La peste di Atene: Tucidide tra scienza e pathos | CM

Introduzione al tema della peste

Ormai da decenni la peste rappresenta nell’immaginario collettivo una terribile visione di morte tipica del periodo tardo-medievale; ma non è sempre stato così. Dipinti, racconti, poesie e persino leggende si sono succeduti per tentare di rappresentare un male considerato spesso divino e quindi inspiegabile agli occhi dell’uomo, un male che in varie epoche non ha mai lasciato scampo e sul quale si sono ripetutamente interrogati i più autorevoli medici, autori, maestri e filosofi del tempo.

Nel corso dei secoli infatti gravi pestilenze si sono abbattute su tutto il vecchio continente, in epoche e luoghi assai differenti. Una delle più disastrose epidemie di peste della storia si è manifestata nell’Atene classica, intorno al V secolo a.C., durante un periodo storico a dir poco travagliato per la storia della Grecia: la Guerra del Peloponneso” (431-404 a.C.).

L’opera tucididea e il conflitto tra Atene e Sparta

Narratore di questi eventi è appunto uno dei più grandi storici dell’epoca, Tucidide, vissuto tra il V ed il IV secolo a.C., fautore di un’opera che porterà con sé fonti ed elementi storici di grandissimo rilievo: “La Guerra del Peloponneso“. La celebre opera, suddivisa in otto libri, offre anche uno spunto essenziale per ricavare accurate riflessioni su quello che oggi definiamo un “metodo storico” scrupoloso, quasi scientifico, basato cioè su fonti certe e attendibili, di cui Tucidide viene considerato padre e fondatore. Su tale base l’autore sceglie di introdurre la narrazione in questo modo:

Giacché gli avvenimenti precedenti alla guerra e quelli ancora più antichi erano
impossibili a investigarsi perfettamente per via del gran tempo trascorso e, a giudicar dalle prove che esaminando molto indietro nel passato mi capita di riconoscere come attendibili, non li considero importanti né dal punto di vista militare né per il resto.

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso“, (1,3, libro I)

Trattandosi di un testo prettamente storico prevalgono ovviamente numerosi riferimenti diretti alla “Guerra del Peloponneso”, tra cui strategie belliche e scelte politiche, per la partecipazione attiva di Tucidide come testimone oculare, il quale combatté in prima persona come stratega venendo poi esiliato a causa di un grave e imperdonabile fallimento. Si tratta di un conflitto senza precedenti, scoppiato tra il 431 e il 404 a.C., rivolto unicamente contro la fiorente città di Atene.

Tra le cause secondarie e il casus belli principale bisogna però considerare la situazione di tutta la Grecia, ormai esausta a per gli ingenti tributi a cui era sottoposta e per le vessazioni imposte dal duro imperialismo egemonico ateniese. Tuttavia, nonostante Atene dominasse il mare con una potentissima flotta, Sparta riuscì a invadere l’Attica con un grande esercito, costringendo gran parte della popolazione a cercare rifugio all’interno delle grandi mura del Pireo, il porto ateniese. Fu proprio in quella tragica situazione di sovraffollamento che scoppiò l’epidemia, aggravata ancor più da un clima torrido e da condizioni igieniche pessime e precarie. Tucidide si sofferma poi su tre celebri discorsi relativi al conflitto tenuti da Pericle, personaggio fondamentale per le vicende storiche e politiche dell’Atene classica, morto anch’egli a causa del morbo.

Per ultimo, ma non per importanza, l’autore all’interno del II libro oltre a narrare le vicende belliche dedica un ampio excursus storico riferito all’epidemia che devastò Atene tra il 430 e il 427 a.C. contemporaneamente alla guerra, già di per sé estremamente rovinosa per le sorti del conflitto e della città. Si tratta pertanto di un’opera completa, storicamente e politicamente, soprattutto per l’attenzione rivolta ai dettagli e l’accuratezza mostrata verso i principali fatti storici narrati. Tuttavia a rendere Tucidide un maestro del “metodo storico” non è solamente un testo basato su indizi sicuri e veridicità storiche (fondate cioè su fatti realmente accaduti), ma la sua acuta capacità di descrizione nei confronti di eventi estranei a vicende storiche degne di nota, come la pestilenza.

