La peste di Atene: Tucidide tra scienza e pathos | CM

Introduzione al tema della peste

Ormai da decenni la peste rappresenta nell’immaginario collettivo una terribile visione di morte tipica del periodo tardo-medievale; ma non è sempre stato così. Dipinti, racconti, poesie e persino leggende si sono succeduti per tentare di rappresentare un male considerato spesso divino e quindi inspiegabile agli occhi dell’uomo, un male che in varie epoche non ha mai lasciato scampo e sul quale si sono ripetutamente interrogati i più autorevoli medici, autori, maestri e filosofi del tempo.

Nel corso dei secoli infatti gravi pestilenze si sono abbattute su tutto il vecchio continente, in epoche e luoghi assai differenti. Una delle più disastrose epidemie di peste della storia si è manifestata nell’Atene classica, intorno al V secolo a.C., durante un periodo storico a dir poco travagliato per la storia della Grecia: la Guerra del Peloponneso” (431-404 a.C.).

L’opera tucididea e il conflitto tra Atene e Sparta

Narratore di questi eventi è appunto uno dei più grandi storici dell’epoca, Tucidide, vissuto tra il V ed il IV secolo a.C., fautore di un’opera che porterà con sé fonti ed elementi storici di grandissimo rilievo: “La Guerra del Peloponneso“. La celebre opera, suddivisa in otto libri, offre anche uno spunto essenziale per ricavare accurate riflessioni su quello che oggi definiamo un “metodo storico” scrupoloso, quasi scientifico, basato cioè su fonti certe e attendibili, di cui Tucidide viene considerato padre e fondatore. Su tale base l’autore sceglie di introdurre la narrazione in questo modo:

Giacché gli avvenimenti precedenti alla guerra e quelli ancora più antichi erano
impossibili a investigarsi perfettamente per via del gran tempo trascorso e, a giudicar dalle prove che esaminando molto indietro nel passato mi capita di riconoscere come attendibili, non li considero importanti né dal punto di vista militare né per il resto.

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso“, (1,3, libro I)

Trattandosi di un testo prettamente storico prevalgono ovviamente numerosi riferimenti diretti alla “Guerra del Peloponneso”, tra cui strategie belliche e scelte politiche, per la partecipazione attiva di Tucidide come testimone oculare, il quale combatté in prima persona come stratega venendo poi esiliato a causa di un grave e imperdonabile fallimento. Si tratta di un conflitto senza precedenti, scoppiato tra il 431 e il 404 a.C., rivolto unicamente contro la fiorente città di Atene.

Tra le cause secondarie e il casus belli principale bisogna però considerare la situazione di tutta la Grecia, ormai esausta a per gli ingenti tributi a cui era sottoposta e per le vessazioni imposte dal duro imperialismo egemonico ateniese. Tuttavia, nonostante Atene dominasse il mare con una potentissima flotta, Sparta riuscì a invadere l’Attica con un grande esercito, costringendo gran parte della popolazione a cercare rifugio all’interno delle grandi mura del Pireo, il porto ateniese. Fu proprio in quella tragica situazione di sovraffollamento che scoppiò l’epidemia, aggravata ancor più da un clima torrido e da condizioni igieniche pessime e precarie. Tucidide si sofferma poi su tre celebri discorsi relativi al conflitto tenuti da Pericle, personaggio fondamentale per le vicende storiche e politiche dell’Atene classica, morto anch’egli a causa del morbo.

Per ultimo, ma non per importanza, l’autore all’interno del II libro oltre a narrare le vicende belliche dedica un ampio excursus storico riferito all’epidemia che devastò Atene tra il 430 e il 427 a.C. contemporaneamente alla guerra, già di per sé estremamente rovinosa per le sorti del conflitto e della città. Si tratta pertanto di un’opera completa, storicamente e politicamente, soprattutto per l’attenzione rivolta ai dettagli e l’accuratezza mostrata verso i principali fatti storici narrati. Tuttavia a rendere Tucidide un maestro del “metodo storico” non è solamente un testo basato su indizi sicuri e veridicità storiche (fondate cioè su fatti realmente accaduti), ma la sua acuta capacità di descrizione nei confronti di eventi estranei a vicende storiche degne di nota, come la pestilenza.

