M, Il figlio del secolo.

Sono finalmente riuscito a recuperare M, il figlio del secolo, la serie Sky con Luca Marinelli nei panni di Mussolini.

E visto che più di qualcuno me l’ha chiesto, vi do il mio parere.

Comincio col dire che la serie mi è piaciuta tantissimo è inquietante, divertente e ci mostra un Italia degli anni 20 molto attuale, diciamo pure che viviamo in un momento storico in cui tracciare un parallelismo con gli anni 20 del secolo scorso, è abbastanza “facile”.

Il Mussolini che incontriamo nella serie è un ottimo Mussolini, ben caratterizzato e forte di discorsi e riflessioni che sono presi direttamente dai suoi scritti, sia pubblici che privati.

Gli scritti pubblici ci mostrano un mussolini “forte”, quelli privati un mussolini più vulnerabile e la serie dosa bene questi momenti.

Piccola nota tecnica, molte scene sono prese direttamente da un ciclo di lezioni di storia del professor Emilio Gentile, tenute circa 15 anni fa, e per chi fosse interessato, sono disponibili come podcast su Audible.

Dico che sono prese da lì, e non da altre opere biografiche su Mussolini, perché Marinelli nella serie si rivolge direttamente allo spettatore, fa alcune considerazioni, battute e provocazioni che troviamo anche nelle lezioni di Emilio Gentile, come battute e provocazioni del professore.

Tornando a Mussolini, sebbene sia un ottimo personaggio negativo, quello ci viene mostrato non è proprio Mussolini, e volendo essere provocatori, non è più Mussolini del Mussolini di raccontato da Indro Montanelli in “Io e il Duce”, solo che lo vediamo dal punto di vista “opposto”.

La serie ci mostra un Mussolini surreale, scaltro e manipolatore ma anche codardo e opportunista, che sa girare a proprio vantaggio anche un evento negativo, mentre Montanelli ci fornisce un racconto molto assolutorio nei confronti del Duce, ci racconta un Mussolini vittima degli eventi, un uomo sostanzialmente buono che si circonda di cattive amicizie e commette “qualche errore” nel tentativo di inseguire il potere.

La verità sta nel mezzo, Mussolini è entrambi i Mussolini e non è nessuno dei due.

Mussolini nel ventennio fece un lavoro meticoloso per costruire attorno a se e alla propria figura un culto quasi religioso, una fede laica nell’uomo e, per usare proprio le parole di Emilio Gentile, divenne un autentico nume vivente, il primo e forse unico vero nume vivente della storia contemporanea… Hitler e Stalin dopo di lui lo hanno imitato, e pur facendo un ottimo lavoro, non sono riusciti a farsi “amare” quanto gli italiani amarono Mussolini.

E questo la serie lo sa, ce lo dice, e prova a decostruire quel mito, raccontando un Mussolini più umano e “miserabile”.

La serie strappa via quell’aura di sacralità e misticismo che da più di un secolo avvolge Mussolini e ci restituisce un uomo, che ha delle paure, che commette degli errori, e ne commette, senza che però questa sua umanizzazione lo assolva, ma anzi, diventa quasi un aggravante.

Nel complesso la serie l’ho già detto, l’ho apprezzata molto, e il fatto che parli più dell’attualità che degli anni 20, forse è un motivo in più per guardarla.

Mercenari di Domenico Vecchioni | Guida alla lettura

In questa guida alla lettura analizzeremo il saggio storico di Domenico Vecchioni, edito da Diarkos.

Il saggio analizza e sviscera la figura del mercenario attraverso i secoli, prestando attenzione alle varie evoluzioni storiche e politiche che hanno caratterizzato la figura del mercenario in varie epoche e località, presta inoltre attenzione alla figura odierna dei Mercenari e delle Società Militari Private, come Black Water e Wagner.

Si tratta di un libro a mio avviso interessante, su un tema complesso, che l’autore è riuscito a trattare in modo eccellente, fornendo al lettore tutti gli strumenti di cui necessita per poter affrontare il tema.

Se dovessi indicare un livello di difficoltà che si può riscontrare leggendo il saggio di vecchioni, direi che è un saggio adatto più o meno a tutti. Che tu sia uno studente di storia, un addetto ai lavori, o un semplice appassionato, il aggio offre spunti interessanti relativi alla storia e alla figura del mercenario.

Chi è Domenico Vecchioni

Cominciamo con il dire chi è Domenico Vecchioni, l’autore di Mercenari, il mestiere della guerra, dall’antica grecia al gruppo Wagner.

Domenico Vecchioni, scrittore e diplomatico, già autore di saggi come I signori della Truffa, Lo sbarco in Normandia e Le spie del fascismo. Per quanto riguarda i primi due saggi, ovvero I signori della Truffa e Lo sbarco in Normandia, ho avuto la possibilità di leggerli grazie all’editore Diarkos e di pubblicare delle guide alla lettura.

Tornando a Vecchioni, la sua carriera diplomatica inizia con gli studi in scienze politiche che lo avrebbe portato a prestare servizio presso il consolato italiano di Havre e l’ambasciata italiana di Buenos Aires, per poi prestare servizio a Bruxelles presso la Nato e a Strasburgo presso il consiglio d’Europa.

Vecchioni ha inoltre ricoperto diversi incarichi presso la Farnesina, come capo segreteria della direzione generale delle relazioni culturali, capo segreteria della direzione generale del personale e capo ufficio “ricerca, Studi e Programmazione” ed è stato in fine Ispettore delle Ambasciate e dei consolati italiani all’estero.

Una carriera invidiabile sul piano diplomatico che si riflette in numerose onorificenze italiane e internazionali.

Sul piano storico e divulgativo, Vecchioni, oltra alla propria produzione saggistica che conta circa trenta saggi storici e politici, ha collaborato con diverse riviste di settore, tra cui la Rivista di studi politici internazionali, e le riviste storiche Storia Illustrata, Cronos, Rivista Marittima, Conoscere la storia e Civiltà Romana. Vi sono poi collaborazioni con le riviste di Intelligence Gnosis, Intellicence e Storia top secret, e le riviste di geopolitica Tempi di guerra. Inoltre, è attualmente collaboratore dell’edizione italiana di BBC History.

Chi è il mercenario

La figura del mercenario, ai giorni nostri, è una figura particolarmente controversa, che, salvo rare eccezioni, soprattutto sul piano narrativo, figura tra le fila degli antagonisti, e in effetti il mercenario è il nemico perfetto, perché, per la propria natura asservita alla pura mercificazione delle proprie competenze, si configura come una figura di estrema opposizione per i protagonisti, ma allo stesso tempo, pronta a farsi da parte, questo perché il rischio ha un prezzo e se il rischio è superiore al prezzo, il mercenario, almeno sul piano narrativo, può farsi da parte.

Il mercenario, detto molto semplicemente, non sempre è il tipo di guerriero disposto a morire sul campo, e questo perché, nella stragrande maggioranza dei casi, quella battaglia su quel campo, non è la sua battaglia e dunque, in qualsiasi momento, può ritirarsi, o addirittura voltare le spalle ai propri committenti, e la storia dell’uomo è piena di vicende in cui eserciti mercenari, soprattutto in età moderna, hanno imbracciato le armi al fianco e contro lo stesso nobile di turno. In alcuni casi, saccheggiando la città che avevano protetto, perché non pagati.

La storia dei mercenari è una storia avvincente, piena di colpi di scena se vogliamo, una storia che Domenico Vecchioni, nel libro “Mercenari, il mestiere della guerra, dall’antica Grecia al Gruppo Wagner” ha provato a ricostruire e raccontare, ripercorrendo le vicende degli eserciti mercenari nelle varie epoche storiche, dal mondo antico ai giorni nostri, si passa quindi dagli opliti ai soldati di ventura e si arriva alle società militari private che al giorno d’oggi, offrono servizi di sicurezza e combattimento, a stati ed organizzazioni, e di queste, probabilmente la più famosa in assoluto, salita alla ribalta per le vicende legate al conflitto in Ucraina, vi è il gruppo Wagner.

Nel proprio libro, Vecchioni analizza la figura del mercenario a 360 gradi, identificandone motivazioni e tratti principali, e lo fa, con una comparazione tra i mercenari dell’antica Grecia, dell’Italia romana precedente la riforma militare di Caio Mario, le legioni barbariche che caratterizzarono le forze romane dal terzo secolo, e poi ancora mercenari italici, normanni, russi, ecc, che imperversarono sull’Europa continentale tra età medievale e moderna, in alcuni casi riuscendo ad elevare il proprio status da, capitano di ventura a nobile, si guardi ad esempio la dinastia degli Sforza a Milano, inaugurata da Francesco Sforza, valente combattente e capitano di ventura che riuscì intorno alla metà del XV secolo, a strappare il ducato di Milano alla famiglia Visconte.

Ripercorrendo la storia dei mercenari tuttavia, possiamo osservare che tale figura, se bene combatta prevalentemente per merce in guerre che non gli appartengono, in alcuni casi può essere motivato da ideologie, avventura o potere. E in questo senso il saggio mostra Giuseppe Garibaldi ed i mercenari garibaldini, a tutti gli effetti soldati di ventura, mercenari, che nella seconda metà del XIX secolo combatterono in giro per il mondo, giocando un ruolo chiave nei nella definizione del mondo, soprattutto in Italia e America Latina.

Garibaldi è un mercenario così come lo è Francesco Sforza, e pure, tra i due uomini vi sono infinite differenze, dettate non solo dal contesto storico in cui vivono e combattono, ma anche in ciò che li spinse ad imbracciare le armi e combattere.

Tre punti chiave del libro di Domenico Vecchioni

Il saggio di Vecchioni propone un analisi della figura storica del mercenario, attraverso tre punti chiave, che sono l’evoluzione del mercenario attraverso i secoli, i protagonisti della storia dei mercenari e in fine, analizzando ed osservando quelle che sono le sfide odierne del mercenarismo, in questo senso, andando ad osservare il fenomeno delle società militari private.

Per quanto riguarda l’evoluzione storica del mercenario, Vecchioni ripercorre le diverse epoche storiche e le diverse aree geografiche, producendo in questo senso un quadro estremamente variegato e completo della figura del mercenario attraverso i secoli. Il libro osserva i nodi storici in cui i Mercenari hanno giocato un ruolo centrale all’interno di conflitti di varia natura, di conseguenza, guerre, rivolte e colpi di stato, sono alla base della narrazione.

I mercenari tuttavia, non sono un corpo unico e vi sono figure diverse, che ragionano in modo diverso e che agiscono in modo diverso, gli eserciti mercenari sono de facto, per molti secoli, agglomerati di combattenti al servizio del miglior offerente, guidati da audaci e brillanti condottieri e capitani di ventura, ed è proprio a loro che Vecchioni dedica ampio spazio nel proprio saggio, attraverso il racconto, abbastanza dettagliato, delle gesta e delle imprese, dei più famosi e controversi mercenari della storia.

Il terzo punto del libro offre uno sguardo all’attualità, e analizza il ruolo delle società militari private (SMP) nel contesto geopolitico e giuridico del mondo contemporaneo, e nel farlo, Vecchioni pone l’accento sulle opportunità ed i rischi che tali società, rappresentano per la sicurezza internazionale, i diritti umani, la sovranità degli stati e le responsabilità dei governi.

Si guardi ad esempio alle recenti vicende dell’Ucraina, in cui, il gruppo Wagner è stato protagonista di vicende controverse e scomode, il gruppo Wagner nello specifico è stato accusato di aver commesso terribili crimini di guerra, a partire dal non rispetto delle convenzioni internazionali e del diritto di guerra, accuse che tuttavia, non hanno avuto lo stesso eco e la stessa portata, ne le stesse conseguenze, che avrebbero avuto se il soggetto accusato fosse stato uno Stato, quale può essere il mandante, in questo caso specifico la Russia.

La struttura del libro

Il saggio di Vecchioni è suddiviso in tre parti, la prima parte del libro, il cui sottotitolo è “storia del mercenarismo” racconta l’evoluzione storica della figura del mercenario, attraverso nove capitoli che inquadrano i mercenari del mondo antico, dell’età medievale, del rinascimento, dell’età moderna fino ad arrivare ai mercenari del novecento.

Nella seconda parte il saggio si sofferma sui mercenari odierni ovvero le società militari private ed i loro rapporti con stati e organizzazioni internazionali. Protagonisti di questa sezione del libro sono le tre grandi società di mercenari del nostro tempo, ovvero, il sopracitato gruppo Wagner, legato alla Russia, la statunitense Black Water, e la britannica Sandline.

La terza parte del saggio il cui titolo è “il quadro giuridico” esamina il diritto internazionale in materia di mercenariato, cercando di individuare i limiti legali e giuridici di questa professione. In questa sezione sono analizzate a affondo la convenzione internazionale dell’ONU e la convenzione regionale dell’OUA che vietano l’attività dei mercenari.

La bibliografia di riferimento

La bibliografia alla base di questo libro è compatta ma interessante, si compone nello specifico di diversi volumi riguardanti la storia dei mercenari, tra cui Historie des mercenaries di Tallander, e Mercenaires (Soldats sans drapeau) di Joaquì Manes Postigo.

Nel complesso la bibliografia alterna opere di ampio respiro a saggi che indagano casi specifici come Mercenari (Gli italiani in Congo) di Ippolito Edmondo Ferrario e Wagner di Lou Osborn e Dimitri Zufferey.

Osservando la bibliografia di riferimento si può osservare una certa influenza della storiografia francese contemporanea.

Bettino Craxi, i suoi ultimi vent’anni, di Umberto Cicconi | Guida alla lettura

Bettino Craxi, i suoi ultimi vent’anni. Una biografia molto intima di Craxi curata da Umberto Cicconi, fotoreporter e caro amico Craxi

Qualche settimana fa, l’editore Diarkos mi ha contattato per la pubblicazione del nuovo libro di Umberto Cicconi, “Bettino Craxi, i suoi ultimi vent’anni“. Si tratta di una biografia di Craxi, scritta da una persona che, al di la delle vicissitudini politiche e storiche, è stato, per lungo tempo “un ombra discreta” dello stesso Craxi, almeno secondo le parole di Vittorio Michele Craxi, meglio noto come Bobo Craxi, figlio secondogenito dell’ex presidente del consiglio, a cui è affidata la prefazione del libro.

Come anticipato su Instagram, quando ho ricevuto il libro, la mia guida non sarà esente da critiche all’opera e anzi, punterò soprattutto la lente sulle problematiche del libro, il cui racconto, senza nulla togliere alle competenze dell’autore, è molto personale e vivido.

Umberto Cicconi non è solo un reporter e fotografo che ha seguito da vicino l’ultimo ventennio di Craxi, ma è anche un amico di famiglia dei Craxi, legato a Bettino di cui è stato fotografo personale e, per ammissione dello stesso Bobo, un caro amico anche dei figli.

Oltre alla prefazione di Bobo Craxi, il libro contiene anche una postfazione a cura di Ananda Craxi, figlia di antonio Craxi, fratello minore di Bettino.

