La teoria che Mussolini ridusse il debito pubblico italiano è infondata; in realtà, il debito crebbe e l’Italia pagò un prezzo alto per presunti “tagli”.
Periodicamente torna a circolare su diversi quotidiani e social la storia per cui Benito Mussolini sarebbe stato l’unico uomo ad aver tagliato il debito pubblico italiano. Questa stravagante teoria non è nuova, ed emerge spesso negli ambienti di un certo orientamento politico, vicino agli ideali di Mussolini e del Fascismo, ma corrisponde alla verità o si tratta solo di Propaganda?
Come ogni questione storica, la risposta purtroppo non è semplice, e liquidare il tutto ad una frase non è semplice, ma, al di la della complessità della vicenda, una cosa è certa, dire che Mussolini tagliò il debito italiano è falso, ma andiamo con ordine.
Il contesto economico pre-fascista: L’eredità della Grande Guerra.
Prima dell’ascesa al potere di Mussolini e l’avvento del fascismo, l’italia si trovò ad affrontare diversi e gravi problemi di natura economica, elemento che accompagnò tutti i paesi europei impegnati nella grande guerra.
Per riavviare il paese, riconvertire il sistema produttivo e rilanciare l’economia, l’italia fece ricorso all’emissione di moneta e a molteplici interventi da parte di Banca d’Italia per “salvare” le aziende in difficoltà. La nuova moneta immessa sul mercato era solo in parte coperta dall’emissione di titoli di stato e di conseguenza la moneta italiana andò in contro ad una forte svalutazione.
L’alta inflazione che ne derivò andò a colpire soprattutto le fasce più povere della popolazione, principalmente lavoratori dipendenti che, allo svalutarsi della moneta ed il conseguente incremento dei prezzi, non videro corrispondere un aumento dei salari.
In questo clima economico, fortemente sfavorevole e di grande tensione si verificarono gli avvenimenti del famoso biennio rosso (1919-1920) che causarono gravi disordini in tutto il paese e spinsero molti lavoratori impoveriti a sostenere il Fascismo poiché, neanche Giovanni Giolitti, che in passato era stato protagonista di una stagione splendente per l’economia italiana, riuscì a risolvere la crisi e sanare il debito crescente.
Questa fu la situazione che spianò la strada alla prese di potere da Quando nell’ottobre del 1922 Vittorio Emanuele III affidò il governo a Mussolini, l’italia si trovava in una situazione stagnante, con un enorme debito crescente alimentato da una moneta molto debole ed un enorme spesa statale.
Questa lunga premessa può sembrare noiosa, ma è fondamentale per capire esattamente se Mussolini riuscì a tagliare realmente il debito, se non lo ridusse ma riuscì comunque a contenerlo o se invece provocò un incremento del debito pubblico italiano.
La politica economica fascista: Ruolo di Mussolini e gestione De’ Stefani (1922-1925).
A questo punto bisogna aprire una breve parentesi sull’orientamento economico del regime, la politica economica fascista, detta della terza via, si colloca in un limbo, una zona grigia intermedia che derivavano dall’orientamento dei vari ministri delle finanze, dall’ideologia fascista e da varie contingenze nazionali e internazionali. E a tal proposito è importante ricordare che, se bene Accentrò nelle proprie mani numerosi ministeri ed esercitò grande influenza e pressioni sui ministeri che non erano di sua competenza, Mussolini non fu mai ministro delle Finanze, del Commercio e del Tesoro.
Mussolini fu ministro dell’Areonautica, degli Esteri dell’Africa italiana, delle Colonie, delle Corporazioni, della Guerra, dei Lavori Publici e della Marina, ma nessuno di questi ministeri era in grado di intervenire direttamente sul debito, e anzi, i suoi ministeri erano quelli che assorbirono maggiori risorse economiche, giocando de facto un ruolo attivo nell’incremento e non nella riduzione della spesa, ma andiamo con ordine.
Sul piano puramente linguistico possiamo dire con assoluta certezza che Mussolini, attraverso i suoi ministeri, non fece nulla per ridurre il debito, resta però da capire se invece il governo fascista, nel suo complesso, riuscì in qualche modo a ridurre il debito o comunque a contenere la spesa limitando l’aumento del debito.
Tra il 1922 ed il 1925, il ministero delle finanze e del tesoro fu affidato ad Alberto De’ Stefani che attuò una politica di grandi tagli alla spesa pubblica, e cercò di incrementare le entrate, con l’intento di rimettere in ordine il bilancio dello stato. Una politica comune in situazioni di questo tipo, da Agostino Magliani(ministro delle finanze agli albori della prima crisi economica del regno d’italia nell’ultimo quarto dell’ottocento) a Mario Monti.
Per quanto riguarda la riconfigurazione delle entrate, De’ Stefani non intervenne aumentando le tasse come spesso avviene, ma al contrario, osservando che una fetta enorme della popolazione era esclusa dalla partecipazione contributiva, fece in modo di allargare la base, tassando quelle fasce sociali fino a quel momento escluse, e allo stesso tempo, ridusse le aliquote per categorie sociali ritenute più inclini all’investimento.
Detto più semplicemente, tassò le fasce più povere della popolazione, fino a quel momento esonerati e ridusse le tasse all’alta e media borghesia, producendo così un incremento delle entrate dovuto al maggior numero di contribuenti.
L’intento di De’ Stefani era quello di rilanciare l’iniziativa privata e ridurre le spese dello stato, spese che, in quel momento, erano rappresentate soprattutto dai salari di dipendenti pubblici, e di conseguenza il taglio della spesa si configurò come un taglio netto nel personale dei settori “improduttivi” dello stato, licenziamento di circa 65.000 impiegati pubblici e circa 27.000 ferrovieri e favorendo l’ingresso dei privati in alcuni settori, fino a quel momento sotto il controllo dello stato, come il settore assicurativo, ferroviario e telefonico.
In termini numerici gli interventi di De’ Stefani furono positivi e il bilancio, almeno quello statale, fu riportato in pari, mentre quello degli enti locali non fu mai parificato durante tutto il ventennio. In ogni caso, questi interventi favorirono una leggera ripresa e innescarono un lieve processo di crescita per il paese che però non risolse il problema monetario, la lira valeva sempre meno e anche se, in termini numerici il debito cresceva più lentamente, il minor valore della lira, rendeva più difficile un suo risanamento.
Fin dai tempi dalla grande guerra la Banca d’Italia si era impegnata nel sostegno delle imprese e banche immobilizzate dalla riconversione e questo impegno continuò durante i primi anni del fascismo, producendo tra il 1922 e il 1925 un incremento di liquidità che portò ad un ulteriore ondata inflazionistica, alimentata da un peggioramento della bilancia dei pagamenti. Nel 1925 De’ Stefani promosse alcuni provvedimenti che però si rivelarono insufficienti e portarono ad un tracollo della borsa italiana e al fallimento di numerose aziende italiane.
La gestione Volpi (1925-1928) e la ristrutturazione del debito estero.
Gli industriali rappresentavano lo zoccolo duro del fascismo ed avevano molta influenza sulle azioni del governo, così, per non perdere il loro consenso, Mussolini sostituì il ministro delle finanze, assegnando l’incarico a Giuseppe Volpi.
Volpi rimase in carica dal 1925 al 1928 e durante il suo mandato giocò un ruolo decisivo per le sorti economiche e di bilancio dell’Italia.
Sul piano internazionale il 1924, con il piano Dawes aveva visto la fine alla questione delle riparazioni tedesche e si stava valutando un ritorno delle nazioni al gold standard per stabilizzare le monete, idea nata in seno al trattato di Versailles.
Nonostante questo però, la forte svalutazione della lira, il peggioramento della bilancia commerciale e numerosi altri fattori speculativi, non resero semplice il lavoro di Volpi e come se non fosse abbastanza, il fallimento del rinnovo dei BOT venticinquennali nel 1924, dovuto alla grande richiesta di liquidità di banche e privati, impedì all’Italia di emettere nuovi titoli di stato.
Nel 1925 il bilancio interno ufficialmente era in pari, ma nei fatti non lo era, nel bilancio infatti non erano stati conteggiati i titoli di stato da ripagare e l’italia, fortemente indebitata, non era in grado di ripagare i propri debiti.
Volpi decise quindi di agire in sintonia con la Banca d’Italia che sostenne il cambio, riuscendo a raggiungere un accordo con gli in investitori americani più favorevole in termini assoluti, ma va precisato gli investitori americani raggiunsero accordi simili in tutta europa e tra i tanti, l’accordo italiano fu quello “meno morbido“, il merito di Volpi non fu quindi quello di aver trovato un accordo favorevole, come spesso si dice, ma fu quello di aver trovato un accordo.
Sul finire del 1925 gli il governo statunitense accordò all’Italia un prestito, noto come Prestito Morgan, il cui intento era quello di risollevare la lira, di fatto acquistando parte del debito pubblico italiano. Sulla stessa linea nel gennaio del 1926 l’italia trovò un accordo simile con il regno unito. Secondo questo accordo l’italia cedette al regno unito la propria quota di riparazioni tedesche, gestite della Cassa autonoma di ammortamento dei debiti di guerra, costituita il 3 marzo 1926.
Analisi critica del “taglio”: Un pareggio di bilancio pagato a caro prezzo.
Grazie a questo accordo l’italia riuscì a ripagare parte dei propri debiti esteri, rinunciando al flusso costante di ripartizioni di guerra tedesche.
A questo punto, in termini numerici l’italia era ufficialmente in pari con il bilancio, ma questo pareggio come detto, va contestualizzato e il contesto è quello di un paese che ha dovuto ricorrere letteralmente al baratto.
L’italia ha “cancellato” il proprio debito consegnando ai propri creditori tutto quello che aveva, l’italia ripaga i propri creditori cedendo titoli esteri acquistati dal tesoro in precedenza e rinunciando alle proprie riparazioni di guerra, dal valore di diversi milioni di marchi pagati in oro ogni anno, pagamenti che la Germania avrebbe interrotto qualche anno più tardi con una decisione unilaterale in seguito all’avvento del Nazismo e di Hitler, e che avrebbe ricominciato a pagare nel secondo dopoguerra.
Il Trattato di Versailes aveva imposto alla Germania il pagamento di 132 miliardi di marchi oro, e parte di quell’oro sarebbe andato all’Italia, e anche se rateizzato, la quota italiana delle riparazioni di guerra aveva un ammontare complessivo enormemente superiore al proprio debito.
Conclusione: La smentita storica dell’affermazione sul risanamento del debito.
In conclusione, se è vero che sul piano linguistico è falso dire che Mussolini tagliò il debito, ma nei fatti questo taglio è riconducibile a Mussolini, allo stesso tempo, è vero dire che il fascismo tagliò il debito, ma nei fatti, questo taglio è costato all’Italia miliardi in oro, avrebbe contribuito ad alimentare una progressiva e crescente svalutazione monetaria e produsse, parallelamente alla cancellazione del debito, l’impossibilità per l’italia di ottenere nuovi prestiti e finanziamenti, trascinando il paese verso un progressivo impoverimento generale che non sarebbe stato possibile disinnescare se non fosse stato per gli aiuti postbellici, ricevuti dopo la seconda guerra mondiale.
Dire quindi che Mussolini e il fascismo hanno “sanato il debito pubblico italiano” è la cosa più falsa che si possa dire.
Dopo mesi di trepidante attesa, sembra che dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, si stia per compiere un primo passo per riconoscere il merito degli Idonei degli ultimi concorsi. Secondo quanto riportato da Orizzonte Scuola, il governo sarebbe prossimo ad approvare il nuovo Decreto Legge sulla scuola (DL Scuola), con cui verrebbero introdotte nuove misure urgenti per risolvere una delle grandi criticità lasciate aperte dai concorsi PNRR, ovvero la condizione degli Idonei, coloro che hanno superato entrambe le prove del concorso, ma che non sono rientrati tra i vincitori.
Diversi sindacati da tempo, tra cui Anief, sono impegnati in battaglie anche legali per richiedere a gran voce la produzione di una graduatori degli idonei per le immissioni in ruolo, come accaduto già per i concorsi precedenti e finalmente sembra che la loro voce sia stata in parte ascoltata e il problema riconosciuto.
Si tratta di un primo passo e non una vera e propria risoluzione per la stabilizzazione di migliaia di insegnanti, e i sindacati rimarcano la necessità ulteriori interventi più incisivi, affinché venga garantita equità nel sistema e nei processi di selezione degli insegnanti.
Equità che è venuta a mancare tra 2021 e 2022 quando i 24 CFU per l’insegnamento sono stati sostituiti dai 60CFU i cui percorsi sono molto più costosi e a numero chiuso, e a poco è servita la fase transitoria, predisposta dal governo Draghi, affinché i titolari dei 24 CFU potessero ottenere nel biennio successivo l’abilitazione, poiché in due anni, è stato abilitato un unico turno di percorsi integrativi da 36 CFU, riservato esclusivamente ai vincitori del PNRR1, mentre gli idonei si sono ritrovati nella condizione di doversi iscrivere ai più costosi percorsi da 60CFU , pagando una preiscrizione che a seconda delle Università oscilla tra i 100 ed i 150€ senza garanzia di ammissione. E sono migliaia gli aspiranti docenti che nel 2024/2025 hanno letteralmente buttato via più di 100€ perché non rientrati nei posti disponibili.
