Storie di Eroi, Strateghi e Filosofi: Barack Obama e l’Athenian Dream di Isocrate

Un amico, citando Hegel, mi ha detto che l’unica cosa che impariamo dalla storia è che dalla storia non si impara. Purtroppo vi sono fin troppi esempi nel passato che provano la verità di questo paradosso. […] E tuttavia, mentre sembriamo incapaci di imparare dal passato, dal passato non possiamo fuggire. […] Questo legame con il passato esige tuttavia una aperta ed ampia discussione, soprattutto perché ci sarà sempre qualcuno che avrà da proporre un eroe diverso e una diversa visione del futuro. Leggendo il libro di Obama, The audacity of hope: thoughts on reclaiming the American Dream (l’audacia della speranza: il sogno americano per un mondo nuovo) – che mi ha spesso colpito per la somiglianza con l’esortazione politica di Isocrate di 2400 anni fa – ci si rende conto come l’America e tante società del mondo debbano affrontare i medesimi dilemmi di chi viveva ai tempi di Isocrate. Questa fase della storia antica indica che non è una caratteristica soltanto dei nostri tempi paragonare la precarietà del presente con un’età dell’oro, quando tutto era più facile, migliore e sicuro. La nostra storia mette in evidenza che gli antichi, esattamente come noi, dovevano fare i conti con il loro passato mentre elaboravano il loro incerto presente“, (Michael Scott, Dalla democrazia ai re. La caduta di Atene e il trionfo di Alessandro Magno, Laterza, 2009, pp.237-240).

Ho citato questo lungo passo per due ragioni. La prima riguarda il mestiere dello storico, l’esigenza di riflettere sullo stato attuale delle nostre conoscenze in merito al periodo compreso tra l’agguato del 405 a.C. di Lisandro (il capo della flotta spartana) agli ateniesi di Conone nei pressi di Egospotami e l’ascesa della potenza macedone che possiamo collocare dal 359 a.C. in poi, ossia dall’anno in cui diventa Re Filippo II.

Come lo stesso Scott sottolinea, nemmeno la storiografia specialistica è riuscita ad approfondirne tutti gli aspetti. Di solito l’entusiasmo degli storici viene catturato dal ruolo guida di Atene, come faro della libertà e della democrazia per l’Ellade, per passare senza alcuna apparente soluzione di continuità ad Alessandro Magno. Le crisi, i tumulti, le incertezze di questa oscura “età di mezzo” sono sovente liquidate come un periodo di decadenza e di declino.

Raccontare la storia delle tumultuose trasformazioni che fanno da sfondo ai tentativi egemonici di Sparta (404-379 a.C.) e di Tebe (379-362 a.C.) è essenziale anche per una seconda ragione, che ci tocca direttamente: la costruzione di una società libera, democratica ed egualitaria. Democrazie schiacciate e risorte su ambizioni imperialiste, disordini politici, diseguaglianze economiche sempre maggiori, ridiscussione della globalizzazione, timori di fronte alla liquidità dei confini nazionali e, infine, tentativi di mantenere lo status quo o, peggio, di proteggersi dall’altro e dal diverso. Questa descrizione si applica al presente come all’epoca di Isocrate. 

Ed è su questo aspetto che dobbiamo insistere, che ci piaccia o meno. Attenzione. Non ne sto facendo una questione di identità, né sto dicendo che è possibile analizzare la complessità di due epoche facendo solo il gioco delle analogie e differenze. Sto solo cercando di ragionare insieme su alcuni motivi ricorrenti che forse ci permettono di avere maggiore consapevolezza di ciò che viviamo. Non possiamo infatti negare che gran parte del mondo attuale è strettamente legato ai valori e ai modelli della Grecia antica – basti pensare a George W. Bush che leggeva e interpretava (!?) in chiave repubblicana l’Etica Nicomachea di Aristotele, al legame dell’America con la democrazia ateniese di cui parla Scott, all’ottimo lavoro che da anni stanno facendo Martha C. Nussbaum e Amartya Sen per divulgare un po’ di cultura classica (stoicismo e tragedia greca in primis) e indiana.

