Chi era Galileo Galilei?

L’uomo che Inventò la scienza moderna.

Galileo Galilei, l’uomo che inventò il metodo scientifico e il telescopio, intuì l’esistenza della forza di gravità e della costante di accelerazione gravitazionale (pur non riuscendo a calcolarla), mettendo così in discussione la teoria geocentrica e per questo fu perseguitato dalla santa inquisizione. Un accademico, un matematico, un ingegnere militare, un uomo che oggi definiremmo un visionario e un luminare, la cui intelligenza, come spesso accade, fu spesso vissuta come un peso, un genio di quelli che nascono raramente.

Galilei vine spesso preso a modello, come esempio da chi sostiene teorie stravaganti che non incontrano il consenso generale, ma ridurre Galilei ed il suo genio a questo, è estremamente riduttivo, oltre che falso.

Galileo Galilei non era un provocatore, non era un uomo che seguiva teorie stravaganti per il proprio gusto, ne era un ricercatore indipendente che lavorava a chissà quale misteriosa invenzione, in penombra nella propria cantina. al contrario, no, Galilei non era nulla di tutto questo. Era invece un rinomato accademico del proprio tempo, un uomo che godeva di grande rispetto e ammirazione nei salotti aristocratici e nei circolo colti, un uomo che lavorò a stretto contatto con importanti realtà politiche dell’epoca.

Lavorò a lungo all’Università di Pisa e all’Università di Padova, occupando la cattedra di matematica, lavorò a lungo e continuativamente (tra il 1592 ed 1610) per il Doge di Venezia, anzi, con i Dogi, Pasquale Cicogna (1585–1595), Marino Grimani (1595–1605) e Leonardo Donà(1536-1612). Il Doge non era un’uomo qualsiasi, era l’uomo più potente di quella che sul finire del XIV secolo e i primissimi anni del XV secolo, era forse la più potente e influente delle repubbliche marinare, e delle più grandi e influenti potenze marittime del mediterraneo, il Doge era un uomo la cui posizione di comando gli permetteva di muovere guerra a realtà potenti come l’Impero Ottomano e Roma, la sede del papato.

Questi uomini, (Cicogna, Grimani, Donà) affidarono a Galilei le sorti, ed il futuro, della propria città, incaricando il matematico pisano di sviluppare cannoni più efficaci, con una maggiore potenza e gittata, rispetto a quelli all’epoca in circolazione, elementi (potenza e gittata) che, in uno scontro navale, avrebbero fatto la differenza tra vittoria e sconfitta, ed essendo la serenissima un’importante realtà marittima, una delle maggiori potenze navali del mediterraneo, questo significava consolidare la posizione di potere di Venezia.

Questo incarico impegnò Galilei per quasi due decenni, nel corso dei quali frequentò assiduamente l’arsenale militare di Venezia, facendo test, esperimenti ed in quel contesto di ricerca applicata rifinì quello sarebbe stato consacrato come metodo scientifico.

Galilei studiò diverse miscele di polvere da pirica, nel tentativo di sviluppare l’esplosione più veloce, quindi più potenti, confrontò cannoni di diverso calibro e lunghezza, nel tentativo di individuare la combinazione più efficace, confrontò le diverse angolazioni dei cannoni, al fine di determinare l’angolo ideale per la migliore gittata.

Contestualmente a questi esperimenti e alla propria posizione accademica, strinse numerose amicizie nei salotti veneziani e padovani, il tutto consentito dal positivo e florido clima di tolleranza che attraversava la Serenissima. Tra queste amicizie vi erano filosofi, astronomi e matematici, ma anche nobili ed uomini di cultura, dediti al sapere e alla ricerca, e nelle lunghe giornate trascorse a confrontare idee e teorie con uomini come Paolo Sarpi, Andrea Morosini, Cesare Cremonini e Giovanfrancesco Sagredo (futuro protagonista del Dialogo sopra i massimi sistemi), Galilei ottenne alcune delle sue più importanti scoperte e conquiste in campo scientifico.