La peste dal punto di vista medico, scientifico e umano

Tucidide dedica un lungo paragrafo al tema dell’epidemia ateniese, nel quale sceglie di soffermarsi non sull’evento storico in sé, quanto più sul tema della pestilenza a livello scientifico e umanitario. Scopo principale dell’autore è infatti narrare e documentare, ovvero mettere in guardia il lettore nei confronti di una storia che non è mai totalmente magistra vitae ma piuttosto pessimistica, da cui l’uomo non impara mai veramente e di cui non è l’unico protagonista delle vicende, ma vi partecipa attivamente insieme a epidemie, carestie, eclissi e terremoti; elementi mai trascurati nonostante le narrazioni di Tucidide abbiano un carattere prettamente storico.

La storia di Tucidide andrebbe perciò “ammaestrata” in modo da permettere all’uomo di non ripetere gli stessi errori del passato. Tuttavia tale insegnamento è molto relativo, poiché questi errori vengono con estrema facilità ciclicamente ripetuti, nonostante Tucidide cerchi di trasmettere come combatterli. La peste rappresenta infatti la grande occasione tucididea per attuare il suo “metodo storico”. Essa viene descritta in modo scientifico e razionale per comprenderla e conoscerla al meglio anche dal punto di vista umano, oltre che ovviamente medico. Nel descrivere la tremenda malattia, fino ad allora sconosciuta agli ateniesi, Tucidide si sofferma sul momento iniziale del morbo: le cause, i sintomi, i morti e la reazione dei medici di fronte a un male totalmente ignoto; ed erano proprio i medici a morire per primi, a causa della necessaria vicinanza con i pazienti.

Né i medici erano di aiuto, a causa della loro ignoranza, poiché curavano la malattia per la prima volta, ma anzi loro stessi morivano più di tutti, in quanto più di tutti si
avvicinavano ai malati; né serviva nessun’altra arte umana.”

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso“, (47,4, libro II)


Giunge poi a una descrizione fortemente umanitaria e ricca di pathos, nella quale evidenzia le principali reazioni umane, tra le quali spiccano paura, sgomento, solitudine e scoraggiamento. Uno degli scopi principali dell’autore è inoltre riportarci vari eventi quotidiani, per sottolineare come vennero completamente sconvolti dal morbo, tra i quali troviamo: numerosi furti per lo spopolamento delle case a causa della malattia, non più solenni funerali singoli ma roghi comuni per sbarazzarsi dei cadaveri, sempre più persone ammassate nei templi per riversare lo sgomento generale sulle preghiere e affidarsi agli dei, e infine varie congetture con lo scopo di dare un senso a questo male sconosciuto, come l’accusa verso i peloponnesiaci di aver avvelenato i pozzi.

Nella città di Atene piombò improvvisamente, e i primi abitanti che attaccò furono quelli del Pireo; e così tra essi si disse anche che i Peloponnesiaci avevano gettato veleni nei pozzi: là infatti non c’erano ancora fontane. Poi arrivò anche nella città alta, e da allora i morti aumentarono di molto.”

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso“, (48,2, libro II)

Nonostante il morbo sia stato catalogato per lunghissimo tempo come una vera e propria pestilenza, oggi esperti e studiosi pensano in realtà che si trattasse di un altro tipo di malattia, e che più probabilmente fosse una sorta di vaiolo o di febbre tifoide, per i sintomi violenti e immediati che procurava in un tempo brevissimo (rispetto a come sarebbe stato per una comune epidemia di peste).

