L’Accademia: simbolo dell’educazione e della cultura ateniese | CM

Situata a Nord-Ovest di Atene, l’Accademia è un’area ricca di significato storico e culturale. Fondamentale per la formazione fisica e intellettuale dei giovani ateniesi, ospitò importanti figure come Platone. La sua importanza perdurò fino alla chiusura nel 529 d.C. da parte di Giustiniano I, lasciando un’eredità culturale duratura.

Situata in una densa zona boschiva a Nord-Ovest di Atene, nei pressi del suburbio extraurbano (zona suburbana della capitale greca) della città, l’area dedicata all’Accademia risulta accessibile attraverso il dromos, la principale strada di Atene in termini di grandezza e lunghezza, capace di attraversare l’intera capitale toccando i luoghi più caratteristici di Acropoli e Agorà, per poi terminare nei dintorni della Necropoli del Ceramico. A caratterizzare tale strada non sono solo le sue notevoli dimensioni, bensì anche l’importanza che le venne attribuita dai Pisistratidi nel contesto delle Panatenee, una festa poliadica dedicata alla dea Atena come protettrice della città, le quali ponevano la propria pompé (processione) proprio lungo questa strada, e giungevano al termine all’incirca nella zona dell’Accademia, vicino al villaggio di Colono. A contraddistinguere la bellezza di questo luogo così verdeggiante si aggiunge anche il fiume Cefiso, il quale bagna insieme all’Illisso la pianura ateniese e nasce tra il monte Parnete e il Pentelico, ad Ovest della città.

Si tratta di un luogo fortemente ideologico, carico di significati simbolici, educativi e culturali, oltre a essere il possessore del ruolo primario come massima sede del ginnasio ateniese. La sua principale funzione consisterebbe infatti proprio nel garantire la perfetta formazione atletica, per preparare alla guerra fin dagli 11-12 anni i maschi ateniesi, ed educativa, basata sull’insegnamento delle lettere, della musica e della poesia, i fondamenti della cultura di Atene. Scopo principale dell’Accademia era, in termini riduttivi, preparare alla quotidiana vita ideale della capitale greca coloro che sarebbero stati un giorno i cittadini del futuro, ovvero i giovani greci, sia sul piano fisico che su quello morale/intellettuale. Sappiamo con certezza che questo suo ruolo fu svolto egregiamente e molti tra i maggiori intellettuali, filosofi, atleti, politici e persino artisti della città vennero “forgiati” proprio nell’Accademia stessa, la quale entrò anche in contatto nel corso dei secoli con personaggi tutt’altro che marginali, da Platone a Giustiniano I.

Storia e fondazione

Nonostante le discrete conoscenze che attualmente possediamo riguardo quest’area, risultano invece molto più effimeri tutti quei saperi che si rifanno alla sua fondazione, e la sua storia risulta perciò tutt’ora piuttosto incerta. Pertanto, come ogni luogo ricco di tradizione, antichità e simbologia, da tutto ciò che concerne l’Accademia derivano inevitabilmente numerosi miti e leggende a proposito della sua storia e della sua fondazione delle origini.

Il termine stesso “Accademia” deriverebbe infatti da una radicata tradizione lessicografica, capace di proiettare simbolicamente l’origine del ginnasio nel mito, identificandone il suo massimo fondatore e protettore nella figura dell’eroe ateniese Akademos (o Ekademos), oggi appunto identificato come massimo eroe eponimo del luogo stesso. Fu proprio egli a donare il nome originale con cui s’indicava tale area, ovvero l'”Akademia“.

Le teorie sul ruolo rivestito da tale personaggio appaiono però incerte e molteplici, a partire dall’ipotesi che fosse strettamente correlato alla saga del rapimento di Elena da parte di Teseo, e alla venuta in Attica dei Tindaridi alla ricerca della sorella scomparsa. In un’ulteriore versione della leggenda, questo personaggio sarebbe addirittura stato l’arcade re di Tegea, e avrebbe guidato i Dioscuri nella conquista della regione dell’Attica. Infine, come ultima alternativa presa in considerazione, Akademos sarebbe potuto semplicemente essere un normale abitante dell’Accademia, che avrebbe però indicato ai Tindaridi il luogo dove era stata accuratamente nascosta la sorella Elena, guadagnandosi così l’eterna riconoscenza da parte degli Spartani e la garanzia di ricevere sempre un rilevante trattamento di favore da parte loro.

Le prime supposizioni sulle origini di questo luogo così misterioso risalgono circa all’VIII secolo a.C., quando venne casualmente rinvenuto in tale area un edificio preistorico identificato, con molte probabilità erroneamente, come la “Casa di Akademos“, e quindi poi trasformato in un luogo di culto. Nonostante tale ipotesi venne accantonata quasi subito, sappiamo per certo che il legame dell’Accademia con l’eroe e la storia della sua fondazione rappresentino elementi antichissimi. Tre sono invece le teorie più recenti, e situano l’origine dell’Accademia attorno al VI secolo a.C..

