Casapound lascia la politica, ma non l’attivismo politico.

Dopo il pessimo risultato alle europee e una crescente impopolarità, Casapound Italia ha deciso di lasciare la politica, lo dice Simone di Stefano, per dedicarsi alla politica.

Dopo il pessimo risultato elettorale conseguito da Casapound Italia alle ultime elezioni europee, dove il partito di estrema destra ha ricevuto appena lo 0,3% dei consensi, e forte di una massiva impopolarità derivante dalla linea politica estremamente dura e intollerante del partito, spesso associato per linguagio, operato e ideologia al fascismo, Casapound Italia ha deciso di chiudere i battenti e lasciare la via politica, almeno quella ufficiale, ma questo non significa abbandono reale della politica.

Casapound esce dai palazzi (nei quali fortunatamente non è mai entrata completamente), abbandona la via politica delle elezioni, e torna, a suo dire, a fare attivismo politico per, cito le parole del leader del partito

Simone di Stefano su Twitter

“tornare ad essere il laboratorio di avanguardia politica, culturale e solidaristica che era un tempo”

Avanguardia politica, culturale e solidaristica… parole forti, parole grosse, e in questo caso parole ingombranti.

Ingombranti perché non riflettono neanche lontanamente quella che è l’attività di Casapound Italia, un organizzazione politica che da sempre vive al margine della legalità e tra i cui militanti figurano individui con la fedina penale più sporca della carta igienica usata da qualcuno che è intollerante al lattosio, dopo aver mangiato da solo un inera zizzona di battipaglia.

Sono giorni duri per la democrazia, sono giorni oscuri per la nostra repubblica, sono giorni dannati per la nostra libertà, una libertà pericolosa a volte, ma sacra. Una libertà culturale e di espressione che CPI da sempre rivendia per se, ma non per altri, e da sempre, è pronta a negare ad altri quelle libertà fondamentali garantite dalla nostra costituzione.

Che CPI non mi piaccia non credo sia un segreto, e personalmente credo che chiunque abbia un briciolo di dignità, buon senso, e intelligenza, condivida la mia poca simpatia per questa organizzazione politica a tratti criminale, a tratti paramilitare, che in passato, in più occasioni, ha cercato di sostituirsi alle istituzioni statali, agendo autonomamente con atti di squadrismo, pestaggi e atti di vandalismo.

Per CPI la cultura non è cultura, è un dogma, valida solo se risponde a determinati requisiti e allineata ad un preciso orientamento politico, oltre il quale la cultura non esiste esiste e non può esistere.

Sinceramente non so cosa intendano quando parlano di cultura, probabilmente incontri a porte chiuse, in cui ricordare con nostalgia il ventennio e vomitare odio su qualsiasi altra cosa ed espressione culturale. Sicuramente non è una cultura storica, poiché la “loro” idea di storia è distorta dalla propaganda politica di estrema destra e rigettano sistematicamente ogni qualsiasi altra narrazione, o interpretazione storica, per non parlare dell’avulsione della storiografia.

Voglio sperare che l’abbandono della politica “ufficiale” da parte di CPI non si traduca nell’inizio di un attività di “militanza attiva” in altri partiti, più grandi e rilevanti sul piano nazionale, deviando ulteriormente la politica italiana verso l’estrema destra, che già una volta ha devastato l’italia e causato innumerevoli vittime civili, ma soprattutto, voglio sperare che il loro abbandono della politica sia reale, e non solo di facciata. Ma viste le premesse e l’intento di “tornare” ad essere un laboratorio di avanguardia politica (fossilizzato sulla politica del ventennio) con un ideologia di forndo fortemente intollerante, xenofoba e omofoba, mi è estremamente difficile pensare che adesso CPI resterà in silenzio, e anzi, fuori dalla politica “ufficiale” temo che cercheranno di far sentire ancora di più la propria voce, e la mia preoccupazione più grande è che si trasformeranno in uno strumento esterno ad altri partiti, con i cui leader CPI è in ottimi rapporti, per promuovere e sviscerare i sentimenti di intolleranza che li accomunano, trasformandosi a tutti gli effetti in una primigena forma di squadrismo asservita ad altre forze politiche di estrema destra.

Questa visione catastrofista e puramente speculativa prende le battute dal nostro recente passato. Già una volta è accaduto qualcosa di molto simile e lo scotto da pagare per l’italia e gli italiani è stato un regime dittatoriale rimasto in carica per un ventennio e successivamente una guerra civile che non ha risparmiato nessuno nell’intera penisola.

Dai Blocchi Nazionali a CPI, passando per il ventennio fascista e la guerra civile.