Come Bobo anche Ananda sottolinea la vicinanza di Cicconi a Craxi, e, nella sua postfazione scrive “Cicconi, come lo chiamava lo zio (Bettino) è l’unica persona che io conosca rimasta fedele alla storia della vita di Bettino Crazi. Lui è letteralmente accanto a zio per tutti i sette anni trascorsi ad Hammamet, quando lo Zio era solo ed il mondo gli aveva voltato le spalle”. aggiungendo poi che Cicconi, “si è dimostrato più di un figlio per Bettino, fino alla fine della sua vita.”

Prefazione e postfazione ci mostrano in maniera evidente e inopinabile che vi è un profondo legame umano tra l’autore dell’opera e il soggetto della stessa, tuttavia, la presenza di questi tasselli in apertura e chiusura della biografia, contribuiscono a mettere in guardia il lettore da quell’opera che, come l’ha definita Bobo, non è propriamente un racconto storico di Craxi, quanto più un “lungo omaggio affettuoso” all’uomo e all’amico.

Vi è dunque una profonda onestà intellettuale da parte dell’autore che non nasconde e anzi, tende a sottolineare il proprio affetto all’uomo e la vicinanza alla famiglia Craxi, di cui in un modo o nell’altro è entrato a far parte.

Prima di cominciare con la guida alla lettura voglio segnalarvi un interessante intervista al professor Luigi Musella in cui il nostro collaboratore Sunil Sbalchiero, in cui hanno parlato proprio di Craxi e del PSI.

Chi è Umberto Cicconi

Come anticipato nell’introduzione, Umberto Cicconi è un fotoreporter che ha seguito da vicino le vicende e la storia personale politica di Craxi in qualità di suo fotografo personale e, a partire dalla fine degli anni novanta e primi anni duemila, ha pubblicato diversi libri di carattere biografico e aneddotico legati alla figura di Craxi, e, a ridosso della scomparsa dell’ex leader socialista, nel 2001 pubblica, in collaborazione con la fondazione Craxi, un album fotografico intitolato “Craxi. Una Storia“, ricco di fotografie che raccontano non solo il politico e lo statista, ma anche e soprattutto l’uomo Craxi.

Sulla stessa linea nel 2005, insieme all’editore Sapere 2000 pubblica un libro intitolato “Segreti e Misfatti – Gli ultimi vent’anni con Craxi“, un opera che dal sapore biografico, con prefazione del giornalista Antonio Ghirelli, ricca di aneddoti personali che la critica all’epoca definì come un racconto contenente giudizi, pensieri e ricordi di Craxi.

Al di la del legame personale con Craxi, Cicconi si è occupato anche di altro nella propria carriera, pubblicando numerose fotografie su riviste di attualità e politica come L’Espresso, Panorama, Oggi, e Chi.

Volendo esprimere un giudizio critico su Cicconi, possiamo dire che le sue fotografie, le sue raccolte e le sue mostre fotografiche, hanno raccontato parte della storia quotidiana, politica e non solo, del novecento italiano. E proprio su questo tema si è concentrata una delle sue mostre più importanti, realizzata collaborazione con la Casa del Cinema di Roma, in cui sono state esposte, nel 2010, decine di fotografie dell’Italia dal secondo dopoguerra al boom economico.

Per quanto riguarda la vicinanza di Cicconi alla famiglia Craxi, come anticipato nell’apertura, questa è evidente, la stessa Ananda Craxi, nipote di Bettino, precisa, nella postfazione all’opera che Cicconi, durante gli anni dell’esilio tunisino di Craxi, è rimasto al fianco di Bettino.

La struttura del libro

Chiusa la parentesi sull’autore che, utile per capire meglio quali possono essere i limiti dell’opera, guardiamo ora alla struttura del libro.

Copertina del libro Bettino Craxi, i suoi ultimi vent’anni, di Umberto Cicconi, edito da Diarkos editore

La biografia si apre con tre prefazioni, la prima a cura di Bobo Craxi, figlio di Bettino, la seconda, a cura di Giancarlo Governi e la terza a cura di Antonio Ghirelli, già curatore della prefazione di Segreti e Misfatti.

Alle prefazioni, che raccontano il legame dell’autore con il soggetto della biografia, fa seguito il vero corpus narrativo dell’opera, in cui Craxi viene raccontato da diverse angolazioni, con una narrazione trasversale che, attraverso l’uso massiccio di aneddoti, racconta gli ultimi 20 anni della vita di Craxi, dall’esperienza politica degli anni ottanta, fino alla fine dei suoi giorni ad Hammamet.

Seguono poi la postfazione di Ananda Craxi , nipote di Bettino e in fine, ma non meno importante, un capitolo intitolato “Profilo biografico di Bettino Craxi” curato da Angelo Ruggieri, già curatore della biografia di Craxi presente nel primo libro di Cicconi “Segreti e misfatti”.

Quest’ultimo tassello dell’opera si configura come una breve biografia che, in forma cronistica, traccia in modo estremamente puntuale i momenti salienti della vita di Benedetto Craxi, dalla sua nascita a Milano, presso la Clinica di via Macedonio Melloni il 24 febbraio 1934, alle 5 del mattino, passando per le tappe fondamentali della sua carriera politica, fino all’esilio e poi alla morte, avvenuta il 19 gennaio del 2000, alle 16:30.

Ruggiero ci fornisce un autentica crono storia di Craxi, puntuale e fattuale in cui gli avvenimenti che hanno segnato la vita dell’uomo e del politico, vengono esposti in maniera pura, senza alcun tipo di giudizio personale e vizi di forma.

La biografia

Prefazioni, postfazione e biografia finale sono ornamenti fondamentali per comprendere a meglio l’opera, ma la sua vera essenza si riversa nei 21 capitoli curati da Cicconi.

Questi, come anticipato, raccontano circa vent’anni di vita e storia Craxi, in modo trasversale, attraverso un massiccio utilizzo di aneddoti e considerazioni dell’autore.

Ognuno di questi capitoli, proprio per la loro natura trasversale, può essere letto in maniera scollegata da tutti gli altri, il lettore ha quindi la possibilità di soffermarsi su uno o più temi, senza dover necessariamente leggere l’intera opera, io stesso, durante la seconda lettura del libro, ho preferito soffermarmi solo su alcuni capitoli.

Particolarmente toccanti e vividi sono quei capitoli che forniscono una narrazione umana e personale, molto intima per certi versi, come ad esempio il capitolo dedicato alla famiglia Craxi che, da pagina 145 a 152 ci racconta una dimensione di Craxi esterna alle cronache e vicissitudini politiche.

Vi è un passaggio a pagina 149 in cui Cicconi racconta un aneddoto che ha come protagonisti se stesso, Bettino e Anna Maria Moncini, moglie di Craxi.

L’autore racconta di una festa alla quale, tra gli altri era presente l’allora segretario del PSDI Pietro Longo. Terminata la festa, mentre tutti rincasavano Craxi chiese a Cicconi se avesse trovato posto in albergo, Cicconi racconta che durante tutta la serata aveva detto di non aver trovato posto in albergo, allora Craxi, dopo una risata, lo invitò a passare la notte in casa sua e Anna aggiunse che bisognava procurargli anche un pigiama e una camicia per l’indomani, poiché Cicconi non aveva portato con se nulla.

L’aneddoto continua raccontando che, all’indomani mattina, Anna gli portò il caffè in camera.

Questo aneddoto è uno dei tanti che compongono il libro, e tra i tanti mi ha colpito particolarmente per la sua genuinità, è un ricordo personale, molto intimo e in un certo senso dolce che rimarca la già menzionata vicinanza dell’autore alla famiglia Craxi e che, allo stesso tempo, ci racconta l’uomo Craxi e non il politico o lo statista.

Ed è proprio in questo tipo di aneddoti che la biografia acquisisce il proprio valore, unico e inestimabile, poiché ci fornisce un racconto umano, ci racconta le sensazioni e le emozioni di Craxi attraverso la sua vita quotidiana.

In queste pagine non troviamo molto spazio per i grandi momenti politici, troviamo invece l’armonia familiare di un Craxi che si risveglia da una pennichella pomeridiana in una giornata di riposo, di una passeggiata domenicale, di una cena in famiglia, di una colazione veloce, ancora in vestaglia e pigiama.

Troviamo l’intimità e la normalità di uno dei grandi e controversi protagonisti della recente storia italiana.

Se da un lato capitoli come quello sulla famiglia Craxi sono in grado di strappare un sorriso al lettore che immagina il grande statista sporcarsi la camicia con del caffè durante la colazione, altri, come il capitolo dedicato alla parentesi tangentopoli, proiettano l’uomo nel contesto politico dell’Italia dei primi anni novanta, un Italia attraversata da scandali e inchieste giudiziarie che, nella narrazione dell’autore, Craxi visse con grande preoccupazione e solitudine.

Questi capitoli sono a mio avviso i più problematici, proprio per effetto della vicinanza dell’autore al protagonista della biografia, che in un momento storico di grande tensione e incertezza, viene raccontato in modo parziale. L’opera purtroppo, manca di distacco storico e i ricordi personali dell’autore, mettono in secondo piano le problematiche giudiziarie dello statista.

Considerazioni personali sul libro

L’opera in se è molto interessante e fornisce un racconto diverso, un immagine di Craxi che difficilmente troviamo in altre opere e in altre narrazioni. Quello di Cicconi è un racconto molto appassionato e vivido, sicuramente di parte per effetto del suo legame personale con Craxi, ma allo stesso tempo interessante.

Se si tiene a mente questo legame durante la lettura, e l’autore non mancherà di ricordarlo in tutto il corpus narrativo dell’opera, l’esperienza della lettura è sicuramente interessante e appagante.

Il libro è scritto in modo eccellente, la lettura è fluida e il lettore, grazie agli innumerevoli aneddoti è incentivato dalla curiosità ad andare avanti. In altri termini è un libro ben scritto, che si legge bene, in modo fluido, ma, bisogna stare attenti a non cadere nell’illusione.

Cicconi è un amico, quasi un figlio per Craxi, vede se stesso come parte della famiglia Craxi e la stessa famiglia Craxi lo vede e tratta come parte della famiglia e questo conduce al problema dell’imparzialità, che manca in modo assoluto nel libro.

La narrazione non è imparziale e non vuole esserlo, ma questo, per assurdo, non è un problema, non lo è perché l’autore è perfettamente consapevole del suo essere di parte e non lo nasconde ma al contrario lo ribadisce più e più volte nell’opera.

Come scritto da Bobo Craxi nella prima prefazione al libro, “Bettino Craxi, i suoi ultimi vent’anni” è un lungo omaggio affettuoso alla figura di Craxi, ed è esattamente così che deve essere trattato il libro. Come un racconto familiare, come un ricordo dell’uomo al di la della politica e delle vicende giudiziarie e, anche in quei più momenti cupi, l’autore rimane vincolato e fedele all’uomo, all’amico, senza alcuna pretesa di voler fornire una narrazione oggettiva e superpartes.

Se devo esprimere un giudizio complessivo sul libro, direi che alcuni capitoli sono più validi di altri e avrei preferito un libro con qualche capitolo in meno.

Non me ne voglia Cicconi, ma se avesse omesso i capitoli su Tangentopoli, sul primo governo socialista dell’Italia repubblicana e i capitoli sulle vicissitudini giudiziarie, lo avrei apprezzato molto di più.

A tal proposito, consiglio particolarmente la lettura dei capitoli sulla Famiglia Craxi e il capitolo intitolato “padri e figli” e sconsiglio il capitolo “Le Regole ci sono, ma gli arbitri sono di parte”.

Quest’ultimo è forse il capitolo nero del libro, un capitolo a mio avviso totalmente sbagliato, e per certi versi fuori luogo, che non dovrebbe essere presente nel libro, perché racconta un Craxi vittima, puntando il dito, proponendo giudizi, quasi puntando il dito contro la magistratura per aver svelato i misfatti dell’ex presidente del consiglio.

Un capitolo in altri termini vittimista e fazioso, di carattere politico, oltre che polemico, che, a mio avviso stona con i temi e i toni, del resto dell’opera.

Conclusioni

Bettino Craxi, i suoi ultimi vent’anni, è un libro da prendere con le pinze, per una buona lettura dell’opera, il lettore deve essere costantemente attento, per distinguere fatti e considerazioni personali. L’autore non manca di sottolineare la propria vicinanza a Craxi, e, se questa vicinanza nella maggior parte del libro, quando si parla dell’uomo Craxi rappresenta un valore aggiunto, in altre parti del libro, quando si parla del politico e dello statista Craxi, soprattutto in rapporto alle vicende giudiziarie dell’ex primo ministro, rappresentano un forte elemento di criticità che porta l’autore a commentare e raccontare da un punto di vista molto personale, alcuni eventi e avvenimenti storici che invece andrebbero affrontati con un forte distacco emotivo che nell’intera opera manca totalmente.

Società segrete, poteri occulti e complotti, di Roberto Paura | Guida alla lettura

Guida alla lettura del saggio Società Segrete, poteri occulti e complotti di Roberto Paura, edito da Diarkos.

Lo scorso agosto Diarkos Editore mi ha inviato il libro di Roberto Paura, Società Segrete, poteri occulti e complotti, edito da diarkos, al fine di realizzare una guida alla lettura o comunque una recensione.

Ho appena finito di leggerlo e queste sono le mie prime impressioni, seguirà la guida alla lettura e forse un intervista all’autore per il podcast L’Osservatorio.

Prima di cominciare con l’analisi e guida alla lettura, come al solito, voglio aprire una parentesi sull’Autore.

Chi è Roberto Paura?

Roberto Paura è un giovane divulgatore scientifico, laureato Relazioni e Politiche Internazionali presso l’Università di Napoli “L’Orientale” che ha collaborato e collabora con diverse realtà divulgative, tra cui le riviste i Il Tascabile, L’Indiscreto, Delos Science Fiction, e la rivista Query del CICAP.

Tra i suoi libri incontriamo titoli di diverso genere, che si occupano di storia e scienza, soffermandosi, sul piano storico, soprattutto sul periodo illuminista, in particolare il periodo che va dalla rivoluzione francese alla caduta di napoleone, attraverso i libri La strada per Waterloo. Declino e caduta dell’Impero napoleonico, Odoya, Bologna, 2014, ISBN 978-8862882415, Storia del Terrore. Robespierre e la fine della Rivoluzione francese, Odoya, Bologna, 2015, ISBN 978-8862882811 e Guida alla Rivoluzione francese, Odoya, Bologna, 2016, ISBN 978-8862883276.

Oltre a questo, Roberto Paura è fondatore e promotore dell’Italian Institute for the Future, un associazione che si pone l’obiettivo di diffondere in Italia i futures studies e la futurologia sociale, una branca di ricerca, e soprattutto di pensiero, diffusasi a partire dagli anni 50, che ha come obbiettivo “lo studio del futuro”, ovvero l’analisi dell’attualità nel tentativo di individuare la direzione che l’umanità sta prendendo.
Conosco poco questo settore disciplinare, se interessati vi rimando ad un articolo di Roberto Cobianchi, in cui racconta i futures studies. Cercando in rete è presente anche un articolo dello stesso Roberto Paura sui futures studies.