Gli altri invece, senza nessuna causa apparente, mentre erano sani improvvisamente
venivano presi da violente vampate di calore alla testa e da arrossamenti e infiammazioni agli occhi, e tra le parti interne la faringe e la lingua erano subito sanguinolente ed emettevano un alito insolito e fetido. Poi, dopo questi sintomi, sopravveniva lo starnuto e la raucedine, e dopo non molto tempo il male scendeva nel petto, ed era accompagnato da una forte tosse. E quando si fissava nello stomaco, lo sconvolgeva, e ne risultavano vomiti di bile di tutti i generi nominati dai medici, e questi erano accompagnati da una grande sofferenza.

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso” (49, 2-3, libro II)

Tuttavia essa ebbe tutte le caratteristiche proprie di qualsiasi epidemia della storia, riuscendo ad abbattere psicologicamente l’umore e la quotidianità delle persone, e provocando migliaia di morti; forse addirittura arrivò a dimezzare la popolazione ateniese, cifre per l’epoca davvero esorbitanti, di cui Tucidide stesso si rese conto, riportando puntualmente lo sgomento che vigeva in quel tempo.

Nessun corpo si dimostrò sufficientemente forte per resistere al male, fosse robusto o
debole, ma esso li portava via tutti, anche quelli che erano curati con ogni genere di dieta. Ma la cosa più terribile di tutte nella malattia era lo scoraggiamento quando uno si accorgeva di essere ammalato (poiché i malati si davano subito alla disperazione, si abbattevano molto di più e non resistevano), e il fatto che per aver preso la malattia uno dall’altro mentre si curavano, morivano come pecore: questo provocava il maggior numero di morti.

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso” (51,4, libro II)

L’importanza dei comportamenti umani nel corso della storia

Attraverso una digressione tanto struggente Tucidide dimostra ancora una volta che la storia non è riassumibile in un muto susseguirsi di vicende più o meno rilevanti, ma va invece rappresentata e studiata anche attraverso le reazioni umane. Pertanto assumono un ruolo di assoluto rilievo la psicologia, i comportamenti degli uomini e le azioni quotidiane in relazione a tali fenomeni tanto significativi per lo studio della storia.

Tucidide sceglie di esporre molto dettagliatamente la pestilenza proprio per l’effetto che quest’ultima ebbe sull’animo degli uomini, e non per come influenzò l’andamento degli eventi storici futuri. In una critica situazione di guerra il sopraggiungere di un’epidemia portò gli ateniesi al limite della sopportazione, rendendoli capaci di azioni ignobili e disumane, e questo l’autore lo esprime con una grande cura verso i dettagli.

A regnare è infatti l’“anomia”, ovvero la più totale assenza di leggi, che porterà inevitabilmente a una situazione di disordine e anarchia in cui gli individui cercano disperatamente di sopravvivere aggrappandosi ai propri istinti senza più alcuna inibizione. Attenendosi perciò strettamente al suo ruolo di storico Tucidide si mostra come testimone diretto dell’evento e ce lo riporta privandosi di ogni possibile elemento etico o morale, con il solo e unico scopo di informare e documentare i posteri riguardo l’andamento della storia e di come essa possa interagire con la labile natura umana. E, proprio come scrive l’autore: Atene fu distrutta dalla paura della peste, non dalla peste. Si tratta certo di uno squarcio raccapricciante, incapace di infondere sicurezza e perciò ancor oggi perfettamente in grado di suggestionare qualsiasi lettore moderno.

La peste di ieri e la peste di oggi

Il tema della pestilenza rappresenta ormai da secoli una delle più grandi occasioni per parlare di storia, scienza e medicina allo stesso tempo. Autori, poeti, scrittori e persino pittori e scultori si sono destreggiati su questo tema cercando di mostrare nel miglior modo possibile gli effetti del male, come esso influisce sulla psicologia umana e come viene affrontato in base alle diverse epoche storiche. L’idea di un morbo che esplode all’improvviso scatenando il panico e l’incertezza verso cure e guarigioni introvabili garantisce ancor oggi una fonte tragica sulla quale poter costruire grandi narrazioni storiche ma anche possibili racconti di fantasia.