La prima è relativa a un horos, pietre di medie dimensioni poste come delimitazioni di luoghi sacri o di grande importanza per la città, rinvenuto in situ, capace di attestare un’origine quantomeno tardoantica relativa al toponimo connesso al nome dell’eroe.

Un’ipotesi meno accreditata si baserebbe invece sul riconoscimento della figura di Akademos rinvenuta su un vaso a figure nere (pratica pittorica per la ceramica greca e romana di fine VI secolo a.C.). Infine, la prima vera menzione dell’esistenza di un ginnasio nell’Accademia, è da far risalire a una severissima legge esemplare che Demostene attribuiva a Solone, il quale fu arconte all’incirca nel 594 a.C.. Tale legge condannava alla pena capitale chiunque avesse commesso un furto di oggetti personali nei pressi del Liceo, dell’Accademia e/o del Cirosangue. Grazie a tale passo possiamo dunque attribuire cronologicamente l’esistenza di tre ginnasi ateniesi. Tuttavia anche quest’ultima ipotesi presenterebbe un margine d’incertezza, poiché era pratica comune, a partire dal IV secolo a.C., attribuire ogni genere di normativa statuita a Solone, il quale venne “etichettato” in età Classica come modello archetipico di legislatore ideale e padre della patria.

La sua storia e la sua lunghissima tradizione culturale tuttavia lo hanno contraddistinto come uno dei luoghi più ricchi di mnemotopoi di tutta Atene; se non addirittura di tutta l’Attica. Tale espressione greca, fondamentale per lo studio di siti antichi, è formata dai termini “mnemo” e “topos“, i quali indicano rispettivamente la memoria e l’accezione di un luogo/area. Si tratta infatti di un luogo denso di simbologia e tradizioni, elementi che rimandano inevitabilmente al passato e di conseguenza a una lunga storia carica di memoria.

Gli mnemotopoi incarnano a livello storico il mitico, il magico e anche il religioso, andando a caratterizzare opere, battaglie ed eventi particolarmente significativi per il ricordo e la celebrazione postuma; ma anche leggende, superstizioni e residui della memoria degni di essere ricordati per la storia di una data area e per le sue tradizioni radicate nei secoli. Proprio come accade per l’Accademia risulta dunque essere un ambiente gravido di culti e commemorazioni.

Attualmente, nonostante la ricchezza di fonti, tradizioni e leggende riguardanti questa zona siano numerosissime, a livello archeologico non ci è pervenuto quasi nulla e rimane pertanto anche molto complesso operare così una ricostruzione effettiva di come sarebbe potuta essere realmente l’Accademia a livello architettonico. Tuttavia ad Atene, sulle rive del fiume Cefiso, è possibile ammirare in un piccolo sito, nei pressi di un’area ricca di vegetazione, i resti di un edificio attribuibili o alla parte relativa al ginnasio o all’Accademia vera e propria.

L’importanza simbolica dell’Accademia

Nonostante l’Accademia di Atene si presti alla perfezione come luogo simbolico ricco di pathos, miti e leggende, sappiamo però con certezza che rivestì davvero un ruolo tutt’altro che marginale nella storia della capitale greca; e non solo per pochi anni, bensì per interi secoli, fino a quando l’imperatore Giustiniano I, nel 529 d.C., ordinò la chiusura di tutte le scuole filosofiche presenti nell’Impero Bizantino, essendo esse pagane ed essendo il cristianesimo divenuto da poco religione ufficiale dello Stato.

Tuttavia a testimoniarci la grandissima rilevanza dell’Accademia non troviamo solo gli illustri personaggi che nel corso di anni e secoli ebbero a che fare con la suddetta area, ma quest’ultima ci viene documentata anche attraverso semplici elementi che potremmo definire “materiali”, capaci di rivestire nondimeno un ruolo di fondamentale importanza. Stiamo parlando del già sopracitato horos dell’Accademia. Pur trattandosi solamente di pietroni dalle dimensioni variabili con forme rettangolari, gli horoi si mostravano come dei veri e propri simboli di delimitazione.

Il loro compito consisteva proprio nel demarcare i confini di un luogo, e non si trattava mai di ambienti qualunque, bensì di aree degne di una delimitazione ben circoscritta quali templi, zone sacre, aree rituali ed edifici carichi di significato politico, simbolico o intellettuale. E il fatto che l’Accademia avesse un suo horos personale non fa che accrescere il suo prestigio. Questa “pietra”, rinvenuta in uno scavo piuttosto recente, risulta perfino posta su un basamento, date le sue notevoli dimensioni, e non direttamente nella terra com’era usanza collocarli.

