Camerlengo: Funzioni e Significato nella Chiesa

La morte di papa Francesco apre discussioni sulla successione papale. Il Camerlengo, figura chiave, svolge ruoli cruciali durante la sede vacante.

La recente scomparsa di papa Francesco, dopo mesi di sofferenza e agonia che hanno lasciato il mondo cristiano con il fiato sospeso, riaccende il dibattito sulla successione del pontefice e le varie speculazioni su chi sarà il prossimo papa.

Lo scenario politico vaticano non ha subito molte trasformazioni rispetto a Febbraio e anche sul piano internazionale, le cose non sono cambiate, pertanto, i ragionamenti e le ipotesi avanzate durante il periodo di degenza del pontefice, rimangono invariate.

Con molta probabilità il prossimo Conclave vedrà l’elezione di un papa appartenente alla corrente politica di Papa Francesco e Benedetto XVI, con posizioni progressiste, ma non radicali, sarà quasi certamente un papa con posizioni più moderate e con una lieve apertura alle correnti più conservatrici.

Tutto avrà luogo nel segreto del conclave, sotto l’occhio vigile del Camerlengo della Santa Sede.

In questo articolo cercheremo di capire chi è e cosa fa il camerlengo durante il conclave, in cosa consiste questa carica.

Chi è il Camerlengo

Cominciamo col dire che quella del camerlengo è una delle figure più antiche e significative nell’amministrazione della Chiesa cattolica romana, il cui ruolo è cruciale durante il periodo di sede vacante e le votazioni in conclave.

La sede vacante inizia con la morte o le dimissioni del pontefice e dura fino alla nomina di un nuovo pontefice, in questo periodo la chiesa cattolica romana e lo stato vaticano sono retti da un reggente, appunto il camerlengo, che combina responsabilità amministrative, in quanto sovorano ad interim della monarchia vaticana, ma anche cerimoniali, poiché è il camerlengo è anche il reggente della Santa Romana Chiesa.

L’attuale camerlengo è il cardinale Kevin Joseph Farrell, nominato da Papa Francesco il 14 febbraio 2019. Generalmente il Camerlengo è una figura di fiducia del papa e da un certo punto di vista è il suo “vice”.

Questa carica è una delle più antiche per quanto riguarda il comparto amministrativo della chiesa, la sua istituzione risale al medioevo ed ha mantenuto un ruolo centrale nella struttura di governo vaticana in tutta la storia politica della chiesa romana, soprattutto nei momenti di transizione papale.

Origine Storica e Etimologia

Come molta della terminologia ecclesiastica, anche il termine “Camerlengo” deriva dal latino medievale, più precisamente da camarlingus, che a sua volta deriva dal germanico kamerling, il cui significato letterale è “addetto alla camera del sovrano“.

Le prime attestazioni di tale figura nel contesto ecclesiastico risalgono al XII secolo, da quel che sappiamo in quel tempo il camerarius svolgeva diverse funzioni legate alla camera thesauraria, ovvero all’organo responsabile dell’amministrazione finanziaria della Curia romana e dei beni temporali della Santa Sede. Una sorta di tesoriere del papa.

Nel corso del medioevo tuttavia la struttura organizzativa e amministrativa della chiesa evolve e la stessa amministrazione papale si sviluppa in modo significativo, consolidando sempre di più il potere temporale oltre che spirituale del papa.

È interessante notare come la creazione di questa carica si inserisaca in un contesto storico di trasformazione della chiesa, più precisamente si inserisce in un contesto in cui la chiesa iniziava a dotarsi di strutture amministrative più complesse e articolate e regolemantate, fondamentali per un istituzione che è sempre più temporale e gestisce un patrimonio materiale di grandi dimensioni.

Tra medioevo, età moderna e contemporanea, molte cariche ecclesiastiche, soprattutto amministrative, hanno subito profonde trasformazioni, molte sono state abolite altre sono state rimpiazzate, mentre il ruolo del Camerlengo è rimasto sostanzialmente invariato.

Responsabilità del Camerlengo tra pontificato e sede vacante

Le funzioni del camerlengo cambiano duranbte il pontificato sono diverse dalle funzioni del camerlengo durante la sede vacante.

Durante il pontificato, il camerlengo dirige l’amministrazione finanziaria della Santa Sede e amministra i beni temporali della chiesa quando il pontefice è in viaggio o temporaneamente assente. Per tali ragioni, è fondamentale che il camerlengo sia una figura di fiducia del Papa, anche perché in un certo senso è il suo vice, il suo più stretto collaboratore

Anche se il Camerlengo è una sorta di “vice papa”, va precisato che, durante situazioni come la temporanea indisposizione del Papa (ad esempio durante un ricovero ospedaliero), il Camerlengo non subentra automaticamente nella governance della Chiesa. Più precisamente, il camerlengo subentra in automatico solo in caso di sede impedita, condizione che si verifica solo in casi eccezionali come durante la sedazione per un’operazione chirurgica.

Se durante il pontificato il Camerlengo non ha “potere di iniziativa“, ed è sostanzialmente una sorta di commissario prefettizio della santa sede, le sue funzioni e le sue responsabilità cambiano durante la sede vacante.

In caso di sede vacante (per decesso del pontefice) il primo compito speciale del Camerlengo è accertare il decesso.

Tradizionalmente, questa verifica avvene attraverso un rituale simbolico in cui il Camerlengo chiama il Papa tre volte con il suo nome di battesimo mentre gli percuote lievemente la fronte con un martelletto d’argento. Se il camerlengo non riceve alcuna risposta, ne dichiara ufficialmente la morte con la formula latina “Vere Papa mortuus est” (Veramente il Papa è morto).

Questo passaggio rituale è in realtà un vero e proprio atto giuridico, poiché secondo il diritto canonico, il Camerlengo è l’unico a possedere l’habilitas (capacità giuridica) richiesta per accertare ufficialmente la morte del Papa.

Questo rituale di accertamento non è privato, e avviene di fronte al Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, dei Prelati Chierici e del Segretario e Cancelliere della stessa Camera Apostolica, che fungono sostanzialmente da testimoni. 

Una volta accertato il decesso del pontefice, la Cancelliere della Camera apostolica ha il compito di compilare il documento o atto autentico di morte, mentre il Camerlengo deve comunicarla al Cardinale Vicario per l’Urbe, il quale ne darà notizia al popolo romano. 