La tragicità causata da morte e distruzione rappresenta anche un’occasione per evidenziare gli effetti della malattia sul corpo umano, a livello quindi medico/scientifico, ma porta spesso e soprattutto a profonde riflessioni di tipo religioso/divino, poiché l’uomo da sempre necessita di un elemento superiore a cui appoggiarsi in caso di estremo pessimismo. Si tratta pertanto di un tema largamente discusso ancor oggi, in grado di scatenare ferventi discussioni e, ma anche capace di lasciare un enorme fascino nella letteratura e nella storia di tutti i tempi.

Storie di Eroi, Strateghi e Filosofi: Barack Obama e l’Athenian Dream di Isocrate

Un amico, citando Hegel, mi ha detto che l’unica cosa che impariamo dalla storia è che dalla storia non si impara. Purtroppo vi sono fin troppi esempi nel passato che provano la verità di questo paradosso. […] E tuttavia, mentre sembriamo incapaci di imparare dal passato, dal passato non possiamo fuggire. […] Questo legame con il passato esige tuttavia una aperta ed ampia discussione, soprattutto perché ci sarà sempre qualcuno che avrà da proporre un eroe diverso e una diversa visione del futuro. Leggendo il libro di Obama, The audacity of hope: thoughts on reclaiming the American Dream (l’audacia della speranza: il sogno americano per un mondo nuovo) – che mi ha spesso colpito per la somiglianza con l’esortazione politica di Isocrate di 2400 anni fa – ci si rende conto come l’America e tante società del mondo debbano affrontare i medesimi dilemmi di chi viveva ai tempi di Isocrate. Questa fase della storia antica indica che non è una caratteristica soltanto dei nostri tempi paragonare la precarietà del presente con un’età dell’oro, quando tutto era più facile, migliore e sicuro. La nostra storia mette in evidenza che gli antichi, esattamente come noi, dovevano fare i conti con il loro passato mentre elaboravano il loro incerto presente“, (Michael Scott, Dalla democrazia ai re. La caduta di Atene e il trionfo di Alessandro Magno, Laterza, 2009, pp.237-240).

Ho citato questo lungo passo per due ragioni. La prima riguarda il mestiere dello storico, l’esigenza di riflettere sullo stato attuale delle nostre conoscenze in merito al periodo compreso tra l’agguato del 405 a.C. di Lisandro (il capo della flotta spartana) agli ateniesi di Conone nei pressi di Egospotami e l’ascesa della potenza macedone che possiamo collocare dal 359 a.C. in poi, ossia dall’anno in cui diventa Re Filippo II.

Come lo stesso Scott sottolinea, nemmeno la storiografia specialistica è riuscita ad approfondirne tutti gli aspetti. Di solito l’entusiasmo degli storici viene catturato dal ruolo guida di Atene, come faro della libertà e della democrazia per l’Ellade, per passare senza alcuna apparente soluzione di continuità ad Alessandro Magno. Le crisi, i tumulti, le incertezze di questa oscura “età di mezzo” sono sovente liquidate come un periodo di decadenza e di declino.

Raccontare la storia delle tumultuose trasformazioni che fanno da sfondo ai tentativi egemonici di Sparta (404-379 a.C.) e di Tebe (379-362 a.C.) è essenziale anche per una seconda ragione, che ci tocca direttamente: la costruzione di una società libera, democratica ed egualitaria. Democrazie schiacciate e risorte su ambizioni imperialiste, disordini politici, diseguaglianze economiche sempre maggiori, ridiscussione della globalizzazione, timori di fronte alla liquidità dei confini nazionali e, infine, tentativi di mantenere lo status quo o, peggio, di proteggersi dall’altro e dal diverso. Questa descrizione si applica al presente come all’epoca di Isocrate. 

