La conquista dell’Italia Meridionale |Miti Neoborbonici

Con l’unità d’italia, non c’è stata una conquista, anzi, le masse contadine dell’italia meridionale hanno scelto volontariamente di seguire Garibaldi e rovesciare la corona borbonica delle due sicilie.

L’italia non è stata unificata, ma, è stata conquistata dai piemontesi, interessati soltanto all’oro di Napoli per coprire i propri debiti. Ma è davvero questa la verità? Il piccolo e indebitato regno di Piemonte e Sardegna è davvero riuscito a conquistare il grande, ricco e prospero Regno delle due Sicilie? O forse c’è qualcosa che i “Neoborbonici” non raccontano?

Ne parliamo in questo episodio della nuova serie su Youtube, Miti Neoborbonici , ma non preoccupatevi, perché qualche informazione ve la metterò anche per iscritto in questo articolo.

Partiamo dall’Inizio, partiamo dal Regno delle Due Sicilie, quel regno che, secondo la narrativa neoborbonica era, nel XIX secolo un moderno e ricco regno italico, le cui casse erano traboccanti d’oro e vi era tanta ricchezza e tanto benessere da fare invidia a tutto il resto d’italia, ma soprattutto, da poter acquistare e liquidare l’enorme debito pubblico piemontese, e dunque “unificare l’italia” senza spargimento alcuno di sangue.

Questa narrazione molto romantica parte dal volume d’oro effettivamente presente nelle casse delle Banche di Napoli e Palermo, si parla del 65/70 % circa dell’oro che sarebbe confluito nelle casse della banca d’italia dopo l’unificazione. Nel 1861, dopo l’unificazione, 213 tonnellate ca. in lingotti d’oro, su 330 tonnellate ca. che secondo l’archivio storico della Banca d’Italia, erano presenti nelle casse della banca, presentavano il marchio del Regno delle due Sicilie ed il restante 35/30 % presentava il marchio degli altri banchi, tra cui quello del regno di Piemonte, confluiti nella nascente banca d’Italia.

L’oro di Napoli però, non era un reale indicatore di ricchezza, e anzi, era solo un deposito stantio che, stando ai registri del banco di Napoli, non aveva subito quasi alcun tipo di variazione dai tempi della corona Spagnola. L’oro di Napoli era oro dell’Ex corona spagnola che che si trovava a napoli e palermo prima della nascita del regno delle due Sicilie, e che dopo, aveva semplicemente fatto da garanzia per i prestiti volti a coprire principalmente le spese della casa reale.

Napoli prima dell’unificazione Italiana era una città enorme, una delle più grandi città al mondo, per numero di abitanti seconda in europa soltanto a Londra e Parigi, ma, questa grande presenza di uomini a napoli, non era sinonimo di una città florida, in crescita ed espansione economica, e questo perché il regno delle due sicilie non investiva in infrastrutture, non investiva in ammodernamenti, non rinnovava le opere pubbliche e non spingeva verso la rivoluzione industriale, a napoli, la corona si preoccupava soltanto di avere i granai pieni, così da dare il pane al popolo, perché nella visione estremamente feudale del regno delle de sicilie, se il popolo aveva il pane, il popolo non insorgeva e tanto bastava ai regnanti per non avere problemi.

Il regno delle due sicilie, prima dell’unificazione italiana, aveva tanto oro, ma non era ricco, era invece estremamente povero e fuori dalle città, dove per città si intende Napoli, Palermo e pochissimi altri centri urbani, c’era il nulla più assoluto, tutta la terra, tutte le terre erano nelle mani di pochi aristocratici che vivevano nel lusso in Città, mentre le campagne erano popolate da contadini analfabeti e totalmente ignari di ciò che accadeva nel mondo esterno. Vi era il grande latifondo e vi erano i “coloni” poco più che antichi servi della gleba, uomini che coltivavano una terra che non era loro, seguendo il ritmo del sole e delle stagioni, uomini che passavano la vita nei campi e donne che passavano la vita nei cortili ad allevare il bestiame, e cercare il modo di conservare il più a lungo possibile i prodotti della terra, i pochi prodotti che rimanevano alla famiglia una volta che i proprietari, lo stato e la chiesa, avevano riscosso la propria fetta.