La peste dal punto di vista medico, scientifico e umano

Tucidide dedica un lungo paragrafo al tema dell’epidemia ateniese, nel quale sceglie di soffermarsi non sull’evento storico in sé, quanto più sul tema della pestilenza a livello scientifico e umanitario. Scopo principale dell’autore è infatti narrare e documentare, ovvero mettere in guardia il lettore nei confronti di una storia che non è mai totalmente magistra vitae ma piuttosto pessimistica, da cui l’uomo non impara mai veramente e di cui non è l’unico protagonista delle vicende, ma vi partecipa attivamente insieme a epidemie, carestie, eclissi e terremoti; elementi mai trascurati nonostante le narrazioni di Tucidide abbiano un carattere prettamente storico.

La storia di Tucidide andrebbe perciò “ammaestrata” in modo da permettere all’uomo di non ripetere gli stessi errori del passato. Tuttavia tale insegnamento è molto relativo, poiché questi errori vengono con estrema facilità ciclicamente ripetuti, nonostante Tucidide cerchi di trasmettere come combatterli. La peste rappresenta infatti la grande occasione tucididea per attuare il suo “metodo storico”. Essa viene descritta in modo scientifico e razionale per comprenderla e conoscerla al meglio anche dal punto di vista umano, oltre che ovviamente medico. Nel descrivere la tremenda malattia, fino ad allora sconosciuta agli ateniesi, Tucidide si sofferma sul momento iniziale del morbo: le cause, i sintomi, i morti e la reazione dei medici di fronte a un male totalmente ignoto; ed erano proprio i medici a morire per primi, a causa della necessaria vicinanza con i pazienti.

Né i medici erano di aiuto, a causa della loro ignoranza, poiché curavano la malattia per la prima volta, ma anzi loro stessi morivano più di tutti, in quanto più di tutti si
avvicinavano ai malati; né serviva nessun’altra arte umana.”

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso“, (47,4, libro II)


Giunge poi a una descrizione fortemente umanitaria e ricca di pathos, nella quale evidenzia le principali reazioni umane, tra le quali spiccano paura, sgomento, solitudine e scoraggiamento. Uno degli scopi principali dell’autore è inoltre riportarci vari eventi quotidiani, per sottolineare come vennero completamente sconvolti dal morbo, tra i quali troviamo: numerosi furti per lo spopolamento delle case a causa della malattia, non più solenni funerali singoli ma roghi comuni per sbarazzarsi dei cadaveri, sempre più persone ammassate nei templi per riversare lo sgomento generale sulle preghiere e affidarsi agli dei, e infine varie congetture con lo scopo di dare un senso a questo male sconosciuto, come l’accusa verso i peloponnesiaci di aver avvelenato i pozzi.

Nella città di Atene piombò improvvisamente, e i primi abitanti che attaccò furono quelli del Pireo; e così tra essi si disse anche che i Peloponnesiaci avevano gettato veleni nei pozzi: là infatti non c’erano ancora fontane. Poi arrivò anche nella città alta, e da allora i morti aumentarono di molto.”

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso“, (48,2, libro II)

Nonostante il morbo sia stato catalogato per lunghissimo tempo come una vera e propria pestilenza, oggi esperti e studiosi pensano in realtà che si trattasse di un altro tipo di malattia, e che più probabilmente fosse una sorta di vaiolo o di febbre tifoide, per i sintomi violenti e immediati che procurava in un tempo brevissimo (rispetto a come sarebbe stato per una comune epidemia di peste).

Gli altri invece, senza nessuna causa apparente, mentre erano sani improvvisamente
venivano presi da violente vampate di calore alla testa e da arrossamenti e infiammazioni agli occhi, e tra le parti interne la faringe e la lingua erano subito sanguinolente ed emettevano un alito insolito e fetido. Poi, dopo questi sintomi, sopravveniva lo starnuto e la raucedine, e dopo non molto tempo il male scendeva nel petto, ed era accompagnato da una forte tosse. E quando si fissava nello stomaco, lo sconvolgeva, e ne risultavano vomiti di bile di tutti i generi nominati dai medici, e questi erano accompagnati da una grande sofferenza.