A questo punto il Camerlengo assume la presidenza della sede vacante, durante il quale ha il diritto e il dovere di “curare e amministrare i beni e i diritti temporali della Santa Sede“.

Chi può diventare Camerlengo?

Quella del Camerlengo è una carica estremamente importante, è l’equivalente del maestro di palazzo delle costi medievali, è la figura politica, amministrativa e religiosa più vicina al papa. Nella gerarchia ecclesiastica è la seconda istituzione della Santa Romana Chiesa, per questo deve necessariamente essere un cardinale. Non sono previsti altri requisiti, ma esperienza e vicinanza al pontefice risultano elementi impliciti.

La nomina del Camerlengo, così come la nomina di altre importanti figure del governo della Chiesa, è prerogativa esclusiva del Papa, tuttavia, diversamente dalla maggior parte delle cariche ecclesiastiche, non esistono limitazioni temporali al mandato del Camerlengo che quindi rimane in carica fino a quando il Papa non decide diversamente o fino alla sua morte o rinuncia.

Il ruolo del Camerlengo è generalmente legato al Pontefice e non è rato che, dopo l’elezione di un nuovo Papa, questi nomini un nuovo Camerlengo.

Camerlengo e Conclave

Diventare Camerlengo è una grande responsabilità, un grande onore, ma comporta anche importanti rinunce.

Il Camerlengo come abbiamo visto durante la sede vacante è sostanzialmente il reggente della Santa Romana Chiesa, ma allo stesso tempo, non ha potere di iniziativa, non può produrre iniziative o innovazione, questa limitazione in vero è molto “recente” ed è stata introdotta con la costituzione apostolica Universi Dominici Gregis (1996) e la Praedicate Evangelium (2022).

Durante la sede vacante comunque, il Camerlengo ha numerose responsabilità, tra cui il coordinamento del colleggio cardinalizio, la convocazione del concistoro e la convocazione dei cardinali per il Conclave ed ha un ruolo di rilievo durante lo stesso Conclave.

Chi sono i cardinali papabili al prossimo conclave? Ecco tutti i nomi dei possibili successori di Papa Francesco

Chi sono i cardinali papabili al prossimo conclave? Ecco tutti i nomi che gli esperti stanno discutendo in queste travagliate ore in cui le condizioni di salute del pontefice, Papa Francesco, sono sempre più complesse e oggetto di preoccupazione e speculazione per i fedeli.

Da quando è stato ricoverato al policlinico Gemelli di Roma è emersa una polmonite bilaterale, sempre più grave, che ha sollevato diversi dubbi e timori sulla possibilità che il papa possa tornare in salute e alla guida della chiesa e , sebbene lo stesso francesco in più occasioni abbia dichiarato di non avere alcuna intenzione di dimettersi e rimanere alla guida della chiesa fino alla fine, si comincia a speculare su possibili dimissioni, come già fatto da Ratzinger prima di lui.

Nel chiacchiericcio generale, sul web iniziano ad apparire le prime voci ed ipotesi sul futuro della chiesa, ipotesi sostenute dalla recente nomina di 22 cardinali, di cui 21 elettori (con meno di 80 anni) , e si discute della direzione che verrà presa dalla chiesa nel prossimo pontificato. La chiesa di domani sarà una chiesa progressista e innovatrice, in continuità con Francesco e Benedetto XVI o sarà una chiesa più conservatrice e tradizionalista? Ci saranno nuove e maggiori aperture, o si andrà verso un nuovo oscurantismo generale?

Figure chiave nell’interpretazione delle due principali correnti politiche attualmente note nella curia romana, sono i cardinali Pietro Parolin, Matteo Maria Zuppi e Gerhard Muller, i primi due progressisti, il terzo un conservatore “trumpiano”, ma non sono i soli e per quanto influenti nelle rispettive correnti, probabilmente non sono realmente “papabili”.

La curia vaticana

La curia vaticana, o romana, è un centro di potere politico di rilevanza globale, e sebbene il papa sia il monarca assoluto dello stato vaticano e della chiesa, non ha in realtà quasi nessun controllo su ciò che fanno i membri della curia, sulla carta il potere del papa è totale, ma, all’atto pratico, non ha il tempo materiale per assicurarsi che migliaia di funzionari vaticani, operino come “il papa comanda” e anzi, nella maggior parte dei casi, questi funzionari sono legati a specifici Cardinali che indicano allo stesso santo padre, possibili nuovi candidati.

La curia è quindi il vero centro di comando, politico, della chiesa cattolica, lì si formano i cardinali che in alcuni casi diventeranno papi, e nella maggior parte dei casi spingono coloro che diventeranno papi.

Prendendo in prestito un termine dal complottismo, il “deep state” del vaticano, è estremamente profondo, radicato, difficile da ripulire. Ciò nonostante, negli ultimi vent’anni circa, i papi Benedetto XVI e Francesco, hanno fatto un enorme lavoro di riorganizzazione della curia romana, rimodellandola affinché potesse emergere e affermarsi la corrente progressista di cui entrambi i papi sono stati esponenti e promotori, rendendo sempre più marginale, almeno in apparenza, la corrente conservatrice.

Ad oggi la curia romana sembra essere prevalentemente progressista, e la maggior parte dei 138 membri elettori del collegio cardinalizio sono stati nominati da papa Francesco e in misura minore da Benedetto XVI.

Configurazione del collegio cardinalizio

Per essere più precisi, sollo 4 cardinali elettori su 138 sono stati nominati da Giovanni Paolo II, per loro quattro quindi il prossimo potrebbe essere il terzo conclave, altri 22 sono stati nominati da Benedetto XVI, per loro quindi il prossimo sarebbe il secondo conclave. I rimanenti 112 sono stati nominati cardinali da papa Francesco, selezionati da una curia rinnovata dallo stesso Francesco e Benedetto XVI.

Non tutti i cardinali nominati da Francesco tuttavia, sono di corrente progressista “bergogliana”, e anzi, uno dei leader della corrente conservatrice della curia vaticana, Gerhard Muller, è stato uno dei primi 16 cardinali creati da Francesco. La sua nomina a cardinale risale al 22 febbraio 2014, in quella stessa data è stato creato cardinale anche Pietro Parolin, attualmente segretario di stato della santa sede, da molti considerato uno dei più stretti collaboratori ed esponenti della corrente bergogliana del “partito progressista” vaticano.