Oltre al danno anche la beffa, è il caso di dirlo, perché da gennaio 2025, non sarà più possibile partecipare ai concorsi senza i 60CFU, ma verranno erogati percorsi abilitanti a numero chiuso in numero pari o comunque leggermente superiore ai posti disponibili, in altri termini, il ministero autorizzerà, per ogni classe di concorso X percorsi abilitanti, che permetteranno ad X abilitati di partecipare al un concorso nel quale ci saranno X posti a bando. Va da se che la vera selezione non è fatta tramite il concorso, ma tramite le università che erogano i percorsi abilitanti. E questo significa che laureati di vecchia data, in possesso dei 24 CFU, potrebbero non essere mai abilitati, poiché, i 24 CFU non conferiscono alcun punteggio aggiuntivo, e a parità di punteggi, si darà precedenza al candidato anagraficamente più giovane. Significa che un neolaureato con 110 e lode, ha più probabilità di essere abilitato di un laureato di 10 anni fa che non ha ottenuto la lode, ma non è tutto, perché in realtà il punteggio può essere gonfiato, basta solo avere la disponibilità economica per poter spendere migliaia di euro. In tutto questo il merito è un puro miraggio.
Tornando agli idonei esclusi, questi non hanno alcun riconoscimento, significa che, pur avendo totalizzato lo stesso punteggio complessivo dell’ultimo vincitore e risultati non vincitori per ragioni anagrafiche, non solo sono stati esclusi dall’immissione in ruolo, in fondo non erano vincitori, ma non hanno avuto neanche la possibilità di essere abilitati, rimanendo così relegati nella seconda fascia delle GPS, mentre altri colleghi, semplicemente più giovani o con più disponibilta economiche, hanno avuto la possibilità di abilitarsi, passare in prima fascia e assicurarsi delle supplenze a lungo termine.
Ora però, forse, le cose potrebbero iniziare a cambiare e sembra che il ministero stia per compiere un primo passo per permettere a questi aspiranti docenti di uscire da quell’inferno burocratico che da 2 anni gli sta consumando l’anima e prosciugando il conto in banca.
Cosa introdurrà il nuovo DL Scuola
Secondo quanto riportato da Orizzonte Scuola, il nuovo DL dovrebbe introdurre almeno due importanti novità per gli Idonei dei concorsi PNRR1 e PNRR2 , la prima è il Recupero degli idonei non utilizzati, in altri termini gli Uffici Scolastici Regionali dovranno convocare, per l’anno 2023/2024 gli idonei esclusi per coprire i posti rimasti vacanti dopo le operazioni di assunzione ordinarie. Non è chiaro però se gli idonei avranno priorità o meno rispetto alla Prima Fascia di GPS.
Dovranno inoltre essere Stabilizzati dei docenti con riserva, ciò significa che in teoria verranno riconosciuti i diritti dei docenti con “riserva” (ad esempio, coloro che hanno vinto ricorsi o hanno titoli specifici), garantendo loro priorità nelle assunzioni.
La posizione di Anief
In merito a questa notizia si è espresso anche il sindacato Anief accoglie attraverso il presidente Marcello Pacifico, che si è detto ottimista nei confronti del decreto, definendolo “un primo passo necessario”. Tuttavia, il presidente ha anche sottolineato che le misure anticipate sono insufficienti “Il decreto risolve solo una parte del problema. Servono interventi strutturali per evitare che ogni anno migliaia di docenti competenti restino esclusi a causa di norme ambigue o di posti che il Ministero non assegna”. Anief precisa anche che resta ancora irrisolto il problema della trasparenza nelle graduatorie.
Implicazioni per i docenti
Per i docenti con riserva o idonei, il decreto potrebbe rappresentare un’opportunità concreta per ottenere un contratto stabile. Tuttavia, restano dubbi sull’applicazione pratica poiché alcune scuole, potrebbero non avere posti disponibili dopo le prime fasi di assunzione, limitando l’efficacia della norma, ma, anche se limitata, rimane comunque un primo importante passo in avanti.
Le novità di questo decreto offrono agli idonei del PNRR2 (ancora in corso di svolgimento), un importante opportunità, poiché, a differenza del PNRR1, gli idonei del PNRR2, saranno pochi, in quanto hanno accesso alla prova orale solo un numero estremamente limitato di docenti, ovvero il triplo dei posti a bando più tutti coloro che hanno ottenuto un punteggio pari all’ultimo degli ammessi, significa che per una classe di concorso come la A19, per la quale in Campania si sono solo 3 posti a bando, avranno accesso all’orale poco più di 9 candidati e questo significa poco più di 9 idonei, a differenza del PNRR1 che ha visto, nella stessa regione, per la stessa classe di concorso, oltre 300 idonei.
Benito Mussolini, il Duce, o meglio, il Duce del fascismo, perché in realtà questo titolo che rievoca la tradizione romana, non arriva a Mussolini direttamente da Roma, ma lo eredita, in un certo senso, dalla sua precedente esperienza socialista.
Politicamente Mussolini nasce socialista, e la sua visione del mondo, le sue battaglie, le sue idee, sono frutto di una progressiva evoluzione, contaminazione e radicalizzazione, di quel socialismo riformista, belligerante e nazionalista, di cui fu fomentatore e prodotto e che in alcune occasioni gli valse il titolo di duce. Titolo ereditò e mantenne anche durante l’esperienza fascista.
In questo articolo non mi interessa l’uomo o il fascista, in questo articolo parleremo di un duce che divenne il duce.
Il termine “duce” tra etimologia
Incontriamo la prima volta la parola Duce, nel lessico politico italiano, nel XIX secolo, nel contesto del dibattito politico interno al partito socialista italiano. Questo termine, come ben riporta la tradizione, deriva dal latino dux che letteralmente significa «capo» o «guida».
La parola dux è di uso comune in epoca romana, la troviamo in tantissimi documenti e monumenti, e generalmente indica comandanti militari o leader politici di alto rango, o più in generale, figure molto carismatiche. Viene ad esempio, utilizzato in alcuni contesti, per riferirsi a Giulio Cesare.
Tra il medioevo e l’età moderna, il termine mantiene un aura di prestigio, ma è usata sempre meno, è uno degli innumerevoli termini latini che si conoscono, ma sono usati molto raramente fino a sparire quasi del tutto dal lessico comune.
Il duce socialista
Nel XIX secolo tuttavia, la riscoperta del mondo classico ad una riscoperta del termine, che nel frattempo è mutato e a tratti frainteso, e diventa un termine abbastanza generico, e privo di prestigio, per indicare leader politici o militari. Per dirla tutta, nell’Europa sul finire del XIX secolo e inizio del XX secolo, il termine duce, non ha alcuna connotazioni ideologica o politica, indica semplicemente un ruolo, e sarà solo in Italia, tramite Mussolini, che il significato di questo termine muterà nuovamente, ma a questo arriveremo a breve.
Tornando all’Italia di fine ottocento, il movimento socialista italiano, utilizza occasionalmente il termine duce, quasi sempre in contesti informali, per descrivere figure carismatiche all’interno del Partito Socialista Italiano (PSI), questo utilizzo permane anche agli inizi del novecento e viene utilizzato anche per descrivere personaggi di spicco del partito come un giovane Benito Mussolini.
Mussolini è un socialista rivoluzionario, molto carismatico, e soprattutto molto informale nel suo modo d’essere. Mussolini è un “uomo nuovo” della politica, non viene da una grande famiglia e questo termine gli calza a pennello, soprattutto negli anni della militanza rivoluzionaria.
Come abbiamo detto, il termine duce all’epoca è un termine informale, e rimane circoscritto a contesti locali e correnti interne del partito. In sostanza, non rappresenta un titolo ufficiale e Mussolini è uno dei tanti Duce del partito socialista italiano, anzi, romagnolo.
Il duce del fascismo
La fuoriuscita di Mussolini dal PSI e la costituzione del fascismo nel 1919, sono due momenti importanti tanto per mussolini quanto per il termine Duce. Da questo momento in poi, Mussolini inizia a costruire la propria immagine di leader carismatico, e, sebbene il termine duce sia ancora usato dai socialisti, inizia ad essere usato anche dai primi fascisti, in riferimento proprio a Mussolini.
A partire dal 1923 per volontà di Mussolini, il termine duce smette di essere un termine generico e informale, senza colore politico e diventa un vero e proprio titolo. Mussolini non è più uno dei tanti duce socialisti o di altre forze politiche rivoluzionarie o reazionarie, Mussolini non è più il duce del fascismo, Mussolini è il Duce. Questo momento segna la trasformazione del termine in un titolo esclusivo e onnipresente, diventa un simbolo di quel culto della persona, ripreso successivamente da altri leader carismatici, da Stalin a Trump, che cercheranno, e in alcuni casi riusciranno ad emulare la trasformazione di Mussolini in un autentico “Nume Vivente”, per usare le parole di Emilio Gentile.
La trasformazione del termine avviene attraverso la propaganda, gli slogan e l’arte di regime. Il fascismo riuscì nell’impresa epocale di elevare il Duce ad un entità quasi metafisica, legittimata dalla retorica della “romanità” e della “rivoluzione fascista”.
Inutile dire che l’adozione ufficiale del titolo di Duce da parte di Benito Mussolini, in un contesto di enorme polarizzazione politica, portò al totale abbandono di tale termine nell’universo socialista italiano ed europeo, contribuendo a renderlo un titolo esclusivo del fascismo.
Dopo essersi vantato di essere tra i più forti giocatori al mondo di Diablo 4 e Path of Exilie 2, ed essere stato accusato di “barare” e utilizzare trucchi, dopo mesi di speculazioni, accuse, e qualche ban, alla fine Elon Musk lo ha ammesso, su Diablo e Path of exile 2, ha effettivamente “barato”, o meglio, ha ammesso di aver “pagato” qualcuno perché portasse ad alto livello il suo account, così da evitare al miliardario le fasi iniziali del gioco, che per qualcuno possono essere rilassanti, per altri tediose, permettendogli di giocare nelle fasi end game, con già tutto pronto.
Sintetizzo e semplifico al massimo questa parte, che se volete potete recuperare in questo ottimo articolo di Wired, perché di come Musk ha barato all’atto pratico, mi importa poco, ciò che invece per me è rilevante, ed è opportuno analizzare, è la giustificazione che ha dato, e il fatto stesso che il miliardario abbia fatto ricorso a “scorciatoie” non propriamente legittime, per avvantaggiarsi in quei giochi.
Musk ha barato a Diablo e POE 2?
Secondo quanto riportato da Wired, Musk avrebbe ammesso di aver utilizzato alcune pratiche scorrette per avanzare velocemente in titoli come Diablo IV e Path of Exile 2. Più precisamente, il miliardario sembra abbia fatto ricorso al cosiddetto “boosting”, una pratica in cui, giocatori vengono pagati o incaricati per potenziare il proprio personaggio, accumulando progressi e risorse che normalmente richiederebbero ore di gioco.
Secondo quanto trapelato da una conversazione privata, e che quindi va presa con le pinze, il patron di Tesla, X e Space X, avrebbe ammesso di non avere abbastanza tempo per poter competere con i migliori giocatori del mondo, in effetti, l’agenda dell’uomo più ricco e influente del mondo ha pochi spazi liberi in cui può dedicarsi ai videogiochi, che però sembrano essere una delle passioni di Musk, e allora ecco la soluzione di un uomo che di tempo ne ha poco, ma di soldi, ne ha a volontà, pagare qualcuno per evitare le fasi più lente e tediose dei giochi, così da poter giocare solo le fasi che gli interessano, per poi vantarsi pubblicamente di essere tra i migliori giocatori al mondo nei suddetti giochi.
Giocatori che però, giocano ad un livello competitivo e professionale, e dedicano a quei titoli molte ore della propria giornata. Ne è così generato un acceso dibattito online.
Da un lato, c’è chi difende Musk, sostenendo che il boosting non sia una pratica così grave, soprattutto se visto nel contesto del suo stile di vita estremamente impegnato. Dall’altro, molti appassionati di gaming lo accusano di aver tradito lo spirito competitivo e l’essenza stessa dei videogiochi, che si basano sull’impegno e sulla crescita.
Il boosting è “legittimo” e se si, quali sono i suoi limiti?
Al di là del dibattito interno alle community videoludiche, questa vicenda solleva un interessante riflessione su come Elon Musk si approcci alle problematiche, e la sua possibile ricerca di soluzioni.
Noi ora sappiamo che Musk, in un videogioco, per poter dire al mondo di essere tra i più forti, ha sostanzialmente preso una scorciatoia, quando scoperto ha cercato di insabbiare la vicenda per poi giustificare la propria condotta. E questo è un problema, perché se dall’equazione si elimina il videogioco, lo si sostituisce con un impresa, con la politica, con un qualsiasi altro aspetto quotidiano, otteniamo un immagine pericolosa di un uomo che, per ottenere ciò che desidera, non si fa troppi problemi ad aggirare le regole e come in Diablo e POE 2 ha fatto Boostare i propri account, in California, ha in un certo senso, boostato il rendimento della fabbrica Tesla di Fremont, che nel 2022 ha ricevuto una multa dall’EPA da 275 mila dollari a causa delle emissioni ampiamente superiori ai limiti.