L’etica, gli usi, la cultura, la filosofia, il linguaggio, la politica e l’identità degli antichi Greci sono, per una quantità di ragioni, radicati nella nostra cultura e sovente le azioni degli antichi Greci sono state citate a giustificazione delle nostre. Ne sono conseguiti esiti sia positivi che negativi. La tragedia greca ha ispirato generazioni di creatività letteraria. Ma dall’altra parte Hitler giustificava il suo programma eugenetico rifacendosi in parte alla mentalità eroica dei guerrieri spartani (come illustrata nel film americano 300). Il nostro mondo ha dunque molto interesse nel tipo di interpretazione che sceglie di dare della storia dell’antica Grecia o al modo in cui permette ad altri di usarla“, (Scott, cit. p. XIV).

Il nostro mondo ha dunque molto interesse nel tipo di interpretazione che sceglie di dare della storia dell’antica Grecia. Vorrei partire da qui. In America l’impegno di Martha C. Nussbaum – e di tutti coloro che collaborano o si rifanno al suo pensiero – sta dando un buon contributo nella ridiscussione di alcuni temi e problemi che ruotano attorno ai diritti umani, all’economia e alla politica: basti prendere Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Bologna, Il Mulino (2011) per farsi un’idea dell’orientamento culturale dell’autrice. Vengono poi pubblicati libri come quello da cui siamo partiti: Michael Scott non è solo un docente universitario ma è consulente storico per numerosi documentari trasmessi su History Channel.

E noi, in Italia, cosa stiamo facendo? A che punto è il dibattito o, meglio, esiste un dibattito di questo tipo? Esiste una seria divulgazione storica e letteraria in grado di colmare il vuoto che si crea tra quella misera percentuale di giovani che si iscrivono al Liceo Classico (e così hanno modo di studiare Platone, Eschilo e Galeno) e i “nostri” – anzi, i vostri – discorsi sulla crisi, l’economia e il capitalismo? Discorsi che, nella maggior parte dei casi, si vantano della loro modernità ed aderenza alla realtà proprio per il fatto di essere pensati e costruiti a meno di questa tradizione storico-culturale?

Il nulla. L’assordante urlo dell’assenza. Questo rende ancora più urgente il confronto con il passato, con quel  passato che per noi è remoto e per molti è solo un vezzo da eruditi (rispetto a epoche più vicine e più “semplici” da spendere nei dibattiti dei salotti televisivi, ad esempio). Vorrei a questo punto indicare due spunti di riflessione per capire meglio il presente. Nello spazio di un articolo posso solo fornire alcune suggestioni teoriche rimandando, eventualmente, a qualche video futuro o a qualche articolo più strutturato lo studio dei punti in questione.  Per ora vorrei che rifletteste su quanto segue: (1) Il collasso degli ideali di base della democrazia genera mostri. Oggi le “democrazie del web”, ieri il Collegio dei Trenta Cittadini. (2) Il collasso della democrazia pavimenta la strada all’uomo forte, al nazionalismo e al militarismo.

Busto di Isocrate (CC BY-SA 3.0).

(1) Il collasso dei grandi ideali e dei valori che stanno alla base della democrazia favorisce una serie di esperimenti popolari (e populisti) destinati prima o poi al fallimento. Oggi come ieri. Naufraga l’Athenian Dream di Isocrate – perdonatemi, ma non ho resistito a chiamarlo così – con la fine della guerra del Peloponneso e l’esperienza dei Trenta Tiranni in Atene; nelle pagine di Scott incontriamo un Isocrate ormai ultranovantenne, stanco e provato, che nel 399 a.C. tutte le mattine si alza dal letto e cerca di portare a termine la sua opera. Ormai il sogno di vedere Atene come stella di democrazia e libertà per l’Ellade è pura utopia. Non resta che affidarsi al Re, a Filippo II di Macedonia.

La guerra del Peloponneso fu un evento senza precedenti nella storia antica. La vittoria sulla flotta spartana presso le isole Arginuse (406 a.C.), di fronte a Mitilene, fu l’ultimo raggio di sole sul destino di Atene. Come se non bastasse, una terribile tempesta si abbattè sulla flotta; molte navi affondarono senza che nemmeno si potesse tentare di salvare i naufraghi. Come se non bastasse, il popolo ateniese accusò gli strateghi di non aver saputo (o voluto?) aiutare i naufraghi e ne condannò a morte ben sei. Atene si trovò così privata dei suoi uomini migliori. Il resto ha il sapore di un tragico epilogo. Quando nel 404 Atene capitolò per fame sotto l’assedio di Lisandro, l’antico splendore della polis era ormai un ricordo.