Inquadrato l’autore, cerchiamo di capire il libro, e, come in tutte le mie guide alla lettura, voglio soffermarmi soprattutto su quelli che reputo i difetti e le mancanze, in modo che, grazie a questa guida, la lettura del libro possa essere il più possibile chiara e semplice.

Osservazioni generali sul libro Società Segrete, poteri occulti e complotti.

Cominciamo con il dire che la prefazione/introduzione in cui si parla e osservano le fallace della teoria cospirativa QAnon, raccontandone la genesi, gli elementi caratterizzanti. L’introduzione è a mio avviso la parte migliore dell’intero libro perché permette al lettore di partire dall’attualità, per andare poi a studiare fenomeni analoghi nel passato, come le varie teorie cospirative che si sono susseguite nei secoli. Il tutto risulta molto interessante, così come è molto interessante il racconto e la ricostruzione delle varie teorie cospirative che viene fatto nell’intero libro attraverso i vari capitoli dedicati alle varie teorie.

Per come è strutturato il libro può essere letto in ordine sparso, nel senso che, i vari capitoli non sono propedeutici al capitolo successivo, si può quindi scegliere la teoria cospirativa o “società segreta” che si preferisce o si reputa più interessante, e leggere ciò che l’autore ha scritto, indipendentemente dal resto del libro.

Nel complesso il saggio si organizza come una serie di racconti storici, ricchi di dettagli e informazioni, anche se, da per scontate alcune informazioni e passaggi che, a mio avviso, sarebbe stato meglio includere nel libro al fine di fornire al lettore una una maggiore comprensione dei fenomeni trattati.

Senza troppi giri di parole, il libro è interessante, ma ha delle mancanze, che lo penalizzano molto. Mancano delle informazioni chiave che, se inserite, avrebbero alzato di molto il valore dell’intero volume e reso la comprensione dei fenomeni storici analizzati, molto più semplice anche per lettori inesperti. Senza queste informazioni è purtroppo molto facile cadere in un errata interpretazione del fenomeno e trarre conclusioni errate.

Il saggio di Roberto Paura presenta però anche un altro “difetto” se così lo si può chiamare, relativo alle fonti utilizzate, o meglio, relativo al modo in cui le fonti vengono utilizzate.

Nello specifico, tra le fonti citate incontriamo saggi storici e filosofici, opere analitiche e letterarie e si passa da un contesto all’altro in modo molto repentino, e senza segnalazioni di sorta.

Per fare un esempio pratico, durante la narrazione di un fenomeno come la rivoluzione francese, si raccontano alcuni aneddoti legati al romanzo Cagliostro di Alexander Dumas, intrecciando questi elementi narrativi agli avvenimenti storici e le varie teorie cospirative, con il rischio di far passare concetti errati, come ad esempio l’idea che prima della rivoluzione francese si discutesse e prevedesse una rivoluzione, perché nel libro di Dumas, successivo alla rivoluzione, ci viene raccontata questa storia.

Va però detto che è possibile sopperire a questo difetto prestando attenzione ai riferimenti bibliografici presenti nel testo cosa che, per un lettore “esperto” risulta naturale, ma che, un utente alle prime armi, che non è pratico della lettura critica di un saggio, generalmente non fa.

Il mio consiglio a tal proposito è quello di avere sempre un occhio rivolto alle fonti citate a pie pagina, così da capire esattamente se il passaggio che è stato appena letto è storico, filosofico o narrativo.

Conoscenze preliminari necessarie per una lettura efficace.

Come anticipato, nel libro ci sono delle mancanze, che rendono necessarie al lettore alcune conoscenze preliminari, a mio avviso importanti per una maggiore comprensione del testo.

Un primo elemento mancante, che mi è dispiaciuto non incontrare, soprattutto perché nei primi capitoli si affrontano le teorie del complotto di epoca illuminista, è il tema del Realismo Politico di matrice Hegeliana. Hegel è stato, insieme a Thomas Hobbes tra i primi filosofi ad ipotizzare quello che oggi definiamo “realismo politico” o “realpolitik”, anche se, un precedente a queste idee lo incontriamo già nel Principe di Machiavelli. Detto molto brevemente, il realismo politico, in chiave filosofica, è la teoria per cui la politica mente a priori. La politica, o più precisamente, il potere, di cui, secondo Weber, la politica è un espressione, mente per il mantenimento del potere, e questo attraverso diversi contesti e interessi, la politica può mentire per interessi “politici”, economici, sociali, culturali, personali, bellici, ecc, in definitiva, indipendentemente dalle motivazioni, la politica (attraverso i politici) ed il potere, mentono, in modo più o meno ampio.

In un saggio che affronta il tema del complottismo e delle teorie cospirative, per quando mi riguarda, non può mancare una parentesi sul realismo politico, o quanto meno accennare a tale teoria, perché grazie ad essa l’autore può fornire al lettore, uno strumento critico e di analisi dei fenomeni che si vanno a raccontare, inoltre, grazie a questo elemento, la comprensione delle varie teorie cospirative e della loro genesi, apparirebbe molto più chiara. Tuttavia, l’assenza di una parentesi legata al realismo politico non discrimina troppo la narrazione generale del libro che, se bene non ne parli direttamente, lascia intuire che la maggior parte delle teorie cospirative, sono per lo più fenomeni reazionari a momenti di turbamento volte al conseguimento o comunque al mantenimento del potere.

Altro elemento che mi è dispiaciuto non incontrare, è un accenno alle origini dell’ordine dei Rosa Croce. Ordine che viene citato e chiamato in causa in diverse occasioni nel corso dei vari capitoli, ma in merito al quale, non viene detto molto, e soprattutto, non ci vengono raccontate le origini dell’ordine.
Non ci viene detto che le sue origini sono ignote, sia in età moderna che contemporanea, non ci viene detto l’ordine “vero e proprio” appare solo nel XVIII secolo e che prima d’allora abbiamo solo vaghi riferimenti simbolici, disconnessi e scostanti tra loro e questa informazione mancante, determinante per analizzare le varie teorie legate all’ordine, fa si che l’ordine venga percepito dal lettore come un ordine “millenario”, strutturato e organizzato, che sopravvive attraverso i secoli, percezione che, tuttavia, non coincide con la realtà storica dell’ordine dei Rosacroce.

Apriamo quindi una parentesi sui rosacroce, così che la lettura del saggio possa essere più semplice grazie a questa guida.

Una delle ipotesi più accreditate riguardante l’origine dell’ordine dei rosacroce vedrebbe la nascita effettiva dell’ordine solo in età illuminista, più precisamente nel XVIII secolo, e vedrebbe questo ordine inizialmente fittizio, costruito artificialmente da un solo uomo che ne aveva codificato la ritualità sulla base dei riti e della simbologia massonica, attraverso l’appropriazione indebita di simboli precedenti, creando così l’apparenza di una simbologia antica e millantando un ordine millenario.

Se torniamo all’introduzione del saggio, possiamo osservare che, questo stesso fenomeno, viene messo in atto dalla teoria QAnon, che, come ci viene detto nel libro, individua simboli e gestualità, attribuendo ad essa dei significati specifici, per cui, l’individuazione di quei simboli in determinati contesti, diventa espressione di appartenenza a qualche strana società segreta e cospirazione.

Conclusioni personali

Per concludere, visto il background autoriale di Roberto Paura, mi aspettavo che il contesto filosofico e culturale in cui si sono sviluppate le varie teorie del complotto, in particolare le teorie risalenti al XVIII e XIX secolo, venisse raccontato non solo per fare da sfondo alla narrazione delle teorie cospirative che circolavano in quegli anni, ma anche, e soprattutto, per ragionare sulle origini di quelle teorie cospirative.

In definitiva, il libro di Roberto Paura è un racconto quasi cronistico delle varie società segrete e teorie cospirative ad esse collegate e che si sono succedute nei secoli, è un libro sicuramente interessante, ma poco ambizioso, al quale però manca quello slancio in più, quella componente più analitica e riflessiva, sui fenomeni storici che va a raccontare, che lo avrebbe reso un piccolo tesoro, storiografico oltre che divulgativo.

Il saggio ha un carattere prettamente divulgativo, la narrazione è avvincente, densa, divertente e mai noiosa, ed è un vero peccato che manchi quella decina di pagine, quel capitolo, quella postfazione analitica, in più che lo avrebbe reso, allo stesso tempo, più semplice per un pubblico inesperto e adatto anche ad un pubblico esperto.
Così com’è il libro si colloca in un limbo per il quale non riesco a trovare un pubblico adatto, nel senso che sono richieste, per una lettura ampia e completa, diverse conoscenze preliminari, storiche e filosofiche, senza le quali i vari saggi contenuti nel libro possono risultare incompleti, confusionari, o, nel peggiore dei casi, portare il lettore ad un errata comprensione del fenomeno storico raccontato.

Allo stesso tempo però, ad un lettore più esperto, che ha già una discreta conoscenza delle varie teorie relative a società segrete e cospirazioni, il libro non da molto in più su cui riflettere.

Detto questo, per una buona lettura del saggio, da parte di un lettore inesperto, consiglio caldamente, come già detto in precedenza, di fare molta attenzione alle note bibliografiche e alle fonti citate, in modo da avere ben chiaro ciò di cui si è letto e riuscire a mettere in ordine le informazioni, senza che elementi storici e narrativi si intreccino tra loro.

Apex Legends – La nuova evoluzione della battle royale

Apex Legends Season 9 introduce la patch più corposa dal rilascio del gioco, con nuove armi, nuove mappe, nuove leggende e una nuova modalità di gioco.
Ecco le mie prime impressioni.

Apex Legends Season 9 introduce la patch più corposa dal rilascio del gioco, con nuove armi, nuove mappe, nuove leggende e una nuova modalità di gioco.

Direte voi, cosa c’entra Apex con la Storia? nulla, è che il gioco mi piace e volevo condividere con voi le mie prime impressioni.

Introduzione

Ieri è uscita la season 9 di Apex Legends, un gioco che mi piace, mi appassiona, a cui ho dedicato diverse ore di gioco, e di cui attendevo la nuova patch come un bimbo che aspetta l’arrivo di babbo natale.

La nuova Patch, la più corposa mai rilasciata, come è stato ampiamente anticipato, introduce nel titolo relogic, una nuova modalità permanente, di stampo competitivo, fortemente ispirata a titoli come Valorant a cui punta a sottrarre utenza.

Ho provato la nuova modalità Arena 3v3 di Apex Legends, e che come si ipotizzava, fatta eccezione per qualche piccola differenza nelle meccaniche di gioco, è praticamente un Valorant con i pg e la grafica di Apex Legends.

Apex Migliore di Valorant

La grande differenza tra Apex arena e Valorant è che su Apex le partite in modalità arena, durano poco, pochi minuti se una dei due team non è particolarmente in forma, massimo una decina di minuti se i due team sono forti e affiatate, la madia comunque è di pochi minuti per round. Si tratta di una modalità molto frenetica, molto veloce, molto adrenalinica e la possibilità di correre e saltare, oltre al restringimento dell’anello, ereditato dalla modalità Battle Royale, rende questa frenesia estremamente dinamica, e il tutto rende il gioco veloce, e questo, a mio avviso, è un enorme miglioramento rispetto a Valorant (a cui gioco ed ho giocato tantissimo) in cui le partite sono lente, soprattutto se si gioca con team non precostituiti.

Detto molto semplicemente, Apex Arena non da ai player il tempo materiale per camperare, e questa è cosa buona e giusta.

La nuova classe armi per tiratore scelto di Apex Legends

La nuova patch di Apex Legends ha aggiunge una nuova classe d’armi, per tiratori scelti, che include la nuova arma, l’arco Bocek.
Si tratta di una classe che a me personalmente piace tanto, principalmente perché si compone di alcune delle mie armi preferite, e dona a queste armi un nuovo potenziamento che le rende molto più versatili, utili sia nella media che breve distanza.

Le nuove armi possono splittare, grazie ai potenziamenti, da colpo singolo di precisione a colpi multipli, in modalità colpo singolo, l’arma è un arma di precisione a medio raggio paragonabile ad un buon fucile di precisione e il colpo singolo è molto potente, fa molti danni, in modalità colpo multiplo invece, l’arma è più simile ad uno shotgun, spara più colpi contemporaneamente ed infligge, complessivamente, un danno simile a quello del colpo singolo, ma distribuito. Il singolo colpo della modalità colpo multiplo infligge pochi danni. Questa modalità funziona benissimo sulla breve distanza ed equivale a lanciare coriandoli sulla media distanza. Al contrario, il colpo singolo, sulla media distanza è estremamente preciso, e sulla breve distanza molto difficile da utilizzare.

Tutti questi elementi sono presenti anche nella nuova arma, l’arco Bocek, che, nei trailer, sembrava sbilanciato ed OP, devo però ricredermi, l’arma è molto più bilanciata di quel che sembrava, è un arma potente ma difficile da utilizzare, come è giusto che sia.

La nuova classe armi ha avuto un impatto significativo sulla vecchia classe dei fucili di precisione, che ha subito diverse modifiche. La prima, più significativa, vede l’ormai ex fucile di precisione Tripletake diventare arma da tiratore scelto speciale, questo significa che non è più possibile usare i mirini da cecchino su quest’arma che nella nuova stagione sarà possono trovare solo nelle capsule rifornimento, e, per chi come me amava quell’arma è un colpo al cuore, ma perfettamente comprensibile, il fucile Tripletake era, ed è, una delle armi più versatili del gioco, potente sia sul lungo raggio che nella breve distanza, è un arma veloce e potente, forse troppo potente per essere un arma comune.

Resta un arma comune il fucile di precisione Longbow, che però, perde il potenziamento perforacranio, rendendo l’arma completa meno potente che in passato. Di contro, c’è un importante fix al fucile di precisione Sentinel, un arma che non ho mai apprezzato particolarmente, perché troppo lenta e legnosa, anche se estremamente potente, l’arma ottiene un importante modificatore che permette ad un buon giocatore di avere una cadenza di fuoco migliorata, se spara al momento giusto. L’arma inoltre, perde il suo terribile rinculo e risulta ora molto più stabile. Altra modifica della Sentinel riguarda il potenziamento con le celle scudo che ora può essere utilizzato più volte.

Elementi rimossi e aggiunti

La classe dei fucili di precisione, con l’arrivo della nuova classe per tiratori scelti, ha subito la maggior parte delle modifiche, ma le altre classi non sono esenti da fix vari. Tra le armi pesanti ad esempio, la pistola Wingman, subisce la rimozione del potenziamento perforacranio, mentre la pistola Mozambique subisce la perdita del potenziamento Hammerpoint, mettendo fine ad una delle combinazioni più potenti del gioco.

Con queste modifiche la classe pistole ne risulta fortemente depotenziata, tuttavia, la pistola Mozambique è una delle due armi, insieme alla pistola leggera P2020, che può essere ottenuta senza spendere materiali, in modalità arena.