Nel 1920 diversi gruppi politici (partiti minori) di estrema destra, si sciolsero ed i loro militanti confluirono in un macrogruppo noto come Blocchi Nazionali, il cui referente politico era Giovanni Giolitti, alle politiche del 1921 questi blocchi nazionali ottennero un importante risultato elettorale, se bene non fu tale da garantire loro la possibilità di governare e dopo circa un anno di esitazioni e tentennamenti, venne organizzata una marcia dei militanti dei blocchi nazionali, che nel frattempo aveva cambiato nome in Partito Nazionale Fascista, questa marcia, nota come Marcia su Roma.

La marcia su roma, non fu improvvisata come molti credono, ma ci fu una lunga e oculata preparazione, di cui ho parlato in un precedente articolo, qui mi limito a dire che fu un elemento di enorme pressione politica per il Re che fu “forzato” a nominare Benito Mussolini, leader del PNF nuovo capo di stato, con l’incarico, ben preciso, di riformare il parlamento e produrre una legge elettorale in grado di garantire un governo forte e autonomo.

La legge arrivò nel 1924 ed è nota come Legge Acerbo che conferiva un premio di maggioranza di oltre il 60% al primo partito, a condizione che questi superasse il 20% dei voti. In un altro articolo ho parlato nel dettaglio della Legge Acerbo, spiegando come si è giunti ad essa.

Con la Legge Acerbo il PNF riesce ad ottenere la maggioranza dei seggi, grazie a qualche broglio, il pestaggio degli oppositori e la distruzione sistematica delle sedi dei partiti diversi dal PNF, con un escalation di violenza che confluì nel rapimento e omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti. Tutto questo portò alla nascita del regime fascista, l’inizio della dittatura e la fine della libertà in italia.

L’aria che si respirava all’epoca era fetida, più fetida di un sacchetto dell’umido lasciato a riposare per 2 settimane sotto il sole di agosto, per andare avanti, per vivere, per sopravvivere in italia bisognava tapparsi il naso, buttare giù un cucchiaio di olio di ricino, e sperare di non essere pestati per aver pensato qualcosa di sbagliato.

Oggi, catastrofismi a parte, non siamo neanche lontanamente vicini a quel livello, e se bene nell’aria inizi a sentirsi un po’ di puzza, e si respira un sempre maggiore clima di violenza e l’intolleranza, ed i sentimenti di razzismo e odio viscerale per il diverso sono sempre più forti, in realtà c’è ancora una fetta importante di italia civile, che, si spera, questa volta resisterà e non sceglierà la più comoda via dell’ignavia, manifestando il proprio dissenso senza però muovere un dito, come invece accadde all’alba del ventennio.

La preparazione della Marcia su Roma

Quando si parla comunemente di marcia su Roma si intende quella particolare spedizione militare avvenuta negli ultimi giorni dell’ottobre del 1922 con la quale i fascisti mossero verso la capitale. In realtà, l’espressione marcia su Roma può riguardare un avvenimento molto più ampio, di preparazione alla fase finale che si concluse il 28 ottobre.

Le vicende dell’ottobre 1922 ci sono note solo nei loro tratti principali, ma appena si cerca di approfondire emerge una complessità molto ampia di cui si possono notare due problemicentrali: il ruolo giocato dalla Corona e quello del Governo. Questa situazione fu molto complessa tanto che ancora oggi le stesse istituzioni, i giornali, i partiti non conoscono le proporzioni, i caratteri, le finalità complessive del movimento.

In quel periodo si era definitivamente manifestata, a partire dai primi mesi del 1922 la crisi dello Stato liberale, infatti i due Governi che si succeddettero nel 1922, il Governoguidato da Ivanoe Bonomi e quelli guidati da Luigi Facta erano Governi estremamente deboli che si basavano su una maggioranza eterogenea composta dal Partito Liberale Italiano, Partito Popolare Italiano, Partito Democratico Sociale Italiano, Partito Socialista Riformista Italiano e Partito Agrario.

Il succedersi dei fatti è abbastanza conosciuto; Mussolini prepara la marcia su Roma, il Governo risponde con un mezzo non raro nella storia dell’Italia liberale, proclamando lo stato di assedio che consente l’impiego dell’esercito.Il re inizialmente accetta la scelta del Governo, ma il 28 ottobre, quando si tratta di passare ai fatti, si rimangia la parola e si rifiuta di avviare l’azione repressiva da parte dell’esercitodel Governo. Il Presidente del Consiglio presenta le dimissioni, seguendo la consuetudine che fa capire come ancora nel 1920 la fiducia del sovrano sul Governofosse ancora importante, il re accetta immediatamente. Questa è in estrema sintesi quello che è successo in quei giorni, ma gli svolgimenti e le implicazioni disegnano un quadro più complesso fin dall’organizzazione della marcia su Roma.