Tra il 404 e il 403 Atene sperimenta il governo del Collegio dei Trenta Cittadini favorevoli a Sparta, che avrebbero dovuto preparare la nuova costituzione aristocratica. Ben presto il “collegio dei trenta” divenne il regime dei Trenta Tiranni tra cui si ricordano Crizia, un allievo di Socrate, e il più mite Teramene (che fu accusato di tradimento e morì vittima della sua stessa moderazione). Le reazioni a questo regime di terrore non si sono fatte attendere: molti ateniesi di parte democratica che si erano rifugiati a Tebe (che prima dell’egemonia spartana era nemica di Atene) trovarono un abile capo in Trasibulo, un ex stratego della guerra deceleica. Passata la fortezza di File, sul confine attico-beotico, Trasibulo guidò i suoi alla conquista del Pireo mentre l’assemblea popolare, sebbene aristocratica, sostituiva il collegio dei trenta con il Collegio dei Dieci che chiese aiuto a Sparta non riuscendo a stringere accordi con Trasibulo. Così venne restaurata solo l’ombra della democrazia di Clistene e Pericle.

Con Atene ormai in ginocchio e una democrazia solo di nome  assistiamo alla condanna di Socrate e ai tentativi egemonici di Sparta e di Tebe. Le analogie con il presente non sono difficili da tracciare. L’asse degli uomini forti (USA, Russia e Cina), la debolezza di un’Europa che è una federazione monetaria e non una comunione di popoli e di diritti, un luogo in cui si parla di euro e di economia monetaria, non di leggi e di valori comuni da coltivare e condividere. L’Europa sembra un po’ il Peloponneso antico: ora comanda la lega Delio-Attica, ora la Lega Peloponnesiaca, ora la Lega Corinzia. La democrazia non è qualcosa di condiviso, federalmente. Fa capo a Stati (anticamente a città) che impongono i loro modelli, spesso per esportarli.

Oggi la crisi della democrazia non si manifesta solo a livello istituzionale, basti osservare i “nostri” comportamenti quotidiani, l’ignoranza diffusa, la mancanza di un’etica nel pubblico come nel privato, l’incapacità delle masse di distinguere una notizia da una bufala. Non solo. La scelta di uomini “forti” – come ad esempio mostra l’elezione di Donald Trump – sembra alimentare l’illusione di poter fermare il cambiamento, le migrazioni, il transculturalismo. Altrove invece si crede che la soluzione sia una diffusa partecipazione a prova di click. Tutti cittadini attivi e (in)consapevoli. La politica richiede istruzione, educazione e preparazione; non ha bisogno di schiere di ignoranti allo sbaraglio, né di uomini forti. Ha bisogno di un Socrate, di un Demostene, di un Isocrate. Ideali, educazione e cultura. 

La morte di Epaminonda di Benjamin West, 1773.

(2) Ormai il sogno di vedere Atene come stella di democrazia e libertà per l’Ellade è pura utopia. Non resta che affidarsi al Re, per Isocrate a Filippo II di Macedonia. Così rimuginava Isocrate. Prima di affidarci al Re dobbiamo fare i conti con Sparta e soprattutto con Tebe. Il collasso delle democrazie e ideali della polis classica favorisce la riproposizione di una politica delle armi e non della parola, e giustifica il potenziamento degli assetti militari da parte di quegli Stati che intendono rivendicare il loro ruolo nel panorama internazionale. Nazionalismo, rispetto dei confini e militarismo. Tebe come gli USA di Trump? A Isocrate Tebe non piaceva proprio … (ne ho parlato anche in Filosofia e Vita: Isocrate e l’Attualità del Sogno di una Democrazia Moderata).

Non è un caso che l’egemonia di Tebe sia una storia di eroi, strateghi e filosofi (con lo scudo sempre pronto sotto la veste) per lo più dimenticati, se paragonati con la fortuna dei corrispettivi ateniesi e spartani: Pelopida il ricco aristocratico “culturista”, noto per essere un forte bevitore dal fisico imbattibile, ed Epaminonda, il filantropo vegetariano che rimase scapolo e fedele ai precetti della filosofia pitagorica.