Quello della fabbrica tesla di Fremont non sembra essere un caso isolato, nel giugno 2024, alcuni azionisti di Tesla hanno avviato una causa legale contro Musk, per Insider Trading, accusando l’imprenditore di aver sfruttato informazioni interne, per avvantaggiarsi. Secondo Michael Perry, Musk avrebbe liquidato azioni Tesla per circa 7 miliardi di dollari, tra Novembre e Dicembre 2022, poco prima di un annuncio pubblico di Tesla, con cui si rendeva noto che la società automobilistica non era in grado di effettuare le dovute consegne previste per il quarto trimestre. Annuncio che fece crollare il valore delle azioni. Secondo Perry, se Musk avesse effettuato il sell-off dopo l’annuncio, avrebbe ricavato il 55% in meno di quanto ricavato dalla vendita immediatamente prima dell’annuncio.
Di casi ce ne sono anche altri, e non serve elencarli o analizzarli tutti perché lo “schema” è lo stesso che sembra interessare il suo approccio ai videogiochi, ovvero l’utilizzo di scorciatoie, al limite estremo della regolarità, che però danno un evidente vantaggio alle performance del miliardario. E se questo modo di approcciare videogiochi e finanza, coinvolgesse anche la politica, sarebbe un bel problema.
Dai videogiochi alla politica di Trump
Elon Musk ha una serie di interessi, finanziari, economici, strategici, logistici, ecc, e la maggior parte di questi, al momento, soffrono di una serie di problemi tecnici dovuti al collocamento degli USA sullo scacchiere geopolitico, e alle norme interne degli USA, ed entrambi i campi d’azione possono essere riassestati in modo da essere convenienti al miliardario, grazie ad una presidenza USA accomodante. Non è un segreto che Musk, così come qualunque altro lobbista USA, abbia finanziato un candidato alla presidenza perché questi approvasse una serie di manovre a suo vantaggio, in questo senso non è il primo e non sarà l’ultimo, inoltre negli USA questa prassi è regolamentata ed è legale, quindi, non c’è nulla di male. Negli USA, in Europa, in Germania, Italia, UK, ecc il discorso è diverso, e la commissione europea si è attivata per regolamentare e limitare le possibili interferenze in tale senso.
Ciò che però non sappiamo, e per il momento non possiamo sapere, è se ci sia stato una qualche forma di Boosting anche in politica.
Vado diritto al punto, poi approfondiamo sul sito. #ElonMusk non è un nazista, è “solo” un vorace capitalista che punta ad un mondo in cui tutto è in vendita, compresa la libertà.
Elon Musk è una figura controversa che da sempre divide il pubblico. Da un lato, è celebrato come un visionario per le sue imprese rivoluzionarie come #Tesla, #SpaceX e #Neuralink, che puntano a trasformare settori chiave come la mobilità elettrica e l’esplorazione spaziale. Dall’altro, le sue recenti azioni sollevano preoccupazioni sul suo approccio al potere e alla libertà d’espressione.
Con l’acquisizione di #Twitter, ora #X, #Musk ha cercato di trasformare il social in una piattaforma per il “discorso libero”. Tuttavia, questa missione è stata oscurata da decisioni che sembrano minare i principi democratici che dice di sostenere.
La gestione arbitraria dei contenuti e l’interazione con forze politiche nostalgiche e con tendenze autoritarie hanno portato molti a chiedersi se Musk stia davvero promuovendo la libertà o se stia solo assumendo il ruolo del platonico coppiere che, al popolo assetato di liberà, ne versa sempre di più, fino ad ubriacarlo, al fine di facilitare il germogliare della tirannia.
Le sue posizioni, spesso esposte in modo diretto e provocatorio sui social, evocano immagini di un imprenditore che si considera al di sopra della critica e dei limiti. Le affermazioni polarizzanti e i comportamenti non convenzionali possono essere letti come un sintomo di un narcisismo che sfiora il culto della personalità. Banalmente, sembra voler ascendere al rango di nume vivente, impresa compiuta nella nostra storia solo da 3 uomini, Mussolini, Hitler e Stalin.
Questo lato oscuro si riflette anche in come Musk si rapporta alla politica globale. La sua influenza è cresciuta al punto da interferire in questioni geopolitiche delicate e ci si comincia a chiedere quali siano i suoi reali interessi. Cosa vuole realmente Musk? è davvero “solo” un miliardario annoiato che sta giocando con il destino del mondo, o quel mondo vuole controllarlo per il proprio tornaconto personale?
Personalmente credo che Elon Musk non sia un nazista. Ma questa non è una buona notizia, perché de facto, è il “grande fratello” orweliano, l’uomo che ci sta conducendo, acclamato dagli applausi di molti, verso una società inquietante, estremamente vicina ad una distopia moderna, e in questa trasformazione non è solo, con lui anche “insospettabili” rivali del miliardario alla guida di multinazionali e big tech, ma in questo articolo manterrò il focus sullo Sugar Daddy di Donald Trump.
Il miliardario patron di X, Space X e Tesla, non è un fautore ideologico della supremazia razziale né un teorico del totalitarismo, tuttavia, all’uomo più ricco del mondo, entrambi i punti “servono”.
Musk non è nazista, ma a lui i nazisti servono – o meglio, non è che gli servano proprio i nazisti, gli servono individui inclini ad una visione totalitarizzante e monopolistica del mondo, gli servono cittadini e politici che siano facilmente manipolabili, influenzabili, scettici nei confronti delle democrazie moderne, e i nostalgici del nazi-fascismo, cadono a pennello, sono esattamente ciò di cui ha bisogno per ottenere ciò che vuole, e allora ecco che si spiegano le bizzarre avventure del miliardario.
Musk nella sua ascesa pubblica, negli ultimi anni, ha rincorso vari estremismi radicali, senza però ottenere ciò che voleva. Per un periodo è stato un sostenitore dell’ideologia “gender”, poi della transizione ecologica e del green deal, poi ancora, è diventato un sostenitore del “reddito universale” e di un utopia umana in cui gli esseri umani non debbano più lavorare per vivere, potendosi dedicare solo alle proprie passioni e interessi, mentre macchine ed intelligenze artificiali lavorano al nostro posto. Poi improvvisamente ha iniziato a sostenere l’esatto contrario di tutto ciò, finanziando Trump che, nel proprio programma politico si opponeva a tutto ciò che negli ultimi anni per Musk era stato importante.
Può sembrare insensato, può sembrare incoerente, ma in realtà, è semplicemente ciò che Musk ha sempre fatto nella propria vita, ha testato varie strade, investito in varie direzioni per poi focalizzare le proprie energie e risorse in quei segmenti che gli garantivano un ritorno considerevole, e sul piano politico, quel segmento “vincente” si è rivelato nell’ultradestra di Donald Trump.
Ricapitolando quindi, Musk non è un nazista, ha solo degli interessi privati, per i quali, i nazisti gli tornano utili. Un po’ come accadde nell’Iinghilterra degli anni 30, quando Edward Wood, I conte di Halifax, segretario di Stato britannico tra il 1938 e il 1940, che non era un Fascista, ne tantomeno un Nazista, che si era scontrato duramente contro Oswald Mosley (il padre del fascismo britannico), in Germania, nel 1937, incontrò Hitler e, sintetizzando tantissimo uno dei discorsi più imbarazzanti della storia britannica, ebbe l’ardire di riconoscere che l’espansionismo tedesco era pericoloso, che la deportazione degli ebrei apolidi da mezza Europa era discutibile, ma finché questo fermare i comunisti, allora poteva essere giustificabile, perché in fondo, la Germania Nazista, era l’ultimo baluardo della civiltà europea contro la barbarie bolscevica, e il Führer era in prima linea in quello scontro di civiltà.
Halifax non era un Nazista, ma provò a servirsi dei nazisti per contrastare l’Unione Sovietica, e questo cinismo politico, che si piega a qualunque abominio pur di raggiungere i propri scopi, è lo stesso che vediamo in Musk, ma come dicevo, non è un invenzione di Musk o Halifax, non è una novità del nostro tempo ma anzi, la troviamo ampiamente descritta e codificata nelle teorie del realismo politico, in particolare negli scritti di Machiavelli e Hobbes, del XVI e XVII secolo.
Elon Musk è il “principe machiavellico” che mente pur di consolidare il proprio interesse.
AI miliardario in soldoni, non interessa quale sia il regime autoritario di cui servirsi per i propri interessi, ma gli va bene chiunque possa assecondare le sue ambizioni.
Quali sono questi interessi?
Cerchiamo allora di capire quali sono i reali interessi che hanno portato Elon Musk a strizzare l’occhio all’estrema destra globale, finanziandola e assumendo atteggiamenti che, come nel caso del nostro Vannacci, richiamano non troppo velatamente, simboli e gesti legati al Nazi-fascismo, per poi negare sia stato fatto e accusare la sinistra di accuse infondate.
La principale fonte di rendita di Elon Musk è legata all’industria automobilistica e al valore di mercato di Tesla, entrambi fortemente minacciati da asset cinesi. Musk teme la concorrenza cinese che punta su un abbattimento dei costi, abbattimento che Tesla non può sostenere, o meglio, potrebbe, rinunciando ad una quota significativa dei ricavi per azionisti e dirigenti, ma che non è conveniente per chi “vive di quei ricavi”, ma non solo, tra i motivi per cui la Cina può essere maggiormente competitiva, abbiamo una politica del lavoro molto poco attenta ai lavoratori, e alle emissioni.
Per fare un esempio ipotetico, se un operaio cinese fa turni di 18 ore, 7 giorni su 7, senza ferie o indennità di malattia e viene pagato 0,5$ l’ora, l’azienda avrà costi di produzione molto più bassi rispetto ad un azienda i cui operai, per forza di cose possono lavorare massimo 8 ore, con straordinari pagati, indennità varie, malattie, ecc e salari di almeno 8$ l’ora.
Allo stesso tempo un azienda che non ha alcuna limitazione sulle emissioni, che può inquinare liberamente, anche a costo di rendere tossica l’acqua e l’aria nelle zone adiacenti lo stabilimento, avrà costi di produzione notevolmente più bassi di chi invece deve necessariamente adeguarsi a standard sulle emissioni e garantire che i propri operai e chi vive nei pressi dello stabilimento, non si ammali.
Questi sono solo due dei “vantaggi” che l’industria automobilistica cinese ha rispetto all’industria automobilistica euro-statunitense, e per chi opera nel settore automobilistico, mettere un freno a questo divario, è prioritario. Musk ha quindi bisogno di limitare l’influenza cinese sul mercato automobilistico occidentale e per farlo ha bisogno di avere al suo fianco governi disposti a intraprendere guerre economiche e a mettere in discussione il libero mercato quando non giova alle sue aziende.
Qualcuno potrebbe osservare che per anni Tesla è stato una sorta di “sponsor” di politiche ambientali e sostenibili, e non avrebbe torto, parte del marketing di Tesla si fonda sulla maggiore sostenibilità delle auto elettriche, il problema tuttavia è che in realtà, la sostenibilità, per Musk, è solo un marketing tool, non un reale impegno etico. De facto, il motivo per cui Tesla produce auto elettriche e non tradizionali, fa parte di una strategia di mercato a lungo termine, è una scommessa sul futuro, ma che non parte dal desiderio di abbattere le emissioni, e se si guarda agli impianti di produzione Tesla, e le numerose problematiche che questi hanno riscontrato in termini di politica ambientale, se ne ha una conferma. A tale proposito, proprio su questo tema, il 24 novembre 2024, il Wall Street Journal, ha pubblicato un interessante articolo in cui osservava come lo stabilimento Tesla di Austin ha subito sanzioni per emissioni di sostanze tossiche e scarico di acque reflue pericolose non trattate, causando danni ambientali significativi. Inoltre, per rispettare i ritmi di produzione imposti, Tesla avrebbe trascurato le normative ambientali, minimizzando i rischi e i problemi segnalati dagli ispettori, con una notevole Dissonanza con la mission aziendale. Nell’articolo si evidenzia come l’azienda, che si promuove come leader nella sostenibilità e nell’innovazione ecologica, è accusata di agire in modo incoerente con questi valori.
Ci sono poi altri interessi che spingono Musk, e altri miliardari come lui, ad avvicinarsi a movimenti reazionari, facilmente influenzabili, ma non credo sia necessario elencarli tutti. Ad esempio la volontà di rimuovere limitazioni e controlli relativi allo sviluppo di intelligenze artificiali, o ridurre le limitazioni anti monopolistiche, o ancora, abbattere le tasse che le multinazionali miliardarie devono pagare, ecc.
Musk non è nazista, ma forse è qualcosa di più pericoloso
Alla luce dei dati analizzati fino ad ora, possiamo dire che no, Elon Musk non è un nazista, ma questa forse non è una buona notizia, poiché il nazismo è un concetto che associamo automaticamente a qualcosa si malvagio, di sbagliato, qualcosa da respingere. Ma Musk non promuove direttamente i valori del nazional socialismo, e anzi, si presenta come un qualcosa di profondamente diverso, è un innovatore, un visionario, e questo è proprio ciò che lo rende pericoloso, perché dietro questa maschera si nasconde un monopolista miliardario che sfrutta a proprio vantaggio la retorica e la visione radicale di ideologie che distruggono la democrazia dall’interno.
Musk non ha bisogno di indossare una svastica per piacere ai nostalgici del Reich e servire interessi che finiscono per alimentare sistemi oppressivi. Lui è un maestro della provocazione con la capacità di usare tecnologia e innovazione come una cortina di fumo per nascondere un sistema che concentra sempre più potere e ricchezza in poche mani.