Quando in queste campagne, passa Garibaldi, seguito non da soldati ma da uomini e volontari, quando arriva in quelle terre un uomo che promette al popolo che la terra che coltivano sarebbe diventata loro se avessero seguito la causa dell’unificazione, questi contadini si ritrovano a dover scegliere tra la povertà più assoluta in cui avevano sempre vissuto, e la possibilità di vivere in condizioni decisamente più agiate o comunque, di non soffrire più la fame, e non hanno dubbi, la maggior parte dei coloni, dei contadini, dei pescatori, le “masse popolari” che dimoravano nelle campagne e sulle coste, si uniscono a Garibaldi e accrescono le fila dei Mille.

Mentre Garibaldi avanzava con il favore delle masse contadine, l’aristocrazia e le proprie milizie mercenarie provarono a resistere, senza troppi successi, ma, il loro rango, una volta unificata l’italia, fu preservato e quelle terre che Garibaldi aveva sottratto ai signori locali, vennero affidate dalla corona italica, ai vecchi signori affinché questi, nel nome del re, amministrassero quei territori.

Chi aveva seguito Garibaldi e aveva combattuto per quelle terre che erano tornate ai vecchi padroni si sentì tradito e la risposta a questo tradimento si divise in due grandi fenomeni.

Da una parte alcuni contadini si organizzarono in milizie private, scontrandosi con gli aristocratici, diventando così briganti, gruppi esterni allo stato che controllavano in maniera ufficiosa le terre, la cui evoluzione nel novecento avrebbe dato vita alle cosche mafiose, dall’altra parte, molti gli uomini del mezzogiorno d’italia, cavalcarono l’onda del dissenso ed utilizzarono la forte insoddisfazione popolare per iniziare e rafforzare la propria carriera politica.

Nel nome della promessa infranta e del popolo, molti uomini del mezzogiorno, più densamente popolato del settentrione in quegli anni, grazie al voto dei contadini e l’appoggio dei briganti, riuscirono ad ottenere abbastanza voti da poter entrare a far parte del neonato parlamento del regno d’Italia, e se si guarda ai membri del parlamento italiano nei primi anni di storia unitaria, prima della costituzione delle regioni che quindi distribuiva in maniera più “uniforme” il numero dei parlamentari su tutta la penisola, si può osservare che, la maggior parte degli eletti al parlamento italiano, erano meridionali, ma questa è un altra storia.

Come abbiamo visto, con l’unità d’italia, non c’è stata una conquista, anzi, le masse contadine dell’italia meridionale hanno scelto volontariamente di seguire Garibaldi e rovesciare la corona, de facto, producendo una sorta di rivoluzione contadina, volta a rinnovare la classe dirigente del mezzogiorno che, per ragioni politiche, non si è compiuta.

La Breccia di Porta Pia, cosa è successo il 20 settembre 1870 ?

Con la breccia di porta Pia, Roma capitola, lo stato pontificio smette di esistere e l’Italia completa la propria unificazione, ma cosa è successo esattamente il 20 settembre 1870?

La presa di Roma del 20 settembre 1870 nota anche come capitolazione di Roma o Breccia di porta Pia, è uno degli episodi più iconici del risorgimento italiano, oltre ad essere passato alla storia come l'atto finale dell'unificazione italiana ed uno dei passaggi conclusivi dell'Ancient Regime, ma cosa è successo esattamente in questa data storica che, per oltre 70 anni è stata una delle più importanti ricorrenze e festività del regno d'Italia? 

Come sempre andiamo con ordine, e cerchiamo di fare chiarezza.

La prima cosa da sapere a proposito del 20 settembre 1870 è che questa data rappresenta soltanto l’atto finale dell’intera “guerra” Italo-Pontificia, ovvero della guerra tra il Regno d’Italia e lo Stato Pontificio, la prima, una monarchia parlamentare estremamente giovane, la seconda, una monarchia assoluta, di stampo tradizionale, anchessa politicamente molto giovane, in quanto lo stato pontificio esisteva ufficialmente come entità politica, soltanto dal 1815.