Ed è su questo aspetto che dobbiamo insistere, che ci piaccia o meno. Attenzione. Non ne sto facendo una questione di identità, né sto dicendo che è possibile analizzare la complessità di due epoche facendo solo il gioco delle analogie e differenze. Sto solo cercando di ragionare insieme su alcuni motivi ricorrenti che forse ci permettono di avere maggiore consapevolezza di ciò che viviamo. Non possiamo infatti negare che gran parte del mondo attuale è strettamente legato ai valori e ai modelli della Grecia antica – basti pensare a George W. Bush che leggeva e interpretava (!?) in chiave repubblicana l’Etica Nicomachea di Aristotele, al legame dell’America con la democrazia ateniese di cui parla Scott, all’ottimo lavoro che da anni stanno facendo Martha C. Nussbaum e Amartya Sen per divulgare un po’ di cultura classica (stoicismo e tragedia greca in primis) e indiana.

L’etica, gli usi, la cultura, la filosofia, il linguaggio, la politica e l’identità degli antichi Greci sono, per una quantità di ragioni, radicati nella nostra cultura e sovente le azioni degli antichi Greci sono state citate a giustificazione delle nostre. Ne sono conseguiti esiti sia positivi che negativi. La tragedia greca ha ispirato generazioni di creatività letteraria. Ma dall’altra parte Hitler giustificava il suo programma eugenetico rifacendosi in parte alla mentalità eroica dei guerrieri spartani (come illustrata nel film americano 300). Il nostro mondo ha dunque molto interesse nel tipo di interpretazione che sceglie di dare della storia dell’antica Grecia o al modo in cui permette ad altri di usarla“, (Scott, cit. p. XIV).

Il nostro mondo ha dunque molto interesse nel tipo di interpretazione che sceglie di dare della storia dell’antica Grecia. Vorrei partire da qui. In America l’impegno di Martha C. Nussbaum – e di tutti coloro che collaborano o si rifanno al suo pensiero – sta dando un buon contributo nella ridiscussione di alcuni temi e problemi che ruotano attorno ai diritti umani, all’economia e alla politica: basti prendere Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Bologna, Il Mulino (2011) per farsi un’idea dell’orientamento culturale dell’autrice. Vengono poi pubblicati libri come quello da cui siamo partiti: Michael Scott non è solo un docente universitario ma è consulente storico per numerosi documentari trasmessi su History Channel.

E noi, in Italia, cosa stiamo facendo? A che punto è il dibattito o, meglio, esiste un dibattito di questo tipo? Esiste una seria divulgazione storica e letteraria in grado di colmare il vuoto che si crea tra quella misera percentuale di giovani che si iscrivono al Liceo Classico (e così hanno modo di studiare Platone, Eschilo e Galeno) e i “nostri” – anzi, i vostri – discorsi sulla crisi, l’economia e il capitalismo? Discorsi che, nella maggior parte dei casi, si vantano della loro modernità ed aderenza alla realtà proprio per il fatto di essere pensati e costruiti a meno di questa tradizione storico-culturale?

Il nulla. L’assordante urlo dell’assenza. Questo rende ancora più urgente il confronto con il passato, con quel  passato che per noi è remoto e per molti è solo un vezzo da eruditi (rispetto a epoche più vicine e più “semplici” da spendere nei dibattiti dei salotti televisivi, ad esempio). Vorrei a questo punto indicare due spunti di riflessione per capire meglio il presente. Nello spazio di un articolo posso solo fornire alcune suggestioni teoriche rimandando, eventualmente, a qualche video futuro o a qualche articolo più strutturato lo studio dei punti in questione.  Per ora vorrei che rifletteste su quanto segue: (1) Il collasso degli ideali di base della democrazia genera mostri. Oggi le “democrazie del web”, ieri il Collegio dei Trenta Cittadini. (2) Il collasso della democrazia pavimenta la strada all’uomo forte, al nazionalismo e al militarismo.