La sua visione del futuro non è una società equa, aperta e progressista. Ed è sempre più evidente come, il mondo che sta progettando, è un mondo fortemente gerarchizzato, in cui tutto è in vendita e la libertà stessa è un bene di consumo. Nel mondo che si presenta dinanzi a noi, la libertà non è piiù un diritto universale, ma un bene di lusso, accessibile solo a chi può permetterselo e se sei povero, se non hai i mezzi per comprare la tua fetta di “libertà”, allora sei escluso, etichettato come un “clandestino”, un parassita, una “zecca comunista”, e per quanto ciò possa sembrare evidente, in realtà non lo è per tutti e molti si lasciano distrarre da promozioni, offerte e pacchetti di diritti civili in saldo durante il Black Friday, libertà di espressione a rate, disponibili solo per i fedeli cittadini tesserati. come nel ventennio, se sei iscritto al partito bene, altrimenti, fame e manganellate.
Immaginate un mondo in cui la cittadinanza non è un diritto di nascita ma un abbonamento premium, dove il valore di un individuo è determinato dalla sua capacità di contribuire ai profitti dei pochi al comando. Può sembrare una visione distopica del mondo, ma se ci pensiamo, in parte è già così, guardiamo ai migranti, clandestini e carne da macello che può essere sacrificata in mare o in zone di guerra, se non abbastanza produttivi, ma benvenuti se hanno tra le tasche un libretto degli assegni e un conto in banca con liquidità in dollari o euro.
Musk non è un nazista, ma questa non è un assoluzione, poiché sta contribuendo a costruire un mondo molto simile ad una distopia fururistica, in cui il progresso e la libertà sono esclusiva di una minoranza privilegiata, e la cosa più pericolosa è che tutto questo ci appare lontano, poiché ci viene lasciato credere, falsamente, che anche noi potremmo essere parte di quella minoranza. Ci viene promessa la libertà totale, una libertà pericolosa come osservava Platone nel libro V della repubblica in cui può facilmente germogliare una mala pianta, la tirannia.
Quando un popolo, divorato dalla sete dI libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a sazietà, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati despoti. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà,nel nome della libertà,non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia
Irma Grese, soprannominata la Bestia bionda di Belsen, carceriera nazista, agì in un sistema che glorificava odio e crudeltà.
Oggi, mentre facevo un po’ di manutenzione al sito, ho scoperto che il tool del “contattaci” era rotto, e negli ultimi 3 anni, non ci è stato inoltrato via mail un singolo messaggio che ci avete lasciato.
Colpa mia che non ho controllato che funzionasse bene e che mi sono affidato ad un servizio terzo, in ogni caso, ho deciso di approfittare di questo incidente per produrre una rubrica con cui rispondo ai vostri messaggi e le vostre richieste, dando priorità ai messaggi archivio da qualche anno.
Caro Historicaleye, Mi chiamo Cristina, ho 45 anni e sono madre. Sono laureata. Sono come te profondamente amante della storia. Sono indignata dall’articolo letto sul tuo portale, relativo a Irma Grese. Questa bestia prese una scelta. Leggere contenuti di questo livello mi fa paura.
Dal basso della mia ignoranza, lascio ad uno scritto di Primo Levi, tratto dal suo libro Sommersi e Salvati, quanto io non trovo le parole per esprime:
“Non so, e non mi interessa sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti, non solo in Germania, e ancora esistono, e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetistico o un sinistro segnale di complicità; soprattutto, è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità. […] “
Spero queste mie poche righe possano portare ad una riflessione.
Ciao Cristina, scusami ancora per la risposta estremamente tardiva. Come ti ho scritto anche via mail, se lo avessi letto prima ti avrei risposto da tempo, ma purtroppo, ci sono stati un po’ di problemi con i messaggi, quindi, ti rispondo ora, e ti chiedo pubblicamente scusa per il ritardo.
Ho riletto l’articolo e non ci vedo nulla di inquietante o sconvolgente, anzi, ammetto di essere estremamente orgoglioso di come ho trattato l’argomento nell’articolo, nel quale non vi è alcun tentativo di assoluzione di una donna che nel proprio lavoro da carceriera del Reich in un campo di concentramento fu estremamente crudele.
Mi rendo però conto che c’è una parte dell’articolo che può essere facilmente “fraintesa”, ossia la parte in cui dico che, da volontaria, Irma Grese, era convinta di fare “del bene” e di servire il proprio paese, passaggio che però non vuole assolvere, ma anzi, far riflettere anche sull’attualità.
La Germania degli anni 30, del Terzo Reich, è una Germania, ma in generale l’Europa gli anni 30 del novecento rappresentano una realtà molto lontana da noi sul piano etico e morale, poiché appartengono ad un mondo cui l’odio era profondamente radicato mentre violenza e intolleranza erano considerate dei valori, e per una persona che viveva in quel mondo, i principi morali che determinavano le sue scelte, erano altri rispetto ai nostri, ed erano un qualcosa di aberrante e terrificante. Di fatto l’uomo comune di quel tempo, nella sua ignoranza, per citare un aneddoto tratto dalla Banalità del Male di Hannah Arendt, era convinto che gli affamati che rubavano il cibo ai porci, fossero delle bestie, e non riuscivano a rendersi conto che quei disperati, che si cibavano di ghiande rubate ai porci o cibo ai cani, mentre erano condotti ai lavori forzati, lo fa perché affamati.
Il nostro articolo, anzi, il mio articolo, serviva anche a far riflettere sull’attualità, sul mondo in cui viviamo, un mondo in cui odio e intolleranza, sono sempre più presenti e spesso “giustificati”, spingendoci a guardare dall’altra parte quando ci vengono presentati episodi sconcertanti.
Il senso dell’articolo, non era quello di giustificare o condannare il comportamento individuale di una persona nello specifico, anche perché siamo “storici” non giuristi, il nostro non è un processo volto ad assolvere o condannare Irma Grese, ma un articolo volto ad inquadrarla storicamente. Il nostro obiettivo era quindi quello di analizzare e contestualizzare, rimanendo il più possibile super partes, un episodio storico, e più nel profondo, cercare di capire perché Irma Grese ha agito in quel modo e in che modo la società e il mondo in cui viveva hanno influenzato le sue scelte e le sue idee. E non è facile, perché, fortunatamente, non viviamo in quel mondo, e abbiamo valori e regole morali profondamente diversi da quelli del tempo.
Tu suo messaggio tuttavia, Cristina dice qualcosa che condivido profondamente, dice che Irma Grese ha fatto una scelta, fu lei a scegliere di agire in quel modo e non può essere in alcun modo assolta. Fu lei a scegliere di essere una carceriera sadica e crudele, “esemplare” in quel sistema malato. E va detto che questo principio, ai processi di Norimberga, è stato scolpito nella pietra. Di fato, è stato “perdonato” chi ha guardato dall’altra parte, chi ha finto di non vedere, ma non chi ha partecipato attivamente nel compimento di crimini atroci.
A Norimberga e ancora di più a Gerusalemme, nel 1961 durante il processo di Adolf Heichmann, però, è stato sancito anche un ulteriore principio, ovvero, si è stabilito che quella scelta, non fosse in realtà libera.
Vorrei poter dire il contrario, che le scelte di Irma Grese, dei Nazisti, dei Fascisti, dei Comunisti, ecc, che collaborarono con i regimi Totalitari del novecento, furono libere, vorrei dire che Irma Grese in fondo era una “volontaria”, ma mentirei a me stesso e a voi, perché in realtà, la sua formazione, a cui è stata sottoposta dalla famiglia fin da bambina, non le lasciava realmente scelta, ponendola de facto, di fronte ad una scelta obbligata: Servire fedelmente il Reich, diventando complice di quei crimini che nel Reich erano considerati qualcosa di cui andare fieri, o tradire famiglia, amici e uno stato estremamente presente, in ogni aspetto della quotidianità. E una giovane donna, indottrinata fin da bambina a vedere il mondo in un certo modo, difficilmente cambierà il proprio punto di vista.
Oggi, nel 2025, sembra facile condannare il modo di agire di Irma Grese, quel comportamento, quel modo di fare, quel modo di vedere il mondo, eppure, non sempre lo facciamo, anzi, ci sono innumerevoli episodi che quotidianamente, spingono molti di noi a guardare dall’altra parte, colpevolizzando le vittime. Guardiamo alle vittime del mare, migranti che quotidianamente perdono la vita nel mediterraneo, alla guerra in Palestina, che in poco più di un anno ha fatto più di 46mila vittime, guardiamo alla Somalia, alla Costa d’avorio, al Burkina Faso e Nigeria, di questi ultimi i media neanche ci parlano.
Guardiamo a chi si oppone al soccorso in mare dei naufraghi perché “clandestini”, a chi sostiene la guerra in Palestina, una guerra che ha tutti i tratti di un genocidio e giustifica tacitamente la morte di migliaia di palestinesi per mano del governo Israeliano, per poi etichettare chi critica le scelte del governo israeliano di essere antisemita.
Torno a citare Hannah Arendt, che è stata testimone diretta del processo di Gerusalemme ad Adolf Heichmann, e dico che tutto ciò, non fa di loro dei mostri, quel modo brutale a tratti disumano di vedere il mondo, non fa di loro l’incarnazione del male, semplicemente fa di loro delle persone stupide, incapaci di mettersi concretamente nei panni degli altri.
Perché in un mondo in cui odio e intolleranza sono serviti quotidianamente alla popolazione, in un mondo in cui ci viene detto quotidianamente di odiare qualcuno e che tutte le nostre sofferenze sono causate da quel qualcuno, odiare è estremamente facile, abbiamo odiato gli Ebrei ed i Comunisti, poi i Nazisti ed i Fascisti, poi nuovamente i Comunisti, poi è venuto il tempo degli Islamisti ed i clandestini, e poi i Cinesi e così via.
C’è sempre qualcuno contro cui puntare il dito, e odiare quel qualcuno, quando la società, gli amici, la famiglia, i media, il cinema, tutti ci dicono di farlo, diventa naturale, e quel male diventa banale. Così finisce per odiare anche un bambino di 6 anni, che non sa cosa o perché, sa solo che è giusto odiare. Come ci viene mostrato divinamente in quel capolavoro di JoJo Rabbit di Taika Waititi.
Diversamente, capire, contestualizzare, mettersi nei panni degli altri, è complicato, è difficile, richiede uno sforzo che non sempre vogliamo fare, soprattutto se siamo i soli a pensare di poterlo fare, uno sforzo non indifferente, uno sforzo che però è alla base della ricerca storiografica e questo mi riporta ad Irma Grese, la bestia bionda di Belsen.
Una donna che fu senza ombra di dubbio crudele, spietata, sadica, disumana e disgustosa, una donna imperdonabile, le cui azioni furono aberranti, ma pur sempre una donna che visse in un mondo che imponeva di essere in un certo modo, e in quel mondo lei fu una donna “esemplare”. Un esempio di spietatezza e crudeltà, che oggi, non in quel mondo, possiamo condannare con facilità.
È passato davvero tanto tempo dall’ultima volta che ho scritto del conflitto in Ucraina e il motivo è che, in questi mesi, sebbene vi siano stati numerosi stravolgimenti sul campo di battaglia, dal punto di vista geopolitico, strategico e storico, in realtà, la situazione è rimasta sostanzialmente la stessa di Giugno 2022, non c’è stata ragione, almeno per me, di parlare di cosa accadeva, perché non è mio interesse fare cronaca di guerra.
In questi giorni tuttavia, lo scenario sembra essere in fase di cambiamento, il conflitto ha assunto e sta assumendo un registro nuovo, con dinamiche nuove (per il conflitto in Ucraina che siamo abituati a vedere da circa 2 anni) ed ho ritenuto opportuno tornare sull’argomento.
Guerra nucleare all’orizzonte?
Il tema della guerra nucleare è più che mai attuale e nelle ultime settimane è diventato il vero cardine del dibattito inerente il conflitto in Ucraina. La Russia, va precisato, ha sempre paventato, fin dai primi mesi di guerra, la possibilità di fare ricorso ad armi nucleari per “tutelare” l’integrità nazionale Russa, questa posizione tuttavia, nei primi 2 anni del conflitto, ha coperto un ruolo marginale, un po’ perché Putin era a fine mandato, un po’ per altre ragioni, le cose tuttavia sono cambiate nelle ultime settimane, quando la Duma ha autorizzato, per la prima volta, esercitazioni con testate tattiche nucleari al confine con l’Ucraina.
A queste esercitazioni, le prime sono avvenute intorno alla metà di maggio, ha fatto immediatamente eco la Francia, il cui presidente Macron appare una delle voci apparentemente più bellicose d’Europa e della NATO.
Senza troppi giri di parole, alle esercitazioni russe hanno fatto seguito esercitazioni nucleari in Francia.
Francia testa missili nucleari
Il test francese ha visto l’impiego di missili ASMPA-R in uso alle forze armate francesi dal dicembre 2023. Si tratta di un missile da combattimento, a corta-media gittata, estremamente potente, che può essere trasportato da caccia Rafale di classe F3 (si tratta della 6° generazione di caccia stealth).
Il missile ASMPA-R, di per se è innocuo, è solo un vettore di lancio, ma può essere armato con testate nucleari, il che lo rende estremamente pericoloso e potente. Parliamo di un missile, ad alta precisione, che può essere lanciato da un caccia in combattimento, ed è in grado di colpire con estrema precisione grazie ai più avanzati sistemi di guida, ed è in grado di trasportare armi nucleari.