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso” (49, 2-3, libro II)

Tuttavia essa ebbe tutte le caratteristiche proprie di qualsiasi epidemia della storia, riuscendo ad abbattere psicologicamente l’umore e la quotidianità delle persone, e provocando migliaia di morti; forse addirittura arrivò a dimezzare la popolazione ateniese, cifre per l’epoca davvero esorbitanti, di cui Tucidide stesso si rese conto, riportando puntualmente lo sgomento che vigeva in quel tempo.

Nessun corpo si dimostrò sufficientemente forte per resistere al male, fosse robusto o
debole, ma esso li portava via tutti, anche quelli che erano curati con ogni genere di dieta. Ma la cosa più terribile di tutte nella malattia era lo scoraggiamento quando uno si accorgeva di essere ammalato (poiché i malati si davano subito alla disperazione, si abbattevano molto di più e non resistevano), e il fatto che per aver preso la malattia uno dall’altro mentre si curavano, morivano come pecore: questo provocava il maggior numero di morti.

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso” (51,4, libro II)

L’importanza dei comportamenti umani nel corso della storia

Attraverso una digressione tanto struggente Tucidide dimostra ancora una volta che la storia non è riassumibile in un muto susseguirsi di vicende più o meno rilevanti, ma va invece rappresentata e studiata anche attraverso le reazioni umane. Pertanto assumono un ruolo di assoluto rilievo la psicologia, i comportamenti degli uomini e le azioni quotidiane in relazione a tali fenomeni tanto significativi per lo studio della storia.

Tucidide sceglie di esporre molto dettagliatamente la pestilenza proprio per l’effetto che quest’ultima ebbe sull’animo degli uomini, e non per come influenzò l’andamento degli eventi storici futuri. In una critica situazione di guerra il sopraggiungere di un’epidemia portò gli ateniesi al limite della sopportazione, rendendoli capaci di azioni ignobili e disumane, e questo l’autore lo esprime con una grande cura verso i dettagli.

A regnare è infatti l’“anomia”, ovvero la più totale assenza di leggi, che porterà inevitabilmente a una situazione di disordine e anarchia in cui gli individui cercano disperatamente di sopravvivere aggrappandosi ai propri istinti senza più alcuna inibizione. Attenendosi perciò strettamente al suo ruolo di storico Tucidide si mostra come testimone diretto dell’evento e ce lo riporta privandosi di ogni possibile elemento etico o morale, con il solo e unico scopo di informare e documentare i posteri riguardo l’andamento della storia e di come essa possa interagire con la labile natura umana. E, proprio come scrive l’autore: Atene fu distrutta dalla paura della peste, non dalla peste. Si tratta certo di uno squarcio raccapricciante, incapace di infondere sicurezza e perciò ancor oggi perfettamente in grado di suggestionare qualsiasi lettore moderno.

La peste di ieri e la peste di oggi

Il tema della pestilenza rappresenta ormai da secoli una delle più grandi occasioni per parlare di storia, scienza e medicina allo stesso tempo. Autori, poeti, scrittori e persino pittori e scultori si sono destreggiati su questo tema cercando di mostrare nel miglior modo possibile gli effetti del male, come esso influisce sulla psicologia umana e come viene affrontato in base alle diverse epoche storiche. L’idea di un morbo che esplode all’improvviso scatenando il panico e l’incertezza verso cure e guarigioni introvabili garantisce ancor oggi una fonte tragica sulla quale poter costruire grandi narrazioni storiche ma anche possibili racconti di fantasia.

La tragicità causata da morte e distruzione rappresenta anche un’occasione per evidenziare gli effetti della malattia sul corpo umano, a livello quindi medico/scientifico, ma porta spesso e soprattutto a profonde riflessioni di tipo religioso/divino, poiché l’uomo da sempre necessita di un elemento superiore a cui appoggiarsi in caso di estremo pessimismo. Si tratta pertanto di un tema largamente discusso ancor oggi, in grado di scatenare ferventi discussioni e, ma anche capace di lasciare un enorme fascino nella letteratura e nella storia di tutti i tempi.

La Peste Nera colpisce ancora

La peste è delle malattie più pericolose e letali con cui l’umanità abbia mai dovuto scontrarsi, una malattia che nei secoli è stata sinonimo di morte e terrore, al punto da guadagnarsi il nome di Peste Nera o Morte Nera.