La pietra è grezza, ad eccezione di una striscia liscia su cui era incisa la frase: “Sono l’horos dell’Accademia“. Era infatti usanza comune “dare la parola” a tali steli per comunicare in modo più diretto possibile ai passanti le delimitazioni dei luoghi. Questo uso non deve sorprendere, essendo “dotate di parola” anche tombe, statue ed epigrafi nei pressi di sentieri e cimiteri.

Ma non era casuale che proprio tale area fosse così accuratamente circoscritta. Le sue dimensioni erano infatti notevoli e altrettanto significative erano le funzioni che andava a ricoprire all’interno della politica e della società ateniese. Pertanto, se volessimo descrivere questo luogo con un’espressione maggiormente attuale, una di queste sarebbe sicuramente “scuola”.

L’Accademia era infatti un edificio scolastico a tutti gli effetti e, usando termini piuttosto generici, il suo ruolo era proprio quello di formare l’aspetto fisico, educativo e soprattutto intellettuale dei giovani cittadini ateniesi perlopiù maschi. Tuttavia la questione di genere non va data per scontata, poiché non è sufficientemente documentato che non potessero frequentare anche le donne.

Per quanto riguarda la preparazione fisica, i greci (soprattutto gli ateniesi) avevano un vero e proprio culto del corpo, sia sul lato estetico che su quello della prestanza; a testimoniarcelo sono soprattutto le numerose statue raffiguranti una perfetta nudità scultorea a cui si ambiva non sono nell’ambito artistico, ma anche in quello della quotidianità.

Nell’Accademia era infatti presente un Ginnasio, ovvero uno specifico luogo accuratamente preposto all’addestramento fisico e atletico dei giovani che iniziavano la preparazione intorno agli 11-12 anni. L’allenamento era prevalentemente rivolto alla preparazione bellica dei ragazzi ma, come riportato precedentemente, non è da escludere l’importanza che si conferiva all’estetica del fisico. Gli atleti gareggiavano nudi, e la maggior parte delle volte si allenavano anche così. Il termine “ginnasio” deriva infatti dal greco “gumnos“, che significa proprio “nudo”.

Si tratta di un luogo molto caratteristico per la cultura ateniese, importante per il ritrovo e l’apprendimento, oltre al fatto che in esso si potevano tenere anche banchetti e rappresentazioni teatrali. Compiuti i 18 anni i giovani raggiungevano la maturità fisica ideale e acquisivano così i pieni diritti di cittadinanza, intraprendendo l’istruzione militare vera e propria come efebi.

Nonostante la fisicità fosse essenziale per la “costruzione” della cultura ateniese, un ruolo altrettanto significativo veniva rivestito dall’educazione. Scopo principale dell’Accademia era appunto quello di istruire e “plasmare” i giovani alla cultura, affinché raggiungessero parallelamente alla massima capacità fisica, quella intellettuale.

L’educazione ateniese si basava principalmente sull’apprendimento delle lettere (scrittura), dei conti (matematica) e della poesia, la quale veniva molto spesso accompagnata dalla musica della cetra o della lira, strumenti sempre appresi all’interno dell’Accademia. I giovani si esercitavano su tavolette di legno o cera ed erano sempre supervisionati da maestri molto attenti e anche molto severi. Nonostante la cultura fosse ancora un privilegio piuttosto elitario, frequentare la “scuola” era più consueto di quanto si potesse pensare.

L’Accademia rappresenta pertanto un punto di riferimento culturale per l’aggregazione dei cittadini (giovani e non) e per la completa formazione dei ragazzi ateniesi. Essere un cittadino della capitale greca rappresentava infatti un vero e proprio vanto, un modo per esprimere il proprio orgoglio e per distinguersi da tutti coloro che, provenendo dalle più disparate aree di tutta la Grecia e molto oltre, erano considerati barbari e quindi nemici.

Il ruolo di Platone

Il più delle volte quando si parla dell’Accademia essa viene, in modo quasi sempre errato, esclusivamente associata alla figura del filosofo Platone, il quale ebbe un ruolo estremamente importante nella sua evoluzione pratica e storica, ma non esclusivo. E’ perciò usanza comune accomunare a tale area la presenza del filosofo come suo solo e unico fondatore per il fondamentale ruolo che egli rivestì nei secoli successivi, tendendo così a far oscurare inconsciamente secoli di storia precedenti e successivi.

Platone compie la sua prima apparizione in questo luogo solamente nel 387 a.C.. Questa data particolarmente simbolica, oltre che essere anche quella maggiormente conosciuta rispetto all’Accademia, rappresenta il momento della prima fondazione della scuola accademica soprattutto come la conosciamo noi oggi.