C’è però una bella novità per gli amanti degli Shotgun, l’ex shotgun speciale Peacekeeper dalla stagione 9 diventa un arma ordinaria.

Queste modifiche, che vedranno sicuramente delle correzioni nelle prossime patch, sono finalizzate a bilanciare al meglio la nuova modalità Arena dove il gioco chiede una progressione continua.

Modalità Arena di Apex Legends

La modalità arena di Apex è un mini torneo tra due squadre, in cui ci si affronta alla meglio di 5, la prima squadra che vince 3 match, vince la partita.

All’inizio di ogni match ogni player ha a disposizione un quantitativo fisso di materiali, che possono essere aumentati raccogliendo materiali nella mappa, e dunque spesi, al match successivo, per acquistare abilità, medikit, celle scudeo, armi e potenziamenti per le armi. Ogni match vede aumentare i materiali di ogni player di 600, permettendo così, di scegliere armi e potenziamenti sempre più potenti man mano che si avanza nel torneo.

Ogni arma o potenziamento ha un costo in materiale, fatta eccezione per le pistole P2020 e Mozambique, il cui costo è di 0 materiali, e di cui, eventualmente, dovranno essere acquistati solo i potenziamenti.

Un difetto di questa modalità è che i potenziamenti sono sull’intero set, non è invece possibile personalizzare i potenziamenti.

Faccio un esempio molto banale, prendo come arma la pistola shotgun Mozambique, potenziandola aggiungo e poi aumento il livello dell’otturatore, che rende l’arma più veloce e il mirino ottico. Sarebbe stato molto interessante modificare e potenziare solo parzialmente l’arma, aggiungendo magari un otturatore di livello 3 ed un mirino ottico di livello 1 o nessun mirino ottico.

Questo però, avrebbe richiesto più tempo in fase di shop pre match.

Legende nella nuova modalità Apex arena.

Passiamo ora alle leggende, la stampa specializzata in queste ore sta parlando esclusivamente della nuova Legenda Valkyrie, su cui c’è poco da dire, è un nuovo personaggio legato alla saga di Titanfalls, in particolare a Titanfalls II, ha delle abilità molto interessanti che rendono molto più dinamico il gioco, ed è un personaggio creato ad Hoc per la nuova modalità Arena o quasi.

L’abilità passiva e l’abilità base di Valkyrie, sono tra le più performanti nella nuova modalità Arena, le uniche abilità che si avvicinano a quelle di Valkirie sono quelle di Wraith e di Octaine.

Diversamente da Valkirie, pensata per l’Arena, uno dei miei personaggi preferiti, Loba, purtroppo non trova molto spazio in questa nuova modalità. Loba è un personaggio costruito per il looting, le cui abilità sono finalizzate al looting, e, in una modalità in cui non c’è nulla da lootare, la sua abilità passiva e la sua ultimate sono totalmente inutili, molto utile invece, è il salto quantistico.

Migliori Team per la modalità Arena di Apex Legends

La nuova modalità Arena richiede “affinità”, il team deve lavorare insieme, e muoversi in modo strategico e coeso, staccarsi dal gruppo significa morire e far perdere il match alla squadra. Le abilità, diversamente dalla modalità Battle Royale, sono limitate, devono essere “acquistate” con i materiali, prima di ogni match, è quindi importante dosarle con cura, alcune abilità come abbiamo visto sono utili e potenti, altre totalmente inutili, ed è meglio evitarle.

I team, per vincere, devono essere non solo coesi, ma anche bilanciati, avere un team A con soli incursori, Wraith, Fuse e Revenant, per fare un esempio, a meno che non faccia un gioco molto aggressivo, e sia gestito da ottimi giocatori, avrà poche possibilità di vittoria contro un team B che magari è formato da Giblartar, Crypto e Wraith.

Ovviamente un buon giocatore è in grado di vincere una partita anche da solo, e mi è capitato, mentre provavo la modalità arena, io ed un altro membro del team siamo stati abbattuti subito, ed il terzo player, da solo, ha abbattuto tutta la squadra avversaria portandoci alla vittoria.

Restando però, nel caso del giocatore comune, e mettendo da parte i top player, il miglior team per la modalità arena di Apex Legends è un team che comunica, che fa gioco di squadra e che fa le proprie scelte tattiche, sia nell’arena che nello shop, insieme agli altri giocatori.
In modalità Arena, avere 3 player che scelgono un fucile di precisione come arma principale, senza troppi giri di parole, significa perdere a tavolino.

Gli eroi di Mussolini – Guida alla Lettura

Guida alla lettura del saggio Gli eroi di mussolini, Niccolò Giani e la scuola di mistica fascista, di Aldo Grandi edito da Diarkos

Niccolò Giani, padre e ispiratore della scuola di mistica fascista, fondata nel 1930 insieme ad Arnaldo Mussolini, è protagonista di un interessante saggio semi biografico di Aldo Grandi. Il saggio sviscera il tema della scuola di mistica, in modo puntuale e critico, utilizzando come fonte primaria numerose lettere e scritti dello stesso Niccolò Giani. Nel complesso, il saggio risulta appassionato e interessante, anche se, non adatto a chiunque, è infatti necessaria una discreta conoscenza storiografica del ventennio. Conoscenza storiografica che non vuol dire conoscenza di miti propagandistici sul ventennio.

Circa un mese fa, era il 26 febbraio, mi è arrivato da Diarkos Editore una copia del libro “Gli eroi di Mussolini, Niccolò Giani e la Scuola di Mistica fascista” di Aldo Grandi, e, come da tradizione, dopo averlo letto, procedo con una breve, ma spero utile, guida alla lettura.

Faccio una premessa, riprendendo ciò che avevo originariamente scritto sul profilo instagram di Historicaleye quando ho ricevuto il libro, si tratta di una nuova edizione del libro Gli Eroi di Mussolini di Aldo Grandi, pubblicato inizialmente Rizzoli BUR Editore nel 2004.

Sono passati più di quindici anni dalla prima edizione e ancora, purtroppo, il saggio di Grandi continua ad essere uno dei pochissimi studi sulla scuola di mistica fascista. Come già osservava Giulia Beltrametti nella propria recensione alla prima edizione, pubblicata sul portale del SISSCO, la società Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea, l’ultima opera monografica sul tema, prima di questo saggio di Grandi, è a firma Daniele Marchesini e risale al 1976.

Premesso quindi che Aldo Grandi è un giornalista che si è affacciato, da diverso tempo e in numerose occasioni al panorama storico e, citando ancora una volta Giulia Beltrametti nella sua recensione, in cui osserva che Grandi ci ha fornito un racconto biografico appassionato su Niccolò Giani e i membri della Scuola di mistica fascista, va fatto presente che, il tema affrontato è molto delicato e poco studiato, ciò implica un immenso, per non dire colossale, lavoro preliminare di ricerca e studio del fenomeno da parte dell’Autore.

Detto ciò, possiamo cominciare con la guida e direi di iniziare proprio inquadrando meglio l’Autore (di cui a breve dovrei pubblicare un intervista).

Chi è Aldo Grandi?

Aldo Grandi nasce a Livorno nel 1961 e si laurea in Scienze Politiche a Roma nel 1987. L’anno seguente, stando alla sua breve biografia pubblicata sul proprio portale, vince una borda di studio della “Poligrafici Editoriale Spa” che gli permette di avviarsi alla professione giornalistica. Grandi aveva già collaborato, durante gli anni dell’università, con le pagine culturali di Paese Sera e l’Avanti oltre che al periodico Lavoro e Società della UIL, all’epoca diretto da Aldo Forbice. Nell’aprile del 1990 diventa giornalista professionista nella redazione lucchese del quotidiano La Nazione e, dall’anno seguente collaboratore del Corriere della Sera.

Chi era Niccolò Giani?

Il saggio di Grandi ha come sottotitolo “Niccolò Giani e la scuola di mistica fascista”, credo sia quindi doveroso aprire un ulteriore parentesi preliminare per inquadrare al meglio Niccolò Giani, così da poter comprendere meglio l’intero saggio dal carattere semi biografico che ruota attorno a questo personaggio.

Niccolò Giani è stato il padre della corrente denominata “Mistica fascista” nonché fondatore della Scuola di Mistica fascista al centro del saggio di Grandi. Giani ha avuto un ruolo estremamente importante nella definizione del pensiero fascista, pur non essendo un fascista della prima ora, esso infatti aveva poco più di 10 anni quando Mussolini salì al potere, Giani nasce a Muggia, in Friuli, nel 1909, e la sua storia nel contesto fascista inizia nel 1930, anno in cui fondò, insieme ad Arnaldo Mussolini, fratello minore di Benito Mussolini, la sopracitata scuola di mistica fascista.

Padre e iniziatore della scuola, ma direttore solo per un breve periodo, Giani infatti lasciò la direzione della scuola, assunta nel 1931, sul finire del 1932, al seguito della XXI riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze (SIPS) che quell’anno coincise con il decennale della marcia su Roma. Durante il proprio intervento alla riunione Giani espose i principi della scuola di mistica e diede l’impulso alla produzione e pubblicazione dei Quaderni della scuola di mistica.

La storia personale di Giani si intreccia profondamente con la scuola di mistica ed è ampiamente esposta nel libro di Grandi, in questa sede ci interessava comprendere meglio chi fosse e quale fosse il suo legame con la scuola e il fascismo.

Concludiamo quindi la parentesi biografica su Giani segnalando che, nel 1940 partì volontario per il fronte Greco-Albanese, e che, proprio in quel contesto bellico, perse la vita, cadendo in combattimento nel marzo del 1941.

Le fonti dei Aldo Grandi

Come anticipato nell’introduzione, il tema della scuola di mistica fascista, tema estremamente importante per definire la cultura fascista durante il ventennio, è uno dei temi meno studiati e noti, sul quale sono stati condotti relativamente pochi studi e prodotte pochissime opere. Quando Aldo Grandi si è approcciato allo studio della scuola di mistica, ha dovuto inevitabilmente scontrarsi con il problema della scarsità di fonti e studi, dovendo quindi compiere un importante lavoro di ricerca in archivio, nell’intento di recuperare fonti di prima mano da poter scandagliare.

Se ci rechiamo tra le fonti bibliografiche consultate da Giani, indicate nel saggio, ciò che incontriamo è un enorme quantità di lettere e cartoline personali di Niccolò Giani, oltre ai suoi scritti pubblici e qualche raro saggio monografico. La scarsità di saggi ed altri studi nella bibliografia, va precisato ulteriormente, è stata una scelta obbligata dettata dalla scarsità di opere in merito e, a distanza di oltre 15 anni, la situazione non è molto cambiata, chiunque oggi voglia approcciarsi allo studio della scuola di mistica fascista, deve inevitabilmente passare per i registri della scuola e le lettere di Giani, affiancandole eventualmente alla lettura dei saggi di Grandi e Marchesini.

Il saggio Gli eroi di Mussolini di Aldo Grandi

Il saggio risulta appassionato e interessante, ma non adatto a tutti. Il tema affrontato è estremamente di nicchia, e non si rivolge ad un pubblico generalista. Per poter affrontare al meglio la lettura di questo saggio è opportuna una buona, se non ottima, conoscenza del ventennio. Il saggio ci pone di fronte alla storia di una vera e propria scuola di pensiero fascista, una scuola tra le tante, che si fa espressione di una delle numerose correnti interne al partito, partito che ricordiamo, era unico sulla carta ma non nella conformazione. Il PnF, se bene all’apice vedesse la figura di Mussolini, all’interno era molto frammentario, e, utilizzando classificazioni moderne, si configurava come una sorta di mega coalizione che, a seconda del dove e quando, andava dall’una o dall’altra parte.

Il libro solleva il velo del partito unico e mette a nudo i dibattiti interni del PnF, e, particolarmente interessante risulta il dibattito/polemica sulla chiesa cattolica che impegno per diverso tempo la scuola di mistica. Il saggio di Grandi ci racconta questa vicenda, a mio avviso molto interessante, in cui si discuteva della posizione della mistica fascista in relazione alla mistica religiosa, ci si chiedeva se poteva esserci una “mistica fascista indipendente da quella religiosa” e se quest’ultima poteva essere ignorata dalla mistica fascista. E questo avveniva agli inizi degli anni 30, all’indomani dei patti lateranensi che, a quanto si evince dai dibattiti interni, molto probabilmente erano contestati già all’epoca da una parte del PnF.

Ciò che emerge da questo libro sulla scuola di mistica è un PnF diverso da quello che siamo soliti immaginare, un PnF al cui interno, per quanto limitata, esisteva una pluralità di pensiero, pluralità che trova compimento nel 1943 quando il gran consiglio decise di rimuovere Benito Mussolini dalla guida del partito e dello stato italiano.

Conclusioni

Concludendo, il saggio è molto interessante, molto avvincente anche se non adatto a tutti. Pur non essendo l’opera di uno storico, il saggio si configura come un opera storiografica dal carattere biografico, ben definita. Come abbiamo visto vi è una buona pluralità di fonti, anche se principalmente fonti prodotte dalla stessa mano, quella di Niccolò Giani, ma, trattandosi di un opera “parzialmente biografica”, avere come fonti molte lettere di Giani, non risulta un grande problema. Alla fine, possiamo dire che il saggio racconta la scuola di mistica fascista di Giani, usando come lente lo stesso Giani. L’esperienza che ne consegue è una lettura sicuramente soggettiva (da parte di Giani) della scuola di Mistica e degli eroi del fascismo, condita con un analisi critica e raffinata, prodotta dall’autore che quindi, con abilità e intelletto, riesce a bilanciare la narrazione.

La repubblica Weimar, lotta di uomini e ideali, Guida alla lettura

Guida alla lettura del saggio storico “La repubblica di Weimar, lotta di uomini e ideali” di Davide Bernardini, edito da Diarkos.

La Repubblica di Weimar è uno di quei capitoli particolari della storia del mondo, radicato all’interno di un ben preciso e delineato contesto storico e politico, quello della Germania post grande guerra, i cui effetti però, si riversarono sull’intera umanità e, a distanza di oltre un secolo dalla sua “fondazione” la repubblica di Weimar continua a far parlare di se, ed è sempre più presente nel mondo moderno.

Nell’immaginario comune Weimar rappresenta l’anticamera del totalitarismo tedesco ed è utilizzata da anni ormai, come esempio di una civiltà in decadenza che, con le ultime forze, prova a resistere alla barbarie che si sviluppa al proprio interno.

Nel 1993, in un Italia al che si ritrovava ad affrontare parallelamente la fine della prima repubblica e della guerra fredda, immersa in un clima globale di grande incertezza, un clima fatto di tensioni, scontri e incontri. In quel panorama politico e geopolitico dal sapore internazionale, furono in molti a parlare di “fine della storia” e in Italia qualcuno osservò con audacia, di intravedere in quel clima, orizzonti già visti altrove e in altre epoche, raccontando l’Italia all’alba della seconda repubblica come una novella Weimar.