Già prima di raggiungere Venezia Galilei aveva dimostrato il proprio valore, come dimostra la docenza di Matematica, svolta per conto dell’università di Pisa, tra il 1589 ed il 1592, e le ricerche che svolse in quegli anni, ricerche che, secondo la leggenda, lo avrebbero portato a compiere il famoso esperimento di caduta dei gravi dalla Torre di Pisa stabili, esperimento che volto a dimostrare che oggetti di peso differente cadono alla stessa velocità, in obiezione alle teorie Aristoteliche, e proprio grazie a queste dimostrazioni, Galilei venne convocato a Venezia.

L’intuizione della forza di gravità, questa misteriosa forza d’attrazione che ci tiene incollati al terreno e ci impedisce di librarci nel cielo,
la cui costante di accelerazione venne calcolata non molto tempo dopo da Isaac Newton, aveva importanti applicazioni militari, una su tutte, la possibilità concreta di migliorare la gittata dei cannoni delle navi. Questa possibile applicazione militare fu sufficiente a convincere il Doge Pasquale Cicogna ad invitare Galilei a Venezia, dando inizio ad un sodalizio che sarebbe durato quasi un ventennio.

Studiare la gittata dei cannoni, e soprattutto aumentarne la gittata, significava compiere numerose misurazioni tra un colpo esploso ed il successivo, era infatti necessario sapere esattamente quanta distanza aveva percorso ogni singola palla di cannone esplosa, e questo significava numerosi assistenti ed aiutanti che correvano avanti e in dietro tra il cannone e il punto di impatto delle palla di cannone.

Questo procedimento era molto lento e rallentava tantissimo la raccolta dei dati, che spesso si limitava ad una dozzina di colpi al giorni. Per ovviare a questo problema, Galilei cercò un modo più rapido per avere informazioni, il più possibile accurate, e nel minor tempo possibile, sulla distanza percorsa dalle palle di cannone. Ideò quindi un sistema di griglie che contrassegnavano il campo durante i test balistici, dopo di che, si procurò uno strumento che gli permettesse di guardare più lontano di quanto i suoi occhi non riuscissero a vedere, posizionò delle lenti levigate alle estremità di un cilindro creando la prima versione di quello che sarebbe diventato il suo famoso cannocchiale.

Il cannocchiale, da cui sarebbe poi scaturito il telescopio, strumento con cui Galilei avrebbe scrutato i cieli notturni della sua Pisa, osservando stelle e pianeti e raccolto i primi dati sul moto astrale, dati che avrebbero successivamente portato allo sviluppo della teoria eliocentrica e messo in discussione la teoria geocentrica, portando così Galileo Galilei a scontrarsi, sul piano intellettuale, con i dogmi della chiesa romana e conseguentemente, dovette affrontare i tribunali della santa inquisizione.

Quella che è forse la più grande conquista scientifica di Galileo Galilei non fu ottenuta per la vocazione di un visionario, ma per l’ostinatezza e la determinazione di un uomo a cui era stato affidato un incarico ben preciso. Fu la necessità di migliorare la gittata dei cannoni veneziani che permise a Galilei di creare quello strumento di osservazione che gli avrebbe portato gloria postuma ed enormi problemi in vita.

Va però detto che Galilei fu molto fortunato nella propria sfortuna, perché un qualsiasi altro uomo, con quelle teorie, in quel momento storico, non sarebbe sopravvissuto alle torture dell’inquisizione. Ma Galilei non era un uomo comune, non era un mugnaio friulano come Domenico Scandella, detto Menocchio, che credeva la vita sulla terra fosse scaturita come dei vermi sul formaggio, Galilei aveva frequentato e frequentava salotti importanti, godeva dell’amicizia, della stima e del rispetto di uomini potenti e molto influenti, certo, non così potenti da impedire i processi, ma abbastanza da impedire che Galilei venisse condannato a morte per eresia, permettendogli di continuare a vivere, compiere le proprie proprie ricerche e sviluppare le proprie teorie per molti anni.