Lo scontro militare tra i due regni italici inizia ufficialmente sul finire di Agosto e i primi di Settembre del 1870, quando, il regno d’Italia, dichiara guerra allo Stato pontificio, con l’intenzione di annettere i suoi territori a quelli del regno italico.

La prima mobilitazione vede l’invio di circa 50 mila uomini ai confini, settentrionale e meridionale, dello stato pontificio, in attesa di una mossa dell’esercito papale, in quel momento, sotto il comando dello stato maggiore pontificio, incarnato dai generali Hermann Kanzler, di origini tedesche e Fortunato Rivalta, di origini italiane.

I due Generali, all’avvicinarsi delle truppe italiche, si mobilitano per difendere i territori papali, e concentrano le proprie risorse e uomini nella capitale dello stato, Roma, la cui capitolazione avrebbe significato la fine dello stato pontificio.

Il 10 Settembre 1870, il luogotenente Generale del Regno d’Italia, Raffale Cadorna (padre di Luigi Cadorna e fratello minore di Carlo Cadorna) al comando spremo dell’operazione, cui facevano capo i Generali sul campo Nino Bixio, Enrico Cosenz, Gustavo Mazè de la Roche, Emilio Ferrero e Diego Angioletti, ricevette l’ordine di oltrepassare il confine con lo stato Pontificio ed iniziare l’occupazione.

Nei cinque giorni che seguono il 10 settembre, i vari generali riescono ad occupare diverse aree e città, senza incontrare troppa resistenza, lungo la via che li avrebbe condotti a Roma.

Il primo battaglione a valicare il confine era sotto il comando diretto di Nino Bixio, che diresse su Viterbo, per poi raggiungere Roma.

Il 15 Settembre l’esercito del regno d’italia, composto principalmente da Carabinieri e Bersaglieri, era giunto alle porte di Roma, che, in previsione dell’arrivo delle truppe italiche erano state chiuse e le mura erano state armate per ordine diretto del generale Kanzler. Sempre il 15 settembre, Cadorna inviò un emissario presso il comando romano, con una lettera destinata al comandante Kanzler in cui gli veniva richiesto di aprire le porte della città e permettere un occupazione pacifica di Roma. Kanzler, il cui compito primario era difendere l’integrità dello stato pontificio e Roma, per “ovvie ragioni” declinò l’invito, informando Cadorna che i suoi uomini, coadiuvati da numerose milizie cittadine, avrebbero difeso la città con ogni mezzo a loro disposizione.

Inizia così un breve assedio di Roma, nell’attesa di più precisi ordini sul da farsi. Nel mentre, Papa Pio IX minaccia la scomunica per chiunque avesse dato ordine di attaccare Roma. Una minaccia che in altri tempi avrebbe avuto come effetto la fine quasi immediata del conflitto e il ritiro delle forze italiche, ma quella minaccia, nel tardo XIX secolo, in uno stato relativamente moderno, una monarchia parlamentare, il cui Re era Re per volontà del popolo italiano e non per un qualche mandato divino, risuonavano come aria fritta, e non ebbero quasi alcun effetto.

Alla fine, l’ordine di attaccare Roma, arrivò, come dicevo, le minacce del pontefice non ebbero quasi alcun effetto, dico quasi perché qualche effetto in realtà ci fu, dato che, l’ordine esecutivo di attaccare Roma, e iniziare il cannonamento delle mura, non arrivò da Cadorna, bensì dal Capitano di artiglieria Giacomo Segre, che, essendo di origini ebraiche, non poteva essere scomunicato.

Giacomo Segre all’alba del 20 Settembre ca così l’ordine di attaccare le mura romane e il cannoneggiamento inizia alle ore 5:00 del mattino, ed ha come primo bersaglio Porta San Giovanni, cui seguono in rapida successione Porta San Lorenzo e Porta Maggiore e, alle ore 5:10, inizia l’attacco anche su Porta Pia.