In quel contesto Francesco Guccini, nell’album Parnassius Guccini, pubblica la canzone “Nostra signora dell’ipocrisia“, in cui racconta il dramma politico dell’epoca, citando proprio Weimar nelle primissime strofe della canzone.

Un artigiano di scoop forzati scrisse che Weimar già si scorgeva e fra biscotti sponsorizzati videro un anchorman che piangeva e poi la nebbia discese a banchi ed il barometro segnò tempesta, ci risvegliammo più vecchi e stanchi, amaro in bocca, cerchio alla testa…

F.Guccini, Nostra signora dell’Ipocrisia, Parnassius Guccini, 1993

L’anticamera del totalitarismo

La Repubblica di Weimar fu, per la storia tedesca, e non solo, una complicata e controversa esperienza politica, oltre che storica, fu una parentesi dal profumo democratico che si colloca tra la fine del secondo impero e l’istituzione del terzo reich hitleriano. Weimar fu il luogo storico e politico, in cui vennero gettate le basi del futuro regime nazista, e per certi versi fu l’anticamera di quell’oscuro e devastante regime totalitario fondato su rancore, odio, rabbia, intolleranza e finto patriottismo elitario.

La repubblica di Weimar segna il punto d’arrivo della democrazia tedesca, segna il fallimento della democrazia difronte a certe istanze e definisce il trionfo delle correnti più estreme e radicali sulle correnti più moderate, configurandosi per molti come la concretizzazione di quelle profetiche parole messe per iscritto da Platone nel libro quarto della repubblica, e noto come il brano sulla “sete di Libertà“.

Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.

Platone, La Republica, Libro IV

Il grande laboratorio di Weimar

Weimar non fu solo il luogo in cui germogliarono i semi del nazional socialismo, ma fu anche un grande laboratorio politico, collocato nel cuore dell’Europa, in cui si sperimentò un alternativa alla rivoluzione sovietica.

In questo immenso laboratorio, rimasto in funzione, con non poche difficoltà, per circa 15 anni, dal 1918 al 1933, tanti furono gli esperimenti frutto dell’incontro, scontro, intreccio e rielaborazione delle principali idee e correnti politiche del primo novecento, e tanti furono i fallimenti.

E fu proprio per effetto di quegli esperimenti non riusciti che si consolidò l’idea di una politica più radicale fondata su idee combattenti, su idee che dovevano essere difese non solo con il dialogo, ma anche e soprattutto con la forza e le armi.

Weimar, lotta di uomini e ideali

Il saggio storico di David Bernardini intitolato La Repubblica di Weimar, Lotta di uomini e ideali, edito da Diarkos si pone l’obbiettivo di ripensare, a distanza di un secolo dalla propria nascita, la Repubblica di Weimar. Ripensare non significa revisionare, il saggio va precisato, non ha un carattere revisionista e il suo obbiettivo è quello di scavare a fondo nella storia di Weimar, nel tentativo di comprendere quali sono stati gli errori che hanno portato al tracollo quell’esperienza democratica, permettendo la nascita e l’affermazione del regime nazista.

Il saggio si struttura in due grandi parti, e racconta la storia e le idee che fecero la Repubblica di Weimar, in maniera non lineare, ma seguendo temi e tematiche.

Weimar, lotta di uomini e ideali si sviluppa in un articolata e non troppo semplice rete di punti e concetti, che, nel complesso, forniscono un panorama ampio e completo su tutta l’esperienza di Weimar.

Parte prima

La prima parte del libro ha un carattere fortemente divulgativo, e permette di inquadrare a pieno tutti gli aspetti e gli elementi che andarono a comporre la struttura di Weimar, chi furono i suoi protagonisti, quali furono le idee che definirono l’esperienza politica di Weimar e quali furono i momenti salienti dell’intera esperienza politica iniziata nel 1918 e terminata nel 1933.

I vari capitoli del libro, sia della prima che della seconda parte, come anticipato, sono sviluppati su temi e concetti consequenziali, e, se bene scollegati tra loro, sono strutturati su un percorso cronologico che rende non troppo semplice ed efficace una lettura asincrona, almeno non alla prima lettura.

Nella prima parte infatti ogni capitolo e propedeutico, per ragioni cronologiche, ai capitoli successivi. Inoltre, l’intera prima parte costituisce la base concettuale ed evenemenziale, su cui è costruita la seconda parte.

Questo discorso ovviamente decade per eventuali letture successive alla prima.

Parte seconda

Se i temi ed argomenti trattati che compongono la prima parte del saggio sono trattati in modo netto e puntuale, volti a ricostruire la storia della Repubblica di Weimar, i temi trattati nella seconda parte, hanno un carattere più trasversale ed hanno il fine di favorire l’immersione del lettore in quell’esperienza storica.

Diversamente dai capitoli della prima parte, quelli della seconda parte possono essere letti in maniera asincrona, poiché non consequenziali, di conseguenza le informazioni contenute in un capitolo, non sono propedeutiche per la lettura e comprensione dei capitoli successivi.

Conclusioni

Anche se di carattere generalmente divulgativo, i vari temi trattati, per essere compresi a pieno, soprattutto nella seconda parte, richiedono alcune conoscenze preliminari, senza le quali, purtroppo, non è possibile cogliere completamente tutte le sfumature del saggio.

La divisione del saggio in due parti permette in parte di ovviare ad una preliminare carenza di informazioni di base, la prima parte infatti, ha una struttura più manualistica con cui, l’autore, oltre a fornire una narrazione ampia e completa dell’esperienza storica della repubblica di Weimar, getta le basi per la seconda parte, di carattere più avanzato.

In definitiva, La repubblica di Weimar, Lotta di uomini e ideali, non è un libro adatto a chiunque. Il saggio si rivolge prevalentemente a chi vuole conoscere e approfondire meglio la storia della Germania degli anni venti. Il lettore ideale ha già una conoscenza basilare degli avvenimenti di quel periodo oltre che del contesto e delle idee politiche dell’epoca.

Chi è Davide Bernardini?

Davide Bernardini è un giovane storico italiano, classe 1988, laureato presso l’università di Teramo e attualmente docente a contratto presso l’Università degli studi di Milano, è inoltre socio del SISSCO può vantare numerose recensioni in collaborazione con la Rivista storica del socialismo ed Giornale di storia contemporanea, oltre a diversi articoli di ricerca e alcuni saggi, tra cui Nazionalbolscevismo. Piccola storia del rossobrunismo in Europa edito da ShaKe.

I Medici di Claudia Tripodi, Guida alla lettura

Dopo tanto tempo, finalmente, ritorno a pubblicare, e lo faccio con una guida alla lettura, in particolare la guida alla lettura del saggio I Medici di Claudia tripodi.

Questa guida sarebbe dovuta uscire ad ottobre, ma, una serie di sfortunati eventi, mi hanno impedito di lavorarci per molto tempo, ho quindi rimandato la scrittura e pubblicazione a dopo le feste, forte di una seconda rilettura del saggio di Claudia Tripodi.

Prima di cominciare con la guida, voglio ringraziare l’editore Diarkos per avermi fornito una copia del libro finalizzata alla produzione di questa guida.

I medici, ascesa e potere di una grande dinastia

Il saggio I medici, ascesa e potere di una grande dinastia, di Claudia Tripodi si presenta come una raccolta di saggi di carattere biografico, riguardanti le principali personalità che hanno fatto la storia della famiglia de Medici, partendo dal capostipite Giovanni di Bicci de Medici, vissuto tra XIV e XV secolo, fino ad arrivare alla principessa palatina Anna Maria Luisa de Medici, vissuta tra XVII e XVIII secolo.

L’arco temporale coperto dal saggio è dunque molto ampio, e coincide con l’ultimo medioevo e gran parte dell’età moderna, epoche di cui è consigliato avere un infarinatura generale al fine di affrontare la lettura del saggio in modo armonioso. Il saggio è comunque di carattere divulgativo, e fornisce, tra le proprie pagine, tutti gli strumenti necessari per poter ricostruire e comprendere a pieno, la dimensione politica e sociale in cui si collocano le vite presentate nell’opera.

In poco più di 300 pagine, il saggio condensa una narrazione enciclopedica delle vite e delle vicende che hanno reso grande la dinastia de Medici, protagonista, non di secondo piano, di gran parte della storia italica ed europea.

La raccolta di saggi può essere letta sia come una “storia familiare” che come una storia europea che parte dalla toscana, giunge Roma, presso la corte papale di Leone X, al secolo Giovanni Lorenzo de Medici, si trasferisce poi a Parigi, presso la corte del re di Francia Enrico II, di cui Caterina de Medici era consorte, per poi tornare in Italia, presso la corte medicea del Granducato di Toscana.

I Medici

La storia della famiglia de Medici è una storia immensa ed estremamente complicata, e non basterebbe una vita intera per studiarla completamente, poiché tante, forse troppe, sono le personalità di alto rilievo appartenute a quella che è stata una delle più importanti dinastia dell’intera storia d’Italia.

Nonostante il saggio si muova in un campo a dir poco sterminato, l’autrice riesce a mantenere ben saldo il timone ed impostare una rotta precisa e puntuale, organizzata in modo schematico attraverso la ricostruzione dei momenti più importanti delle vite degli uomini e delle donne della famiglia de Medici.

Uno degli aspetti che ho apprezzato particolarmente di questo libro è la sua struttura verticale, ogni saggio biografico infatti, può essere letto indipendentemente dagli altri, e può essere visto come punto di partenza per uno studio più approfondito, sulla vita dei singoli protagonisti dell’opera. Fermo restando che, per alcuni membri della famiglia de Medici è più facile reperire informazioni rispetto ad altri.

Uomini e donne come Cosimo il Vecchio, Lorenzo il Magnifico e Caterina de Medici, hanno nomi estremamente celebri e la letteratura storiografica attorno a queste personalità, è a dir poco infinita, altri membri della famiglia invece, come ad esempio Giovanni di Bicci, Cosimo III e Anna Maria Luisa, sono decisamente meno noti, e la letteratura che li riguarda è circoscritta ad un numero estremamente esiguo di opere molto puntuali e, sotto un certo punto di vista, complicate da leggere.

Il saggio I Medici, di Claudia Tripodi, permette, in modo semplice e immediato, di accedere ad informazioni significative, sulla vita di queste personalità, e se per personaggi più noti, può sembrare un qualcosa di non particolarmente significativo, se si sposta la lente sui personaggi minori della dinastia, il saggio diventa estremamente interessante ed utile.

I saggi verticali sui medici

Nell’immaginario collettivo, la dinastia de Medici inizia la propria ascesa al potere, tra Arezzo e Firenze, grazie al genio e l’acume politico di Cosimo de Medici, noto alla storia come Cosimo il Vecchio, tuttavia, Cosimo non è un uomo comune che costruisce un impero dal nulla, Cosimo è in vero figlio di Giovanni di Bicci de Medici, piccolo e ambizioso banchiere fiorentino, la cui eredità avrebbe permesso a Cosimo di gettare le basi dell’Impero della famiglia medicea.

La storia di Giovanni di Bicci è una storia molto sottotono rispetto a quella dell’erede Cosimo, ma non meno significativa o importante, e, nell’ottica di un lavoro ampio e completo sulla famiglia de Medici, è necessario partire da Giovanni per poter comprendere meglio la figura di Cosimo.

Come anticipato nel paragrafo precedente, ho trovato particolarmente utili i saggi sui “medici minori”, di cui, il più delle volte, al di fuori di campi di studio estremamente specifici sulla toscana in età moderna, si conosce forse il nome ed il titolo, ma nulla di più. Questo saggio, grazie allo spazio dedicato a queste personalità, mi ha permesso di conoscere meglio un mondo che mi era lontano, donandomi la chiave di accesso a storie e vite, fino a quel momento collocate in strade quasi completamente sconoscute.

Uno dei miei saggi preferiti del libro è il sesto, intitolato I medici fuori da Firenze, saggio in cui, in modo molto rapido, si raccontano le storie dei pontefici Leone X e Clemente VII oltre che del duca d’Urbino, Lorenzo de Medici, da non confondere con Lorenzo il Magnifico.

Altro saggio che ho apprezzato in modo particolare è il nono, intitolato Caterina dei Medici, la regina Nera, saggio in cui, senza troppi giri di parole, si parla della regina di Francia Caterina de Medici, consorte del re di Francia Enrico II di Valois.

Questi due saggi sono quelli che meglio racchiudono e definiscono il potere temporale della famiglia de Medici, una famiglia così potente da riuscire a partecipare al gioco del trono papale, insediando per ben due volte un membro della propria famiglia al soglio pontificio, e ancora, una famiglia così ricca e potente, da riuscire ad insediarsi, al fianco, e secondo alcuni, riuscendo a controllare, il re di Francia. Caterina non è però stata solo la regina di Francia, ma anche la regina reggente di Francia, per ben due volte, la prima, alla morte di Enrico II, tra il 1560 ed il 1563, per conto del figlio primogenito Carlo IX di Francia e la seconda, nel 1574, alla morte del figlio Carlo, per conto del secondogenito Francesco II di Francia.

Durante la propria presenza alla corte di Francia, Caterina de Medici, fu una donna estremamente presente nella vita politica, sia in veste di regina, che di regina madre, oltre che ovviamente di regina reggente. Ben note sono infatti le rivalità tra Caterina de Medici e Maria Stuart, regina di Scozia e regina consorte di Francia in quanto moglie di Francesco II di Francia.

Il saggio su Caterina de Medici, ci mostra quel mondo controverso e complicato delle relazioni politiche e internazionali del XVI secolo, attraverso la vita di una donna decisamente fuori dal comune che, per un lungo periodo della propria vita, si ritrovo al centro dell’universo politico europeo.

Il saggio sui Medici

Il saggio I medici, di Claudia Tripodi, è nell’insieme, un libro di ampio respiro, in grado di fornire al lettore un infarinatura generale sulla storia politica ed economica dell’Europa moderna, attraverso il racconto delle vite di uomini e donne che, chi più, chi meno, sono stati determinanti nella costruzione di un concetto europeo.

Come già detto altre volte, il saggio ha una struttura verticale, che lo rende particolarmente adatto ad una lettura occasionale o non necessariamente consequenziale. I saggi che compongono l’opera possono essere letti in modo isolato o in ordine sparso, ed è proprio in quest’ultimo medo che ho affrontato la seconda lettura del testo, preferendo soffermarmi su quei saggi che reputavo più interessanti, per quello che era il mio gusto personale e i miei interessi. In soldoni, durante la seconda lettura, ho preferito dare maggiore spazio a saggi che mi incuriosivano e interessavano maggiormente, ovvero saggi su quei personaggi di cui avevo letto e sapevo poco o nulla, e sui quali avevo difficoltà a reperire informazioni.

I Medici, una lettura utile e consapevole

Sfogliando le pagine del libro si noterà immediatamente un enorme varietà di fonti consultate dall’autrice per la realizzazione di quest’opera, i cui contenuti sono tanti quanti i protagonisti della dinastia de medici, e per chi vuole addentrarsi nello studio della famiglia de Medici, o più semplicemente vuole conoscere meglio uno dei suoi protagonisti, questo libro si presenta come uno strumento estremamente utile per due motivi.