Le correnti politiche del vaticano

Basandoci sulle fonti aperte di cui disponiamo, e trattandosi della politica del vaticano sono davvero pochissime, per lo più dichiarazioni dei singoli cardinali e pochi dati biografici forniti dallo stesso vaticano attraverso un portale dedicato al Collegio Cardinalizio. Possiamo dire che al momento le correnti politiche note in vaticano sono almeno due. Quella progressista e quella conservatrice.

Per quanto riguarda la corrente progressista sappiamo che ci sono diversi attriti tra i progressisti, soprattutto su alcuni punti radicali come l’apertura della curia alle donne e la benedizione delle coppie omosessuali, dando di fatto vita a due correnti progressiste, una che potremmo definire “riformatrice bergogliana” ed una più “moderata“.

Oltre le due correnti progressiste sappiamo esistere almeno una corrente conservatrice, più tradizionalista, che vede in Gerhard Muller, il principale referente e, secondo le parole dello stesso Muller, i conservatori nella curia vaticana potrebbero essere molti di più di quello che sembrano, poiché molti temono Francesco e per questo sono più riservati, militando de facto tra i progressisti moderati.

Per quanto riguarda queste tre “correnti” se da un lato è facile individuare in Gerhard Muller il leader dei conservatori, più difficile è decifrare la leadership progressista, che vede Matteo Maria Zuppi e Pietro Parolin, dallo stesso lato della barricata, entrambi stretti collaboratori di Bergoglio ma con approcci differenti. Zuppi ha più volte espresso pareri a favore di aperture radicali e grandi stravolgimenti nella chiesa, ciò lo rende potenzialmente il punto di riferimento di un ipotetica corrente riformatrice, mentre Paoloni, anche in vista del proprio ruolo politico (è pur sempre il segretario di stato Vaticano) pur esprimendo pareri forti, come il netto no alle deportazioni di palestinesi dalla striscia di Gaza, posizione per la quale ha proprio usato il termine deportazioni, nel complesso risulta tra i più moderati della corrente progressista.

Una partita a tre

I dati che abbiamo sulla curia romana ci suggeriscono almeno uno scontro a tre, tra progressisti riformisti, moderati e conservatori, ma che tuttavia potrebbe essere molto più articolato di così, ed è molto probabile che nelle infinite sfumature tra una corrente e l’altra, si celino quei tasselli mancanti all’opinione pubblica e il mondo esterno, che potrebbero rivelarsi determinanti per far confluire più correnti su uno stesso nome.

È il classico gioco politico del compromesso, dove le varie correnti scendono a patti tra loro, facendosi concessioni reciproche, affinché il prossimo papa possa andare bene più o meno a tutti, e se non va bene, che almeno non vada di traverso.

Ne consegue che in maniera quasi scontata, nello scontro politico che avrà luogo nelle sale chiuse della Cappella Sistina, al fine di ottenere una maggioranza qualificata di due terzi del collegio elettorale (almeno nei primi 33 scrutini, poi sarà sufficiente una maggioranza semplice) per l’elezione del prossimo papa, i nomi con posizioni più radicali verranno quasi certamente esclusi esclusi dai giochi. Anche se in realtà, non è detto e tali nomi potrebbero essere “esclusi” nelle prime fasi, a maggioranza qualificata, e riapparire nella seconda fase in cui per la vittoria è sufficiente la maggioranza semplice.

Ad oggi non sappiamo con certezza quanti progressisti e conservatori e che tipo di progressisti e conservatori ci sono, secondo Muller i conservatori, che la pensano come lui, ed hanno posizioni molto radicali e tradizionaliste, sono molti di più di quanto si pensi e potrebbero esserci significative infiltrazioni conservatrici anche tra i progressisti e i bergogliani.

I papabili secondo la stampa

Secondo la maggior parte dei media, i cardinali papabili al prossimo conclave, se mai dovesse esserci un conclave con questi cardinali elettori, sostanzialmente un conclave nei prossimi due anni, divisi tra progressiti, moderati e conservatori, sono:

Partiamo dai progressisti, il nome più “probabile” sembra essere quello di Matteo Maria Zuppi, seguito da José Tolentino de Mendonça e Robert Francis Prevost.

Matteo Maria Zuppi (69 anni), creato cardinale il 5 ottobre 2019 da Papa Francesco. Monsignor Zuppi nasce a Roma l’11 ottobre 1955 ed è ordinato sacerdote nel 1981. Nella sua carriera ha ricoperto vari ruoli, tra cui quello di ausiliare di Roma e arcivescovo di Bologna e dal 2022 è presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
Zuppi è una figura di spicco della corrente progressista, ha spesso espresso posizioni a sostegno del dialogo interreligioso e l’impegno per la pace, come dimostrato dalla sua missione in Ucraina per il rientro dei minori ucraini. È visto come un sostenitore della chiesa sinodale e dell’inclusività ed ha suscitato non poche critiche tra i conservatori quando si è espresso a favore della benedizione di coppie omosessuali e l’apertura della curia vaticana alle donne.

José Tolentino de Mendonça (58 anni), creato cardinale il 5 ottobre 2019 da Papa Francesco. Originario del Portogallo, ha ricoperto l’incarico di Archivista e Bibliotecario della Santa Romana Chiesa.
Anche lui progressista di spicco e scrittore prolifico, De Mendonça ha più volte sottolineato l’importanza di un approccio aperto e inclusivo nei confronti delle questioni sociali e spirituali. È promotore di un cattolicesimo che ponga al centro la fede e vada oltre le diversità.

Robert Francis Prevost (68 anni), creato cardinale il 30 settembre 2023 da Papa Francesco. È stato vescovo di Chiclayo in Perù prima di diventare Prefetto del Dicastero per i Vescovi. Le sue posizioni politiche sono apertamente ed espressamente in favore di riforme sociali e pastorali nella Chiesa.

Per quanto riguarda i moderati, il nome più probabile sembra essere quello di Pietro Parolin, seguito da Luis Antonio Gokim Tagle e Claudio Gugerotti

Pietro Parolin (69 anni), creato cardinale il 22 febbraio 2014 da Papa Francesco. Attualmente è il Segretario di Stato della Santa Sede, ed ha alle spalle una lunga carriera diplomatica e politica all’interno della Chiesa. Diplomatico e moderato d’eccellenza, Parolin è considerato uno degli uomini di fiducia di papa Francesco, che ha sempre cercato di mantenere un equilibrio tra le diverse correnti all’interno della chiesa, promuovendo il dialogo soprattutto su temi e questioni globali.