La loro amicizia fa da sfondo al tentativo egemonico da parte di Tebe ed è caratterizzata da una unità di intenti di fondo: il desiderio che la loro città diventasse la nuova Atene, la più potente e gloriosa dell’Ellade. Le riforme militari sono la ciliegina sulla torta. Il battaglione sacro, il corpo scelto di fanteria, e la tattica obliqua hanno fatto la fortuna degli eserciti dei beotarchi. La storia insegna che questo non è stato sufficiente. Speriamo che … Make Tebe Great Again. Make America Great Again. Non sto (solo) provocando.

Bibliografia e Fonti Antiche:

  1. Barack Obama, The audacity of hope: thoughts on reclaiming the American Dream, 2008.
  2. Michael Scott, Dalla democrazia ai re. La caduta di Atene e il trionfo di Alessandro Magno, 2009.
  3. Martha C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, 2011.
  4. Amartya K. Sen, Etica ed Economia, 2002.
  5. Amartya K. Sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, 2001.
  6. Bruno Bleckmann, La Guerra del Peloponneso 2010.
  7.  Ugo Fantasia, La Guerra del Peloponneso 2012.
  8. Isocrate, Orazioni. Testo greco a fronte.
  9. Aristotele, Etica Nicomachea.
  10. Aristotele, Politica.
  11. Tucidide, La Guerra del Peloponneso.
  12. Senofonte, Elleniche.

La Guerra del Peloponneso: l’avvento della Sofistica e la dissoluzione della Polis

L’età di Pericle è considerata il vertice indiscusso della grecità classica. La crisi quasi trentennale che si aprì a conclusione di questo periodo è caratterizzata da un evento bellico senza precedenti per il mondo greco: la Guerra del Peloponneso.

Si tratta infatti del più grande evento storico dopo la spedizione di Serse, le cui implicazioni sono ancora oggi oggetto di discussione dato che riguardano aree geografiche e culture assai diverse: dal continente greco attraverso l’Egeo, la Macedonia, la Tracia fino all’Asia Minore a est, passando per lo Ionio fino alla Sicilia e all’Italia meridionale a ovest.

Busto di Pericle (copia romana di una statua di Cresila, Museo Pio-Clementino).

Il coinvolgimento dell’impero persiano e della Magna Grecia rende questo evento non solo “universale” ma una vera e propria svolta negli equilibri politici ed economici del mondo di allora. Atene e Sparta ne uscirono sconfitte. La Grecia, il centro del mondo dopo Salamina e Platea, si vide gradualmente spinta verso la periferia per osservare passivamente l’affermarsi della Persia (ad oriente) e Dioniso I di Siracusa (ad occidente). Anche la polis ellenica stava lentamente morendo. La Lega Delio-Attica mostrò tutta la sua debolezza: l’incapacità di conciliare le eccessive autonomie locali con il senso di un “dovere comune” non determinarono solo il crollo di Atene, intesa come potenza politica ed economica, ma anche il dissolversi di un’idea di grecità che era indissolubilmente legata alla struttura della polis ateniese. 

La situazione politica, economica e sociale era caratterizzata da una forte crisi ma in questi anni oscuri lo spirito ellenico seppe dar prova di una inesauribile vivacità intellettuale. “La maggior parte delle opere di Euripide (morto nel 406) e delle commedie di Aristofane (la prima delle quali fu rappresentata nel 427) risalgono al periodo della guerra; esse testimoniano una fiorente vita culturale in Atene dove non cessarono le annuali rappresentazioni di tragedie e commedie, nonostante lo strepito degli arsenali e delle officine della città e del Pireo. Anche lo scalpello e la sega del carpentiere procedettero senza sosta nel loro lavoro: si continuò la costruzione dell’Eretteo, e i tesorieri, pur pressati dalle spese per la guerra, non mancarono di registrare i conteggi per i cittadini, meteci e schiavi“, (H. Bengtson, L’antica Grecia, Il Mulino, pag. 220).

Socrate nella cesta in una rappresentazione pittorica delle Nuvole di Aristofane (Joannes Sambucus, 1564).

Ma l’evento più significativo è indubbiamente l’ingresso della sofistica sulla scena ateniese. Questa nuova dottrina rappresentata fisicamente dal viaggio in Atene dell’ambasciatore Gorgia ebbe un ruolo determinante nella formazione dello spirito greco, sia dal punto di vista antropologico che scientifico. L’uomo protagoreo, proprio in quanto misura di tutte le cose, diviene il fulcro di una nuova visione del mendo, una spinta nella ricerca scientifica: non è un caso che la scrittura di Tucidide ha subito influenze sia sofistiche che derivanti dalla medicina antica, nella figura di Ippocrate.