Il primo motivo è che questo libro fornisce una porta d’accesso a quelle biografie, attraverso dei saggi monografici, brevi, semplici e di ampio respiro, il saggio su Caterina de Medici, per citarne uno, è un ottimo strumento per acquisire informazioni di base sulla regina di Francia, da cui partire per un lavoro di analisi e ricerca, magari più ampio, inoltre, qualora si fosse intenzionati ad approfondire la figura di Caterina, il saggio, come ogni buon saggio, permette di accedere ad un ampia bibliografia, che, nel caso del saggio su Caterina, si configura come un indice di testi, articoli e documenti, riguardanti questa donna, letture che chiunque può prendere in mano al fine di conoscere meglio e più da vicino la figura di Caterina de Medici.

Qualche parola sull’autrice de I Medici, Claudia Tripodi

Archivista e storica di professione, Claudia Tripodi ha studiato presso l’accademia Paleografica e Università di Firenze, dove ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia Medievale nel 2009, per poi spostare la propria attività di ricerca sulla storia delle famiglie e la mobilità sociale tra Medioevo e Rinascimento, ed è proprio in questo campo che si colloca, perfettamente, il saggio I Medici, un saggio che, come detto più volte in questa guida, è una storia di famiglia, la famiglia de Medici, ma anche una storia politica ed economica europea a cavallo tra medioevo ed età moderna.

Claudia tripodi è attualmente collaboratrice archivista presso l’Archivio di Stato di Firenze, per conto dell’Università Neubauer di Chicago, oltre che redattrice per la rivista “Archivio storico Italiano”.

La maggior parte delle pubblicazioni della dottoressa Tripodi sono di carattere tecnico, in particolare review realizzate per conto di alcune riviste di settore.

Nonostante ciò, è anche autrice di diversi saggi, ultimo dei quali, I Medici, ascesa e potere di una grande dinastia, un saggio che segue lo stile narrativo e strutturale dei precedenti saggi, su Vespucci, edito da Viella Editore e pubblicato nel 2018 con il titolo Prima di Amerigo. I Vespucci da Peretola a Firenze e, prima ancora, del saggio sulla famiglia Spini del 2013, intitolato Gli Spini tra XIV e XV secolo. Il declino di un antico casato fiorentino ed edito da Olschki nella collana Biblioteca storica toscana.

I saggi di Claudia Tripodi sono accomunati, oltre che da un forte carattere divulgativo, che vuole raccontare, in modo chiaro, semplice e diretto, un ampio e complesso percorso di ricerca molto puntuale e specifico. Il saggio sui Medici sintetizza, tra le proprie pagine, anni di studio e ricerca compiuti dall’autrice, sulla nobiltà fiorentina e la società europea tra medioevo e rinascimento.

Conclusioni

Il libro I Medici, ascesa e potere di una grande famiglia di Claudia Tripodi è una raccolta di brevi saggi biografici, realizzati dall’autrice ed aventi come protagonisti, la famiglia de Medici, di cui ci vengono raccontate storie, vite, intrighi, ma anche ambizioni, ostacoli, difficoltà e successi. Il tutto è scritto in modo semplice e chiaro, con uno stile molto lineare e conciso, senza troppi fronzoli e senza dare troppo spazio a concetti e informazioni irrilevanti.

questo libro di Claudia Tripodi si concentra su quelli che sono i momenti più importanti delle vite raccontate, e, se c’è un difetto che è possibile incontrare in questo saggio, forse è proprio la puntualità con cui sono narrate le vicende.

Il saggio ha un carattere divulgativo molto spinto ed acceso, tuttavia, senza una preliminare conoscenza (molto superficiale) delle dinamiche sociali degli ultimi anni del basso medioevo e del rinascimento, alcuni passaggi potrebbero risultare complicati da comprendere e potrebbero richiedere una seconda lettura. Nonostante ciò, il libro non presenta ostacoli insuperabili, le conoscenze e competenze preliminari richieste per poter leggere il libro in modo completo, sono davvero pochissime, e, chiunque sia interessato a leggere un saggio biografico sulla famiglia de Medici, quasi per definizione, dispone già delle conoscenze preliminari richieste.

La struttura verticale del libro, diviso in capitoli monografici riservati ai singoli protagonisti della dinastia medicea, rende il saggio estremamente dinamico, e può essere letto, in vari modi e dimensioni, io stesso, la prima volta che ho letto il libro l’ho letto in un modo “classico” ovvero seguendo l’ordine naturale dei capitoli, mentre, la seconda volta che l’ho letto, mi sono mosso tra i capitoli in ordine sparso, leggendo ad esempio il saggio su Caterina de Medici parallelamente al saggio su Cosimo il Vecchio, ho voluto leggere parallelamente quei due saggi perché da un certo punto di vista, parallele sono le figure di Caterina e Cosimo, entrambi infatti portano la famiglia de Medici su un più alto piano sociale, il primo, Cosimo, introducendo la famiglia all’aristocrazia Italica, la seconda, portando l’aristocratica famiglia italica sul piano delle teste coronate che in quel momento governavano l’Europa, insediandosi sul trono di Francia e dando i natali all’erede di casa Valois.

In definitiva, il libro I Medici di Claudia Tripodi un libro che consiglio a chiunque, sia a chi è incuriosito dalla storia della famiglia de Medici e vuole iniziare un percorso di studio e letture, sia a chi è già addentrato nel mondo della letteratura storiografica e vuole andare ad approfondire determinati aspetti della società europea, in particolare la mobilità sociale tra medioevo e rinascimento, che, in questo libro, la fa da padrona.

Altre guide alla Lettura

Se questa guida alla lettura ti è stata utile e vuoi leggerne altre, ti consiglio la lettura di:

I Lobgobardi, di Elena Percivaldi.
Il Formaggio e i Vermi, di Carlo Ginzburg.
La Fine della cultura di Erich Hobsbaem
Wonderland, di Alberto Mario Banti.

I Longobardi di Elena Percivaldi | Guida alla Lettura.

I longobardi un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, è un saggio storico divulgativo che racconta la storia longobarda attraverso grandi eventi e storie di vita quotidiana nell’Italia longobarda tra il 568 e il 774.

I longobardi un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, è un saggio storico divulgativo che racconta la storia longobarda attraverso grandi eventi e storie di vita quotidiana nell’Italia longobarda tra il 568 e il 774.

I Longobardi sono una delle tante civiltà che, durante l’età medievale, hanno contribuito a donare un voto ed un identità ai popoli italici, la loro presenza in italia è attestata fin dagli albori del medioevo, in una fase criptica e misteriosa della nostra storia in cui, innumerevoli civiltà barbariche si fondevano con ciò che rimaneva della civiltà romana.

In questa sorta di brodo primordiale che succede alla civiltà romana, inizia la storia dei Longobardi, e con la loro storia, inizia anche una parte significativa della storia italiana, soprattutto per l’italia settentrionale, ma non solo.

Il saggio I Longobardi, un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, si pone l’obbiettivo di raccontare, in modo ampio, completo, e con un linguaggio semplice e accessibile a chiunque, quella che è la genesi di questo popolo che mise in connessione il mediterraneo con l’europa settentrionale.

Il libro ha un taglio divulgativo ed è strutturato in tre parti, che ora andremo a vedere nel dettaglio, ma prima, voglio aprire una parentesi sull’autrice.

Chi è Elena Percivaldi?

Elena Percivaldi è una giovane storica italiana, laureata in lettere moderne, con una tesi in storia Medievale presso l’Università degli Studi con una tesi sulla cronica di S. Stefano di Vimercate alla metà del XIII secolo attraverso le pergamene dell’Archivio di stato di Milano, ed ha all’attivo, fin dal 1999, più di venti libri, saggi storici di carattere divulgativo, e non solo, sulla storia dell’Italia medievale, del medioevo e le popolazioni che all’epoca dimoravano in italia, oltre a diverse pubblicazioni su riviste di settore e di carattere divulgativo, sempre riguardanti il medioevo, tra cui History di BBC, Storica del National Geographic, e tante altre che non starò qui a citare.

Elena Percivaldi si occupa da diverso tempo di storia medievale e divulgazione, ed ha collabora attivamente con eventi e conferenze in alcuni degli eventi dedicati al medioevo, più importanti in italia, tra cui il Festival del Medioevo di Gubbio (Pg).

La sua attività di divulgatrice viaggia parallelamente a quella di professionista nel settore della ricerca storiografica, in quanto direttrice del Notiziario Storie & Archeologie, e membro del comitato scientifico della rivista Medioevo Italiano, della collana Storia e Libertà delle edizioni La Vela.

Questo suo legame con la divulgazione si traduce, all’atto pratico, in uno stile di scrittura estremamente fluido, chiaro e semplice da leggere, leggerezza e semplicità che tuttavia non tradisce mai un impeccabile e rigorosa attenzione a fonti di varia natura, caratteristiche che troviamo in toto nell’opera I Longobardi.

Percivaldi e Longobardi

Nel libro I Longobarid, Elena Percivaldi si sofferma sulla genesi e l’epopea dei longobardi in italia, ma questa non è la prima volta che l’autrice ha prestato attenzione al popolo longobardo. Essa è infatti ideatrice del format “alla scoperta dei longobardi” e coordinatrice scientifica di diverse manifestazioni dedicate ai longobardi, inoltre, nel proprio percorso da scrittrice divulgativa, ha dedicato ai longobardi diversi libri tra cui “Il Seprio nel Medioevo. Longobardi nella lombardia settentrionale” , pubblicato 2011.

a questo curriculum non credo sia un problema definire Elena Percivaldi come una storica esperta del Medioevo italiano, oltre che un eccellente e apprezzatissima divulgatrice, e con queste premesse, non possiamo che aspettarci un libro che sia puntuale e ricco di fonti, ma allo stesso tempo fluido nella scrittura e semplice da leggere.

Dopo aver letto quest’opera due volte in meno di una settimana, posso affermare con tutta tranquillità che tutte le aspettative sono state mantenute. Il libro è esattamente come lo immaginavo, ovvero preciso, accurato, e si legge con estrema semplicità.

Se volete sapere di più su Elena Percivaldi, sui suoi libri e le sue pubblicazioni, collaborazioni e conferenze, vi rimando al sito Perceval-Archeostoria, si tratta del sito personale di Elena Percivaldi, in cui potrete trovare tutte le sue pubblicazioni, eventi e contatti social.

Detto questo, passiamo ora al libro vero e proprio, e cerchiamo di capire come approcciare alla lettura e come leggerlo.

Guida alla lettura del saggio sui Longobardi di Elena Percivaldi

Cominciamo con il dire che il saggio I Longobardi, un popolo alle radici della nostra Storia, è un saggio di carattere divulgativo, e, per quanto accurato e preciso nelle informazioni che ci fornisce, non è un manuale di storia medievale o storia longobarda, non troveremo quindi una cronaca punto per punto di tutta la storia longobarda, ma, al contrario, troveremo un racconto generale, di ampio respiro, sulla storia longobarda, che si sviluppa su tre livelli, ben espressi dalle tre sezioni principali del libro. Le tre parti del libro ci raccontano la storia longobarda sul piano storico evenemenziale, microstorico culturale e storiografico.

Vediamo le tre sezioni nel dettaglio.

I longobardi, parte prima

La prima parte del libro è dedicata alle vicende storiche, e in questa sezione si ha quasi l’impressione di trovarsi tra le mani un manuale di storia longobarda, tanto preciso quanto chiaro.

La prima parte si sviluppa in sei capitoli che raccontano la storia longobarda, fin dalla prima discesa in italia nel 568, e spingendosi fino al declino della civiltà longobarda in italia nell’ottavo secolo, quando i franchi di Carlo Magno sconfissero i Longobardi di Desiderio, ultimo re longobardo.

Il saggio nei suoi capitoli iniziali sviscera la storia longobarda, soffermandosi in modo particolare sulle ragioni della discesa in italia, ragioni che poi verranno spiegate, in modo più ampio attraverso l’analisi di fonti e testimonianze.

I longobardi, parte seconda

La seconda parte del saggio è dedicata all’analisi storiografica, portando l’attenzione del lettore sulle varie fonti utilizzate, dalle fonti documentarie prodotte dai longobardi e non, oltre che dalle fonti successive, vengono inoltre prese in esame le croniche contemporanee e postume, e non manca un accurato e ampio spiegone sulle fonti materiali e la loro importanza nella ricostruzione della storia della civiltà longobada.

Questa parte è la meno incisiva, oltre che la più compatta, e si rivolge principalmente a lettoni non addetti ai lavori, i quali potrebbero non aver totalmente chiare le meccaniche della ricostruzione storiografica.

Se non siete storici questa sezione è molto interessante perché fornisce una panoramica completa, con tanti esempi, di come funziona il lavoro di ricerca e ricostruzione di uno storico, e si configura come una piccola guida alla metodologia storiografica.

Con questa sezione, l’autrice ci ricorda che prima di essere una divulgatrice è una storica, e il suo intento è quello di fornire una storia completa della civiltà longobarda nell’Italia del sesto, settimo e ottavo secolo, una storia puntuale e priva di pregiudizi, basata esclusivamente sull’analisi delle fonti. Come è giusto che sia.

I longobardi, parte terza

La terza parte, a mio avviso, è quella più interessante, perché se da storico, ho già una certa conoscenza delle principali vicende storiche che hanno caratterizzato la civiltà longobarda, ed ho un ampia familiarità degli strumenti e della metodologia storiografica, non essendo un medievalista, e avendo solo una conoscenza generale di quella che è la storia longobarda, ho trovato in questa parte del libro tantissime informazioni che mi hanno proiettato nel mondo dei longobardi.

In questa sezione l’autrice si sofferma sulla società e la quotidianità della civiltà longobarda, ne evidenzia gli aspetti peculiari, ne evidenza le tradizioni e ci racconta storie di longobardi.

La terza parte si apre con una panoramica sull’organizzazione dello stato longobardo, cui fa seguito una panoramica sul mondo religioso e spirituale, attraverso il racconto del culto dei morti, per poi raccontarci l’organizzazione sociale del popolo longobardo, questo iconico popolo guerriero, raccontato come un popolo in armi, ma nel quale, come è facile intuire, non tutti erano armati e preparati alla battaglia.

Fanno poi seguito alcuni capitoli estremamente interessanti sulla quotidianità dei longobardi, in particolare i capitoli intitolati “cose da donna”, “vestire alla longobarda” e “longobardi al desco (dal medico)” ci mostrano realmente come vivevano i longobardi, e lo fanno raccontandoci non le grandi imprese, non le grandi battaglie, ma eventi e momenti ordinari della vita quotidiana di questo popolo e questa civiltà.