Luis Antonio Gokim Tagle (67 anni), creato cardinale il 24 novembre 2012 da Papa Benedetto XVI, è uno degli ultimi Cardinali creati dal predecessore di Francesco, nonché uno dei 26 cardinali elettori ad aver già preso parte ad un Conclave. Da molti è considerato uno degli uomini di fiducia di Benedetto XVI e potrebbe aver avuto un ruolo chiave nell’elezione di Francesco.
Pur essendo moderato, è aperto a posizioni progressiste su temi come l’immigrazione e la giustizia sociale, ciò lo rende un candidato ideale sia per riformisti che moderati.

Claudio Gugerotti (68 anni), creato cardinale il 30 settembre 2023 da Papa Francesco, è attualmente Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, ha una vasta esperienza diplomatica, interreligiosa, interculturale, e soprattutto politica.

Per quanto riguarda i conservatori, Gerhard Muller, figura di spicco della corrente conservatrice in realtà non sembra essere uno dei papabili, tuttavia, ci sono diversi cardinali, a lui molto vicini le cui posizioni più moderate potrebbero rivelare qualche sorpresa. Tra di loro Angelo Fernandez Artime, Roberto Repole e Domenico Battaglia

Angelo Fernandez Artime (63 anni), creato cardinale il 30 settembre 2023 da Papa Francesco è Rettor Maggiore dei Salesiani ed ha alle spalle una lunga carriera nell’educazione cattolica.
Sebbene sia visto come conservatore per il proprio impegno nella formazione tradizionale dei giovani, è da molti considerato il più moderato dei conservatori, e potrebbe essere scelto grazie al sostengo di parte dei moderati e dei conservatori.

Roberto Repole (59 anni), creato cardinale il 7 dicembre 2024 da Papa Francesco, è uno degli ultimi cardinali creati da Papa Francesco (almeno al 19 febbraio 2025), nonché uno dei più giovani tra i papabili. Anche lui è un ibrido Conservatore Moderato, è infatti considerato conservatore su questioni dottrinali, ma aperto al dialogo su questioni sociali. Per molti potrebbe essere uno dei “conservatori” di cui parlava Muller.

Domenico Battaglia (60 anni), creato cardinale il 7 dicembre 2024 da Papa Francesco, anche lui è tra gli ultimi cardinali nominati da Francesco. Arcivescovo di Napoli, noto per il suo impegno nelle periferie sociali, con posizioni non completamente decifrate, anche lui su diversi temi dottrinali risulta un conservatore, tuttavia, l’attenzione e l’impegno molto innovativo sulle problematiche sociali, fanno di lui un soggetto controverso. Non è chiaro se sia un conservatore infiltrato tra i moderati o un moderato infiltrato tra i conservatori.

C’è in fine il grande outsider, che in realtà, non sembra essere accreditato tra i papabili, ovvero Gerhard Muller, cardinale conservatore radicale considerato da molti il leader del partito “trumpista del vaticano” per le proprie posizioni politiche e sociali. Muller ad oggi non sembra godere di grandi consensi tra gli altri cardinali, ma a suo dire, i conservatori che la pensano come lui sono molti di più di quanto non sembri. Fuori dal vaticano Muller piace alle destre radicali e soprattutto piace a Trump.

Chi sarà il prossimo papa?

Con l’attuale composizione del Collegio Cardinalizio, e i suoi 138 cardinali elettori, per eleggere il prossimo Papa saranno necessari almeno 96 voti, 19 in più di quelli che furono necessari per eleggere papa Francesco. Sarà quindi una partita molto serrata, che con molte probabilità eleverà al soglio pontificio un progressista moderato o un moderato progressista.

Se da un lato non sappiamo dire con esattezza quale corrente trionferà, possiamo dire con una certa sicurezza che difficilmente verrà eletto un conservatore radicale, poiché gli ultimi 2 pontificati, durati complessivamente un ventennio, hanno visto una chiesa in continua trasformazione e apertura, una chiesa che in quell’apertura ha visto una maggiore crescita. Nel mondo cristiano papa Francesco è generalmente molto più apprezzato rispetto a Benedetto XVI che nel proprio pontificato, pur portando avanti politiche di apertura e rinnovamento della chiesa, ricordiamo che Benedetto XVI è stato il primo papa su Twitter, ha continuato a mostrare un immagine conservatrice di se e della chiesa. Almeno nella dottrina e nell’estetica.

In un momento storico come questo, in cui il mondo sta vivendo sempre più divisioni e conflitti, la chiesa non può mostrarsi impreparata, e non può diventare un ulteriore strumento di divisione, e questo i membri della curia ed i cardinali lo sanno perfettamente. La Chiesa, più che i suoi fedeli, in questo momento, ha bisogno di una guida che ponga l’accento sulla fede, sull’inclusione, sull’attenzione ai deboli, sull’assistenza, sulla cura e sulla pace. Una pace che non può essere una resa alla prepotenza e trionfo della violenza, ma una pace che sia forte e d’esempio. Ritengo quindi che molto probabilmente il prossimo papa sarà una persona di fiducia di Francesco, che erediterà la volontà dei suoi due predecessori e continuerà il percorso di rinnovamento della chiesa cattolica.

Il Conclave – L’elezione del Papa

Immersa nel cuore di Roma e separata dai sette colli di Roma dal Tevere, sorge Città del Vaticano, un’anomalia politica, culturale e filosofica unica al mondo. Il Vaticano è infatti l’unica monarchia assoluta elettiva al mondo, il cui capo dello stato, un sovrano assoluto, è eletto in una cerimonia segreta e ricca di mistero, che risale al XIII secolo, ovvero il Conclave.

Il Conclave è un momento decisivo non solo per le sorti del Vaticano, ma anche per la cristianità, esso infatti elegge il capo della chiesa cristiana, che è anche il monarca assoluto a capo dello stato Vaticano. Tale figura, se epurata del suo significato spirituale, può essere visto come una sorta “re-filosofo” platonico, che incarna l’ideale classico di un governante illuminato che guida non solo con il potere, ma soprattutto con saggezza, virtù e visione etica, che nel caso del Papa è una visione “cristiana”.

Secondo il filosofo greco, il migliore dei governanti è colui che possiede una profonda conoscenza della verità e del bene, ed è capace di orientare la società verso il bene comune.