Il cannoneggiamento prosegue incessantemente per oltre 4 ore, e si interrompe brevemente verso le ore 9:00 circa, quando, alcuni osservatori notano una breccia a circa 50 metri a sud da Porta Pia, per verificare l’effettiva presenza della breccia, vengono inviati alcuni bersaglieri e alle ore 9:30 circa, verificato il cedimento delle mura, Cadorna ordina di concentrare il fuoco sulla breccia, al fine di allargarla abbastanza da permettere ai propri uomini di poter passare e fare irruzione nella città, senza che questi corressero il rischio di fare da bersagli per il tiro a segno, passando in uno spazio estremamente ristretto e sotto il fuoco nemico.

Alle ore 9:35 i cannoni di Cadorna ricominciano a fare fuoco sulla breccia e dopo circa dieci minuti di fuoco concentrato, alle 9:45 la breccia era larga circa 30 metri, abbastanza da permettere agli uomini di passare in tutta sicurezza.

A questo punto i generali Mazè e Cosenz vengono incaricati di formare delle unità d’assalto, e prepararsi all’irruzione nella capitale pontificia, tuttavia alle ore 10:00 dalle mura capitoline viene issata la bandiera bianca, segno universale di resa da parte dello stato pontificio e dunque un invito al cessate il fuoco.

Roma ormai è Caduta, gli uomini di Kalzner e Rivalta si sono arresi, le milizie cittadine hanno ricevuto l’ordine di non proseguire gli scontri, ma, il Generale Nino Bixio non è dello stesso avviso ed i suoi uomini continuano a far fuoco per altri trenta minuti abbondanti, con l’intento di disincentivare ogni possibile resistenza, ma de facto ottenendo l’effetto opposto, le milizie cittadine, vedendo la resa non rispettata, decidono a loro volta di continuare la resistenza, con conseguenti scontri dentro le mura che avrebbero portato a numerose vittime “civili” e arresti. Le operazioni di guerriglia entro le mura continuano fino alle 12/13, per poi ridursi progressivamente fino a cessare completamente.

Alle ore 17:30, i generali dello stato maggiore dello stato pontificio, Kalzner e Rivalta, firma la capitolazione di Roma, che dal 21 settembre passò ufficialmente sotto il controllo delle milizie del regno d’Italia.

La capitolazione di Roma però non segna automaticamente la fine degli scontri, infatti Roma era Caduta, ma lo stato pontificio continuava ad esistere politicamente, le milizie locali e cittadine continuavano ad essere fedeli al papa.

L’esperienza dello Stato Pontificio termina ufficialmente il 27 settembre 1870, quando il regio esercito italiano, riesce ad occupare anche Castel Sant’Angelo, riducendo così al solo “stato Vaticano”.

L’annessione dello stato pontificio al regno d’italia, viene consacrata e riconosciuta ufficialmente in seguito ad un plebiscito di annessione tenutosi il 2 ottobre.

Tra le conseguenze dell’a guerra Italo Pontificia, vi sono la celebre disposizione papale del Non Expedit, con cui il pontefice invitava i cattolici italiani a non esercitare il voto nello stato italiano, e il non riconoscimento della sovranità italiana su territori dell’ex stato pontificio, da parte del pontefice.

Dall’altra parte, per riallacciare i rapporti tra stato e chiesa, il regno d’Italia produsse la, meno nota, legge delle guarentigie, votata in parlamento il 13 maggio 1871, legge n.214, avente titolo ufficiale “Legge sulle prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede, e sulle relazioni dello Stato con la Chiesa.” , questa legge, che verrà poi sostituita dai patti lateranensi del 1929.

La legge delle Guarentigie si componeva di 20 articoli suddivisi in due sezioni, nella prima sezione si faceva riferimento alla figura papale, garantendone l’inviolabilità della persona, gli onori sovrani, il diritto di avere al proprio servizio guardie armate a difesa dei palazzi vaticani, Laterano, cancelleria e Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo. Questi palazzi erano riconosciuti dalla stessa legge come extraterritorialità e di conseguenza erano esenti dalle ordinarie leggi italiane. Inoltre, veniva garantita allo stato vaticano la piena libertà di comunicazione postale e telegrafica, oltre al diritto di rappresentanza diplomatica. Infine, ma non meno importante, si garantiva allo stato vaticano, un versamento annuo di lire 3.225.000 (pari a circa 14,5 milioni di euro) per il mantenimento del pontefice, del Sacro Collegio e dei palazzi apostolici.