Focus sui missili ASMPA-R
I vettori ASMPA-R, come anticipato, sono in dotazione alle forze armate francesi da dicembre 2023, si tratta quindi della tecnologia più “aggiornata” in dotazione alle forze armate francesi. Il primo test di lancio di questi vettori è stato effettuato nel dicembre 2020, in piena pandemia, mentre a marzo 2022 (a poche settimane dall’inizio della guerra in Ucraina) la Francia ha registrato il lancio di qualificazione. In fine, nel 2023, l’assemblea nazionale ha approvato il loro impiego effettivo.
Stando a quanto riportato dal Ministero delle forze armate francese, la Francia è già al lavoro su una versione aggiornata del ASMPA-R, che prende il nome di ASN4G e che, secondo quanto riferito dal ministero, potrebbe entrare in servizio nel 2035 e rimanervi fino al 2050.
Arsenale nucleare francese
Secondo il Nuclear Notebook, la rubrica del Bulletin of the Atomic Scientist introdotta nel 1987, l’arsenale nucleare francese può fare affidamento su una scorta di circa 290 testate, numeri sostanzialmente invariati dal 2008 quando, durante la presidenza si Sarkozy, è stato annunciato che l’arsenale nucleare francese era stato ridotto a meno di 300 testate.
Sono tuttavia in corso di aggiornamento e ammodernamento diversi sistemi di lancio, tra cui missili balistici, missili da crociera, sottomarini, aerei e l’intero complesso industriale nucleare.
Sappiamo id esempio che nel 2015, durante la presidenza Hollande, la Francia ha dichiarato di essere in possesso di circa 300 testate, per tre serie da 16 missili basati su sottomarini e 54 sistemi di lancio ASMPA a medio raggio.
L’ultimo aggiornamento ufficiale sull’arsenale nucleare francese risale al 2020, anno in cui, il presidente Macron ha rilanciato la linea di Sarkozy, ovvero, meno di 300 testate.
Per essere più precisi, le testate dovrebbero essere 290 ripartite secondo questo schema
aRange for aircraft is shown. The range of the ASMPA air-launched cruise missile is close to 600 km.
bThe Mirage-2000N, which served in the nuclear strike role, was retired in 2018. All nuclear Rafale F3s are currently at Saint-Dizier Air Base. France produced 54 ASMPA air-launched cruise missiles, including those used in test flights.
cThe ASMPA air-launched cruise missile first entered service with the Mirage-2000N in 2009.
dThere is considerable uncertainty regarding the yields of the new warheads. It appears that both the TNA and TNO are based on the same new design, which is different from that of their predecessors (Tertrais Citation2020). This design choice could potentially indicate that the new warheads might have the same yield. Although some French sources continue to attribute a high 300-kiloton yield to the TNA (the same yield as the TN81 warhead that armed the ASMP), the manufacturer of the ASMPA says the TNA has a “medium energy” yield, potentially similar to the TNO’s approximately 100 kilotons (Groizeleau Citation2015). In the absence of more concrete information, however, these numbers should be treated as estimates.
La Francia, come possiamo osservare, è uno dei paesi più trasparenti in materia di tecnologia nucleare, dell’arsenale nucleare francese sappiamo quasi tutto, e questo perché, per diversi anni, la Francia ha divulgato informazioni e dettagli inerenti le proprie forze e operazioni nucleari, per ragioni sia politiche che strategiche, ma di queste ne parleremo in maniera più approfondita più in avanti.
In ogni caso, da quel che sappiamo, sul piano nucleare, negli ultimi anni la Francia non è rimasta con le mani in mano, ma si è attivata in modo concreto per ammodernare i propri sistemi.
Nel 2018 la legge sulla pianificazione militare ha previsto, per il periodo 2019-2025 lo stanziamento di circa 37 miliardi di euro, quasi il doppio dei 19 miliardi stanziati per il periodo 2013-2019, finalizzati alla manutenzione e la modernizzazione delle forze e delle infrastrutture nucleari.
Nel 2022 il Ministero delle forze armate francesi ha stanziato ulteriori 5,7 miliardi di euro per le attività legate alle armi nucleari, in questo caso, si è registrata una contrazione della spesa rispetto al 2021, anno in cui sono stati stanziati allo stesso scopo circa 6 miliardi. Nel 2023 invece sono stati stati 5,6 per l’ammodernamento delle forze nucleari.
Potremmo aprire un ulteriore parentesi su missili balistici e sottomarini, ma l’obbiettivo di questo articolo non è quello di sviscerare l’intero arsenale nucleare francese. Mi limio a dire che anche su quel fronte ci sono stati importanti investimenti e ammodernamenti.
Per approfondire il discorso sull’arsenale francese vi rimando a questo articolo di Hans M. Kristen, Matt Jorda e Eliana Johns, si tratta del Nuclear Notebook, la rubrica del Bulletin of Atomic Scientists’pubblicato a Luglio 2023 con doi https://doi.org/10.1080/00963402.2023.2223088
L’articolo è libero, pertanto potete leggerlo gratuitamente.
Siamo di fronte ad una escalation?
Come scritto anche su Instagram, a questo punto viene spontaneo farsi alcune domande, la prima è siamo di fronte ad una escalation? seguita da cosa implica, sul piano strategico e geopolitico questa eventuale esercitazione francese? e infine, se dobbiamo preoccuparci.
Partiamo dalla domanda apparentemente più semplice, il test missilistico francese, svolto a pochi giorni di distanza dai test russi rappresenta una escalation?
Se si guarda ai soli due avvenimenti, e si ipotizza una relazione tra i due, allora la risposta può essere in un certo senso affermativa, la Francia ha risposto ai test nucleari in modo muscolare, mettendo in campo ed esibendo parte del proprio arsenale nucleare, o meglio, ha testato strumenti che possono essere utilizzati per il lancio di armi nucleari a medio raggio.
Va tuttavia detto che, i caccia Rafale in dotazione alle forze armate francesi, non sono stati forniti all’Ucraina, il test quindi ha sì un valore strategico, ma non inserisce concretamente nel contesto bellico dell’Ucraina.
Il test ha indubbiamente un valore strategico, serve a veicolare il messaggio che, a differenza della seconda guerra mondiale, almeno la Francia, non è rimasta a guardare, ed ha la forza muscolare per rispondere rapidamente e in maniera chirurgica ad eventuali aggressioni.
Con questo test la Francia, e in un discorso più ampio, la NATO, hanno tacitamente ribadito che, portare la guerra fuori dall’Ucraina all’interno dei paesi NATO potrebbe essere estremamente pericoloso accendendo la miccia di una possibile guerra nucleare.
Le conseguenze di questo test, sul piano strategico e geopolitico, possono essere diverse, e dipenderanno principalmente dal modo in cui la Russia risponderà ai test. Se la risposta russa sarà reazionaria, i rapporti diplomatici tra UE e Russia potrebbero incrinarsi ulteriormente e la Russia potrebbe aumentare la propria aggressività con ulteriori provocazioni, più incisive dei test nucleari al confine e le rivendicazioni sul baltico che hanno caratterizzato gli ultimi giorni. Allo stesso tempo, ora che è evidente che l’Europa o almeno la Francia, può rispondere rapidamente ad eventuali attacchi nucleari, torna ad aleggiare sull’Europa lo spettro di una pace nucleare.
Pace nucleare per inciso, non è una ricerca di equilibrio nucleare tra gli schieramenti, come sostengono alcuni, ma è più un evitare di fare la prima mossa perché le conseguenze sarebbero devastanti per tutti.
Dobbiamo preoccuparci? Personalmente non credo che Putin, Macron Biden, Trump, ecc, siano così stupidi da fare la prima mossa per innescare una guerra nucleare, ovvero, lanciare la prima bomba atomica. Pertanto, sono abbastanza incline a pensare, esattamente come due anni fa, che ciò che ci aspetta sarà un crescente numero di scontri per procura, tra Africa, Asia e America Latina, mentre in Europa, più precisamente in Ucraina, si continuerà con una guerra di logoramento, il cui esito più plausibile continua ad essere quello di un Ucraina divisa a metà, come la Germania del secondo dopoguerra.
Nel corso del primo Trecento l’Europa attraversò un periodo di forte crisi che ha influenzato il commercio internazionale e intercontinentale. Come si arriva a questo? Quali sono le cause?
Cambiamento climatico
Una delle cause che hanno portato ad una crisi del corso del Trecento potrebbe essere legata ad un cambiamento del clima con un abbassamento delle temperature. Calo delle temperature e inondazioni causate dall’eccessivo disboscamento delle foreste hanno portato ad una minor disponibilità di materie prime nell’edilizia, artigianato e la carenza di fauna selvatica incrementando l’avvento delle carestie.
Commercio, monete e crisi finanziaria
Un altro problema che ha portato alla crisi del Trecento è stata la carenza di metallo prezioso utilizzato per la coniazione di monete. La mancanza di materiale, avrebbe messo in crisi il commercio, soprattutto quello con l’Estremo Oriente. Mancando i contanti, questi divennero cari e i banchieri e finanziatori che ne avevano in quantità chiedevano degli interessi troppo alti ai mercanti. Questa situazione portò ad una crisi finanziaria alimentata dal fallimento delle banche italiane e in particolare delle società dei Bardi e dei Peruzzi. Queste due società avevano finanziato il ReEdoardo III d’Inghilterra durante la guerra contro la Francia ma, quando il sovrano dichiarò che non li avrebbe rimborsati, dovettero dichiarare il fallimento. Inoltre, le società avevano raccolto i risparmi dei privati ma anche questi furono coinvolti dalla crisi, peggiorando la loro posizione.
La peste del 1348
In questo clima di incertezza generale, nel 1348-1350 in Europa si diffuse un’epidemia di peste. La malattia iniziò a diffondersi nel 1347 in Asia centrale arrivando fino alla colonia genovese di Caffa, in Crimea. Successivamente, attraverso le navi si estese a Costantinopoli, Sicilia e Genova. Oltre all’Italia, furono colpite: Spagna, Francia, Germania, fino al Corno d’Africa. La peste veniva trasmessa dal batterio della pulce del ratto che, pungendo l’uomo, lo contagiava. Il tasso di mortalità fu molto elevato, in Europamorì un terzo della popolazione.
La ripresa
L’epidemia di peste fu un evento molto traumatico per la popolazione europea anche se migliorò le condizioni di vita del popolo. La riduzione demografica ebbe come conseguenza una maggior disponibilità di risorse ed un calo della manodopera e quindi un aumento dei salari. La crescita dei salari portò ad un calo dei prodotti alimentari poiché la produzione agricola sovrabbondava per una popolazione ridotta. Tutto questo permise alle famiglie di spendere il denaro per altro: vestiti, edilizia, arredamento. Chi risentì della crisi del Trecento furono i commerci intercontinentali che ridussero la loro importanza. I banchieri toscani acquisirono nuovamente importanza riorganizzandosi in compagnie più piccole, attente agli investimenti ed evitando di prestare somme troppo elevate.
Il 22 Agosto 1485, nei pressi di Ambion Hill, fu combattuta la battaglia di Bosworth Field che decretò la fine della Guerra delle Due Rose e la salita al trono inglese della Dinastia Tudor.
Le cause del conflitto
La Guerra delle due Rose ebbe inizio nel 1455 in Inghilterra con la contesa del potere fra due casate: York e Lancaster. Il nome riprende gli stemmi delle due dinastie: rosa rossa Lancaster, rosa bianca York. Quest’ultimi, contestavano ai Lancaster il diritto di discendenza dopo che, alla morte di Riccardo II avvenuta nel 1413, il Parlamento diede il potere a Enrico IV di Lancaster. Gli York attesero fino al 1422. In quel periodo in Inghilterra regnava Enrico VI e, approfittarono della poca simpatia che il popolo aveva per il sovrano, un Re assente e afflitto da problemi mentali. In questo periodo Riccardo di York riuscì a farsi eleggere dal Parlamento Lord Protettore ma, quando il Re si riprese, fu allontanato. Successivamente gli York avranno nuovamente la meglio quando il figlio di Riccardo Edoardo di York sconfisse nella Battaglia di Towton il Re d’Inghilterra che fu fatto prigioniero nel 1465.
La battaglia finale
Dopo vari scontri, il 22 Agosto 1485 si giunse alla battaglia di Bosworth Field. Gli York erano capeggiati da Riccardo IIIdi Gloucester, mentre i Lancaster da Enrico Tudor conte di Richmond. Decisivo fu per la sconfitta degli York il cambio di rotta da parte di uno dei loro alleati, appartenente alla famiglia degli Stanley. Questo cambiamento destabilizzò l’esercito di Riccardo III che trovò la morte durante la battaglia. Con la morte di Riccardo, Enrico fu incoronato Re d’Inghilterra e l’anno successivo sposò Elisabetta di York dando vita alla dinastia Tudor.
Non per sminuire la cattura di Matteo Messina Denaro, dopo 30 anni di latitanza, ma, vista la narrazione dei fatti, le condizioni che hanno reso possibile la sua cattura, sembrano tre, e nessuna di queste ha come soggetto un incredibile lavoro di indagine. Almeno dal mio punto di vista.