In questa chiave di lettura, nella figura odierna del Papa, coesistono due istituzioni, la prima è il capo politico di uno stato di modestissime dimensioni, appena 44 ettari, la seconda, in quanto capo di una confessione religiosa tra le più diffuse al mondo, esercita un’influenza globale sull’intero mondo cattolico, e una parte significativa del più ampio mondo cristiano. Nel complesso, come anticipato, si configura come una sorta di “filosofo-re” che, almeno su carta, non governa per ambizione personale, ma per servizio del bene comune, impegnandosi a promuovere valori universali come giustizia, pace e solidarietà (ovviamente con un interpretazione cattolica).

L’elezione del Papa

L’elezione del Papa avviene attraverso una cerimonia elettiva a porte chiuse nota come Conclave, ad oggi regolato dalla Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis, promulgata da Giovanni Paolo II nel 1996.

Secondo il Codice di Diritto Canonico, il conclave può essere convocato dopo un periodo di Sede Vacante, al seguito della morte o delle dimissioni del pontefice precedente, non prima di 15 e i 20 giorni successivi all’inizio della vacanza papale. Questo arco temporale è fondamentale per consentire ai cardinali elettori, di raggiungere Roma e partecipare alle Congregazioni Generali. Si tratta di incontri preliminari di carattere politico, volti a discutere lo stato della Chiesa e prepararsi spiritualmente al voto.

I cardinali elettori sono membri del Collegio Cardinalizio, l’organo elettivo del Vaticano, e si compone di tutti i cardinali che, alla data di inizio della sede vacante, avevano meno di 80 anni. Questa soglia anagrafica è stata introdotta nel 1970 da papa Paolo VI con la Costituzione Apostolica Ingravescentem Aetatem. È importante precisare che I cardinali ultraottantenni, pur non potendo partecipare al voto, possono prendere parte alle cerimonie liturgiche e alle Congregazioni Generali, fungendo da consulenti informali.

Durante il Conclave, tutti i partecipanti sono tenuti a osservare il giuramento di segretezza, pena sanzioni canoniche severe in caso di violazione.

La segretezza è un elemento fondamentale per l’elezione del papa, per questo motivo, le votazioni si svolgono presso la Cappella Sistina e prima dell’inizio del Conclave, la cappella viene sottoposta a rigorosi controlli tecnici e bonifica da dispositivi elettronici o sistemi di comunicazione. Lo stesso per gli ambienti residenziali dove alloggeranno i cardinali durante il periodo elettorale, la Domus Sanctae Marthae, e gli stessi cardinali. Non è infatti consentito utilizzare o disporre di qualsivoglia dispositivo di comunicazione con l’esterno. In altri termini i cardinali sono completamente isolati dal mondo esterno.

La votazione segue un protocollo rigoroso: ogni cardinale scrive il nome del candidato prescelto su una scheda anonima, utilizzando la formula latina “Eligo in Summum Pontificem” (“Eleggo come Sommo Pontefice”). Le schede vengono quindi piegate e inserite in un’urna d’argento. Per essere eletto, un candidato deve ottenere una maggioranza qualificata di due terzi nei primi scrutini. Se, dopo 33 votazioni infruttuose, nessun candidato raggiunge tale soglia, si procede a una votazione a maggioranza semplice tra i due candidati più votati.

Una volta eletto, il cardinale che ha assunto l’incarico di decano ha il compito di chiedere al cardinale eletto se accetta l’incarico e quale nome desidera assumere come pontefice. Se il cardinale accetta, questi viene fatto vestito con gli abiti papali e successivamente si procede con la comunicazione al mondo esterno.

Le schede “elettorali” vengono bruciate in una stufa collegata a un camino visibile dall’esterno. Se il voto non produce un vincitore, viene aggiunta una sostanza chimica che genera del fumo nero (fumata nera), se invece è stato eletto un papa, la fumata è bianca.

A questo punto, il cardinale protodiacono annuncia pubblicamente l’elezione dal balcone della Basilica di San Pietro, pronunciando la frase rituale: “Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam!” (“Vi annuncio una grande gioia: abbiamo un Papa!”).

Questa cerimonia è mutata ed evoluta nel corso del tempo e, secondo la tradizione, ha origine da un evento molto particolare datato 1270.

Il primo Conclave

Il primo Conclave, inteso come elezione papale con i cardinali riuniti in clausura risale al 1198, mentre la formalizzazione ufficiale della procedura che prevede la messa sotto chiave dei cardinali durante l’elezione del pontefice, risale al 1274 con il Concilio di Lione e la Costituzione Apostolica Ubi Periculum di Papa Gregorio X, con cui si istituiva il “conclave” per impedire ritardi nelle elezioni e interferenze politiche esterne.

Siamo in anni in cui l’elezione del papa significa eleggere uno degli uomini più potenti d’Europa, il potere del papa non è solo spirituale, ma anche temporale, ma soprattutto, siamo nel vivo degli scontri tra papato ed impero. Eleggere il papa è una questione economica, politica e geopolitica, determinante per le sorti d’Europa, in pochi possono permettersi di sfidare il potere del papa e in molti vogliono assicurarsi l’amicizia del papa, spingendo quindi per l’elezione di un papa “di famiglia” o comunque “amico”.

In questo contesto, l’elezione di papa Gregorio X fu una delle più complesse della storia pontificia. Gregorio X viene incoronato papa il 1 settembre 1271, e succede alla morte di papa Clemente IV, avvenuta 19 mesi prima, il 29 novembre 1268. Per questa elezione i cardinali si erano riuniti a Viterbo, presso il palazzo papale, ma per interessi politici e influenze e interferenze esterne, non riuscivano a trovare un accordo. Fu così che, secondo la tradizione , la città di Viterbo in un certo senso insorse, mise letteralmente sotto chiave i cardinali, chiudendoli nel palazzo, li mise a pane e acqua, (soprattutto tolse loro il vino), e scoperchiò il tetto. La pressione cui furono sottoposti fu tale che, in pochi giorni riuscirono ad eleggere il nuovo pontefice.

Questo racconto ci è arrivato attraverso varie fonti, attribuisce l’iniziativa a diversi individui, ciò che è certo è che nel 1274, tre anni dopo la propria traumatica elezione, Gregorio X convocò il secondo concilio di Lione, e il 16 luglio 1274 venne promulgata la costituzione apostolica Ubi Periculum, con cui si introduce e istituisce il Conclave, dal latino “cum clave” che deriva appunto dalla locuzione “clausura cum clave“.

