chiamato nella sua comunità, è estremamente significativa per comprendere le dinamiche sociali dell’area friulana del XVI secolo, il suo ruolo di mugnaio ci dà un indicazione su quelli che erano gli equilibri economici della comunità, ci racconta inoltre il clima politico di quel tempo e quali erano le ideologie politiche e religiose dominanti in quel mondo.

Ginzburg ci mostra che vi è un vero e proprio abisso tra una storia racconto, in cui si comprende il mondo passato e le sue dinamiche, ed una storia di avvenimenti, una storia evenemenziale, in cui gli avvenimenti sono il cardine e riducono la storia ad una successione di nomi, luoghi e date.

Questi temi, sono i temi della “battaglia degli annales” che videro contrtapposta la scuola degli annales alla storia-politica tra il 1924 ed il 1975, e non è un caso se, il dibattito iniziato con la fondazione della rivista Les Annales, termina nello stesso anno in cui venne pubblicato il formaggio e i vermi, opera che avrebbe consacrato Ginzburg come uno dei padri e rinnovatori della Micro Storia.

In conclusione

Personalmente credo che quella polemica, oggi, al netto di tutto quello che è stato detto e scritto, sia abbastanza inutile e puerile, perché parte dall’assenza di una conoscenza storiografica di base e da un concetto, a mio avviso sbagliato. Parte dall’idea che alcuni uomini e personaggi sono nella storia e altri no, cosa che Ginzburg e Bloch prima di lui, ci hanno dimostrato non essere vera, Domenico Scandella è tanto nella storia quanto Carlo V.

Per i detrattori della microstoria e sostenitori della storia evenemenziale, bisognerebbe parlare di grandi eventi e grandi uomini, ma la verità è che quei grandi avvenimenti non sarebbero stati tali se non ci fosse stato un substrato di uomini comuni che, nella miseria delle proprie vite, coltivavano campi, tenevano in funzione mulini e forge, producevano grano, pane e armi, con cui i grandi signori banchettavano e stringevano alleanze e combattevano guerre.

Ed è qui la vera differenza tra gli annales e la storia evenemenziale. La scuola degli annales e la microstoria ci insegnano a partire dal basso, per ricostruire le dinamiche di un epoca e comprendera a pieno, Ginzburg parte da Menocchio, per ricostruire il fenomeno dell’Inquisizione, diversamente, la storia evenemenziale parte dall’inquisizione, e si ferma all’inquisizione, ignorando quel substrato nascosto che è, a mio avviso, il vero motore della storia.

Divulgazione e Storia: Intervista al professor Barbero

 

Alessandro Barbero scrittore e storico italiano. Laureato in Storia Medioevale con Giovanni Tabacco, nel 1981, ha poi perfezionato i suoi studi alla Scuola Normale di Pisa sino al 1984.  Diventa professore associato all’Università del Piemonte Orientale a Vercelli nel 1998, dove insegna Storia Medievale.

Ha pubblicato romanzi e molti saggi di storia non solo medievale. Con il romanzo d’esordio, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle gentiluomo, ha vinto il Premio Strega nel 1996.
Collabora con La Stampa e Tuttolibri, con la rivista “Medioevo”, e con i programmi televisivi (“Superquark”) e radiofonici (“Alle otto della sera”) della RAI. Tra i suoi impegni si conta anche la direzione della “Storia d’Europa e del Mediterraneo” della Salerno Editrice. Tra i suoi titoli più recenti ricordiamo: Lepanto. La battaglia dei tre imperi (Laterza 2010), Il divano di Istanbul (Sellerio 2011), I prigionieri dei Savoia (Laterza 2012), Costantino il vincitore (Salerno 2016).

1-Ultimamente, grazie anche all’opera di molti storici, il connubio tra storia e narrativa sta riscuotendo un successo sempre più crescente. Nell’opera di gestazione di un testo, qual è il rapporto che vuole che si instauri tra lei ed un ipotetico lettore?

Quando scrivo, in realtà scrivo esclusivamente per me, per il piacere di costruire il libro. Però un libro dev’essere costruito in modo diverso a seconda del pubblico a cui si rivolge. Quando scrivo saggi io cerco innanzitutto la massima chiarezza espressiva, e lo faccio ormai anche quando scrivo saggi scientifici destinati agli specialisti; e questo è a maggior ragione l’obiettivo quando mi indirizzo a un lettore non specialista: vorrei che potesse leggere dall’inizio alla fine senza mai doversi fermare per decifrare quello che ho scritto.

2-  Per lungo tempo la divulgazione della storia è stata soprattutto affidata ai giornalisti  quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a divulgare la storia prima alla radio e poi alla televisione?