Letture consigliate per approfondire

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M.Camerota, Galileo Galilei. Antologia di testi, https://amzn.to/2GuFt4o
A.Zorzi, La repubblica del leone, Storia di Venezia, https://amzn.to/2EeoEIp
G.Minchella, Frontiere aperte. Musulmani, ebrei e cristiani nella Repubblica di Venezia, https://amzn.to/2GuObzI
M.Sangalli, Cultura, politica e religione nella Repubblica di Venezia tra Cinque e Seicento. Gesuiti e somaschi a Venezia, https://amzn.to/2EdX0LG

Perché i greci non inventarono la macchina a vapore ?

Non appena una civiltà raggiunge un dato livello di controllo e manipolazione del proprio ambiente si trova d’avanti un bivio, che la porterà a scegliere se continuare sulla strada del progresso e dell’innovazione, progredendo quindi verso una sempre maggiore capacità tecnica o continuare sulla strada della gerarchia, mantenere attiva l’istituzione della schiavitù rendendo così, la propria civiltà statica e limitando la propria capacità di produrre “profitto e ricchezza”.

Alla civiltà che si trova a dover compiere questa scelta, le due strade presentano sia vantaggi che svantaggi, e se da un lato i profitti legati all’istituzione dello schiavismo possono essere ridotti rispetto ai profitti legati alla produzione industriale, è anche vero che la produzione industriale necessita di macchinari costosi e difficili da implementare, e la promessa di un profitto maggiore deriva prevalentemente dalla disponibilità di una società di rischiare tutto.

L’innovazione tecnologica da questo punto di vista può spaventare, perché rappresenta un incognita, e gli esseri umani sono naturalmente spaventati da ciò che non conoscono, tuttavia, tecnica e tecnologia sono elementi fondamentali di una civiltà, senza di essi una vera civiltà è impossibile e impensabile, e non mi dilungherò sul tradizionale esempio dell’invenzione dell’aratro che permette ad un popolo di passare dal nomadismo alla vita sedentaria, iniziando così a costruire i propri villaggi e le proprie città.

Gli effetti della tecnica e della tecnologia sulla nostra civiltà sarebbero diventati particolarmente evidenti nel diciannovesimo secolo, in seguito alla rivoluzione industriale, portando con essi un crescente interesse per lo studio della storia della scienza e delle tecnologie, in questo senso gli scritti di Samuel Smiles sono un esempio più che eloquente, successivamente questo interesse sarebbe progressivamente venne meno, fino a sparire quasi del tutto agli inizi del secolo successivo.
Questa parentesi aurea nel diciannovesimo secolo ci ha permesso di comprendere meglio le dinamiche del pensiero scientifico, e soprattutto, ci ha permesso di capire perché, alcune civiltà del mondo antico, scelsero la via della gerarchia e della schiavitù, con tutti i loro vantaggi e vantaggi, frenando così la propria capacità di sviluppo tecnologico.

Nel mondo antico, più precisamente nel mondo greco e greco-romano, la tecnica era associata all’attività delle classi inferiori, più precisamente degli schiavi, ed era vista come un “arte minore”, e questo avrebbe reso la “scienza greca” particolarmente infeconda. Di fatto non ci furono “scienziati” nel mondo antico, anche perché questa istituzione sociale non sarebbe apparsa prima del diciassettesimo secolo, ma questo non significa che il mondo antico fosse totalmente alieno alla scienza e al pensiero scientifico, anzi, i greci erano convinti che tutti i fenomeni naturali fossero determinati da leggi e principi (e non dai capricci di qualche divinità, spiriti o demoni). Questa convinzione avrebbe permesso alla civiltà greca di sviluppare in modo notevole la matematica e avrebbe inventarono l’idea che, una data ipotesi per essere considerata vera, dovesse necessariamente essere certificata da una prova. Grazie alla sperimentazione, soprattutto degli intellettuali di Alessandria d’Egitto in eta tolemaica, gli intellettuali greci avrebbero dato un importante contributo alla cartografia, alla meccanica teorica e pratica, all’astronomia, alla chimica, alla medicina e all’anatomia. Ed è probabile che questi risultati fossero frutto dell’incrocio della cultura greca e quella egiziana.
Nonostante una prima promettente fase scientifica, e se bene il livello di conoscenza tecnico e tecnologico del mondo antico avrebbe permesso alla civiltà Greco-Romana di compiere un epocale balzo in avanti sul piano tecnologico, costruendo la macchina a vapore, emblema della rivoluzione industriale, la civiltà greca, giunta al bivio, non avrebbe dimostrato un interesse per la scienza maggiore rispetto a quello dimostrato da altre civiltà quali le civiltà Islamica, Indiana e Cinese, prediligendo invece le garanzie del tradizionale sistema schiavistico.
Non è un caso se il più grande lascito della civiltà greco-romana è legato all’ordinamento amministrativo e giuridico e non al mondo scientifico, e in questo senso è importante ricordare che, nessuna delle “meraviglie del mondo antico” fu opera dei romani.