Busto di Isocrate (CC BY-SA 3.0).

(1) Il collasso dei grandi ideali e dei valori che stanno alla base della democrazia favorisce una serie di esperimenti popolari (e populisti) destinati prima o poi al fallimento. Oggi come ieri. Naufraga l’Athenian Dream di Isocrate – perdonatemi, ma non ho resistito a chiamarlo così – con la fine della guerra del Peloponneso e l’esperienza dei Trenta Tiranni in Atene; nelle pagine di Scott incontriamo un Isocrate ormai ultranovantenne, stanco e provato, che nel 399 a.C. tutte le mattine si alza dal letto e cerca di portare a termine la sua opera. Ormai il sogno di vedere Atene come stella di democrazia e libertà per l’Ellade è pura utopia. Non resta che affidarsi al Re, a Filippo II di Macedonia.

La guerra del Peloponneso fu un evento senza precedenti nella storia antica. La vittoria sulla flotta spartana presso le isole Arginuse (406 a.C.), di fronte a Mitilene, fu l’ultimo raggio di sole sul destino di Atene. Come se non bastasse, una terribile tempesta si abbattè sulla flotta; molte navi affondarono senza che nemmeno si potesse tentare di salvare i naufraghi. Come se non bastasse, il popolo ateniese accusò gli strateghi di non aver saputo (o voluto?) aiutare i naufraghi e ne condannò a morte ben sei. Atene si trovò così privata dei suoi uomini migliori. Il resto ha il sapore di un tragico epilogo. Quando nel 404 Atene capitolò per fame sotto l’assedio di Lisandro, l’antico splendore della polis era ormai un ricordo.

Tra il 404 e il 403 Atene sperimenta il governo del Collegio dei Trenta Cittadini favorevoli a Sparta, che avrebbero dovuto preparare la nuova costituzione aristocratica. Ben presto il “collegio dei trenta” divenne il regime dei Trenta Tiranni tra cui si ricordano Crizia, un allievo di Socrate, e il più mite Teramene (che fu accusato di tradimento e morì vittima della sua stessa moderazione). Le reazioni a questo regime di terrore non si sono fatte attendere: molti ateniesi di parte democratica che si erano rifugiati a Tebe (che prima dell’egemonia spartana era nemica di Atene) trovarono un abile capo in Trasibulo, un ex stratego della guerra deceleica. Passata la fortezza di File, sul confine attico-beotico, Trasibulo guidò i suoi alla conquista del Pireo mentre l’assemblea popolare, sebbene aristocratica, sostituiva il collegio dei trenta con il Collegio dei Dieci che chiese aiuto a Sparta non riuscendo a stringere accordi con Trasibulo. Così venne restaurata solo l’ombra della democrazia di Clistene e Pericle.

Con Atene ormai in ginocchio e una democrazia solo di nome  assistiamo alla condanna di Socrate e ai tentativi egemonici di Sparta e di Tebe. Le analogie con il presente non sono difficili da tracciare. L’asse degli uomini forti (USA, Russia e Cina), la debolezza di un’Europa che è una federazione monetaria e non una comunione di popoli e di diritti, un luogo in cui si parla di euro e di economia monetaria, non di leggi e di valori comuni da coltivare e condividere. L’Europa sembra un po’ il Peloponneso antico: ora comanda la lega Delio-Attica, ora la Lega Peloponnesiaca, ora la Lega Corinzia. La democrazia non è qualcosa di condiviso, federalmente. Fa capo a Stati (anticamente a città) che impongono i loro modelli, spesso per esportarli.