Siamo quindi di fronte al processo di costruzione di una nuova umanità che se da un lato è profondamente segnata dalla ferocia della guerra, e resta imbrigliata nell’ambizione di uomini come Alcibiade e Lisandro e nell’inettitudine del demos, dall’altro riesce a superare i suoi stessi limiti, come mostrano il coraggio e la fedeltà di Socrate.

Troppo spesso di racconta la Guerra del Peloponneso come una sequenza di date, nomi e fatti, troppo spesso si comincia con le cause scatenanti e si procede attraverso le tre fasi in cui comunemente la storiografia la divide. E poi ci si ferma. Si dimentica il contesto, il quadro d’insieme, si smarrisce la consapevolezza dei significati “filosofici” e più genericamente culturali di questo evento. La nascita della storiografia e la morte della polis, di quella polis intesa come espressione di una democrazia diretta che non riuscì ad imporsi come uno strumento di direzione politica convincente nei momenti di crisi. Nel podcast che trovi qui sotto cerco di tracciare un quadro generale della situazione culturale che ha da humus alla Guerra del Peloponneso.

La quaglia di Alcibiade: gli aneddoti falsificano la storia?

Ambizioso, sregolato, egocentrico. Non aveva rivali nell’arte retorica né in quella militare, ed era capace di disegni politici di ampio respiro per il bene della sua città. Siamo intorno al 420 a.C. e stiamo parlando del capo dei democratici estremisti che, pur di opporsi alla politica conciliatoria di Nicia (divenuto influente dopo la morte di Pericle) rifiutò l’alleanza con Sparta e si adoperò per una coalizione tra Atene, Argo e altri Peloponnesiaci nemici di Sparta.

Ma c’è di più. A quanto pare Alcibiade aveva abitudini abbastanza singolari ai nostri occhi; infatti era solito passeggiare in Atene con una quaglia sotto il braccio. A svelare gli aspetti più intimi della sua vita ci pensa Plutarco, uno storico, moralista e filosofo vissuto tra il I e il II secolo d.C.. La bibliografia su Plutarco è immensa, ed è impossibile renderne conto in questa sede.

Gli studi sul ruolo degli aneddoti tra storia e biografia ripercorrono le direttrici principali delle ricerche sulla sua figura: di solito si ricostruiscono le fonti da cui ha attinto e/o lo si studia come autore affrontando il problema dei rapporti tra i generi letterari (storia, biografia, romanzo) che sembrano intrecciarsi nelle Vite con l’obiettivo di costruire un’etica specifica, quella in voga nel II secolo d.C.. Per chi fosse interessato ad approfondire, per una rapida rassegna rinvio al volume citato al punto (1) delle Fonti.

Oggi vorrei concentrarmi sull’uso degli aneddoti. Più in dettaglio, cos’è un aneddoto e che funzione ha? Cosa può ricavare uno storico dall’uso degli aneddoti nella narrazione? Leggendo le Vite Parallele di Plutarco ci troviamo di fronte a orpelli inutili, curiosità, falsificazioni che rischiano di screditare la figura dello storico? Forse per un lettore moderno questo potrebbe sembrare un problema di second’ordine nel senso che, avendo a che fare con numerose piattaforme, curiosità e aneddoti sono un strumento utilissimo per catalizzare l’attenzione del lettore/fruitore.

Se lasciamo sullo sfondo l’evidente anacronismo implicito nel paragone, ma molto utile per chiarirci le idee, possiamo comprendere che il caso di Plutarco è più complesso. Vorrei mostrare che nelle Vite l’uso degli aneddoti non è solo una strategia letteraria o comunicativa, ma fa parte del modo in cui Plutarco intende la storia. Leggendo la Vita di Alcibiade, in assoluto la più ricca di aneddoti, possiamo farci un’idea precisa del modo in cui lavora lo storico. I primi sedici paragrafi offrono una sequenza continua di storielle giustapposte, anche senza rispettare l’ordine cronologico. Gli aneddoti vengono richiamati in alcuni momenti della vita del protagonista, principalmente nella parte del racconto dedicata al periodo dell’infanzia (anche quando sono riferiti all’età adulta hanno sempre lo stesso scopo). Già questo sembra offrirci qualche suggerimento, poiché è un chiaro indizio dell’attenzione che l’autore riserva alle caratteristiche psicologiche degli uomini di cui ripercorre l’esistenza.