In questo post alcune riflessioni personali, puramente speculative, sull’arresto di Matteo Messina Denaro.
L’uomo, che si nasconde da trent’anni, e il cui volto è perfettamente noto alle autorità, viene identificato a seguito di accertamenti finalizzati ad un trattamento sanitario, quindi atteso per giorni finché non arriva la data del ricovero.
A meno che il temuto latitante non sia affetto da demenza, se ha scelto quel luogo per le cure è perché ha qualcuno all’interno, e se hai qualcuno all’interno e la polizia ti sta aspettando, o il qualcuno all’interno non ha fatto un buon lavoro, o sei andato lì di proposito per essere arrestato, e poi curato a carico dello stato. D’altro canto, se non hai nessuno all’interno, il fatto che tu sia riuscito a sfuggire alla legge per oltre trent’anni, è evidentemente il più grande mistero dell’universo. E in questo caso, diciamo pure che il tuo arresto, non è proprio il più grande arresto del decennio.
Facendo un passo indietro. Se la polizia ti ha identificato in quella struttura, è perché probabilmente qualcuno ti ha segnalato, e qui si aprono alcune biforcazioni.
La prima, se ancora conti qualcosa in cosa nostra, e qualcuno ti ha segnalato per farti arrestare, è improbabile che tu non ne sapessi nulla, e se sapevi, perché sei andato lì? Se non sapevi è perché i tuoi uomini contano poco o nulla e la tua rete di informatori decisamente superata… sempre che ne esista una.
C’è anche un altra opzione, ovvero la volontà politica di giovani leve dell’organizzazione di fare piazza pulita e liberarsi delle vecchie mummie ormai inutili, e questo potrebbe suggerire il pericoloso inizio di una lotta di potere che potrebbe avere una conseguente nuova stagione di sangue e violenza. Questo è indubbiamente lo scenario peggiore dei possibili. E ricapitolando, gli scenari possibili dietro l’arresto di Matteo Messina Denaro sono sostanzialmente tre, anzi, quattro.
1. L’uomo era consapevole che sarebbe stato arrestato ed è andato lì, per essere arrestato, così che possa essere curato.
– In questo scenario il suo arresto non è una vittoria per lo stato, ma l’ennesima umiliazione mafiosa allo stato.
2. L’uomo non conta più nulla per cosa nostra e la criminalità organizzata, non ha più una rete di protezione, è letteralmente un vecchio relitto.
– In questo scenario il suo arresto non è una vittoria per lo stato, è l’equivalente di aver raccolto una cicca di sigaretta da terra, mentre un bosco va a fuoco, e festeggiare per la protezione dell’ambiente.
3. L’uomo non era informato di ciò che stava accadendo.
-In questo scenario, il suo arresto è l’equivalente dell’arresto di un ragazzino che spaccia erba fuori la centrale di polizia, e festeggiare l’arresto come se fosse stato preso Pablo Escobar… me pare eccessivo.
4. L’uomo è stato “consegnato” alle autorità dalla stessa cosa nostra, come parte di un accordo all’interno di una lotta di successione.
– In questo quarto scenario le possibilità sono due, Denaro potrebbe essere parte della corrente che lo ha consegnato, e quindi essersi offerto come trofeo, per garantire prosperità alla propria corrente, o al contrario, essere il punto zero di un imminente lotta di mafia.
Conclusioni
L’arresto di Matteo Messina Denaro è indubbiamente un grande traguardo politico, e solo politico. Ma nel discorso generale della lotta alla Mafia, non prendiamoci in giro, il suo arresto è decisamente poco significativo. Non è un boss attivo, protagonista di questa “stagione” mafiosa, con un reale potere. Matteo Messina Denaro è un relitto di un’altra epoca, un vecchio mafioso ormai insignificante, il cui arresto è solo un successo politico, probabilmente costruito a tavolino, che, mi spiace dirlo, non segna un punto decisivo nella lotta alla mafia. Anzi.
Teano è stata una filosofa greca, allieva di Pitagora, forse compagna o figlia dello stesso, su questo tema le fonti sono discordanti, alcuni indicano Teano come figlia di Pitagora, oltre che sua “erede” filosofica, secondo altri invece era la compagna di Pitagora, oltre che allieva prediletta, figlia di Brontino (successore di Pitagora).
In entrambe le versioni però, Teano, indicata come filosofa, è l’erede principale della scuola pitagorica. Suo è il compito di tramandare gli insegnamenti del maestro.
Teano è in un certo senso la filosofa dell’equilibrio, della “giusta misura”, e della donna. Nei suoi scritti la filosofa greca, vissuta nella Megale Ellas (nome greco di quella che in epoca latina sarebbe diventata la Magna Grecia) del VI a.c. più precisamente a Crotone, affronta più volte il tema della donna, del suo ruolo nella società, delle sue virtù e doti e dai suoi scritti emerge un “pitagorismo” diverso da quello che siamo abituati a conoscere.
La filosofia della giusta misura di Teano parte dal pitagorismo, di cui Teano è allieva e dall’idea, dello stesso Pitagora che la donna, e solo la donna, poteva tramandare senza alterazioni, il proprio pensiero, da cui i filosofi e le filosofe a venire, avrebbero potuto partire.
A differenza dell’uomo, la donna per Pitagora era in grado di acquisire pienamente e totalmente il pensiero del maestro (o della maestra) e tramandarlo in modo autentico e puro. Il pitagorismo, la scuola di pensiero di Pitagora, poteva sopravvivere allo stesso filosofo grazie alle donne della sua scuola, in particolare grazie a Teano, sua allieva prediletta.
A differenza di molti altri filosofi antichi, Pitagora, non vede un apprendimento fine a se stesso per le donne della sua scuola, ma vede nella donna (in quanto tale) la miglior risorsa possibile per la filosofia pura.
E Teano fa esattamente questo, eredita il pensiero di Pitagora nella sua forma più autentica e pura, per poi ampliarlo, costruendo sulla base del pitagorismo la propria filosofia e la propria scuola, che sarebbe stata un’eccellenza nella Crotone del VI secolo a.c.
Con il termine “mitologia norrena”, “nordica” o “scandinava” s’intende quell’insieme di leggende, credenze e miti strettamente legati alla sfera religiosa dei popoli scandinavi del nord Europa (compresa l’Islanda, colonizzata successivamente dai vichinghi). Tali tradizioni sono da ritenersi come un “ramo” della mitologia germanica, dalla quale deriverebbe anche la mitologia anglosassone, entrambe di matrice molto più antica; si tratta pertanto di antichissime origini che risalgono a contesti di mitologia indioeuropea. Tale mitologia è da intendersi come un insieme di racconti (trasmessi prevalentemente in forma orale) di età pre-cristiana, incentrati perlopiù sull’origine del mondo, l’apocalisse conclusiva e svariate avventure i cui protagonisti sono rappresentati dalle varie divinità norrene. Tuttavia, le molteplici leggende scandinave non trattano solamente le gesta di dei e creature mitologiche, ma anche direttamente del popolo vighingo, elogiandone i suoi eroi più grandi.
Midgard
Stando alle fonti, la mitologia norrenda identificherebbe come mondo “terreno” e “conosciuto” il cosiddetto Miðgarðr (letteralmente “terra di mezzo”). Sulla sommità di un’altura piuttosto elevata si troverebbe poi Ásgarðr (letteralmente “giardino/terra degli dei” o “città degli dei”), conosciuta come residenza degli dei celesti (gli Asi), e sarebbe a sua volta circondata dalle acque e totalmente separata dal mondo dei mortali; per questo motivo, l’unico modo per accedervi sarebbe il Bifrǫst, conosciuto come “ponte dell’arcobaleno”. A est si troverebbe poi la dimora dei giganti, Jǫtunheimr (letteralmente “terra dei giganti”), e a sud il regno di fuoco governato da Muspell, il Múspellsheimr, dove vivono i giganti di fuoco. Infine gli inferi sarebbero caratterizzati dal reame della dea Hel, l’Helheim. Esistono poi vari altri regni minori, come quello degli elfi della luce (Álfheimr) e delle tenebre (Svartálfaheimr), la terra dei nani, ricca di miniere (Niðavellir), e la dimora dei Vani (Vanaheimr), stirpe divina meno potente e conosciuta.
Le divinità
Miti e leggende legati alla mitologia norrena sono alla base delle credenze religiose praticate dalle popolazioni del nord Europa e, per questo motivo, strettamente connessi alle imprese di eroi e divinità di ogni tipo. Stando alle fonti, l’universo sensibile (quello conosciuto e abitato da uomini, dei e creature varie) era sostenuto da Yggdrasill, un albero cosmico con il solo scopo di sorreggere i nove mondi del creato, i quali sono a loro volta stati generati da Ymir, una figura fondamentale nella cosmogonia e cosmologia norrena, in quanto rappresenta il primo gigante del ghiaccio e soprattutto il primo tra tutti gli esseri; incarnando così il ruolo di un fondatore universale.
Per parlare delle divinità norrene bisogna innanzitutto sottolineare il fatto che queste ultime fossero suddivise in due classi tra loro differenti. Tuttavia tale differenza non sarebbe così rigida e netta come oggi appare; in un passato molto lontano infatti le due fazioni si sarebbero scontrate in una “guerra celestiale” piuttosto violenta, per poi giungere a una pace definitiva scambiandosi ostaggi e unendo varie casate e famiglie in matrimonio. Tale unione “conclusiva” sarebbe stata talmente definitiva da non riuscire a determinare con chiarezza l’appartenenza di varie divinità a una classe piuttosto che a un’altra. Tali classi sarebbero definibili come Asi (Aesir) e Vani (Vanir).
Asi
Gli Asi (Aesir) rappresentano i signori del cielo e, come precedentemente citato, dimorano su Ásgarðr, un’enorme fortezza creata da Odino (nota appunto come il “recinto degli Asi”). Sono considerati i principali nemici degli Jǫtnar (conosciuti come giganti dalle dimensioni colossali e dalla forza sovrumana, o come demoni), e tale inimicità risulterebbe paragonabile all”’odio” presente tra dei e titani della mitologia greca. Tuttavia sia gli Asi che i Vani in realtà discenderebbero direttamente dagli Jǫtnar e, per questo motivo, avrebbero la possibilità di sposarsi o di avere dei figli con essi. Gli Asi rappresenterebbero le divinità “superiori” (paragonabili agli dei dell’Olimpo), più forti e per questo legati alla categoria dei guerrieri; per sottolineare la supremazia di questa “categoria divina”, le unioni tra Asi e Vani sarebbero state sancite soprattutto da matrimoni tra dei maschi Asi e dee femmine Vani. Appartengono alla categoria degli Asi alcune tra le più divinità celebri e importanti, come Odino, il dio supremo e padre degli dei; Thor, il dio del tuono e della tempesta (personificazione della folgore e del fulmine), possessore dell’arma divina più famosa, ovvero il martello; e Loki, il malvagio dio dell’astuzia e degli inganni. Gli Asi infine, in quanto divinità razionali e strettamente legate alla forza e all’ambito della guerra, incarnano una sorta di primordiale concetto di patriarcato.
Vani
I Vani (Vanir) invece rappresentano l’esatto opposto della loro “controparte” divina. Al contrario degli Asi infatti, essi incarnano divinità irrazionali, strettamente legate alla sfera dell’emotività, dell’intuizione e di tutto ciò che riguarda la natura e la fertilità (spesso sono anche legati a temi di carattere agricolo); per tutte queste motivazioni, i Vani rappresenterebbero un vero e proprio simbolo delle società matriarcale (motivo per cui nei matrimoni tra Asi e Vani questi ultimi fossero sempre figure femminili). Al contrario degli Asi, dotati di uno spirito più bellicoso e burrascoso, i Vani sarebbero connotati da animi più pacifici e gentili, che di conseguenza non li renderebbero protagonisti, come spesso accade invece per gli Asi, di vicende eroiche e violente. Tra gli esempi più celebri di divinità appartenenti ai Vani, è possibile citare i due gemelli divini Freyr, il dio della fertilità, dell’abbondanza e di tutto ciò che ha a che fare con la crescita e con la naturale vitalià, e Freya, la dea della bellezza, dell’amore e, anch’essa, della fertilità (per queste caratteristiche è paragonabile alla dea Venere). Per lo stretto legame che queste divinità presentano con la natura e la fecondità, il loro ruolo principale è direttamente associabile alla potenza di Madre Terra, tratto che li renderebbe certamente diversi ma non meno importanti dei loro opposti, ovvero gli Asi.
A completare il pantheon norreno non “partecipano” solamente divinità da fattezze e tratti umani (come tutte quelle citate finora), ma anche svariate creature ed elementi divini, i cui ruoli sono tuttavia determinanti all’interno della mitologia norrena, esattamente al pari di dei e dee. Tra questi è possibile citare Fenrir, il gigantesco lupo mitologico nato dall’unione tra Loki, con cui condivide la natura malvagia, e la gigantessa Angrboða; esso rappresenta una sorta di archetipo di tutti i lupi, intesi come nemici principali degli uomini. Un’altra creatura nata dall’unione tra Loki e la gigantessa è Miðgarðsormr (letteralmente “serpe di Miðgarð”), il mostruoso serpente marino talmente lungo da poter cingere con le sue spire il mondo intero, e dotato di un terribile veleno. Altre creature piuttosto note sono Huginn (“pensiero”) e Muninn (“memoria”), i due corvi messaggeri che tengono Odino perennemente informato su tutto ciò che accade nel mondo. Un’altra creatura legata a Odino è Sleipnir, il suo cavallo a otto zampe, anch’esso figlio di Loki. Infine è possibile citare non una creatura, bensì un albero; in particolare Yggdrasill, l’albero cosmico o albero del mondo, un frassino attorno al quale spazio astronomico e tempo cosmico si fondono generando l’ineluttabile destino dell’umanità. Su tale albero vive Ratatoskr, uno scoiattolo che percorre senza sosta e in maniera fulminea l’intero albero, dalle radici ai rami più elevati. Tutti questi personaggi partecipano agli eventi della mitologia norrena in egual misura rispetto a ogni altra divinità.