Platone incarna infatti la figura dello “scolarca” per eccellenza, ovvero colui che era a capo di una scuola filosofica o il fondatore stesso. Venivano indicati con questo termine anche tutti i suoi discepoli. 20 anni dopo tale data così rappresentativa, Platone comprerà anche, di ritorno da un lungo viaggio in Sicilia, un giardino (képos in greco) chiamato il “giardino di Akademos”, che diverrà poi la vera e propria sede principale della scuola. Si tratta di un luogo quasi bucolico ed idilliaco che durerà nei secoli, fino alla conquista romana del mondo greco. Sarà proprio in quest’area, enormemente apprezzata dai romani per la sua storia e le sue caratteristiche mitiche e naturalistiche, che i latini andranno ad ascoltare i grandi filosofi greci.

Atene diventerà proprio in questo senso la capitale della cultura e dell’arte, trasmettendo per generazioni un fascino immenso non solo per i greci, ma anche per molti altri popoli a venire.

Con l’arrivo di Platone in quest’area non solo si amplia l’accezione simbolica dell’Accademia, ma vengono condizionate anche tutte le materie d’insegnamento, che aumentano notevolmente divenendo sempre più specifiche e particolareggiate. Sappiamo quasi con certezza che in età platonica venivano insegnate materie come matematica, astronomia, ottica, meccanica, scienze naturali, scienze politiche e, ovviamente, filosofia. Era infatti pratica comune discutere insieme al maestro riguardo tutte quelle questioni strettamente correlate all’uomo e a tutto ciò che riguarda la questione umana, indagine approfondita anche attraverso l’arte; sono difatti comuni i dipinti raffiguranti la tipica scena solita ritrarre Platone passeggiare in quest’area verdeggiante circondato dai suoi discepoli attenti.

A risentire dell’influenza platonica nell’Accademia non furono solamente i cittadini ateniesi, assidui frequentatori di tale luogo, bensì anche e con buone probabilità soprattutto i romani, che in seguito alla conquista della regione dell’Attica vennero “contagiati” da innumerevoli elementi della cultura greca, adottandoli o addirittura esportandoli. E non si trattava solamente di cittadini romani qualunque. Cicerone nel 79 a.C. frequenterà con grande coinvolgimento l’Accademia, seguito dal fratello Quinto e dal grande amico Attico, chiamato così in onore del suo immenso amore per la regione dell’Attica e in particolare per il suo grande bagaglio culturale, sviluppatosi proprio in questa zona.

Tuttavia il successo di tale luogo proseguirà per secoli e secoli dopo la morte di Platone, per la fortuna che guadagnò lasciando un’immensa eredità grazie alla filosofia platonica, studiata e apprezzata da popoli e culture anche molto distanti da quella greca.

Solo all’inizio del V secolo venne fondata una nuova scuola come punto cardine della filosofia neoplatonica, e l’Accademia cesserà poi defininitivamente la sua attività solo nel 529 d.C., per volere dell’imperatore Giustiniano I il quale, a causa dell’importanza che stava acquisendo il cristianesimo come religione dell’Impero, aveva ordinato la chiusura di tutte le scuole filosofiche pagane presenti nell’Impero Bizantino.

Nonostante ciò l’Accademia rimane un luogo carico di significati simbolici e culturali, un nucleo colmo di mnemotopoi, rappresentando per tutta l’età antica il simbolo della filosofia platonica e della capitale ateniese, un nerbo culturale ed educativo per l’antica Grecia come la conosciamo noi oggi. Pertanto sono innumerevoli gli autori che ancora discutono sulla sua importanza e hanno avuto a che fare con i suoi molteplici significati simbolici; dalla famiglia dei Pisistratidi (tiranni di Atene) che, specialmente il figlio Ipparco amante dell’arte e della cultura, riservarono sempre particolari attenzioni a tale luogo prediligendolo come punto d’incontro e di scambio culturale, a Plutarco, che ancora in età imperiale definiva se stesso e altri pensatori come lui con l’orgoglioso appellativo di “accademici” (“akademikoi“).

Molti altri personaggi famosi nel corso dei secoli s’interessarono a questo luogo non solo a livello storico ma anche artistico, come Raffaello, il quale dipinse “La Scuola di Atene” situata nella Stanza della Segnatura (una delle quattro Stanze Vaticane poste all’interno dei Palazzi Apostolici), un’opera dalle maestose dimensioni raffigurante al centro il protagonista Platone, circondato dai suoi discepoli evidentemente rapiti dai suoi discorsi filosofici. L’opera incarna pienamente la visione che si conferiva alla zona dell’Accademia come principale simbolo della filosofia platonica, mentre risulta meno evidente come fosse identificata prima dell’arrivo di Platone, nonostante le sue origini fossero decisamente molto più antiche.