Questa malattia estremamente pericolosa e letale è ancora oggi molto diffusa nel mondo, soprattutto tra gli animali, e se bene sia ormai ufficialmente debellata, continua a mietere ogni anno, centinaia di vittime umane in tutto il mondo, soprattutto in quelle parti del mondo in cui il batterio Yersinia Pestis, responsabile della malattia, prospera nel regno animale.

Mappa della distribuzione globale di Yersinia Pestis nel regno animale.

La scoperta del Batterio della Peste

Nel 1894 il medico franco svizzero Alexandre Yersin, riuscì ad isolare, per la prima volta nella storia, il batterio denominato Yersinia Pestis, oggi noto per essere il batterio responsabile della Peste, una malattia infettiva, altamente letale che nei secoli ha causato milioni di vittime in tutto il mondo, arrivando all’apice della propria diffusione in europa a decimare l’intera popolazione europea.

La peste si presenta generalmente in tre forme differenti, note come peste polmonare, peste setticemica e peste bubbonica, ma queste tre sono solo la punta dell’iceberg, le varianti più note di questa malattia che, se non trattata adeguatamente e in tempi rapidi, può essere più che letale.

Quando A.Yersin individuò in questo batterio la causa scatenante della Peste, malattia nota e temuta, decise di chiamare il virus “pasteurella pestis”, questo nome è stato modificato successivamente, nel 1944 con l’attuale Yersinia Pestis, nome derivato dal nome dell’uomo che l’aveva scoperto.

Questo batterio è ancora oggi molto diffuso in gran parte del globo, in particolar modo in medio oriente, nell’asia centro meridionale e nell’asia sud orientale, oltre che in africa, in america latina, australia e america settentrionale, e con esso, è ancora ampiamente diffusa la minaccia della peste, anche se, oggi è facilmente identificabile fin dai primi sintomi, e di conseguenza facilmente curabile, ma comunque molto pericolosa.

Quando identificata e trattata questa malattia presenta un tasso di mortalità comunque molto elevato, stimato intorno al 10%, se non curata opportunamente invece, il tasso di mortalità sale al 70%.

I primi sintomi della malattia, che includono febbre, debbolezza e mal di testa, tendono a manifestarsi in tempi molto rapidi, che vanno da 1 a 7 giorni dall’esposizione al batterio.

L’ultima grande pestilenza della storia

L’ultima grande “pestilenza” intesa come epidemia di peste, ad aver colpito città occidentali in paesi industrializzati, risale agli albori del novecento, quando, nella sola San Francisco fece oltre 100 vittime, e si diffuse rapidamente in gran parte degli Stati Uniti d’America e del resto del mondo, venendo riconosciuta ufficialmente come Terza pandemia di Peste Bubbonica. La Pandemia iniziata a San Francisco e durata diversi anni, raggiungendo il proprio apice tra il 1910 ed il 1912 quando, nell’intera cina, vennero registrate più di 40.00 vittime.

Dopo questo episodio, la peste tornò in Cina alla fine della seconda guerra mondiale, quando colpì la provincia di Harbin, facendo migliaia di vittime.

Da quel momento la peste lasciò, ufficialmente il mondo occidentale, diventando sempre più rara, grazie soprattutto alle maggiori condizioni igieniche, tecnologie mediche, e una migliore capacità di identificare e curare la malattia. Ma questo non significa che la peste sparì definitivamente, anzi, da allora, sono innumerevoli i focolai di peste che hanno coinvolto soprattutto Asia, Africa ed America latina, come l’epidemia di peste scoppiata a Surat in India nel 1994, che causò la morte di oltre 50 persone, o ancora la Peste algerina, che nel 2003 causò un centinaio di morte nel paese nord’africano, nel 2006 fu invece la volta della repubblica democratica del Congo e nel 2014 del Madacascar.

Ad innescare queste epidemie di peste è stato il batterio della Yersinia pestis, che continua a proliferare e vivere in numerosi ospiti del mondo animale, in particolare nei roditori, e per roditori non intendiamo soltanto ratti e topi, ma anche marmotte, furetti, cani della prateria, conigli, e roditori domestici, come criceti, porcellini d’india, cincillà, e molti altri.