Nella seconda parte della legge invece si regolavano i rapporti effettivi tra lo stato Italiano e la Chiesa cattolica, garantendo a entrambi la massima pacifica indipendenza, inoltre al clero veniva riconosciuta illimitata libertà di riunione e si esoneravano i vescovi dal giuramento al Re, in quanto, considerati dallo stato italiano come dei rappresentanti/ambasciatori di uno stato estero, e, sulla stessa linea, le chiese erano assimilate allo status di “ambasciata”.

Bibliografia
M.Borgogni, La gloria effimera. Forze armate e volontari dalla prima guerra d'indipendenza alla breccia di Porta Pia (1848-1870)
G.Darby, The Unification of Italy by Mr Graham Darby
A.M.Banti, Il risorgimento Italiano
G.Pécout, Il lungo Risorgimento. La nascita dell'Italia contemporanea
G.Calchi Novati, Il canale della discordia. Suez e la politica estera italiana
E.Hobsbawm, Il trionfo della Borghesia
A.M.Banti, L'età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all'imperialismo

La Presa di Roma e la sua importanza epocale, che va oltre l’Unità d’Italia

L’importanza storica della Presa di Roma (20 Settembre 1870) va ben oltre l’effimera e regionale Unificazione Italiana, la presa di roma segna un passaggio epocale ed è un avvenimento, che per importanza, è assimilabile alla presa della bastiglia e la presa del palazzo di inverno

L’importanza storica della Presa di Roma (20 Settembre 1870) va ben oltre l’effimera e regionale Unificazione Italiana. La presa di roma segna un passaggio epocale ed è un avvenimento, che per importanza, è assimilabile alla presa della bastiglia e la presa del palazzo di inverno.

Il 20 Settembre 1870, i manuali di storia contemporanea italiani, ci insegnano essere la data finale dell’unificazione italiana, la presa di roma è, e rappresenta, l’ultimo atto ufficiale del processo unitario, iniziato in sordina, tra moti rivoluzionari e ambizioni politiche di regni italici, nella prima metà del XIX secolo.

Ma il 20 settembre è anche altro, e la sua importanza storica viaggia ben oltre i confini nazionali, ponendosi, sul piano internazionale, alla stregua di avvenimenti come la presa della Bastiglia e la presa del palazzo d’Inverno di Pietrogrado (poi San Pietroburgo) in Russia.

Questi tre avvenimenti, insiema al congresso di vienna e i moti del 40, rappresentano a pieno, l’intero excursus del cambiamento epocale che porta l’età Moderna, caratterizzata dal sistema politico noto come Ancient Regime, ad un nuovo sistema politico, sociale e culturale, proprio dell’età contemporanea, ma andiamo con ordine.

La presa della Bastiglia, come è noto, è uno degli avvenimenti simbolici più importanti della Rivoluzione Francese, rivoluzione che segna il punto di inizio di un lungo e lento processo evolutivo che avrebbe attraversato tutta l’europa. Per quanto riguarda la bastiglia, l’assalto a questa struttura è stato spesso associato a due ragioni, la prima, più importante, di carattere politico, la seconda, meno incisiva, ma comunque importante, di carattere strategico militare.

La Bastiglia era percepito nella Francia del tempo, come uno dei simboli tangibili del dispotismo monarchico, una prigione politica, in cui erano rinchiusi per lo più oppositori del Re, oppositori della monarchia. La Bastiglia era una struttura militare fortificata, protetta da uomini armati e che ospitava, nel proprio arsenale, un discreto quantitativo di armi, munizioni e polvere da sparo, e la possibilità di mettere mano su queste risorse delinea il carattere dtrategico/militare dell’assalto alla bastiglia.