Ma a dimostrare che gli aneddoti sono parte integrante della ricostruzione storica (e certamente non sono falsificazioni o elementi fuorvianti) ci pensa la filologia. Benché in greco classico il termine anekdota non venga mai usato, compaiono altre espressioni (apopthegma, apomnemoneuma, chreia) che ne ricoprono in parte l’area semantica: Plutarco le usa come sinonimi ed è interessante notare che nessuno di questi termini rinvia ad un giudizio di valore sulla forma letteraria usata. Un bel colpo per chi vede in Plutarco solo un moralista o un biografo che cerca di impressionare il pubblico, eh?

È plausibile ritenere che Plutarco si serva degli aneddoti come carburanti della narrazione, svincolandoli da qualunque riflessione o meta-riflessione sui ruoli, obiettivi e valori del racconto storico. Produce in questo modo un effetto realtà senza precedenti, inserendo un evento quotidiano nel contesto storico più generale per rappresentare i comportamenti dell’uomo politico in età classica.

L’unico ritratto certo di Alcibiade pervenutoci (mosaico pavimentale del III-IV secolo d.C., Sparta, Museo Archeologico). Immagine di pubblico dominio.

Resta scontato che gli effetti di queste strategie comunicative vanno ben oltre le intenzioni dell’autore. L’uso massiccio di aneddoti accresce il piacere della lettura, movimenta l’azione conferendole solo accidentalmente un significato morale (e questo depone a sfavore delle letture moraliste delle Vite):ho cercato di collezionare le notizie sfuggite alla maggioranza degli storici, e anche dagli altri riferite incidentalmente, oppure rintracciabili soltanto in antiche iscrizioni votive o in decreti. […] Senza affastellare per questo una documentazione inutile; essa offre anzi una conoscenza più precisa del carattere e del temperamento (ethos e tropos) del personaggio”, (Plutarco, Vita di Nicia, 1,5).

Con l’obiettivo di svelare caratteri e temperamenti, l’aneddoto diventa un istorema, è usato come la più piccola unità di un fatto storico evitando così di pronunciare apertamente un elogio o un biasimo. In questo modo si realizza un sapiente equilibrio tra storia e racconto in cui l’aneddoto non è ridotto a una testimonianza (storica) di seconda classe, ma svela quasi la natura e le cause motrici di alcuni avvenimenti, un po’ come Diogene Laerzio nelle Vite dei Filosofi usa gli aneddoti nella loro valenza morale per incastonarli nella storia della filosofia.

Ma se in filosofia gli aneddoti veicolano un contenuto concettuale facendo dei filosofi individui fuori dal tempo, veicoli di teorie soltanto, nelle Vite di Plutarco fanno parte a tutti gli effetti della cassetta degli attrezzi dello storico e riescono addirittura a calare i personaggi nella trama di usi e costumi in cui vivono, lasciando al lettore la possibilità di giudicare e di chiedersi quale sia il senso dell’anomalia nel complesso della narrazione.

Plutarco attinge da un materiale storico che non è lui ad inventare, e del quale è tributario in tutti gli ambiti, compresa la sfera della descrizione dei modi di vita e dei comportamenti. Quello che gli è peculiare è lo sguardo con cui osserva i suoi personaggi, la riflessione etica che ne ricava, e ovviamente il magistero della scrittura. Senza Plutarco, oggi noi forse non sapremmo che Alcibiade passeggiava in Atene con una quaglia sotto il braccio, e che per compiere un atto di generosità saliva di slancio alla tribuna dell’assemblea. Ma non è stato Plutarco a inventarsi questa storia di un giovane aristocratico ateniese così amato, bensì gli stessi greci coevi di Alcibiade. È quindi un discorso elaborato in età classica che permette allo storico dei nostri giorni di comprendere i diversi aspetti della seduzione greca, e più in generale il legame che intercorre tra costume e politica“, (Pauline Schmitt Pantel, cit., p.158).

Perché allora passeggiava in Atene con una quaglia sotto il braccio? Lascio a voi la lettura delle Vite Parallele.

Fonti:

(1) Pauline Schmitt Pantel, I migliori di Atene. La vita dei potenti nella Grecia Antica, Laterza, 2009.

(2) Plutarco, Vite Parallele vol. 3, UTET.

(3) Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, Laterza.

(4) Plutarco, Vite Parallele. Nicia-Crasso, BUR.

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