Ovviamente, nonostante siano cambiate le epoche, i protagonisti e il ruolo rivestito da quest’area, a non cambiare mai è l’orgoglio e la fortissima ammirazione con cui ne parlano e la descrivono coloro che ne sono entrati in contatto; utilizzando invece un misto di magia e venerazione tutti quelli che ne discutono per motivi di studio, per interesse o per sentito dire.

Casapound lascia la politica, ma non l’attivismo politico.

Dopo il pessimo risultato alle europee e una crescente impopolarità, Casapound Italia ha deciso di lasciare la politica, lo dice Simone di Stefano, per dedicarsi alla politica.

Dopo il pessimo risultato elettorale conseguito da Casapound Italia alle ultime elezioni europee, dove il partito di estrema destra ha ricevuto appena lo 0,3% dei consensi, e forte di una massiva impopolarità derivante dalla linea politica estremamente dura e intollerante del partito, spesso associato per linguagio, operato e ideologia al fascismo, Casapound Italia ha deciso di chiudere i battenti e lasciare la via politica, almeno quella ufficiale, ma questo non significa abbandono reale della politica.

Casapound esce dai palazzi (nei quali fortunatamente non è mai entrata completamente), abbandona la via politica delle elezioni, e torna, a suo dire, a fare attivismo politico per, cito le parole del leader del partito

Simone di Stefano su Twitter

“tornare ad essere il laboratorio di avanguardia politica, culturale e solidaristica che era un tempo”

Avanguardia politica, culturale e solidaristica… parole forti, parole grosse, e in questo caso parole ingombranti.

Ingombranti perché non riflettono neanche lontanamente quella che è l’attività di Casapound Italia, un organizzazione politica che da sempre vive al margine della legalità e tra i cui militanti figurano individui con la fedina penale più sporca della carta igienica usata da qualcuno che è intollerante al lattosio, dopo aver mangiato da solo un inera zizzona di battipaglia.

Sono giorni duri per la democrazia, sono giorni oscuri per la nostra repubblica, sono giorni dannati per la nostra libertà, una libertà pericolosa a volte, ma sacra. Una libertà culturale e di espressione che CPI da sempre rivendia per se, ma non per altri, e da sempre, è pronta a negare ad altri quelle libertà fondamentali garantite dalla nostra costituzione.

Che CPI non mi piaccia non credo sia un segreto, e personalmente credo che chiunque abbia un briciolo di dignità, buon senso, e intelligenza, condivida la mia poca simpatia per questa organizzazione politica a tratti criminale, a tratti paramilitare, che in passato, in più occasioni, ha cercato di sostituirsi alle istituzioni statali, agendo autonomamente con atti di squadrismo, pestaggi e atti di vandalismo.

Per CPI la cultura non è cultura, è un dogma, valida solo se risponde a determinati requisiti e allineata ad un preciso orientamento politico, oltre il quale la cultura non esiste esiste e non può esistere.

Sinceramente non so cosa intendano quando parlano di cultura, probabilmente incontri a porte chiuse, in cui ricordare con nostalgia il ventennio e vomitare odio su qualsiasi altra cosa ed espressione culturale. Sicuramente non è una cultura storica, poiché la “loro” idea di storia è distorta dalla propaganda politica di estrema destra e rigettano sistematicamente ogni qualsiasi altra narrazione, o interpretazione storica, per non parlare dell’avulsione della storiografia.

Voglio sperare che l’abbandono della politica “ufficiale” da parte di CPI non si traduca nell’inizio di un attività di “militanza attiva” in altri partiti, più grandi e rilevanti sul piano nazionale, deviando ulteriormente la politica italiana verso l’estrema destra, che già una volta ha devastato l’italia e causato innumerevoli vittime civili, ma soprattutto, voglio sperare che il loro abbandono della politica sia reale, e non solo di facciata. Ma viste le premesse e l’intento di “tornare” ad essere un laboratorio di avanguardia politica (fossilizzato sulla politica del ventennio) con un ideologia di forndo fortemente intollerante, xenofoba e omofoba, mi è estremamente difficile pensare che adesso CPI resterà in silenzio, e anzi, fuori dalla politica “ufficiale” temo che cercheranno di far sentire ancora di più la propria voce, e la mia preoccupazione più grande è che si trasformeranno in uno strumento esterno ad altri partiti, con i cui leader CPI è in ottimi rapporti, per promuovere e sviscerare i sentimenti di intolleranza che li accomunano, trasformandosi a tutti gli effetti in una primigena forma di squadrismo asservita ad altre forze politiche di estrema destra.