Papa Formoso: il pontefice “cadaverico” | CM

Inizi della carriera ecclesiastica

Nato a Roma in pieno Alto Medioevo, all’incirca nell’anno 816, da padre Leone e madre sconosciuta, Formoso intraprese fin da subito una formazione strettamente legata al mondo ecclesiastico nel luogo dove nacque e visse per tutta la sua vita. Sappiamo con certezza, grazie all’attestazione di vari documenti, che intorno all’846 fu canonico regolare, e più precisamente venne consacrato vescovo di Porto dal pontefice del tempo, Niccolò I Magno, per poi ricevere la nomina cardinalizia. Il suo stile di vita intransigente e rigoroso gli garantì fin dai primi anni della sua carriera ecclesiastica l’approvazione sia di Niccolò I che di Adriano II, suo successore nella carica pontificia. Era inoltre una figura ammirata e di spicco nel mondo ecclesiastico per le sue numerose doti intellettuali; essendo infatti un grande studioso conosceva sia il greco che il latino.

Noto anche per le sue numerose missioni diplomatiche, Formoso viene ricordato soprattutto per aver persuaso Carlo il Calvo a farsi incoronare sovrano di Francia dal papa tra l’869 e l’872; inoltre il re Boris I fu talmente soddisfatto dell’intervento ecclesiastico di Formoso in Bulgaria tra l’866 e l’867 da richiedere a ben due papi, Niccolò I e Adriano II poi, di nominarlo arcivescovo metropolita della Bulgaria, cosa che entrambi i papi non poterono fare essendo proibito il trasferimento di un vescovo in una sede diversa dalla propria. Tale negazione da parte dei pontefici inasprì notevolmente i rapporti apostolici con la Chiesa bulgara, spingendo Boris I a riportarla sotto l’autorità del Patriarca di Costantinopoli, com’era in passato, distruggendo così tutto l’impegno e il duro lavoro di Formoso per riavvicinare la Chiesa bulgara a quella romana.

Il pontificato

Già parecchi anni prima la sua elezione pontificia ufficiale, Formoso era stato candidato per il soglio pontificio al seguito della morte di Adriano II nell’872; sebbene i suoi sostenitori fossero molteplici, si preferì però optare per l’arcidiacono Giovanni VIII, uno dei massimi esponenti della corrente “filo-francese” e dunque favorevole ai Carolingi occidentali (tra cui Carlo il Calvo e Carlo il Grosso). Formoso rappresentava invece l’opposizione, ovvero il partito “filo-germanico” (a favore dei Carolingi orientali), che gli costò l’accusa di congiura contro lo Stato costringendolo alla fuga da Roma con alcuni sostenitori nell’876. Tuttavia poco dopo Giovanni convocò un concilio nel Pantheon, obbligando Formoso al ritorno nella capitale con la minaccia di scomunica, che fu attuata solo più avanti in un secondo concilio contro di lui e contro tutti coloro che erano con lui. Fu solamente grazie al successore di Giovanni, Marino I, pontefice dall’animo pacificatore e anch’egli “filo-germanico”, che la scomunica venne sciolta a Formoso e a tutti i membri accusati con lui della congiura. Gli venne inoltre riconfermata anche la carica di vescovo di Porto nell’883.

Alla morte del suo predecessore papa Stefano V, protagonista del forte disagio politico che si generò a causa della deposizione di Carlo il Grosso aprendo così la strada al dominio delle grandi famiglie patrizie su Roma, avvenuta nell’891 per cause naturali, poco tempo dopo (precisamente il 6 Ottobre) Formoso venne eletto come 111° papa della Chiesa di Roma all’unanimità del clero. A favorire tale elezione non partecipò solo la clemenza di Marino I, ma anche la fede “filo-germanica” dei suoi subitanei successori, Adriano III e Stefano V. Ciononostante il sostegno non venne solo dalla fazione ecclesiastica; anche Arnolfo di Carinzia, sovrano della parte orientale dei franchi (germanica), e il suo protetto Berengario, marchese del Friuli, appoggiavano Formoso ed erano anche in ottimi rapporti epistolari con lui.

Tuttavia stiamo parlando di un’epoca molto travagliata, in cui l’elezione papale non rappresentava esclusivamente un “rituale” tra cardinali, bensì andava a incarnare una vera e propria battaglia per la spartizione del territorio della Chiesa nello Stato Vaticano. Pertanto tutti coloro che avevano l’appoggio del papa, che stava ormai acquisendo e consolidando con costanza l’universalità dei suoi poteri su tutti i sovrani d’Europa grazie a un lungo e graduale processo (che durerà ancora secoli), potevano contare sull’enorme sostegno morale e spirituale dalla parte ecclesiastica, oltre che su un grande appoggio bellico e politico insieme a una consistente forza di persuasione che egli poteva esercitare su tutti i propri nemici. Tutto questo era possibile solo grazie all’immenso potere che il pontefice stava consolidando mediante un capillare sistema di tassazione, concessioni imperiali, privilegi e diritti territoriali su cui rivendicava un’autorità indiscussa.

La precaria situazione italiana

Fu proprio all’interno degli eventi burrascosi di questo tumultuoso periodo storico che rimase coinvolto anche lo stesso papa Formoso. L’Impero era infatti “spaccato” tra i “filo-germanici” e i “filo-francesi”, e questi ultimi, nonostante fossero stati messi in disparte grazie alla maggioranza “filo-germanica” che sosteneva il pontefice, non avevano intenzione di arrendersi tollerando la fazione vincitrice al potere. Tuttavia le condizioni della Chiesa di Roma erano assai precarie e instabili, poiché per la lontananza dal territorio romano del sovrano Arnolfo e del suo protetto Berengario (che si trovavano in Germania), massimi sostenitori del papa, Formoso fu costretto ad affidare tutta la sua sicurezza esclusivamente nelle mani del duca di Spoleto. La situazione degenerò quando, all’incirca nell’893, il pontefice si ritrovò costretto a rinnovare l’incoronazione imperiale di Guido II di Spoleto. Tale evento fu drammatico per i territori della Chiesa poiché Guido, ormai possessore assoluto del potere imperiale, sfruttava la sua autorità in modo eccessivo, razziando e saccheggiando impunito i territori ecclesiastici.