La Peste oggi

La peste oggi non è percepita come una grande minaccia per l’uomo, ma continua a mietere vittime soprattutto nel mondo animale, dove, ogni anno, centinaia di migliaia di animali in tutto il mondo, perdono la vita a causa della peste.

Cani della Prateria, Furetti e Marmotte sono ad oggi le principali vittime della peste, soprattutto sul continente americano e, secondo Healthline, la peste nera, una delle più letali varianti della malattia causata dal batterio, ha provocato la scomparsa di intere colonie di cani della prateria nell’area del Colorado e del mid-west statunitense.

Anche se la malattia oggi è ancora molto presente, i rischi per l’uomo sono molto limitati e ridotti, almeno rispetto al passato.

L’umanità vive in condizioni igienico sanitarie di gran lunga superiori a quelle dei secoli scorsi e questo rappresenta uno dei principali ostacoli alla diffusione della malattia tra gli esseri umani.

Come si diffonde la Peste?

La diffusione della peste nell’uomo, avviene attraverso il batterio denominato Yersinia, ed il passaggio dagli animali all’uomo, il più delle volte avviene attraverso la pulce.

Quando la pulce di un animale infetto morde un essere umano, il suo morso trasferisce del sangue infetto all’uomo e con esso il batterio che inizia a riprodursi all’interno delle cellule dell’uomo.

Una volta infettato, i batteri possono attaccare l’organismo umano in molti modi differenti, e il modo in cui avviene l’aggressione definisce la malattia, se infatti il batterio attacca i vasi linfatici può raggiungere un linfonodo, dove causa un acuta linfoadenite che provoca il rigonfiamento che si manifesta sul corpo nella forma di bubboni di colori scuro.

Se il batterio si diffonde nell’organismo attraverso il flusso sanguigno, può causare peste setticemica, e se arriva a colpire i polmoni, peste polmonare.

Il batterio si comporta può comportarsi in modo differente in soggetti infetti e nella maggior parte dei casi, le tre forme di peste tendono a manifestarsi più o meno contemporaneamente.

Se la peste attacca il sistema linfatico, e successivamente, una volta sopraffatto il linfonodo, passa al flusso sanguigno, la peste bubbonica primaria, può provocare anche una peste polmonare o setticemica secondaria.

Una volta che l’organismo umano è entrato in contatto con il batterio Yersinia Pestis, nella maggior parte dei casi è solo una questione di tempo, prima che la malattia si manifesti.

La peste come arma

Il modo di diffusione della peste, e il suo elevato tasso di mortalità, ha sempre reso la malattia facilmente isolabile. Tuttavia, gli esseri umani, fin dalla prima manifestazione della malattia, hanno sempre cercato di sfruttarla a proprio vantaggio, utilizzando i corpi dei deceduti infetti e le carcasse di animali infetti, come arma batteriologica.

La peste è stata una delle prime, forse la prima arma batteriologica concepita dall’uomo, ed è stata utilizzata, in numerose occasioni, soprattutto durante assedi da parte degli assedianti.

L’utilizzo bellico della peste era primitivo, ma estremamente efficace, e simile in gran parte del mondo, dall’europa alla cina, passando per il medio oriente. Si caricavano i corpi infetti su delle catapulte, e le si sparava oltre le mura di cinta della città, portando la peste in una comunità chiusa e sotto assedio, che a quel punto non aveva altra possibilità per sopravvivere, se non arrendersi.

In tempi più recenti, durante la guerra fredda, anche l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, hanno cercato di sfruttare a proprio vantaggio il batterio della peste, producendo immense scorte di batterie di peste per usi bellici, almeno fino al 1972 quando 179 paesi, inclusi USA e URSS firmarono la Convenzione per le armi biologiche, con cui si vietava, ufficialmente, la sperimentazione, produzione ed uso di armi batteriologiche.

Oggi l’utilizzo di virus e batteri come arma è riconosciuto dalle nazioni unite come un crimine di guerra di alto livello, e se riscontrato l’utilizzo di armi di questo tipo, non c’è diritto di veto che tenga, la Corte di Giustizia Internazionale è chiamata ad intervenire, giudicare e punire i responsabili.

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