Questa visione catastrofista e puramente speculativa prende le battute dal nostro recente passato. Già una volta è accaduto qualcosa di molto simile e lo scotto da pagare per l’italia e gli italiani è stato un regime dittatoriale rimasto in carica per un ventennio e successivamente una guerra civile che non ha risparmiato nessuno nell’intera penisola.

Dai Blocchi Nazionali a CPI, passando per il ventennio fascista e la guerra civile.

Nel 1920 diversi gruppi politici (partiti minori) di estrema destra, si sciolsero ed i loro militanti confluirono in un macrogruppo noto come Blocchi Nazionali, il cui referente politico era Giovanni Giolitti, alle politiche del 1921 questi blocchi nazionali ottennero un importante risultato elettorale, se bene non fu tale da garantire loro la possibilità di governare e dopo circa un anno di esitazioni e tentennamenti, venne organizzata una marcia dei militanti dei blocchi nazionali, che nel frattempo aveva cambiato nome in Partito Nazionale Fascista, questa marcia, nota come Marcia su Roma.

La marcia su roma, non fu improvvisata come molti credono, ma ci fu una lunga e oculata preparazione, di cui ho parlato in un precedente articolo, qui mi limito a dire che fu un elemento di enorme pressione politica per il Re che fu “forzato” a nominare Benito Mussolini, leader del PNF nuovo capo di stato, con l’incarico, ben preciso, di riformare il parlamento e produrre una legge elettorale in grado di garantire un governo forte e autonomo.

La legge arrivò nel 1924 ed è nota come Legge Acerbo che conferiva un premio di maggioranza di oltre il 60% al primo partito, a condizione che questi superasse il 20% dei voti. In un altro articolo ho parlato nel dettaglio della Legge Acerbo, spiegando come si è giunti ad essa.

Con la Legge Acerbo il PNF riesce ad ottenere la maggioranza dei seggi, grazie a qualche broglio, il pestaggio degli oppositori e la distruzione sistematica delle sedi dei partiti diversi dal PNF, con un escalation di violenza che confluì nel rapimento e omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti. Tutto questo portò alla nascita del regime fascista, l’inizio della dittatura e la fine della libertà in italia.

L’aria che si respirava all’epoca era fetida, più fetida di un sacchetto dell’umido lasciato a riposare per 2 settimane sotto il sole di agosto, per andare avanti, per vivere, per sopravvivere in italia bisognava tapparsi il naso, buttare giù un cucchiaio di olio di ricino, e sperare di non essere pestati per aver pensato qualcosa di sbagliato.

Oggi, catastrofismi a parte, non siamo neanche lontanamente vicini a quel livello, e se bene nell’aria inizi a sentirsi un po’ di puzza, e si respira un sempre maggiore clima di violenza e l’intolleranza, ed i sentimenti di razzismo e odio viscerale per il diverso sono sempre più forti, in realtà c’è ancora una fetta importante di italia civile, che, si spera, questa volta resisterà e non sceglierà la più comoda via dell’ignavia, manifestando il proprio dissenso senza però muovere un dito, come invece accadde all’alba del ventennio.

Aboliremo le domeniche gratis al museo, un danno alla cultura e all’economia nazionale.

Il Ministro della Cultura Alberto Bonisoli ha recentemente annunciato che, dopo l’estate, è sua intenzione abolire le domeniche gratuite ai musei, dichiarando che è stata un ottima trovata promozionale ma che se prolungata porterebbe in una direzione che non piace a nessuno.

Non so di preciso a chi si riferisca dicendo che questa direzione “non piace a nessuno”, sicuramente non si riferisce ai turisti (italiani e non) che approfittando dell’ingresso gratuito hanno avuto modo di visitare musei che altrimenti, molto probabilmente, non avrebbero visitato, preferendo fare altro, sicuramente non si riferisce ai direttori dei suddetti musei, che in quelle giornate vedono il numero di ingressi al museo decuplicarsi (per non dire centuplicarsi) rispetto ad altre domeniche in cui, banalmente, il biglietto si paga, sicuramente non si riferisce neanche ai commercianti delle città d’arte, o che comunque ospitano musei, che, proprio grazie alle giornate gratuite al museo, vedono un afflusso di turisti maggiore rispetto ad altre domeniche dell’anno, e più turisti significa più souvenir venduti, ma anche più caffè, patatine, bibite, gelati ecc ecc ecc.