File:Spoleto-Stemma.png - Wikipedia

Roma era così caduta in un quadro d’incertezza, e la guerra civile era inevitabilmente alle porte poiché tali disordini non sarebbero stati tollerati ancora a lungo. Formoso, costretto a ricorrere a misure estreme pur d’intervenire, verso la fine dell’893 mandò dei messaggeri alla corte di Arnolfo supplicandolo, in quanto solo e unico imperatore legittimo, di liberare l’Italia dai cosiddetti “cattivi cristiani” che la stavano distruggendo. Neanche un anno dopo, all’inizio dell’894, Arnolfo varcò le Alpi e, sebbene sembrasse pronto per un attacco diretto contro gli spoletini, la sua fu solo una grande “entrata in scena” (una sorte di “azione dimostrativa”) per guadagnarsi il rispettoso e sottomesso omaggio dei principi dell’Italia centro-settentrionale. Convinto che tutto ciò potesse essere sufficiente a sedare le rivolte, Arnolfo fece allora ritorno in patria, lasciando così che Guido tornasse a compiere tutte le ingiustizie che aveva cominciato.

Tuttavia, verso la fine dell’anno 894, Guido morì colpito da un malessere improvviso, lasciando il figlio Lamberto II solo con la madre Ageltrude, acerrima nemica della fazione “filo-germanica”. Ovviamente Lamberto reclamò subito la corona imperiale del padre, e volle essere incoronato imperatore a Roma con i massimi onori. Nonostante i numerosi tentativi di papa Formoso per prendere più tempo possibile ed evitare così l’inevitabile evento, alla fine si ritrovò costretto dalle circostanze e procedette all’incoronazione. Pochi mesi dopo però, nell’895, Arnolfo varcò nuovamente le Alpi, questa volta deciso a riprendersi il suo legittimo titolo di re d’Italia, spingendo così gli spoletini a giurare odio eterno al papa per il suo tradimento, e incarcerandolo a Castel Sant’Angelo dopo aver strategicamente aizzato la plebe romana contro il pontefice.

In un insostenibile clima di rivolta Lamberto si barricò a Spoleto pronto a combattere, nell’attesa dell’imminente arrivo di Arnolfo, mentre la madre Ageltrude continuava a fomentare il popolo e soprattutto gli spoletini verso la rivolta ormai prossima. Ella si ritrovò però costretta alla resa, poiché le truppe di Arnolfo ebbero la meglio, e dovette tornare a Spoleto per nascondersi. Papa Formoso venne così liberato grazie ad Arnolfo, che iniziò subito una decisa marcia verso Spoleto, pronto ad affrontare Lamberto e la madre nello scontro decisivo. Tuttavia il suo viaggio fu breve; Arnolfo, poco dopo essere stato incoronato nuovamente imperatore da Formoso, venne colpito da una grave paralisi che lo costrinse a un rapido ritorno in Germania, dove morì poco dopo (nell’899) lasciando “campo libero” al suo avversario Lamberto per solo un anno, quando anch’egli morì improvvisamente rompendosi il collo per una brutta caduta da cavallo durante una battuta di caccia.

La morte e il “sinodo del cadavere”

Formoso, ormai ultraottantenne, morì pochi anni prima della fine di tali eventi bellici che colpirono l’Italia in quel periodo, il 4 Aprile dell’896. Appare dunque quasi scontato affermare che la morte lo salvò dalle altrimenti inevitabili rappresaglie dei suoi avversari. Non sappiamo però se si tratti di una morte naturale, probabilmente dovuta all’età avanzata, o di un avvelenamento premeditato da parte dei suoi numerosi nemici. Venne infine sepolto nel recinto del Vaticano, dove vi rimase per neanche un anno (solamente 9 mesi) prima che venisse riesumato e sottoposto a un duro processo post-mortem.

Quello che accadde dopo al cadavere di papa Formoso ha dell’incredibile; circa un anno dopo la sua morte, nell’897, la casata spoletina, che continuava a fomentare un fortissimo odio verso il pontefice per essere stata rinnegata dal papa e per aver chiamato in Italia un sovrano straniero con tutto il suo esercito al seguito, impose al nuovo pontefice da loro eletto, Stefano VI (ovviamente non “filo-germanico”), di istituire un elaborato processo post-mortem verso Formoso, affinché tutti i membri ecclesiastici romani lo condannassero come unico traditore della patria. Tale processo prenderà il nome di “sinodo del cadavere” o “concilio cadaverico”.

Il processo al Papa morto, la macabra storia di Formoso | Roma.Com

Pertanto il cadavere di Formoso venne riesumato dalla sua tomba in Vaticano, vestito e adornato con tutti i tipici ornamenti pontifici e posto sul regale trono papale nella Basilica Lateranense. Il processo poi si svolse come si sarebbe svolto un qualsiasi processo dell’epoca, e vennero mosse varie accuse contro l’ormai defunto pontefice, il quale avrebbe dovuto rispondere all’attuale papa Stefano che svolgeva il ruolo di accusatore. In difesa di Formoso venne anche posto un diacono, assai spaventato dall’occasione e con una funzione inutile all’interno del processo ormai già prestabilito. Non potendo ovviamente Formoso rispondere alle accuse, alcune delle quali risalivano addirittura a quelle mosse anni e anni prima da Giovanni VIII, tale processo si rivelò essere più un “macabro teatrino” che un concreto atto giudiziario. Il verdetto finale stabilì infine che il defunto papa fosse stato indegno di rivestire la carica pontificia, e pertanto venne deposto secondo l’usanza ufficiale che si sarebbe usata per qualcuno in vita; inoltre, tutto ciò che aveva legiferato in vita e tutti i suoi atti ed emendamenti furono dichiarati nulli e invalidi.

“Perché, uomo ambizioso, hai tu usurpato la cattedra apostolica di Roma, tu che eri già vescovo di Porto?”

Stefano V al cadavere di papa Formoso durante il “concilio cadaverico”

L’unicità di Formoso

Il cadavere non venne mai riseppellito, gli vennero strappati di dosso tutti i paramenti tipici, gli furono recise le tre dita che usava per compiere le benedizioni e tra le grida generali di una folla in preda al puro delirio, il cadavere venne gettato nel Tevere, dove vi rimase per circa tre giorni prima di arenarsi nei pressi di Ostia, dove fu trovato da un monaco e nascosto fino a quando Stefano VI fu vivo e in carica. Venne poi riconsegnato al nuovo pontefice, Romano, verso la fine dell’897, e posto tra le tombe degli apostoli con l’accompagnamento di una grande e solenne cerimonia in suo onore. Il processo contro di lui venne infine annullato e tutte le decisioni prese da Formoso in vita vennero nuovamente poste in vigore.