Come anticipavo, in realtà la ragione è per lo più politica, visto che era era “protetta” da circa 32 guardie svizzere, 82 soldati francesi invalidi di guerra, ed ospitava circa 30 cannoni, e il grande bottino di guerra che poteva offrire si cortituiva di circa 250 barili di polvere da sparo (contenenti circa 20.000 kg di polvere pirica) e circa 28.000 fucili che, possono sembrare tanti, ma non lo sono affatto, visto che le armi dell’epoca erano a colpo singolo e richiedevano diversi minuti per essere ricaricate prima di poter riaprire il fuoco, e questo significa che, durante un assalto, mentre un soldato sparava, un altro soldato ricaricava i fucili, ma nel frattempo, il soldato che sparava, utilizzava altri fucili, in caso di mobilità, un unità di questo tipo contava su circa 3 fucili, mentre in situazioni meno concitate e più stazionarie, ogni soldato disponeva in media di circa 10 fucili.

Tornando ai numeri della bastiglia, 28.000 fucili, potevano armare in maniera efficace, circa 3.000 uomini, o al massimo 10.000 o addirittura 28.000, dando loro, in questo caso, un’irrisoria capacità di fuoco.

Certo, va detto che la Bastiglia fu assaltata da circa 600 uomini, e quella quantità di polvere da sparo e fucili, per 600 uomini è più che sufficiente, tuttavia, 600 uomini, senza alcun addestramento militare possono avere a disposizione anche 1000 fucili cadauno, e risultare comunque poco efficaci in combattimento, ma questa è un altra storia.

Come dicevo, la presa della Bastiglia, è un evento più che altro simbolico, segna lo scontro con l’autorità monarchica, segna l’apertura del conflitto reale tra popolo e aristocrazia, segna l’inizio della fine di quello che è noto come Ancient Regime.

Ad ogni modo, dalla rivoluzione francese si passa al terrore, poi all’età Napoleonica, e per oltre 30 anni, l’antico ordine politico europeo e nella fattispecie Francese, sembra sgretolarsi, almeno fino al congresso di Vienna, in cui viene passata una mano di spugna sulle trasformazioni post rivoluzionarie e napoleoniche e l’europa torna, almeno sulla carta, ad avere lo stesso aspetto che aveva nel 1789, ovvero prima dell’inizio della Rivoluzione, le antiche case reali vengono riportate sui rispettivi troni e, si introduce un concetto tanto antico quanto nuovo, si introducono il principio di legittimità e concetto di “mandato divino” ovvero, il potere monarchico, l’autorità reale e imperiale, deriva direttamente da Dio, i Re, le Regine e gli Imperatori d’europa, sono tali perché è Dio che ha voluto così, e in quanto vicario di dio sulla terra, il ponetefice è interprete della sua volontà.

Con il congresso di Vienna il papato, diventa una monarchia assoluta che estende il proprio controllo diretto su di un ampio territorio nell’italia centro settentrionale, questa monarchia prende il nome di Stato Pontificio ed esiste ufficialmente, e soprattutto politicamente, dal 1815 al 1870, più precisamente, fino al 20 settembre 1870, interrotto brevemente dall’esperienza della Repubblica Romana del 1848.

Nel 1848, le assi portanti dell’europa costruita nel congresso di vienna, vengono a mancare, in particolare il mandato divino, l’autorità monarchica concessa direttamente da Dio, non ha più alcun valore, e il principio di legittimità, che legittima le monarchie europee si trasforma, affondando le proprie radici nella volontà popolare, i re non sono più sovrani, ma semplici regnanti, governatori che possono esercitare il proprio potere solo e se, è il popolo a delegare loro quella autorità. Max Weber nel suo saggio sul potere definisce diversi metodi di legittimazione del potere, tra cui rienrano la legittimazione popolare, propria delle monarchie parlamentari e delle repubbliche, e la legittimazione tradizionale, in cui rientrano le monarchie assolute.

Questi due sistemi di legittimazione, sono in aperto contrasto tra loro, il re o è legittimato da dio o dal Popolo, e con la primavera dei popoli che si conclude nel 1848, il secondo sistema di legittimazione si sostituisce, in più o meno tutta europa, alla legittimazione tradizionale.