La domenica gratuita al museo, e precisiamo che le domeniche gratuite al museo sono soltanto dodici in tutto l’anno, ovvero la prima domenica di ogni mese, sono una delle tante politiche di promozione del patrimonio storico, artistico e culturale di un paese, come l’italia, estremamente ricco di storia e di arte, ed è un patrimonio sommerso/nascosto, poiché molti italiani sono restii a “pagare” per vedere “del vecchiume” (parlando di parchi archeologici) o statue e dipinti che possono vedere “gratuitamente” su internet, ed il compito del Ministro della Cultura, il motivo per cui esiste il ministero della cultura, è quello di valorizzare e promuovere il nostro patrimonio storico e artistico.

Apro una parentesi, l’Italia è il paese al mondo con il maggior numero di siti classificati come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, ne ospita ben 54, dopo l’Italia, con 53 siti classificati come patrimonio dell’Umanità c’è la Cina, e se facciamo un leggero sforzo di memoria e confrontiamo le dimensioni dell’italia con quelle della cina, possiamo renderci conto dell’enorme divario esistente tra i due paesi. Solo per completezza, Italia e Cina sono gli unici paesi al mondo ad avere più di 50 siti patrimonio dell’umanità. Chiusa la parentesi.

Torniamo alla questione delle domeniche gratuite e del loro valore. Queste giornate è indubbio che costino ai musei, perché quell’afflusso di turisti non paganti si traduce in mancate entrate derivate dalla vendita dei biglietti, tuttavia, va considerato che nelle domeniche in cui il biglietto si paga, l’afflusso di turisti è nettamente inferiore. Possiamo dire, con una leggera esagerazione, ma senza timore, che, in sole 12 domeniche all’anno, i musei italiani registrano più ingressi rispetto a tutto il resto dell’anno, e come dicevamo, questi ingressi se da un lato sono gratuiti e quindi non vi è un ritorno economico da parte dei musei per la vendita dei biglietti, è anche vero che, proprio come gli ingressi, anche la vendita di souvenir è nettamente superiore rispetto al resto dell’anno, compensando in un certo senso alle mancate entrate derivate dai biglietti. Diciamo pure che, in una domenica gratuita, le entrate del museo, derivate dalla vendita dei souvenir, superano abbondantemente le entrate del museo, derivate dalla vendita di biglietti, in una qualsiasi altra giornata.

Voler abolire questa importane iniziativa volta alla valorizzazione e alla promozione del nostro patrimonio culturale, per recuperare qualche spicciolo dalla vendita di qualche centinaio di biglietti in più.

Va detto che le domeniche gratuite al museo non sono tutte rose e fiori, l’enorme afflusso di turisti, non particolarmente interessati alle meraviglie offerte dal museo, che si ritrovano lì, solo perché non si pagava il biglietto, si traduce molto spesso in disagio per chi invece quei musei li avrebbe visitati anche a pagamento, non sono poche le lamentele di operatori e turisti per via del caos, delle persone disorientate, dei turisti maleducati ecc, ed il motivo di tutto ciò è che molti turisti (italiani e non) non sono abituati a frequentare musei, non sono abituati ad apprezzare l’arte e la storia in luoghi che le raccolgono e le conservano per futura memoria, e il problema vero, per quanto mi riguarda, non è l’ingresso gratuito, ma la mancanza di una buona educazione artistica e culturale di molti turisti, e molto spesso, il pagamento del biglietto rappresenta una barriera volta a selezionare gli utenti in ingresso.

Diciamo pure che, nelle giornate in cui si paga il biglietto, nei musei entra solo chi è realmente e fortemente interessato a visitare quel museo, nelle giornate in cui l’ingresso è gratuito entrano letteralmente cani e porci, ma questo è un problema statistico, è inevitabile che portando al museo chi non è realmente interessato al museo, possa esserci qualcuno di maleducato. Certamente il pagamento del biglietto generalmente va a scremare l’utenza, paga chi è realmente interessato e resta fuori chi non ha interesse, in questo senso però il problema non è l’ingresso gratuito ma la maleducazione e l’ignoranza delle persone, e la mancanza di una cultura, l’incapacità di molti di apprezzare l’arte, la storia e la cultura racchiuse in un museo.

Ed è per questo che reputo importantissime queste giornate, perché è vero, l’ho già detto mille volte e lo ripeto ancora, in quei giorni nei musei ci entrano cani e porci, ma il fatto che quelle persone non siano in grado di apprezzare l’arte e la storia contenuta nei musei, per innumerevoli ragioni, non deve significare “escluderli” dalla cultura, ma anzi, per me i musei devono avvicinare il più possibile alla cultura, anche e soprattutto chi non è in grado di apprezzarla.