Per concludere, sebbene il discorso sulle divinità norrene sia strettamente collegato alla sfera mitologica e divina, la “sovrapposizione” tra Asi e Vani avrebbe in realtà delle radici ben più antiche, e sarebbe da ricollegarsi a un episodio antropologico e protostorico, ovvero la grande migrazione delle popolazioni indioeuropee verso occidente. Tale allegoria vedrebbe i popoli indioeuropei come le divinità Asi che, in quanto divinità celestiali, venivano adorate da popolazioni nomadi quali erano gli indioeuropei. Tale simbologia ricondurrebbe dunque alla conquista della Scandinavia (popolata dalle popolazioni autoctone) da parte degli indioeuropei, i quali sarebbero venuti in contatto con le popolazioni norrene, legate a una cultura più sedentaria e meno bellicosa, e dunque di tipo contadino (riconducibili appunto ai Vani). Un ulteriore parallelismo sarebbe fattibile in termini di culti primordiali, i quali sarebbero appunto legati agli elementi che maggiormente caratterizzano gli Asi e i Vani, ovvero (rispettivamente) guerra, caccia, raccolta e agricoltura. Dai primi del ‘900 in poi molti studiosi e antropologi quali Salin, Dumézil e De Vries si sono approcciati a questa tipologia di studi, comparando miti e leggende a fatti storici realmente accaduti, sebbene tutte queste teorie restino comunque delle ipotesi.
Fonti di trasmissione
Come citato precedentemente, la stragrande maggioranza della mitologia norrena veniva trasmessa oralmente. Questo avveniva principalmente per due motivazioni: prima di tutto la scrittura, nell’Alto Medioevo, era ancora uno strumento di trasmissione piuttosto raro ed elitario per la popolazione (erano quasi unicamente i più colti, come i religiosi, ad averne accesso); in secondo luogo, trattandosi di saghe, fiabe, favole, miti e leggende, essi venivano diffusi sottoforma di storie e racconti, e dunque spesso narrati in grandi compagnie o attorno a un fuoco, come momento ludico e di svago. Questa fonte di trasmissione ha fatto sì che buona parte di tali racconti andassero perduti per sempre, o modificassero radicalmente la loro struttura originaria, a causa dell’inaffidabilità che da sempre caratterizza le trasmissioni orali. Tuttavia, pur trattandosi di leggende pagane, sono stati proprio i religiosi cristiani a recuperare, conservare, copiare e tramandare i pochi frammenti rimasti in circolazione in età medievale. Ad oggi, molti di questi miti e leggende sono sopravvissuti nel folklore locale, e orale, scandinavo e tedesco, sottoforma di fiabe e racconti popolari.
Edda in prosa
Uno dei pochissimi testi che ci sono stati tramandati sottoforma di prosa è l’Edda in prosa (conosciuta anche come “Edda di Snorri”, “Edda recente” ed “Edda minore”), trasmessaci nell’Alto Medioevo attraverso vari codici più o meno completi. Tale opera fu scritta a cavallo tra il 1222 e il 1225, dall’autore Snorri Sturluson (storico, poeta e politico islandese dell’età altomedievale); essa rappresenterebbe un vero e proprio manuale di poetica norrena per aspiranti poeti. Si tratta tuttavia di un manuale piuttosto complesso, carico di metafore poetiche (dette “kennigar”) e densi significati nascosti, i quali vengono spesso esposti attraverso riferimenti che affondano le loro radici nella mitologia norrena, motivo per cui tale testo rappresenterebbe una delle massime fonti per comprendere, studiare e analizzare questa mitologia. Infatti, senza una buona conoscenza di quest’ultima, non si avrebbe la possibilità di comprendere la profondità di questo manuale. L’opera è composta da un prologo e da tre parti tra loro ben distinte; tuttavia, ciò che la rende davvero caratteristica è il fatto che, nonostante Snorri l’abbia composta in piena età cristiana, la massima fonte da cui egli attinge siano proprio culti e leggende di carattere pagano. Molti studiosi pensano che abbia fatto ciò principalmente per non lasciare che il patrimonio culturale del suo popolo andasse perduto.
«Questo libro si chiama Edda. Lo compose Snorri Sturluson nel modo qui riportato…»
Inizio dell’Edda in prosa.
Un altro testo particolarmente importante per la ricostruzione della mitologia norrena è la cosiddetta Edda poetica (nota anche come “Edda in poesia”, “Edda antica”, “Edda maggiore” e “Canzoniere eddico”); fu erroneamente attribuita all’erudito autore Saemundr il Saggio, e per questo motivo viene spesso anche chiamata “Edda di Saemundr”. L’opera rappresenta un’intera raccolta di ventinove canti scritti in norreno e tratti da un importante manoscritto di epoca altomedievale islandese, noto come “Codex regius“. Tale manoscritto venne redatto intorno al XIII secolo d.C. (data presa come terminus ante quem), nonostante la datazione generale sia piuttosto incerta e tutt’oggi ancora dibattuta, poichè non vi è alcuna garanzia che tutti i versi raccolti al suo interno risalgano allo stesso periodo (alcuni potrebbero persino risalire al IV/V secolo d.C.). I primi dieci canti trattano le imprese degli dei, mentre gli ultimi diciannove le gesta degli eroi, e sono tutti caratterizzati dal metro poetico allitterativo (i versi sono legati tra loro dall’allitterazione). Tuttavia ad essere incerta non risulta solamente la datazione, ma anche il vero autore (o gli autori) dell’opera, poichè di nessun canto è stato possibile individuarne uno specifico. La forma orale, tipica della classica mitologia norrena altomedievale, permane, ed è possibile scorgerla in vari canti che affondano le loro radici nella tradizione dei menestrelli medievali.
Vǫluspá: la profezia della veggente
Uno dei poemi più celebri e importanti è la cosiddetta Vǫluspá, nota anche come “La profezia della vǫlva” o “Profeziadella veggente”; tale poema rappresenta il più famoso, nonchè primo poema (di apertura) dell’Edda poetica. Si tratta di un testo di carattere gnomico e sapienziale, ovvero direttamente riferito all’esposizione e alla conoscenza di eventi profondi e primordiali, genere che risulta essere tuttavia comune a molti altri testi eddici. Sebbene l’autore di questo testo sia tutt’ora sconosciuto, sappiamo per certo che fosse un islandese dotato di grande talento, certamente ancora strettamente legato alle tradizioni pagane dei vichinghi (motivo per il quale ci risulterebbe possibile collocarlo cronologicamente intorno al X secolo d.C.). L’opera in sè risulta essere estremamente complessa ed elaborata, talvolta scritta in maniera talmente criptica e confusionaria da non riuscire a comprendere del tutto i suoi significati spesso nascosti; tuttavia, nonostante la complessità e la sua difficile interpretazione, risulta essere una delle fonti principali per lo studio e l’interpretazione della mitologia norrena. La Vǫluspá si configura insomma come una vera e propria summa mythologiae scandinava, nonchè uno dei poemi epici più misteriosi e ben scritti di ogni epoca e luogo.
Protagonisti principali del racconto sono Odino e una vǫlva (nota anche come “spákona”, ovvero “donna veggente”), una veggente interrogata dal padre degli dei dopo che quest’ultimo avrebbe invocato il suo spirito per chiederle un responso sugli eventi del passato e del futuro. Seppur notevolmente riluttante nei confronti della richiesta di Odino (da sempre assetato di conoscenza), la veggente cede infine alle insistenti richieste del dio, e inizia così un lungo ed elaborato racconto sulle origini di tutti i tempi e sull’apocalisse che porterà alla conclusione di tutto (il cosiddetto “Ragnarok”). Ciò che maggiormente caratterizza questa narrazione è la profonda capacità narrativa e di espressione della veggente, la quale utilizza nelle sue storie una notevole molteplicità di miti e leggende norrene, conferendo al tutto un’intensa aura di misterosità e segretezza. La fine della Vǫluspá è piuttosto tragica poichè la veggente, dopo aver profetizzato a Odino tutti i suoi segreti sul passato e sull’avvenire, precipita nuovamente nelle tenebre come se morisse un’altra volta, ritornando così nel regno dei morti (da cui era venuta).
Ascolto io chiedo a tutte le sacre stirpi, maggiori e minori figli di Heimdallr. Tu vuoi che io, o Valfǫðr, compiutamente narri le antiche storie degli uomini quelle che prima ricordo.
Inizio della Vǫluspá.
Il passato: la creazione dell’universo
Stando ai racconti narrati dalla vǫlva, il primo di essi è possibile ricondurlo a una dettagliata spiegazione circa l’originee lacreazione dell’universo. Secondo la mitologia norrena, prima di tutti i tempi esistevano due mondi estremamente opposti: il regno del ghiaccio (Niflheimr, letteralmente “casa della nebbia”, poichè coperta da gelo, ghiaccio e nebbia) e il regno del fuoco (Múspellheimr, letteralmente “terra delle fiamme”, poichè il calore e il fuoco regnano incontrastati); tali mondi sarebbero collocati rispettivamente a nord e a sud del Ginnungagap (letteralmente “varco spalancato”), uno sconfinato abisso caratterizzato dal nulla cosmico, in cui non viveva niente e nessuno e nel quale regnavano e si agitavano senza sosta potenti e incontrollabili energie cosmiche (è da intendersi non come una vera e propria carenza di sostanze fisiche, ma piuttosto come una totale mancanza di forme conoscibili). In tale scenario primordiale regnano dunque due poli opposti, da cui nasceranno l’universo conosciuto agli uomini e gli dei.
“All’inizio dei tempi non c’era la terra, né in alto si vedeva il cielo, non c’erano il mare e le spiagge, non v’erano piante, né erba, né altre creature viventi. Dovunque si spalancava il Ginnungagap.”
Descrizione del Ginnungagap nell’Edda poetica.
Questi due regni estremi e contrapposti si riversano continuamente nel Ginnungagap, fino a quando fuoco e lava, e ghiaccio e gelo non si scontrano, dando origine a una fitta serie di particelle cariche di vita. Dalla fusione di questi poli opposti vengono generate due creature gigantesche e primordiali: il gigante Ymir, che dalle fattezze androgine poteva ricoprire l’intera superficie terrestre, e la cosiddetta “vacca cosmica” Auðhumla, con il solo scopo di nutrirlo con il suo latte. Tuttavia Ymir, nonostante fosse ancora solamente un neonato, a causa della sua mole elevata possedeva una sudorazione elevatissima e, mentre dormiva, generò dal sudore del braccio sinistro un gigante maschio e uno femmina, mentre dal sudore delle gambe creò Þrúðgelmir, un gigante a sei teste che generò a sua volta un altro gigante, Bergelmir. Col passare del tempo la sudorazione di Ymir non cessava e, giorno dopo giorno, nacque l’intera stirpe dei malvagi giganti del ghiaccio (detti “Jotun”).
Tuttavia Ymir non fu l’unico capace di generare nuova vita; nel frattempo infatti la vacca Auðhumla per nutrirsi leccava il ghiaccio dalle cime delle montagne di Nifleheim, fino a quando non plasmò dai ghiacci una forma androgina che prese vita. Essa era Búri, il primo degli dei che, pur essendo molto bello, forte e potente, soffriva di una grande solitudine; per questo motivo creò un figliò per sè, chiamaro Borr, che successivamente si unì con la gigantessa Bestla, la figlia di uno dei giganti che erano stati generati precedentemente da Ymir. Questa unione risulta essere estremamente significativa per la mitologia norrena, poichè da Borr e Bestla nacque il primo degli dei Asi, Odino, e con lui altri suoi due fratelli, Vili e Vé. I tre fratelli erano potentissimi e molto intelligenti, tanto che ingaggiarono una furiosa lotta contro Ymir, essendo bramosi di potere, e riuscirono a ucciderlo.
Dopo la morte di Ymir, Odino e i suoi fratelli utilizzarono il suo corpo per formare il mondo degli uomini; dal cranio venne creata la volta celeste, e fu ordinato a quattro nani di sostenerla (i nani erano nati dai vermi della carcassa di Ymir, dopo che fu gettata nel Ginnungagap), Austri, Vestri, Sudhri e Nordhi, i quali divennero così i quattro punti cardinali. Dai suoi capelli nacquero poi fitte foreste, dal suo scheletro furono generate le catene montuose, e il suo sangue servì a creare laghi, fiumi e mari, colmando le profonde cavità della terra. Le stelle, la luna e il sole furono invece il risultato dei frammenti infuocati che, dal regno di Muspellshein, continuavano a precipitare senza sosta nell’abisso. I frammenti del suo cervello furono invece il risultato delle nuvole, venendo lanciati nel cielo, e successivamente il regno degli uomini (Miðgarðr) e quello dei giganti (Jǫtunheimr) venne separato da un’alta muraglia insormontabile, generata dalle sue sopracciglia.
