Gerry Scotti, da Mediaset a Sanremo senza cachet

Ormai è ufficiale, lo Zio Gerry sarà a Sanremo e con grande sorpresa del pubblico, sarà lì in veste non solo di Co-Conduttore, insieme ad Antonella Clerici e Carlo Conti, ma non verrà pagato.

Come annunciato da Gerry Scotti scotti in persona, il conduttore di punta di Mediaset, sarà co-conduttore, senza cachet, del nuovo Sanremo di Carlo Conti, lo Zio Gerry ha infatti dichiarato che andrà al festival “in amicizia” e “senza percepire alcun cachet”, inoltre, stando alle parole del conduttore milanese, quando ha proposto la cosa a Piersilvio Berlusconi, ha ricevuto luce verde in neanche “30 secondi”, non che Piersilvio potesse fermarlo in qualche modo, in fondo il “divieto” in casa RAI, di far presentare Sanremo a conduttori di Mediaset è stato già infranto nel 2017, dallo stesso Carlo Conti quando al suo fianco, nella prima serata, c’è stata Maria de Filippi.

Va detto che questo festival di Sanremo, sul piano economico sarà molto importante, molto più del solito, se infatti normalmente sono in ballo centinaia di milioni di euro, da introiti diretti e collaterali, in questo festival si giocherà il futuro stesso del festival di Sanremo, e questo lo rende particolarmente interessante.

Andiamo con ordine.

Nel 2024 il Tar ha stabilito che il comune di Sanremo non potrà più assegnare l’esclusiva del festival di Sanremo in maniera automatica alla RAI e dal prossimo anno dovrà essere bandito una gara pubblica alla quale, in teoria può partecipare qualunque emittente internazionale. La sentenza del tar separa inoltre il Festival di Sanremo, dal marchio “Festival della Canzone Italiana” che invece rimane alla RAI. Di conseguenza, il prossimo Festival di Sanremo, se non sarà trasmesso dalla RAI non sarà il “festival della canzone italiana” e la rai, anche se dovesse perdere l’esclusiva del festival di Sanremo, potrebbe comunque organizzare e trasmettere un “Festival della Canzone Italiana” separato dal festival di Sanremo.

In sostanza il Tar ha messo fine al monopolio della Rai rendendo più competitiva (e costosa) l’assegnazione del festival, che per quanto importante in Italia, non ha ancora una rilevanza internazionale degna di tale nome, di conseguenza, gli attori che potrebbero puntare al controllo del festival, avranno prevalentemente una dimensione nazionale o al massimo europea. Difficilmente un colosso mediatico straniero, che non trasmette in Italia, parteciperà alla gara, di conseguenza, gli attori in gioco risultano essere pochi, ma tutti molto interessanti.

Tra i possibili competitor, oltre alla RAI, che ha tutto l’interesse nel mantenere l’esclusiva del Festival di Sanremo e uniti i brand Sanremo e Festival della canzone italiana, abbiamo il gruppo Media For Europe, uno dei gruppi mediatici più grandi d’Europa, di proprietà della famiglia Berlusconi, in pratica Mediaset, che nel 2024, per la prima volta nella storia, ha superato gli ascolti RAI in quasi tutti i settori e fasce orarie. MFE, nella persona di Piersilvio Berlusconi, ha annunciato un 2025 intenso, orientato ad una maggiore crescita e consolidamento in Italia ed Europa, con l’intento di replicare anche in europa il modello e i successi ottenuti in Italia negli ultimi anni, in quest’ottica, ottenere il controllo del più grande evento mediatico italiano, potrebbe essere un occasione imperdibile, non solo per Mediaset ma anche per lo stesso Festival, la dimensione Europea di MFE potrebbe infatti dare al festival quel che gli manca per diventare un evento di rilevanza “globale” per la musica italiana.