Il fatto che me l’hanno chiesto! un editore, Giuseppe Laterza, mi ha chiesto di scrivere dei libri rivolti non agli specialisti ma al grande pubblico, come Carlo Magno o La battaglia. Storia di Waterloo, e poi di prendere parte ai cicli di Lezioni di storia che la Laterza organizza ormai da anni in teatro con grande successo; Sergio Valzania, allora direttore di Radio3, mi chiese di partecipare a quel bellissimo programma che era Alleottodellasera; Piero Angela mi ha proposto di partecipare a Superquark. Ogni volta l’ho presa come una sfida inaspettata che accettavo con divertimento.

3- Negli ultimi la divulgazione della storia è cambiata, questo può portare ad una progressiva semplificazione dei contenuti. Come è possibile evitare questo fenomeno?

Ma anche prima la semplificazione era sempre in agguato nella divulgazione; l’opera divulgativa di più grande successo mai uscita in Italia, la Storia d’Italia di Montanelli e Gervaso, era tutta una semplificazione e una banalizzazione. Finché la divulgazione è fatta da studiosi, la consapevolezza del rischio può aiutare ad evitarlo, anche se, beninteso, una certa dose di semplificazione è inseparabile dalla divulgazione, soprattutto televisiva.

4- Come è cambiato il suo modo di fare divulgazione nei programmi televisivi rispetto alla sua esperienza alla radio?

La radio consente molto più approfondimento, praticamente lo stesso che si può avere in un libro divulgativo, e infatti diversi miei programmi radiofonici sono diventati libri (Il giorno dei barbari, Federico il Grande, Il divano di Istanbul) e viceversa (Carlo Magno). In televisione i tempi sono spaventosamente ristretti, si deve ridurre tutto in pillole, e lì la concisione e l’efficacia dell’espressione sono tutto.

5- Secondo Lei anche i romanzi storici possono contribuire  in qualche modo alla diffusione della storia ?

Certamente sì. Un buon romanzo storico deve far rivivere l’esperienza vissuta del passato. Peccato però che la stragrande maggioranza dei romanzi storici siano scritti da gente magari di talento, ma che non conosce il mestiere dello storico e quindi non sa far rivivere la cosa più importante – la mentalità, i comportamenti, i modi di parlare…

6- Per lei come storico,  è stato difficile e ha dovuto rinuciare a qualcosa  nella scrittura dei romanzi storici?

L’unica cosa difficile è valutare fin dove può spingersi l’invenzione, che è anche la cosa più faticosa!

7- In molti suoi saggi si è occupato di storia militare, Secondo lei perché la storia militare pur trovando successo nella divulgazione, trova poco spazio a livello accademico in Italia?

Banalmente, perché non esistono cattedre di storia militare; ma del resto non so neanche se dovrebbero esistere: la storia ha così tanti aspetti! Del resto oggi non è più vero che in Italia ci siano pochissimi specialisti di storia militare, o comunque storici che si occupano anche di questo aspetto: in realtà ce ne sono moltissimi.

8- Nell’ultimo periodo si parla sempre di più di Public History in che modo questa nuova concezione può aiutare la  comunicazione della storia ad un pubblico più vasto?

Mah. Io non ho mai capito cosa voglia dire Public History, e se non sia solo un modo più snob di dire “divulgazione”.

9 – Vorrei concludere adesso con una domanda un po’ personale. E’ consuetudine di “Historical Eye” chiedere agli studiosi intervistati un po’ del loro percorso personale e delle motivazioni che li hanno spinti a intraprendere il difficile mestiere di storico. Crediamo sia molto importante capire “perché” si studi la storia o si diventi storici. Quindi, in definitiva, professore , quali furono le motivazioni che la portarono a scegliere di studiare storia?Ha qualche consiglio di lettura di storiografia e di letturatura?

Ma la storia è la cosa in assoluto più divertente ed emozionante che ci sia. Del resto io incontro continuamente medici, notai o fisici nucleari che mi confessano che la loro vera passione è la storia. E dunque la vera domanda va fatta a tutti quelli che non fanno lo storico: come mai non lo fanno? Io faccio semplicemente quello che fin da bambino ho capito che mi appassionava più di qualsiasi altra cosa. Quanto alle letture, bisogna leggere tutti i libri, o quasi: per cominciare, in ambito storico Marc Bloch, La società feudale; e in letteratura Bulgakov, Il Maestro e Margherita. Chi ha letto quei due libri sa cos’è un saggio e cos’è un romanzo…

 

 

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