Oggi la crisi della democrazia non si manifesta solo a livello istituzionale, basti osservare i “nostri” comportamenti quotidiani, l’ignoranza diffusa, la mancanza di un’etica nel pubblico come nel privato, l’incapacità delle masse di distinguere una notizia da una bufala. Non solo. La scelta di uomini “forti” – come ad esempio mostra l’elezione di Donald Trump – sembra alimentare l’illusione di poter fermare il cambiamento, le migrazioni, il transculturalismo. Altrove invece si crede che la soluzione sia una diffusa partecipazione a prova di click. Tutti cittadini attivi e (in)consapevoli. La politica richiede istruzione, educazione e preparazione; non ha bisogno di schiere di ignoranti allo sbaraglio, né di uomini forti. Ha bisogno di un Socrate, di un Demostene, di un Isocrate. Ideali, educazione e cultura. 

La morte di Epaminonda di Benjamin West, 1773.

(2) Ormai il sogno di vedere Atene come stella di democrazia e libertà per l’Ellade è pura utopia. Non resta che affidarsi al Re, per Isocrate a Filippo II di Macedonia. Così rimuginava Isocrate. Prima di affidarci al Re dobbiamo fare i conti con Sparta e soprattutto con Tebe. Il collasso delle democrazie e ideali della polis classica favorisce la riproposizione di una politica delle armi e non della parola, e giustifica il potenziamento degli assetti militari da parte di quegli Stati che intendono rivendicare il loro ruolo nel panorama internazionale. Nazionalismo, rispetto dei confini e militarismo. Tebe come gli USA di Trump? A Isocrate Tebe non piaceva proprio … (ne ho parlato anche in Filosofia e Vita: Isocrate e l’Attualità del Sogno di una Democrazia Moderata).

Non è un caso che l’egemonia di Tebe sia una storia di eroi, strateghi e filosofi (con lo scudo sempre pronto sotto la veste) per lo più dimenticati, se paragonati con la fortuna dei corrispettivi ateniesi e spartani: Pelopida il ricco aristocratico “culturista”, noto per essere un forte bevitore dal fisico imbattibile, ed Epaminonda, il filantropo vegetariano che rimase scapolo e fedele ai precetti della filosofia pitagorica.

La loro amicizia fa da sfondo al tentativo egemonico da parte di Tebe ed è caratterizzata da una unità di intenti di fondo: il desiderio che la loro città diventasse la nuova Atene, la più potente e gloriosa dell’Ellade. Le riforme militari sono la ciliegina sulla torta. Il battaglione sacro, il corpo scelto di fanteria, e la tattica obliqua hanno fatto la fortuna degli eserciti dei beotarchi. La storia insegna che questo non è stato sufficiente. Speriamo che … Make Tebe Great Again. Make America Great Again. Non sto (solo) provocando.

Bibliografia e Fonti Antiche:

  1. Barack Obama, The audacity of hope: thoughts on reclaiming the American Dream, 2008.
  2. Michael Scott, Dalla democrazia ai re. La caduta di Atene e il trionfo di Alessandro Magno, 2009.
  3. Martha C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, 2011.
  4. Amartya K. Sen, Etica ed Economia, 2002.
  5. Amartya K. Sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, 2001.
  6. Bruno Bleckmann, La Guerra del Peloponneso 2010.
  7.  Ugo Fantasia, La Guerra del Peloponneso 2012.
  8. Isocrate, Orazioni. Testo greco a fronte.
  9. Aristotele, Etica Nicomachea.
  10. Aristotele, Politica.
  11. Tucidide, La Guerra del Peloponneso.
  12. Senofonte, Elleniche.

La Guerra del Peloponneso: l’avvento della Sofistica e la dissoluzione della Polis

L’età di Pericle è considerata il vertice indiscusso della grecità classica. La crisi quasi trentennale che si aprì a conclusione di questo periodo è caratterizzata da un evento bellico senza precedenti per il mondo greco: la Guerra del Peloponneso.