Infine i tre dei figli di Borr crearono i primi uomini per popolare Miðgarðr (la “terra di mezzo”), e utilizzarono il legno di due diversi alberi, intagliandone così le loro forme (androgine, come quelle dei primi giganti che popolarono Jǫtunheimr, la terra dei giganti); il primo essere umano fu infatti Askr, ovvero “frassino”, mentre la prima donna fu Embla, ovvero “olmo”. Odino diede loro in dono l’anima (intesa come vita/soffio vitale, esso rappresenta tra tutti il dono più importante e carico di significato), Vé i cinque sensi e Vili l’intelligenza e la ragione; da loro sarebbe poi nata l’intera razza umana.
Sole e Luna vennero invece generati da un gigante, Mundilfœri, che ebbe due figli chiamati Sól , ovvero “sole” (la bambina), e Máni, ovvero “luna” (il bambino). Tuttavia gli dei non tollerarono l’arroganza con cui il gigante, un comune mortale, utilizzasse i nomi delle loro creazioni per i suoi figli (sempre comuni mortali), così come punizione posero i due bambini nel centro del cielo. Così Sól è costretta a guidare il carro che trasporta il sole (trainato da due cavalli, Árvakr e Alsviðr), mentre Máni quello della luna, determinandone l’eterna alternanza del sorgere di uno e del calare dell’altro; per fare ciò entrambi sono inseguiti da due lupi mostruosi, Skǫll (“traditore”) insegue il carro del sole, mentre Hati (“nemico”) quello della luna. Tuttavia si dice anche che Hati ogni mese riesca a raggiungere la luna e ad azzannarla, staccandone un pezzo (interpretazione mitologica dell’eclissi lunare).
Un altro importante evento sull’alternarsi è stato sancito da un altro gigante, il quale ebbe una splendida figlia, dalla carnagione tenebrosa e dai capelli corvini scuri come la pece, Nat, ovvero “notte”. Ella poi ebbe a sua volta un figlio, Dagr, ovvero “giorno”; egli, al contrario della madre, era candido e raggiante, ed emanava un’intensa luminosità. Volendo gli dei celebrare tanta bellezza e magnificenza, fecero dono a Nat e Dagr di due magnifici e rapidissimi cavalli, con i quali possono compiere un intero giro tutto intorno alla Terra in appena dodici ore, alternando così costantemente il nascere del giorno e il calar della notte.
L’avvenire: ovvero il Ragnarok
La veggente, dopo aver terminato il racconto sulla creazione del mondo e dell’universo (ovvero il passato), descrive poi l’enorme albero Yggdrasill e le tre norme che, ai suoi piedi, tessono le trame dei destini degli uomini. Narra poi della leggendaria battaglia avvenuta tra gli dei Asi e gli dei Vani, per poi soffermarsi sull’omicidio di Baldr per mano di Loki. La Vǫluspá si conclude poi con il concentrarsi del racconto della vǫlva sugli avvenimenti che caratterizzeranno il futuro, ovvero l’avvenire. Questa narrazione assume dei toni particolarmente tragici, poichè tale epoca è caratterizzata, secondo la mitologia scandinava, dal Ragnarok (letteralmente “destino degli dei”), ovvero l’apocalisse, la fine di tutti i tempi. Il Ragnarok sarebbe infatti caratterizzato da una fitta serie di eventi drammatici e catastrofici, estremamente significativi per poter fornire un’interpretazione complessiva della mitologia norrena; si tratta infatti di un episodio cruciale che, pur essendo fortemente enigmatico, è stato studiato e analizzato molteplici volte nel corso dei secoli da numerosi studiosi.
Ciò che maggiormente caratterizza il Ragnarok come l’evento più drammatico nella storia della mitologia norrena è il fatto che neanche gli dei potranno impedirlo; esso è infatti inevitabile, poichè rappresenterebbe il principale mezzo attraverso cui potrà generarsi un nuovo universo purificato, cominciando così un nuovo ciclo cosmico (che avrà a sua volta una nuova creazione dell’universo e un nuovo Ragnarok, alternando episodi di creazione e distruzione per tutta l’eternità, in maniera ciclica). A determinare l’inizio del Ragnarok, contribuiscono però tre diversi segnali, tutti indizi di un mondo sul punto di disgregarsi e crollare.
PRIMO SEGNALE = Il casus belli che preannuncerà l’avvenuta del Ragnarok è l’assassinio di Baldr per mano del malvagio Loki, il quale lo uccide dopo aver ingannato Höðr, convincendolo a trafiggere il dio della luce; tale drammatico evento termina con un solenne funerale, per celebrare quanto Baldr fosse amato, ma sancisce per sempre una dura verità per tutto il mondo divino: l’impossibilità di sfuggire al proprio destino, persino di fronte alla morte, proprio come succede agli esseri umani. Gli dei si accorgono così della vanità delle loro azioni di fronte a un fato immutabile, senza però rassegnarsi e accettare così tacitamente una loro debolezza. SECONDO SEGNALE = Caratterizza non il mondo divino, bensì quello degli uomini; essi infatti vivono in un mondo ormai privo di senso, all’interno del quale le leggi e le tradizioni sono state trascurate e dimenticate, provocando così guerre, nichilismo, egoismo e depravazione. Il genere umano è ormai avviato verso un declino senza vie d’uscita. TERZO SEGNALE = Riguarda gli astri e il mondo celeste, nonchè la fine del sole e della luna, che verranno ormai raggiunti e divorati dai lupi Skǫll e Hati, i quali priveranno così la Terra della luce solare, facendola sprofondare eternamente nelle tenebre. Allo stesso modo anche tutte le stelle verranno distrutte e non esisterà più alcun firmamento.
Ad annunciare il vero inizio del Ragnarok saranno tre galli, i quali avviseranno rispettivamente i giganti che vivono nello Jǫtunheimr, i morti del regno di Hel, e gli dei ad Ásgarðr saranno avvisati dal canto di Víðópnir, il gallo dorato che si posa sull’albero cosmico Yggdrasil il quale, scuotendo i suoi rami con veemenza, provocherà terremoti e maremoti che squarceranno l’intera Terra, distruggendola. Questo forte tremore determinerà anche lo spezzarsi di tutte le catene esistenti, e così Loki e i suoi figli, il lupo Fenrir e il serprente Miðgarðsormr (imprigionato nelle profondità degli abissi), potranno liberarsi dalla prigionia decretata da Odino, provocando morti e distruzioni al solo loro passaggio (Fenrir sulla Terra, mentre Miðgarðsormr nel mare). Arriveranno anche i morti, ovvero l’“esercito del male”, dal regno di Hel i quali, trasportati dalla nave infernale Naglfar, lasceranno il regno degli inferi per giungere sulla Terra e portare devastazioni.
Tuttavia il vero significato del Ragnarok, il culmine estremo di questa violenta e devastante vicenda, viene rappresentato da una battaglia di natura escatologica, nella quale si sfideranno le forze del caos, guidate da Loki affiancato dai suoi mostruosi figli, dai giganti (guidati da Surt, armato di una gigantesca spada infuocata con la quale annienta ogni cosa incontri sul suo cammino), dall’esercito del male e da tutti coloro che erano stati esiliati o imprigionati da Odino, e le forze ordinatrici, ovvero gli dei celesti, chiamati a raccolta da Heimdall, guardiano di Ásgarðr e custode del Bifrost, il ponte dell’arcobaleno che collega Ásgarðr a Miðgarðr. Gli dei sono consapevoli dei loro destini e, sapendo che questa sarà l’ultima tra tutte le battaglie, scelgono solamente di battersi con valore contro le forze del male. Tale battaglia decreterà molteplici morti da ambo le parti: da un lato periranno alcuni tra i più valorosi dei del pantheon norreno, dall’altra alcune creature mostruose schierate con le forze del male. Odino verrà infatti sbranato da Fenrir, che a sua volta verrà massacrato da Vidar, uno dei figli di Odino desideroso di vendicare il padre; Thor riuscirà invece a sconfiggere il Miðgarðsormr, tuttavia, essendo troppo indebolito dal suo veleno, perirà anch’egli poco dopo il serpente; infine si sfideranno Loki e Heimdall, anch’essi uccidendosi a vicenda in seguito a un violento e terribile scontro.
A seguito dello scontro finale, il padrone incontrastato di tutto rimarrà il gigante Surt, che con la sua spada infuocata brucerà la Terra e tutti i nove mondi, facendo nuovamente sprofondare l’intero universo in un mare bollente fatto di onde laviche che ripristinerà il profondo stato di buio, silenzio e nulla cosmico presente alle origini di tutto, ovvero l’abisso cosmico del Ginnungagap, che sorgerà ancora una volta come prima che tutto l’universo venisse generato. Sebbene il Ragnarok abbia portato alla morte molti dei e molte creature del male, questa lotta tra le forze del bene e quelle del male non possiede nè un vinto nè un vincitore, poichè il solo scopo delle fiamme che hanno inghiottito ogni cosa è quello di purificare, per permettere così una completa rinascita. Affinchè un nuovo universo possa rinascere, quello vecchio deve obbligatoriamente essere distrutto. Perciò, gli dei che sono riusciti a sopravvivere daranno origine a una nuova età dell’oro del pantheon norreno, la Terra tornerà nuovamente a splendere e tutti i valorosi dei morti per difendere l’universo, continueranno a vivere in una memoria di gloria eterna, e tutte le forze del male ritorneranno da dove erano venute. Pertanto, con la conclusione di tali eventi apocalittici, non solo verrà generata una nuova stirpe divina, ma anche una rinnovata progenie umana, e la Terra sarà ripopolata da Lif (letteralmente “vita”) e Lífþrasir (letteralmente “desiderio di vita”).
Gli influssi attuali
Sebbene fonti e testimonianze riguardo miti, leggende e soprattutto per quanto riguarda la mitologia norrena siano estremamente esigue, le poche tracce che ci sono pervenute hanno avuto un fortissimo impatto in epoche più recenti, anche a livello mondiale. In tempi molto più moderni ci sono stati infatti, sia in Europa che negli Stati Uniti, vari tentativi di restaurazione nei confronti dell’antichissima religione scandinava. Tali movimenti hanno preso il nome di Etenismo (o “neo-paganesimo germanico”, inteso come l’insieme dei nuovi movimenti religiosi legati ai culti germanici pre-cristiani), ed è caratterizzabile come un nuovo fenomeno di neo-paganesimo. Movimenti di questo tipo è possibile riscontrarli in forme anche più radicate in vari Paesi europei come l’Islanda, dove l’Etenismo è riconosciuto come Ásatrú, il quale è stato “sancito” ufficialmente come religione nel 1973, legalizzando matrimoni, battesimi e svariate altre cerimonie religiose. Un altro Paese è invece la Danimarca, dove l’Etenismo rappresenta una religione ufficiale e legalizzata, seppur ancora notevolmente nuova e poco condivisa tra i cittadini.
Oltre agli influssi nel campo della religione, la mitologia norrena ha avuto anche numerose e notevoli influenze in ambiti molto più “frivoli” e moderni; alcuni dei massimi esempi sono riscontrabili soprattutto in ambito musicale e cinematografico. Nel primo caso è possibile parlare di influenze musicali specialmente in tempi molto recenti, poichè la mitologia scandinava è stata una ricchissima fonte d’ispirazione per vari testi di canzoni, nomi di band e anche generi musicali, come il death metal, il black metal, il folk metal e soprattutto il viking metal; oltre al più conosciuto metal infatti si sta sviluppando anche un nuovo genere musicale dai tratti fortemente folkloristici, il neofolk, il quale utilizza strumenti tradizionali, tratta temi nordici ed è realizzato in lingua originale. Nel campo della cinematografia invece non sono stati “utilizzati” solamente temi nordici tratti da racconti mitici e leggende, bensì anche svariati personaggi (soprattutto divinità e creature mitiche, ma anche vari personaggi storici realmente esistiti), i quali, attraverso rappresentazioni più moderne e innovative per film e serie TV, hanno contribuito notevolmente a influenzare l’idea che si aveva di questi elementi, nonostante l’elevata carenza di fonti che li rappresentano.
Per concludere, ulteriori influenze (seppur in misura minore ma per questo non meno importanti) tratte dalla mitologia norrena, sono state riscontrate in epoche nettamente più recenti anche in ambiti più ristretti, quali la letteratura fantasy e storica e i giochi di ruolo. Dal 1900 in poi infatti epopee, miti e leggende scandinave hanno dato vita a un nuovissimo genere letterario, noto come “narrativa fantasy” (o “letteratura fantasy”); tale genere, caratterizzato da eventi fantastici e creature leggendarie tipiche della mitologia vichinga, ha avuto un enorme successo a livello mondiale, venendo apprezzato da tutti i sessi e da tutte le età. Tuttavia la narrativa fantasy non è stato l’unico genere letterario a imporsi, e si è così affiancato al romanzo storico, il quale ha spesso e volentieri riportato storie e vicende (sia romanzate che reali) legate alla storia dei vichinghi. Un altro campo in cui la mitologia nordica ha avuto un notevole successo sono i videogiochi (o giochi di ruolo), caratterizzati spesso da tratti fantasy e nordici riproducenti vari personaggi del pantheon nordico, oltre che molteplici paesaggi tipici della mitologia norrena.
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