Per tutto il 1922 c’erano state già quelle che da molti storici sono consideratedelle prove generali delle anticipazioni della marcia su Roma con l’occupazione di Bolzano, Trento, Bologna e altri centri minori che rinforzavano il ruolo politico militare del fascismo nel Paese.Il 26 settembre 1922 Mussolini si recò a Cremona tra l’entusiasmo delle camicie nere; dopo il consueto discorso introduttivo di Farinacci, parlò  il leader del fascscismo: “È dalle rive del Piave che noi abbiamo iniziato una marcia che non può fermarsi fino a quando non abbiamo raggiunto la meta suprema: Roma”.Il 24 ottobre ci furono ulteriori prove generali con il grande concentramento di Napoli, il piano ormai consolidato era quello di conquistare prima la periferia come era stato su scala minore, ma questa volta l’obbiettivo era la capitale. Lo squadrismo voleva quindi forzare la mano a quella parte politica liberal-moderata monarchica, sostenuta dalla Confindustria che guardava con simpatia al fascismo, ma che avrebbe concesso in un Governo di centro-destra solo qualche ministero al fascismo. Divisa l’Italia in dodici territori, Mussolini e i quadrunviri lasciarono la grande manifestazione di Napoli, tutti avevano dei compiti precisi che dovevano svolgere in poco tempo tra il 25 e il 27 ottobre;inoltre il piano insurrezionale era stabilito in cinque tempi come ha  scritto  lo storico  Renzo De Felice:

1-Occupazione degli uffici pubblici delle principali città del Regno;

2-Concentramento delle camicie nere a Santa Marinella, Perugia, Tivoli, Monterotondo, Volturno;

3- Ultimatum al Governo di Facta per la cessione generale dei poteri dello stato;

4-Entrata a Roma e presa di possesso ad ogni costo dei ministeri. In caso di sconfitta le milizie fasciste avrebbero dovuto ripiegare verso l’Italia centrale, protette dalle riserve ammassate nell’Umbria;

5- Costituzione di un Governo fascista in una città dell’Italia centrale. Radunata rapida delle camicie nere della Vallata Padana e ripresa dell’azione su Roma fino alla vittoria ed al possesso.

Nel doloroso caso di un investimento bellico, la colonna Bottai (Tivoli e Valmontone) accerchierà il quartiere di S. Lorenzo entrando dalla Porta Triburtina e da Porta Maggiore.  La colonna Igliori con Fara (Monterotondo) premerà da porta Salaria e da Porta Pia e la colonna Perrone (Santa Marinella) da Trastevere.

 

Apartire dal 26 ottobre le squadre occuparono molte città dell’Italia settentrionale e centrale prendendo il possesso dei centri strategici come  le prefetture per poi muovere verso Roma. Le autorità dello Stato nelle diverse città non avevano disposizioni precise su come contrastare queste iniziative ed erano troppo abituate a lasciarcorrere  gran parte cedettero pacificamente ovennero sopraffatte. L’azione vera e propria iniziò nella notte tra il 27 e il 28 ottobre. Alcuni dei comandanti di zona diedero le disposizioni attraverso delle apposite staffette ai comandanti locali e altri le diedero  in treno.L’ordine di mobilitazione comandava che questa avvenisse tra il 27-28 di notte, l’orario dipendeva dalla distanza dei vari luoghi dal capoluogo di provincia. Gli squadristi dovevano avere la tessera, dei viveri a secco per tre giorni ed essere  in assetto da guerra.

Il comportamento del re e del Governo in questa situazione mutò rapidamente infatti se all’inizio sembrò a favore della proclamazione dello stato d’assedio e dette l’impressione di sollecitare Facta, in giro di breve tempo, come sostiene Renzo de Felice, rifiutò la firma del decreto. Questo cambiamento non è da ricercare in una preventiva intesa con Mussolini e si può escludere che i fascisti nella notte tra il 27 e il 28 ottobre abbiano fatto pressioni sul Re. La motivazione reale di questo cambiamento secondo Renzo de Felice bisogna ricercarla negli ambienti vicini a lui e sui quali riponeva fiducia tanto da influenzarlo, dato che Il re era solo parzialmente a favore di Mussolini: inizialmente la sua idea era di non firmare lo stato d’assedio e di dare il governo a Salandra; è quindi ipotizzabile che avesse accettato solo metà della proposta suggeritagli.

Si arrivò quindi alla marcia su Roma con il Sovrano e il Governo senza una linea comune e questo creò solo confusione.

Francesco Sunil Sbalchiero

Bibliografia

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( a cura di) M. Isnenghi, I luoghi della memoria. Strutture ed eventi dell’Italia unita, Laterza, Roma- Bari 2010

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