Restano però, ancora vincolati all’Ancient Regime, l’impero Zarista, la cui casa regnante però, non è di fede cattolica e dunque non è consacrata dal pontefice e dalla chiesa romana, e l’impero ottomano, di fede islamica e la cui casa regnante, a sua volta non è consacrata dal papa e dalla chiesa romana e in fine, ma non meno importante, lo stato pontificio, questa volta di fede romana, unica teocrazia europea, il cui Re Imperatore è il Papa. Apro una piccola parentesi a proposito del Regno unito, che, se bene sia ufficialmente di fede Anglicana e la Regina/Re (in quest ocaso la regina Vittoria) è ufficialmente a capo della chiesa anglicana, Vittoria è in un certo senso di fede cattolica, come anche suo marito il principe Alberto e la casa regnante Britannica, per quanto autonoma rispetto alla chiesa romana, tende in questo periodo storico, ad essere molto vicina alla chiesa romana e tiene in grande considerazione l’opinione papale.

Con il 1848 la storia assiste al tramonto dell’antico regime, ma come è noto, tra il tramonto e l’inizo della notte vera e propria, passa qualche ora, e in queste ore l’Ancient Regime continua ad esistere in europa attraverso le monarchie assolute dello stato pontificio, dell’impero zarista e di quello ottomano.

Mettendo da parte Russia e Impero Ottomano, lo stato Pontificio rappresenta, in europa, l’ultimo vero baluardo dell’Ancient Regime, e questo ci porta direttamente al 1870.

Nel 1870 lo stato pontificio cade, viene completamente cancellato e i suoi territori vengono annessi al Regno d’Italia. Questo avvenimento è sì, l’atto finale dell’unificazione italiana, come ci è stato insegnato a scuola, ma come dicevo, è molto di più, prché è anche l’atto finale del potere politico del Papa in Europa (e fuori dall’europa), è il vero atto conclusivo dell’Ancient Regime.

Nel 1870 l’Italia, perché nel 1870 l’italia esisteva ormai politicamente da circa un decennio, può permettersi di dichiarare guerra allo stato Pontificio, può permettersi di attaccare Roma, fare breccia tra le sue mura e persino mettere in fuga il Papa, senza alcuna ripercussione.

Già in passato il Papa e la curia romana erano stati attaccati e messi in fuga ma, diversamente dal 1848 e dall’esperienza della repubblica romana durata meno di un anno perché Luigi Napoleone Bonaparte, meglio noto come Napoleone III, presidente della repubblica francese e fondatore del secondo impero, era intervenuto al fianco del Papa per liberare la città e, andando ancora più all’indietro e spingendoci fino al medioevo, quando un papa era sotto attacco, era minacciato da forze e correnti politiche sempre interne alla chiesa cattolica che vedevano in altri uomini la “vera” leadership papale. Insomma, in passato il papa era stato attaccato da alti prelati che ambivano a sostituirlo con altri pontefici, in questo caso invece, con la presa di roma del 1870, il papa viene semplicemente messo all’angolo, gli viene chiesto gentilmente di accomodarsi fuori dalla città degli imperatori, da quella città che un tempo era stata la capitale del mondo intero.

Qualcuno a questo punto potrebbe chiedersi:

Perché prendere roma nel 1870 e non prima, perché non attaccare Roma nel 1860 e far proseguire l’armata garibaldina ben oltre Teano?

Il motivo è politico, ma anche militare ed economico, insomma, è complicato.

Nel 1860, il papa, anche se molto depotenziato rispetto al passato, (depotenziamento iniziato in seguito al 1848 e conclusosi sul finire degli anni 60 del diciannovesimo secolo) era ancora molto influente e soprattutto, aveva molti alleati ed erano alleati del papa, sia alleati che i nemici di casa Savoia. Roma nel 1860 era alleata dell’Austria, con cui i Savoia erano in guerra, ma era anche alleata con la Spagna, con la Francia di Napoleone III e con l’Impero Britannico, e se da un lato il conflitto tra i Savoia e l’Austria-Ungheria era percepito all’estero come qualcosa di poco più grande di una banale disputa territoriale e, sulla base di quanto emerso dalla Guerra di Crimea, in cui ricordiamo che il Regno di Piemonte aveva partecipato al fianco di Francia e Regno Unito, Il Regno di Piemonte era legittimato a reclamare quei territori “occupati” dall’Austria, e dunque Francia e Regno Unito, non sarebbero intervenuti, o almeno non al fianco dell’Austria, va inoltre detto che, per quello che stava avvenendo in europa e nel mediterraneo, Francia e Regno Unito in primis, erano in un certo senso favorevoli all’idea di depotenziare ulteriormente l’impero Asburgico.