Conclusioni

Il saggio di Elena Percivaldi, I longobardi, un popolo alle radici della nostra storia, edito da Diarkos è un saggio storico di carattere divulgativo, che si rivolge ad un pubblico molto ampio, che può andare bene sia per appassionati alle prime armi, sia per storici e studenti di storia che vogliono sapere di più sulla storia del popolo longobardo.

Nel complesso il saggio risulta estremamente piacevole da leggere, i contenuti sono validi, la struttura è definita magistralmente, le fonti consultate e citate dall’autrice sono tante, e si vede, e il testo è ben scritto.

Se c’è una parte che mi ha colpito e interessato più delle altre, forse questa è la terza parte, questa sezione mi ha colpito non solo per la chiarezza incredibile con cui sono raccontate determinate vicende, ma soprattutto per la ricchezza di fonti utilizzate per descrivere e raccontare un mondo in cui le fonti, se pur abbondanti, non sono particolarmente numerose e varie. E la maggior parte delle vicende, si sofferma su aspetti generali della storia longobarda, prestando relativamente poca attenzione agli aspetti “minori”. Aspetti minori che invece non vengono assolutamente tralasciati dalla Percivaldi, e anzi, diventano in questo libro, il cardine per definire la società longobarda.

La quantità enorme di fonti documentarie citate e riportate da Elena Percivaldi ci svela l’enorme e complicato lavoro di ricerca che si nasconde dietro questo libro.

Ciò che emerge da questo libro è che la storia longobarda, la storia di questo popolo guerriero, si compone, anche, e non soltanto, di battaglie e di conquiste conquiste, in piena ottemperanza agli insegnamenti della scuola degli Annales di Marc Bloch e della Microstoria.

Nel caso specifico dei longobardi, è solo grazie ad una lettura a 360 gradi della loro civiltà che possiamo averne un immagine nitida e precisa della loro storia, ed è esattamente quello che fa questo libro. Intrecciando la storia dei grandi eventi alla storia di eventi minori e condendo il tutto con una minuziosa anali si delle fonti, Elena Percivaldi è restituisce al lettore un immagine nitida del mondo longobardo, una vera e propria fotografia dinamica di quel popolo, che come l’autrice non manca di ricordare, è alle radici della nostra storia, in quanto, la sua arte, la sua cultura e le sue tradizioni, sono state determinanti per quella che sarebbe poi stata la storia, la cultura e la tradizione dei popoli italiani, in età medievale, moderna e fino ai nostri giorni..

Se volete leggere I Longobardi, un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, non vi resta altro che acquistare il libro, personalmente ne consiglio la lettura, soprattutto a chi è interessato alla storia longobarda e dell’italia settentrionale tra il sesto e l’ottavo secolo. In ogni caso vi lascio il link per acquistare il libro su Amazon, e vi auguro buona lettura.

JoJo Rabbit: Voto 10!

JoJo Rabbit, un film di Taika Waititi, che per quanto mi riguarda è uno dei film più belli e divertenti che abbia visto in quest’anno.

JoJo Rabbit, un film di Taika Waititi, che per quanto mi riguarda è uno dei film più belli e divertenti che abbia visto in quest’anno.

Se dovessi dargli un voto da 1 a 10, non potrei partire da un voto più basso di 7, e probabilmente gli darei un 10 pieno, e se non un dieci, almeno un nove, perché, per quanto mi riguarda, questo video è assolutamente perfetto sotto ogni punto di vista.

La scrittura è ottima, perché mischia temi importanti ad immagini demenziali e surreali al limite del ridicolo, forse anche oltre il limite del ridicolo, ma andiamo con ordine.

Il Film

Si tratta di una commedia demenziale ambientata in Germania sul finire della seconda guerra mondiale, che a mio avviso è assolutamente perfetta, non tanto per regia, fotografia e recitazione, che in teoria sono tra gli aspetti più importanti se si parla di un film, ma io non sono in grado di valutarli, e neanche mi interessa farlo.

Voglio invece parlare di questo film dal punto di vista storico, che è un qualcosa che mi compete.

Comincio col dire che, dal punto di vista storico, in questo film c’è tutto quello che dovrebbe esserci in un film ambientato negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, c’è la resistenza antinazista, c’è la gestapo, ci sono le SS, c’è il fanatismo cieco dei nazisti, o presunti tali, c’è la disperazione di una germania ormai al limite che arruola soldati sempre più giovani, e recupera risorse, soprattutto metallo, da qualsiasi cosa.

Tutto questo è inserito in un contesto caricaturale, dove ogni cosa viene ingigantita al limite del ridicolo, ed è bene così.

L’unica cosa che manca forse sono i bombardamenti sulla città, che arrivano soltanto sul finale del film, mentre per gran parte della visione, sembra di vivere in una bolla fuori dal mondo e dal tempo, e che non è stata ancora raggiunta dalla guerra.

Lo sfondo storico di JoJo Rabbit

Il film, con la sua comicità ci mostra l’effetto della propaganda e i meccanismi della propaganda hitleriana, i cui operatori agiscono senza pensare, senza fare domande, credendo a tutto ciò che gli viene raccontato, e guardando quel film non ho potuto fare a meno di ripensare alla Banalità del Male di Hannah Arendt, o alla biografia di Adolf Eichmann scritta da David Cesarani, o ancora, alla conversazione radiofonica avvenuta tra la Arendt e Joachim Fest, a seguito della pubblicazione della banalità del male.

La mia mente è andata in quella direzione perché in Jojo, in quel bambino di dieci anni a cui piacciono le svastiche, le uniformi buffe e vuole fare parte di un gruppo, ho rivisto gli anni giovanili di Eichmann, l’architetto dell’olocausto.

Eichmann è un soggetto “privilegiato” della storia perché sul suo conto abbiamo un enorme quantità di informazioni e testimonianze, oltre che di dichiarazioni, raccolte e prodotte nel corso dello storico processo di Gerusalemme del 1961, processo che è alla base della Banalità del Male della Arendt, in quanto la storica e filosofa era al processo come corrispondente da Gerusalemme del giornale newyorkese Newyorker.

Ma quella che è la sua (di Eichmann) vita e la sua percezione del mondo e della Germania nazista, come avrebbe osservato la stessa Arendt, erano estremamente comuni all’epoca, Eichamm era un uomo comune, il prodotto di una società, che non odiava gli ebrei perché razzista, ma li conduceva a morte perché nel suo mondo, andava fatto, perché nel mondo in cui viveva, per essere accettati, bisognava fare in quel modo.

JoJo, il protagonista del film, è simile ad Eichmann sotto molti punti di vista, ma per altri è totalmente diverso, la fedeltà cieca del piccolo JoJo non è in realtà così cieca, e lo vediamo da subito. Lo vediamo quando gli viene ordinato di uccidere un coniglio, e lui lo libera, lo vediamo nell’espressione dubbiosa del piccolo Roman Griffin Davis, durante il rogo di libri, prima di lasciarsi prendere dall’enfasi del momento e bruciarli.

Perché Jojo alla fine non è altro che un ragazzino di 10 anni, che si lascia trasportare dalla corrente per essere accettato, che fa cose terribili pur di far parte di un gruppo, ma allo stesso tempo, è attraversato da una lotta interiore, che lo contrappone tra cosa fare per essere accettato e cosa vuole realmente.

E ciò che vuole Jojo è ciò che vogliono tutti, vuole far parte di qualcosa, vuole essere amato, vuole, anzi, non vuole restare solo.

Conclusioni

Il film è di una comicità demenziale, che personalmente ho apprezzato tantissimo, ma sotto il velo dell’assurdo, si nasconde un film profondo, che traccia, attraverso un bambino, il vero volto del male, quel male comune e banale che ha dominato il terzo Reich, e che ancora oggi si muove tra gli uomini.

Quel male fatto dall’incapacità, o la mancata volontà, per usare le parole di Hannah Arendt, di porsi realmente nei panni degli altri. E questo Jojo, il protagonista del film lo capisce, lo capisce quando per forza di cose viene quasi costretto a porsi nei panni degli altri, e nel farlo, vede crollare il proprio sistema di idee e valori, rendendosi conto, di non essere un Nazista di 10 anni, ma semplicemente un bambino che vuole crescere troppo velocemente. E qui c’è il ribaltamento totale, quando Jojo “si sveglia”, nel fare i conti con la realtà, è quasi costretto a crescere prematuramente, è costretto a diventare un uomo, e nel farlo, toglie la ridicola e pagliaccesca uniforma da camicia bruna, per diventare, un bambino vero, come pinocchio.

Il film Jojo Rabbit in effetti è una favola moderna, che ha molto in comune con la fiaba di pinocchio, con l’unica differenza che il protagonista non è un burattino di legno che poi diventa un bambino vero, ma è un burattino ingessato nell’uniforme nazista che poi diventa un bambino vero, non attraverso la magia della fata turchina, ma attraverso l’amore e l’amicizia di una ragazzina ebrea.

The man in the high Castle: VOTO ZERO!

The man in the high Castle, una serie ucronica, ambientata in un universo dispotico, ispirato al “capolavoro” di Philip K. Dick la svastica sul sole, una serie in cui la storia ha assunto una diramazione alternativa che ha portato il mondo in una direzione totalmente diversa e lontana dal mondo in cui viviamo.

The man in the high Castle, l’uomo nell’alto castello, una serie ucronica, ambientata in un universo distopico, ispirato al “capolavoro” di Philip K. Dick la svastica sul sole, una serie in cui la storia ha assunto una diramazione alternativa che ha portato il mondo in una direzione totalmente diversa e lontana dal mondo in cui viviamo.

Sembrano le basi di quella che dovrebbe essere una serie memorabile, un vero e proprio capolavoro per gli appassionati del genere, ma, da appassionato del genere, purtroppo tutte le mie aspettative sono state tradite.

Quando, su consiglio di molti miei follower ho iniziato a seguire questa serie, mi aspettavo, non so bene cosa, ma qualunque cosa mi aspettassi, purtroppo non l’ho trovata e la serie mi ha profondamente deluso, e annoiato, fin dal primo episodio della prima stagione, stagione che ho cercato di seguire fino alla fine, con non poca difficoltà. L’ostacolo più grande che ho incontrato è stato il restare sveglio durante gli episodi che, nonostante durassero circa un ora, sembravano durare più dell’intera trilogia del signore degli anelli in versione integrale.

La narrazione è lenta, ma non è quel lento “bello” che ho riscontrato in altre serie come Vikings, Breaking Bad, Game of Thrones, Black Sails, Peaky Blinders e altre serie che ho amato, è stato un lento noioso, ripetitivo, ricco di elementi che probabilmente molti hanno apprezzato, ma che a me, non hanno dato, ne comunicato, assolutamente nulla, se non forse un enorme aiuto per contrastare la mia insonnia.

Il titolo di questo post “The man in the high Castle voto zero” è chiaramente una provocazione, le storie raccontate nella prima stagione, mi sono piaciute abbastanza, ho apprezzato tantissimo la fotografia e il modo in cui le varie linee narrative sono state intrecciate tra loro.

Il mio voto zero riguarda principalmente la componente ucronica e storica della serie, ma vi consiglio comunque di vederla, forse voi riuscirete ad apprezzarla più di me.

La serie è prodotta da Amazon ed è disponibile su Amazon Prime Video, e se avete Amazon Prime potete guardarla gratuitamente, se invece non siete utenti Amazon Prime, l’abbonamento costa 3,99€ al mese o 36€ all’anno, e se siete studenti, potete iscrivervi ad Amazon Prime Students a solo 19€ all’anno (e i primi 3 mesi sono gratuiti). Clicca qui per iscriverti ad Amazon Prime.

Il mondo di The man in the high Castle si dirama a partire dalla seconda guerra mondiale, conflitto nel quale, diversamente da quanto accaduto nella realtà, la Germania Nazista riesce a conquistare per prima la bomba atomica, che usa contro gli Stati Uniti, e da lì, va alla conquista del continente nord’americano, coadiuvato dal Giappone che nel frattempo riesce ad invadere e conquistare la costa pacifica del continente nord’americano.

Questo punto d’origine è estremamente interessante e affascinante, il problema, per me, è il modo in cui questa premessa ucronica, porta agli avvenimenti raccontati nella serie, serie che è ambientata nei primi anni sessanta di questa nuova linea temporale in cui il mondo è sotto il controllo nazista.

Ciò che mi ha deluso, per non dire disturbato, è il fatto che, in questa narrazione, dopo l’uso dell’arma atomica, non è tanto il fatto che gli USA si siano arresi, perché questo elemento è verosimile, ma il fatto che dopo la resa, gli USA siano stati invasi, e si siano lasciati occupare passivamente dalle forze dell’asse.

Non parliamo di un paese come l’Italia o la francia, ma parliamo di un paese come gli USA, ed è irreale pensare che questa nazione, separata dall’europa e dall’asia da due immensi oceani, si sia fatta invadere senza opporre troppa resistenza.

Nella storia reale, le isole britanniche hanno resistito ed hanno respinto, innumerevoli attacchi, inclusi bombardamenti, e le isole britanniche erano a poche decine di chilometri dalla costa dell’europa settentrionale, e pure, quei pochi chilometri di mare hanno dato alle isole britanniche il tempo e la capacità per resistere e scongiurare eventuali sbarchi.

Ciò che mi aspetto in un ucronia che parte dalla vittoria della Germania durante la seconda guerra mondiale, come The man in the high Castle, è che finita la guerra e conclusi i trattati di pace, succeda qualcosa, ma di tutto quello che può succedere, l’invasione passiva, è l’unica cosa non ha ragione d’essere.

Ciò che mi aspetto, finita la guerra in europa è l’inizio di un conflitto per la conquista degli USA, un conflitto in cui gli Stati Uniti si ritrovano naturalmente in una posizione di vantaggio, poiché le forze dell’asse prima di poter sbarcare devono compiere una traversata oceanica, e ipotizzando che questo avvenga, una volta installate le varie teste di ponte sulla costa Atlantica e Pacifica, si proceda con un lungo conflitto terrestre. Conflitto alimentato soprattutto dalle forze di resistenza. Una resistenza come quella che c’è stata in Francia ed Italia, e che, vista la posizione di vantaggio geografico dei “partigiani” statunitensi, il conflitto che ne sarebbe seguito, sarebbe stato lungo e tedioso, protraendosi per anni, addirittura decenni, come è successo nel Vietnam.

Il fatto che questo non ci sia stato, e al contrario, finita la guerra, Giappone e Germania abbiano ripartito tra loro gli USA, come USA ed URSS hanno ripartito la Germania dopo la guerra, è stato particolarmente difficile da digerire.

La ripartizione dei territori del Reich in europa, dopo la seconda guerra mondiale, è avvenuta in seguito ad un occupazione militare dopo mesi di scontri armati, in un continente devastato da anni di guerra e bombardamenti a tappeto sulle principali città, infrastrutture e centri industriali.

USA ed URSS hanno potuto dividersi l’europa, perché l’europa era esausta dalla guerra, ma nell’universo narrativo di The man in the high Castle, gli USA non vivono quella condizione di stanchezza, per loro la guerra in europa, è stato solo il prologo, per loro la guerra è iniziata quando la Germania Nazista ha bombardato la costa Atlantica, portando la guerra oltreoceano.