Magari al frequentatore abituale il turista occasionale e rumoroso da fastidio, magari al frequentatore abituale da anche fastidioso vedere il visitatore occasionale farsi un selfie con una scultura o di fronte ad un dipinto, ma, visitatori abituali e schizzinosi a parte, stiamo perdendo di vista l’obbiettivo dell’iniziativa, che è proprio quella di portare al Museo chi normalmente non ci andrebbe, e se questo qualcuno è maleducato allora va educato, non va allontanato dal museo, perché il patrimonio artistico e storico dei musei non può essere qualcosa di “elitario” (come nei musei vaticani), ma deve essere accessibile a chiunque, ed è importante invogliare a frequentare i musei anche chi non è ancora in grado di apprezzarli a pieno.

I musei devono essere aperti a tutti e se una volta al mese nel museo entra qualcuno che non è ancora in grado di apprezzarne il valore, beh, io guardo il lato positivo e spero che, iniziando a frequentare i musei (quando c’è l’ingresso gratuito) col tempo queste persone possano iniziare ad apprezzare sempre di più il loro contenuto e chissà, magari in futuro diventeranno frequentatori abituali che magari pagheranno anche il biglietto.

Piccola nota personale, conosco di persona alcune persone che per anni non sono mai state in nessun museo, era di quella gente che “ma figurati se pago per vedere un po’ di vecchiume”, ma da qualche anno, da quanto sono state introdotte le domeniche gratuite, quasi ogni domenica vanno al museo con la famiglia, hanno iniziato appunto con le domeniche gratuite la prima domenica del mese ed ora invece, non si fanno problemi a pagare il biglietto, incentivati dai loro figli, che da piccoli sono stati abituati a frequentare i musei e col tempo anche i genitori hanno iniziato ad apprezzarne il valore. Oggi sono visitatori modello, non si fanno più selfie con le statue, ma restano per ore ad ammirarle.

Ci tengo a sottolineare che sono totalmente d’accordo con chi dice di voler ripensare questo strumento, personalmente preferisco iniziative come quelle del biglietto simbolico ad 1€ piuttosto che l’ingresso totalmente gratuito, ma allo stesso tempo sono totalmente contrario alla cancellazione di questo strumento che per me è importantissimo, lo reputo importantissimo per il futuro dell’italia e per gli italiani, non pubblicherei contenuti di carattere storico/artistico/culturale gratuitamente su questo sito, sulla pagina facebook e sul canale youtube di Historicaleye se non credessi con tutto me stesso che la cultura deve essere portata soprattutto dove non c’è.

Purtroppo viviamo in un paese dove l’ignoranza è dilagante e in un epoca in cui l’ignoranza sembra essere diventata un valore e la cultura qualcosa di cui vergognarsi, ed è per questo che reputo vitale ogni iniziativa che punti a portare un po’ di cultura alle masse.

Concludo dicendo che, l’ingresso gratuito la prima domenica del mese, non è uno strumento perfetto, ha molte, moltissime criticità, forse troppe rispetto a quelli che sono i vantaggi effettivamente offerti da questa iniziativa, ma se questa iniziativa, in questi anni è riuscita a “convertite” anche un solo visitatore occasionale, trasmettendogli l’amore per l’arte, la storia e la cultura, rendendolo non dico un frequentatore abituale, ma semplicemente un visitatore che non reputa più i musei come un ammasso di vecchiume, convincendoli magari a tornare al museo, non dico tutte le settimane, ma una volta ogni tanto, magari anche qualche domenica in cui il biglietto si paga, allora per me l’iniziativa ha avuto successo, e deve essere potenziata e migliorata, non cancellata.

Il compito dei Musei è quello di preservare, valorizzare e promuovere il patrimonio artistico, non rinchiuderlo in un sottoscala.

Mi auguro che il Ministro della cultura si ricordi che il suo compito è quello di dare risalto al patrimonio culturale dell’Italia e se proprio è contrario a questa iniziativa se proprio è deciso a rimuovere le domeniche gratuite allora mi auguro fortemente che abbia già in mente delle iniziative migliori, per portare gli italiani al museo ed insegnare loro a rispettare la storia, la cultura e l’arte.

 

Chi scrive la Storia ?

Nel testo “futuro passato” di Reinhart Koselleck , l’autore si sofferma su varie problematiche relative alla parola “storia” , ma al di la del problema ontologico sollevato dal filosofo tedesco, una problematica si affaccia tra le righe della sua opera e del suo pensiero.

Chi scrive “la storia” ? in questo post non voglio entrare nel merito della discussione ontologica , già trattata in maniera più che accurata da Koselleck, e non mi interessa la distinzione tra “la storia” e una storia (intesa come sinonimo di racconto) problema che in alcune lingue si pone più che in altre, ma che accennerò appena brevemente perché fa da contorno alla problematica che voglio affrontare in questo articolo, e che ha origine proprio da questa distinzione, ovvero “chi scrive la storia” ? Leggi tutto “Chi scrive la Storia ?”

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