Si tratta infatti del più grande evento storico dopo la spedizione di Serse, le cui implicazioni sono ancora oggi oggetto di discussione dato che riguardano aree geografiche e culture assai diverse: dal continente greco attraverso l’Egeo, la Macedonia, la Tracia fino all’Asia Minore a est, passando per lo Ionio fino alla Sicilia e all’Italia meridionale a ovest.

Busto di Pericle (copia romana di una statua di Cresila, Museo Pio-Clementino).

Il coinvolgimento dell’impero persiano e della Magna Grecia rende questo evento non solo “universale” ma una vera e propria svolta negli equilibri politici ed economici del mondo di allora. Atene e Sparta ne uscirono sconfitte. La Grecia, il centro del mondo dopo Salamina e Platea, si vide gradualmente spinta verso la periferia per osservare passivamente l’affermarsi della Persia (ad oriente) e Dioniso I di Siracusa (ad occidente). Anche la polis ellenica stava lentamente morendo. La Lega Delio-Attica mostrò tutta la sua debolezza: l’incapacità di conciliare le eccessive autonomie locali con il senso di un “dovere comune” non determinarono solo il crollo di Atene, intesa come potenza politica ed economica, ma anche il dissolversi di un’idea di grecità che era indissolubilmente legata alla struttura della polis ateniese. 

La situazione politica, economica e sociale era caratterizzata da una forte crisi ma in questi anni oscuri lo spirito ellenico seppe dar prova di una inesauribile vivacità intellettuale. “La maggior parte delle opere di Euripide (morto nel 406) e delle commedie di Aristofane (la prima delle quali fu rappresentata nel 427) risalgono al periodo della guerra; esse testimoniano una fiorente vita culturale in Atene dove non cessarono le annuali rappresentazioni di tragedie e commedie, nonostante lo strepito degli arsenali e delle officine della città e del Pireo. Anche lo scalpello e la sega del carpentiere procedettero senza sosta nel loro lavoro: si continuò la costruzione dell’Eretteo, e i tesorieri, pur pressati dalle spese per la guerra, non mancarono di registrare i conteggi per i cittadini, meteci e schiavi“, (H. Bengtson, L’antica Grecia, Il Mulino, pag. 220).

Socrate nella cesta in una rappresentazione pittorica delle Nuvole di Aristofane (Joannes Sambucus, 1564).

Ma l’evento più significativo è indubbiamente l’ingresso della sofistica sulla scena ateniese. Questa nuova dottrina rappresentata fisicamente dal viaggio in Atene dell’ambasciatore Gorgia ebbe un ruolo determinante nella formazione dello spirito greco, sia dal punto di vista antropologico che scientifico. L’uomo protagoreo, proprio in quanto misura di tutte le cose, diviene il fulcro di una nuova visione del mendo, una spinta nella ricerca scientifica: non è un caso che la scrittura di Tucidide ha subito influenze sia sofistiche che derivanti dalla medicina antica, nella figura di Ippocrate.

Siamo quindi di fronte al processo di costruzione di una nuova umanità che se da un lato è profondamente segnata dalla ferocia della guerra, e resta imbrigliata nell’ambizione di uomini come Alcibiade e Lisandro e nell’inettitudine del demos, dall’altro riesce a superare i suoi stessi limiti, come mostrano il coraggio e la fedeltà di Socrate.

Troppo spesso di racconta la Guerra del Peloponneso come una sequenza di date, nomi e fatti, troppo spesso si comincia con le cause scatenanti e si procede attraverso le tre fasi in cui comunemente la storiografia la divide. E poi ci si ferma. Si dimentica il contesto, il quadro d’insieme, si smarrisce la consapevolezza dei significati “filosofici” e più genericamente culturali di questo evento. La nascita della storiografia e la morte della polis, di quella polis intesa come espressione di una democrazia diretta che non riuscì ad imporsi come uno strumento di direzione politica convincente nei momenti di crisi. Nel podcast che trovi qui sotto cerco di tracciare un quadro generale della situazione culturale che ha da humus alla Guerra del Peloponneso.

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