Mi viene difficile pensare che, un esercito di invasione stanco e logorato da anni di guerra in europa, per quanto tecnologicamente avanzato, possa essere riuscito, in pochissimo tempo, ad avanzare in tutto il continente nord americano, ed inglobarlo nel Reich, così come mi viene difficile accettare il fatto che, quella stessa macchina bellica che è riuscita a conquistare l’america settentrionale, ormai priva di nemici degni di tale nome, abbia deciso di fermare la propria espansione e non invadere anche Africa ed America Latina.

The man in the high Castle è una serie sotto molti punti di vista stupenda, ma la sua componente ucronica, la sua evoluzione e contestualizzazione storica, vale zero, forse anche meno di zero, perché de facto, di ucronico, non c’è quasi nulla se non la decisione di immaginare un mondo in cui la Germania Nazista è diventata, con la piena accondiscendenza delle grandi nazioni del tempo, la padrona del mondo.

Lo sfondo narrativo di The man in the high Castle ha più buchi di una groviera, e sono mancanze a mio avviso gravi, perché distruggono dall’interno tutto il contesto storico della narrazione, possiamo anzi dire che in The man in the high Castle, non c’è un contesto storico, e un ucronia, un racconto ucronico, senza contesto storico, per quanto mi riguarda, non ha senso di esistere.

Tutta la caratterizzazione dei personaggi è perennemente in equilibri, su una base traballante al bordo di un precipizio, basta un soffio perché tutto collassi su se stesso e ad impedire che tutta la narrazione collassi ci sono una serie di forzature storicamente inverosimili.

Se però si è disposti a chiudere un occhio sul background narrativo, e ci si sofferma solo sulle storie raccontate, sui protagonisti e la loro vita, se si guarda alla fotografia e alla regia, è chiaro che il voto zero non sussiste, la serie è ben fatta, la narrazione è coerente con se stessa e la fotografia è stupenda.

Volendo dare un voto reale, che non riguarda esclusivamente la componente ucronica, direi che il vero voto che mi sento di dare a The Man in the high castle, anche se la serie mi ha annoiato, non posso darle meno di 7, un voto molto più alto di quello che darei a Vikings che per me non supera la sufficienza. In questo post però ho voluto soffermarmi sul background storico/ucronico dell’uomo nell’alto castello, non alla serie nel suo insieme, che, anche se non mi è piaciuta, è comunque una serie più che valida.

La vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento di Paul Larivaille

Se quello che cerchi è un libro che stravolga completamente tutto ciò che sapevi o credevi di sapere sulla quotidianità delle cortigiane nel rinascimento italiano e ti aspetti un saggio in cui si parla di sesso e sessualità nelle signorie dell’italia del XV secolo, questo libro, non fa al caso tuo. La vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento di Paul Larivaille è un saggio storico di carattere divulgativo che, come ogni buon saggio storico, si basa prevalentemente sull’analisi e la comparazione delle fonti, in questo caso soprattutto fonti letterarie e documentarie classiche, dipinge un quadro ampio e dettagliato, degli aspetti sociali nelle corti italiane del XV secolo, alternando l’analisi e il racconto della società, ad aspetti della vita di una cortigiana dell’epoca.

L’Italia rinascimentale

Tra il XIV e il XVI secolo l’Europa attraversa il proprio rinascimento, andando alla riscoperta delle proprie origini e del proprio passato e in questo contesto storico di rinascita e di rielaborazione della società, l’Italia non è da meno, anzi, la penisola italica è in questo momento storico, in un certo senso, il centro del mondo, l’Italia rappresenta l’apice della civiltà europea, occidentale, che di li a poco si sarebbe diffusa a macchia d’olio in tutto il mondo. Del rinascimento italiano, della vita e le gesta dei grandi protagonisti di quest’epoca conosciamo tantissimo, è uno di quei momenti, rari, nella storia, su cui si ha una quantità di informazioni enorme, ma il rinascimento italiano vive di luci ed ombre, posto in un limbo tra il vecchio e il nuovo mondo, tra il medioevo e l’età moderna.

I grandi protagonisti di quest’epoca sono uomini e donne ancora legati e vincolati alle dinamiche della società medievale, ma, sono uomini moderni, che vivono ben oltre i confini del proprio tempo ed hanno la capacità di guardare avanti.

La vita di questi uomini e donne si consuma soprattutto in lussuosi palazzi, tra ricevimenti e incontri d’affari, ma anche e soprattutto nelle camere da letto.

Le camere da letto in quest’epoca, sono le vere stanze dei bottoni, ciò che accade in quelle stanze, tra quelle lenzuola, definisce la sagoma della società europea, e di conseguenza, il mondo che ne sarebbe seguito.

Nel libro la vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del rinascimento, di Paul Larivaille, si affronta proprio questo tema, e si da ampio spazio a personaggi apparentemente secondari, quella della cortigiana è una figura antica ma che in quest’epoca assume tratti nuovi e particolari e, facendosi spazio tra i salotti delle grandi famiglie, riesce a giungere nel cuore delle corti europee, nelle stanze dei bottoni, le camere da letto di re, principi, banchieri e signori della guerra.

Non è raro quindi imbattersi in documenti che ci parlano degli amanti e delle amanti di re e regine, di principi e principesse. Ci troviamo in un epoca in cui il matrimonio è, all’atto pratico, un contratto d’affari, siglato per ottenere favori e amicizia dell’una o l’altra famiglia, siamo in un epoca in cui l’amor cortese è ormai un mero retaggio artistico, e spesso, molto spesso, nei matrimoni, la passione e l’attrazione tra i consorti è totalmente assente, e per porvi rimedio uomini e donne, si concedono in un tacito accordo segreto, ai piaceri della carne e protagonisti del saggio dello storico francese Paul Larivaille, sono proprio le cortigiane di quest’epoca e di questo mondo, sono le cortigiane dell’italia del rinascimento.

Chi è Paul Larivaille?

Prima di cominciare con la guida voglio aprire una parentesi sull’autore del saggio edito in Italia da Bur editore. Larivaille è uno storico della letteratura italiana, che ha insegnato in Francia, per oltre trent’anni, dal 1955 al 1988 presso l’università di Paris-Nanterres, ed è membro dell’accademémie francaise, per poi diventare, nel 1988 Preside dell’Università di Paris-Nanterres.

Si tratta di un autore di altissimo livello, legato per vie traverse alla scuola delle annales, fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre.

Da storico della letteratura italiana, in particolare della letteratura rinascimentale italiana, Larivaille è un grande conoscitore del rinascimento e dei suoi protagonisti, e negli anni ha lavorato a diverse opere biografiche dei protagonisti di quell’epoca, come ad esempio Pietro Aretino, di cui ha pubblicato una biografia nel 1997 e che ad oggi rappresenta una delle opere più ampie e complete sulla vita del poeta aretino del XV secolo. Nel 1995 Larivaille pubblica anche un saggio di carattere generale, sulla vita quotidiana tra XV e XVI secolo, intitolando l’opera “la vita quotidiana in Italia ai tempo di Machiavelli” e, in tempi più recenti, nel 2017, pubblica un saggio dedicato alla letteratura Machiavelliana.

Larivaille si conferma con le sue opere e studi, un esperto, di altissimo livello, di quella che era la vita nell’italia Rinascimentale, conosce quel mondo alla perfezione, ne conosce ogni aspetto, ogni emozione, ogni dinamica sociale, conosce le abitudini dei suoi protagonisti, e conosce la vita nelle corti di questi uomini, corti in cui le cortigiane giocavano, come anticipavo, un ruolo importantissimo, e di conseguenza, rappresenta un aspetto che certamente Larivaille ha avuto modo di studiare e approfondire negli anni.

La vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento

Il saggio “La vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento” in realtà precede tutti i saggi citati durante la parentesi biografica, viene pubblicato per la prima volta nel 1983, e molto probabilmente si tratta di un opera collaterale, nato dall’ampliamento di uno o più paragrafi di altri contenuti a cui stava lavorando.

Il saggio è ricco di riferimenti letterari, fonti, documenti e testimonianze di vario genere, come lettere e pagine di diario. Il saggio mostra fin da subito l’attenzione dell’autore per le fonti letterarie, suo campo di studio privilegiato, e nel racconto generale della quotidianità delle cortigiane dell’Italia rinascimentale, si sofferma sulla vita di una cortigiana in particolare.

La narrazione che ci viene proposta potrebbe ricordare a qualcuno la narrazione proposta da Carlo Ginzburg nell’opera Il formaggio e i Vermi, pubblicato per la prima volta nel 1980, appena tre anni prima dell’uscita della vita quotidiana delle cortigiane, e non è da escludere una certa influenza dell’autore italiano, già docente di storia ad Harvard, sul lavoro di Larivaille.

Il saggio di Ginzburg, di cui ho parlato in più occasioni e a cui ho dedicato una guida alla lettura, è stato all’epoca un modello vincente, che ha contribuito a rilanciare anche in europa il filone della microstoria, filone cui appartiene l’opera di Larivaille.

Il contenuto del saggio di Larivaille

Protagonista indiscussa delle vicende narrate nella vita quotidiana delle cortigiane, è Nanna, una giovane donna, la cui storia personale viene utilizzata da Larivaille per raccontare il mondo in cui la donna viveva, e trarre conclusioni sul carattere generale della vita delle cortigiane dell’epoca.

Nel saggio ci viene raccontata, attraverso diverse fonti, la scalata al successo della giovane donna, una cortigiana di umili origini, che grazie alle proprie doti, riesce ad ottenere in breve tempo, una casa propria, del mobilio, abiti eleganti e denaro.

Per ottenere ciò Nanna, e come lei, le cortigiane dell’epoca devono apprendere i trucchi e segreti, per essere accettate in un mondo che non gli appartiene, così da irrompere in una cerchia sociale diversa dalla propria. Larivaille ci espone quindi, attraverso la vita di Nanna, i trucchi di base delle cortigiane, per essere accettate nell’alta società, trucchi in alcuni casi banali e alla portata di tutti, come lo schiarire i capelli e renderli morbidi, profumati e lucenti, sfruttando olio e vino, o la cura del sorriso, sbiancando i denti con un tovagliolo, in un epoca in cui l’igiene dentale non era alla portata, ne negli interessi, di tutti.

La cura dell’aspetto è solo uno dei rituali quotidiani cui si sottopongono le cortigiane del rinascimento italiano, e rappresenta forse il primo e più semplice passo da compiere, Larivaille ci mostra in quest’opera la complessità di quel mondo, in cui l’estetica da sola, non era sufficiente.

Le cortigiane, osserva Larivaille, non dovevano solo attrarre, ma dovevano sedurre e stregare uomini di alto rango, e per farlo avevano necessità di apprendere altre e più complesse strategie, vediamo quindi come Nanna si ritrova quasi costretta ad imparare intere opere a memoria, così da poter affrontare conversazioni e impara a suonare il liuto, abilità molto apprezzata dagli uomini benestanti dell’epoca.

Quello della cortigiana ci viene mostrato come un mestiere, molto complicato e non alla portata di tutti, un mestiere costruito attorno alla sottile arte della seduzione e ben diverso dal mestiere della prostituta, in cui la sessualità giocava un ruolo centrale.

La vita quotidiana delle cortigiane ci mostra come queste donne non fossero delle comuni prostitute, ma rappresentavano qualcosa di più, e giocavano un ruolo determinante nella vita e nella società dell’epoca.

Lo status di cortigiana, a differenza dello status di prostituta, garantiva dei diritti e dei privilegi, e permetteva alle donne di essere viste e guardate con dignità e rispetto, soprattutto dagli uomini con cui si intrattenevano e sui quali avevano un influenza tale da essere considerate da Larivalle, il motore reale della società.

Il capriccio di una cortigiana, in quell’epoca, poteva mettere fine ad un alleanza o addirittura far muovere una guerra.

Conclusione

Il saggio sulla vita quotidiana delle cortigiane del rinascimento italiano è a mio avviso un opera straordinaria, che ho apprezzato quasi quanto il saggio di Ghinzburg, il Formaggio e i Vermi, uno dei miei saggi storici preferiti.

La semplicità della narrazione lo rende adatto a chiunque, e, nonostante sia un libro di qualche anno fa, parliamo comunque di un libro che ha quasi quarant’anni, non sembra essere invecchiato. Probabilmente perché racconta un mondo poco studiato negli anni successivi.

Il saggio si sviluppa seguendo la narrazione di una storia in particolare, la storia di Nanna, ma arricchisce il racconto con una ricca e accurata analisi della società, e, almeno nell’edizione che ho letto io, prima dell’introduzione, è presentata una ricca cronologia del rinascimento italiano, utile a collocare nel tempo e fornire il giusto contesto alla narrazione, anche per chi non è addetto ai lavori.

Se devo trovare un difetto in questo saggio, non è facile, personalmente ne ho trovati pochissimi, ma, volendo fare uno sforzo e ostinarmi ad indicare un difetto, forse, indicherei l’elevata presenza di fonti letterarie, rispetto ad altro tipo di fonti documentarie, vengono citati e analizzati molti poemi e relativamente poche lettere. Non si tratta di un vero difetto, anzi, si tratta in questo caso di una scelta quasi obbligata, poiché la vita delle cortigiane non è oggetto di interesse per gli storici e i cronisti dell’epoca, ma trova, tuttavia, ampio spazio, nel mondo artistico che guarda alla vita amorosa e sentimentale.

Non troveremo quindi un estratto di Machiavelli in cui si parla di cortigiane, ma troveremo componimenti poetici in cui si esalta la figura della cortigiana sposata dal signore e diventata una nobil donna, madre degli eredi della signoria.

Se devo trovare un pregio in questo saggio, probabilmente è ancora più difficile del trovare un difetto, non perché non ve ne siano, ma perché ce ne sono tantissimi. Dalla semplicità con cui è scritto e l’immediatezza con cui i concetti vengono esposti, all’ampiezza del tema trattato e la profondità con cui viene analizzata l’intera società, partendo dalla vita delle cortigiane.

Dovendo scegliere un unico pregio, probabilmente mi soffermerei sull’attenzione posta dall’autore sul ruolo delle cortigiane nella società dell’Italia rinascimentale, un ruolo apparentemente marginale, e pure, un ruolo determinante.

Il saggio incarna il concetto di microstoria e della scuola delle annales, raccontando la storia delle classi subalterne, in questo caso delle cortigiane, che vivono e dimorano all’ombra delle signorie, apparentemente invisibili, ma all’atto pratico, come emerge da questo saggio, detengono un potere enorme, ed è il potere di poter influenzare le decisioni di quei pochi personaggi nella storia che hanno il potere di imprimere una direzione al mondo.

Non c’è quindi molto da aggiungere, vi consiglio la lettura di questo libro, personalmente l’ho trovato meraviglioso, ben fatto ed estremamente interessante, e spero di avervi dato abbastanza materiale in questa guida, da potervi aiutare nella lettura del saggio.

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