Diversamente però, fare guerra allo stato pontificio, era molto più complicato, non era più una disputa territoriale in cui il Regno di Piemonte era legittimato a rivendicare dei territori occupati da una potenza straniera, e questo perché, diversamente dall’Austria, lo stato pontificio godeva della stessa legittimità storica, culturale, politica e tradizionale del regno di Piemonte, nell’esercitare il proprio controllo sulla penisola italica e sull’Italia, dunque, i principi emersi dalla guerra di Crimea, che impedivano a Francia e Regno Unito di intromettersi nella guerra tra Italia e Austria, non erano validi in un ipotetico scontro tra Italia e Stato Pontificio. Va inoltre detto che la regina Vittoria a Londra e Napoleone III a Parigi, erano in ottimi rapporti con il pontefice e senza troppe licenze, avevano avvertito casa Savoia di un loro possibile intervento al fianco del pontefice, se l’Italia, nel suo processo unitario avesse inglobato militarmente lo stato pontificio. Specifico Militarmente perché un annessione politica e pacifica, che avrebbe portato ad un Italia Federale composta da due o tre stati, era invece ben vista sia dalla Francia che dal Regno Unito.

Cosa è cambiato nel 1870?

Nel 1870 è cambiato tutto, sono cambiati gli equilibri, sono cambiate le alleanze, è cambiata la percezione della chiesa, è cambiato il peso di Roma fuori dalla penisola italica ma soprattutto, è cambiato il ruolo dell’Italia nell’asset globale.

L’Italia durante l’età moderna ha visto un suo progressivo decentramento, in conseguenza dello slittamento delle vie commerciali dal mediterraneo al nord atlantico, l’Italia era bloccata nel mediterraneo, un mare chiuso, isolato dal resto del mondo.

Nel 1870 non era più così perché nell’anno precedente, nel 1869 era stati completati i lavori di costruzione del Canale di Suez, finanziato da Francia e Regno Unito, e la sua innaugurazione era la cosa migliore che potesse capitare all’Italia, perché regalava dava all’Italia una nuova e rinnovata centralità nel commercio internazionale e se da un lato Suez e Gibilterra erano diventati improvvisamente , da un giorno all’altro dei passaggi obbligati per chiunque volesse attraversare il Mediterraneo, e andare dall’Europa all’Asia, senza circumnavigare dell’Africa ed evitando il passaggio terrestre del medio e vicino oriente, dall’altro lato, l’Italia, con la sua centralità nel mediterraneo, rappresentava un importante snodo commerciale che avrebbe semplificato l’afflusso di merci in Europa, risparmiando giorni e settimane di navigazione, ma perché questo accadesse era necessario che l’Italia non fosse più divisa in due stati e che, lo stato pontificio che spaccava in due il Regno d’Italia, poteva essere inglobato nel regno d’Italia.

In questo contesto storico, ormai privo di coperture politiche e militari, il papa si trova da solo contro il regno d’Italia, che può quindi attaccarlo su due fronti e in poco, pochissimo tempo, riescire a fare breccia tra le mura capitoline e prendere Roma, completando ufficialmente quel processo unitario iniziato più di 20 anni prima, per assurdo, proprio a Roma, in quella città in cui si erano manifestate le prime istanze unitarie e dove per la prima volta, durante la fallimentare esperienza repubblicana del 48, si era parlato, per la prima volta nell’età contemporanea, di Italia come nazione.

Bibliografia
M.Borgogni, La gloria effimera. Forze armate e volontari dalla prima guerra d'indipendenza alla breccia di Porta Pia (1848-1870)
G.Darby, The Unification of Italy by Mr Graham Darby
A.M.Banti, Il risorgimento Italiano
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G.Calchi Novati, Il canale della discordia. Suez e la politica estera italiana
E.Hobsbawm, Il trionfo della Borghesia
A.M.Banti, L'età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all'imperialismo
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