La discrepanza tecnologica tra il mondo antico e quello moderno è enorme ed è facilmente spiegabile se si accetta la verità che i romani non fossero degli ingegneri di prim’ordine, ma che semplicemente si limitarono ad imitare e “copiare” le innovazioni tecnologiche dei popoli con cui entravano in contatto e che invece l’età medievale fu un epoca particolarmente prolifera a livello tecnico, e non fu solo un periodo in cui su “abbandonò” e si trascurarono gli acquedotti e le strade romane.
Sorvolando sulle grandi città, sulle cattedrali, sulle fortezze ed i castelli che nulla avevano da invidiare, a livello tecnico e ingegneristico, alle ville romane e ali acquedotti. Durante il medioevo si sarebbero prodotte una serie di innovazioni tecniche che ancora oggi sono alla base della nostra civiltà.
Un confronto tra il sapere tecnico del medioevo e il mondo antico, la superiorità del sapere medievale appare immensamente superiore. I grandi motori della tecnica medievale non risiedono in Europa, ma nel mondo cinese, indiano e arabico, i quali furono i mediatori privilegiati in grado di condurre in Europa e nel mediterraneo il sapere scientifico proveniente dall’Asia.
Il mondo arabo aveva ereditato le basi del proprio sapere matematico, filosofico e astronomico dal mondo greco, e a questi avrebbe aggiunto un nuovo sapere proveniente dall’Asia e grazie ad esso avrebbero dato un ulteriore importante contributo alla medicina, soprattutto ottica ed olfattica, avrebbero sviluppato lo studio della chimica e prodotto una serie di innovazioni tecniche ad essa connesse.

Lo sviluppo tecnico dell’Europa medievale, se bene fosse una reazione e un imitazione dello sviluppo tecnico della prima civiltà islamica, denota comunque un importante livello di apertura culturale che avrebbe gettato le basi per uno sviluppo proprio europeo nei secoli successivi.
Un esempio più recente di una dinamica analoga possiamo incontrarlo nell’estremo oriente contemporaneo, in particolare in Cina, Korea e Giappone. Questi popoli sono spesso etichettati, sul piano tecnologico, come dei copiatori, degli imitatori della tecnologia Europea o Americana, ma la loro imitazione (a differenza di quella romana) non è statica, ed ha prodotto una propria identità tecnologica.

Un elemento indispensabile per lo sviluppo tecnologico di una civiltà è senza ombra di dubbio la sua capacità e disponibilità di imparare. Introdurre tecnologie di popoli stranieri per certi versi è anche piu’ importante dello sviluppo di tecnologie proprie, un esempio in questo senso ci arriva dalla Cina che ha alle proprie spalle una lunga storia di invenzioni e scoperte interne, ma che, difficilmente, negli secoli scorsi, ha permesso l’ingresso di tecniche e tecnologie straniere nel proprio paese, andando incontro ad un inevitabile inaridimento della propria tecnologia.
Nell’Europa medievale invece, la dinamica è totalmente invertita, le scoperte e le invenzioni interne sono relativamente poche, ma c’è una grande disponibilità ad imparare e introdurre nuove tecniche, così gli artigiani medievali avrebbero potuto sviluppare ed aggiornare continuamente le proprie tecniche finché non sarebbero stati in grado di sviluppare nuove e originali tecniche e tecnologie.

Fonti:
D.S.L. Cardwell, Tecnologia, scienze, storia, Il Mulino, Bologna 1976

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