Quello di Formoso è un caso unico in tutta la storia medievale e, sebbene si volle applicare lo stesso trattamento anche al cadavere di papa Bonifacio VIII, a causa della sua pessima condotta, il suo resta il solo e unico evento documentato di un vero e proprio “concilio cadaverico”. Nonostante la validità del processo sia ovviamente da classificarsi come nulla, esso ebbe comunque un grande impatto sugli eventi dell’epoca, soprattutto per coloro che scelsero di compierlo e organizzarlo. Le reazioni verso tale episodio furono comunque assai contrastanti, poiché se da una parte molti erano a favore proclamando un forte odio verso Formoso, un’altra buona parte provò un grande orrore nei confronti di questa lugubre esecuzione. In conclusione, possiamo dunque dire che questo fu un “processo horror” in pieno Alto Medioevo, e una vera e propria vendetta compiuta in Vaticano.

Il vaticano dice che il DDL Zan Viola il concordato, ma la sua richiesta viola Costituzione e diritto Internazionale

Per il vaticano il DDL ZAN viola il concordato richiedendo di conseguenza all’Italia di modificare la legge affinché si rispettino i termini del concordato del 1984. Il problema è che questa richiesta viola la costituzione italiana ed diritto internazionale, configurandosi de facto come una richiesta illegittima, ed un interferenza nella politica interna di un paese estero, cosa che, non serve lo dica, è illegittima e costituisce uno dei pochissimi “causus belli” legittimi, de facto l’Italia, di fronte a queste interferenze potrebbe decidere di dichiarare guerra al vaticano, cosa che non può fare per via dell’articolo 11 della costituzione, ma questa è un altra storia.

Torniamo al DDL Zan e al concordato e cerchiamo di capire quanto c’è di legittimo e di illegittimo nelle rivendicazioni dello stato del Vaticano.

Due parole sul concordato.

Correva l’anno 1984, il mondo assisteva allo spot diretto da Ridley Scott per la presentazione del nuovo Macintosh, e intanto, in Italia, il presidente del consiglio italiano, Bettino Craxi ed il segretario di stato del Vaticano, Agostino Casaroli, firmavano l’accordo per la variazione del concordato che regolamentava i rapporti religiosi tra Italia e chiesa cattolica.

La variazione dell’84 è una delle più grandi variazioni di quel trattato, realizzato originariamente tra l’Italia fascista e l’Impero pontificio, nel lontano 1929, dal duce Benito Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri.

Questa modifica serviva a sanare una frattura tra l’Italia repubblicana e lo stato vaticano, relativo al ruolo della religione cristiana che, secondo i patti lateranensi, doveva essere in Italia “religione di stato”, ma, la repubblica Italiana, agli articoli 3, 19 e 20, stabilisce che la repubblica non può e non deve avere una “religione di stato”.

Più precisamente l’articolo 19 dichiara che

“tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume [cfr. artt.8, 20]”,

mentre l’articolo 20 dichiara che

“il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività [cfr. artt. 8, 19]”.

Il vaticano chiede di modificare la legge Zan per rispettare il concordato. Può farlo?

Di recente, lo stato Vaticano, ha puntato il dito contro il DDL Zan, asserendo che questi violasse il concordato, chiedendo, pertanto, di modificare la legge.

C’è però un problema in questa richiesta, in realtà più di uno.

Il primo problema è di carattere giuridico, si tratta di un interferenza straniera nella produzione normativa di un paese, questo, per il diritto internazionale, è illegale e per assurdo, costituisce un “causus belli” legittimo, certo, l’Italia non dichiarerà guerra al vaticano, ci mancherebbe, anche perché l’articolo 11 della costituzione lo impedisce, ma comunque, ciò non toglie che la richiesta del vaticano sia quantomeno illegittima.

Il secondo problema, ed è quello più importante, la richiesta del vaticano si scontra direttamente con l’articolo 20 della costituzione.

Articolo che ripetiamo, stabilisce che nessuna “religione o culto” possa esercitare limitazioni legislative.

In altri termini, modificare una legge, per assecondare una religione, e, il concordato riguarda i rapporti tra l’Italia e la religione cattolica, è incostituzionale.

La richiesta del vaticano dunque, arriva come una richiesta “religiosa” e dunque priva di valore sul piano normativo, o come la richiesta di uno stato estero, e dunque illegale sul piano del diritto internazionale?

E, a proposito di diritto internazionale, l’articolo 55 dello statuto dell’ONU, massimo ente di diritto internazionale, di cui l’Italia fa parte e il vaticano ne riconosce l’autorità giuridica, pur non essendo membro, ma semplice osservatore permanente, dichiara che

“Al fine di creare le condizioni di stabilità e di benessere che sono necessarie per avere rapporti pacifici ed amichevoli fra le nazioni, basate sul rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti o dell autodecisione dei popoli, le Nazioni Unite promuoveranno:
a. un più elevato tenore di vita, il pieno impiego della manodopera, e condizioni di progresso e di sviluppo economico e sociale; 
b. la soluzione dei problemi internazionali economici, sociali, sanitari e simili, e la collaborazione internazionale culturale ed educativa;
c. il rispetto e l’osservanza universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione.”

Più semplicemente l’articolo 55 dello statuto dell’ONU dice che, in caso di tensioni tra stati, bisogna puntare ad una risoluzione facendo valere valere i “diritti dell’uomo e le libertà fondamentali”, in altri ciò significa che, se ci sono tensioni di carattere giuridico, tra due stati, quali possono essere in questo caso l’Italia e il Vaticano, la risoluzione al problema va ricercata nel rispetto delle libertà e dei diritti e, siccome il ddl zan promuove la tutela dei diritti e persegue chi viola quei diritti fondamentali, e il vaticano si oppone a questa legge, l’ONU, de facto, autorizza giuridicamente l’Italia a procedere con la produzione della legge ZAN, indipendentemente da ciò che è scritto nei concordati e, se questo dovesse essere un problema per il Vaticano, l’Italia ha, grazie allo statuto dell’ONU e alla propria costituzione, il diritto, oserei dire, il dovere, di stracciare il concordato, mettendo così fine ai finanziamenti e agli sgravi fiscali dell’Italia al Vaticano e alla chiesa cattolica.