Fine del monopolio RAI

All’atto pratico Mediaset è potenzialmente il principale rivale della RAI nella lotta per il controllo del Festival, e potenzialmente quello con la maggiore capacità di negoziazione e peso, ma non l’unico, e al tavolo da gioco ci sono anche, con molta probabilità, il gruppo Warner, proprietario di Nove che nell’ultimo anno ha iniziato uno scontro diretto per il controllo di alcune fasce orarie e target storicamente in mano a Rai e Mediaset, e il gruppo britannico Sky Group Limited, proprietario di Sky e operante in Italia, Regno Unito, Irlanda, Germania, Austria e Svizzera. Dei Quattro Sky è forse l’attore minore, e potenzialmente meno interessato al controllo del festival ma non è ancora detto che sia fuori dai giochi.

La gara per il controllo del Festival 2026 vedrà con molta probabilità uno scontro a tre tra Rai, Mediaset e Warner, con Carlo Conti (Rai), Gerry Scotti (Mediaset) e Amadeus (Warner) nei panni di campioni designati, per la conduzione di Sanremo 2026.

Letta in questi termini, il via libera dato quasi senza esitazione da Piersilvio Berlusconi, AD di MFE a Gerry Scotty, conduttore di punta dei Mediaset, potrebbe essere un interessante mossa strategica, volta a sondare il terreno per il 2026, la presenza di Gerry sul palco dell’Ariston al fianco di Carlo Conti, permetterà agli analisti Mediaset di raccogliere un infinità di dati e informazioni al fine di proporre o meno un offerta. Il dato più immediato ed evidente che possiamo osservare è la reazione del pubblico nei confronti dello Zio Gerry, una reazione positiva alla performance e l’indice di gradimento del conduttore potrebbe infatti spingere Mediaset a puntare al rialzo nell’offerta per l’acquisizione del festival 2026, allo stesso tempo, RAI e Warner non staranno con le mani in mano, e una comparazione diretta dei risultati di Conti 2025 e Amadeus 2024, potrebbe essere un buon metro entrambe le aziende.

Se infatti i dati e le proiezioni suggeriranno a Warner che un Amadeus 2026 potenzialmente avrebbe una raccolta significativa, Nove potrebbe rischiare il tutto per tutto al fine di accaparrarsi il festival.

Conclusioni

Per sapere chi sarà a gestire e condurre Sanremo 2026 abbiamo quindi bisogno di almeno alcune informazioni chiave, tra queste, il bando pubblico che verrà emesso dal comune di Sanremo, dopo la conclusione di Sanremo 2025 e tutti i parametri per la partecipazione indicati, l’indice di gradimento di Conti e Scotti, e ovviamente, l’annuncio ufficiale di assegnazione, che verrà comunicato in teoria entro giugno 2025.

In questo festival di Sanremo si annida quindi un “meta concorso” a mio avviso molto più interessante della gara musicale, e non vedo l’ora di scoprire chi, tra RAI, Mediaset e Nove, si aggiudicherà la vittoria, ma se dovessi “puntare” su qualcuno, probabilmente punterei su Mediaset, principalmente per la maggiore potenza economica di MFE rispetto ai competitor, ma anche per la maggiore ambizione, dei tre, MFE è infatti l’unico possibile “giocatore” ad avere tra i propri obbiettivi, il consolidamento a livello europeo.

Il pericoloso precedente delle rivendicazioni di Trump su Panama

Negli ultimi mesi dell’amministrazione Biden e nei primi giorni della seconda amministrazione Trump, il presidente degli USA Donald Trump ha più volte rilanciato un concetto, il canale di Panama appartiene agli USA, perché costruito e finanziato dagli USA, e la repubblica di Panama lo aveva ricevuto in “affidamento” come dono, ma tale dono può essere revocato dagli USA in qualsiasi momento e gli USA di Trump faranno di tutto per riprendersi il canale.

Argomentazioni che per qualcuno lasciano il tempo che trovano, per altri sono provocazioni , per altri ancora una dichiarazione di intenti e una concreta minaccia alla sovranità di Panama, e forse, tutte e tre le ipotesi sono vere, in misura differente.

Probabilmente si tratta di dichiarazioni radicali e provocatorie, volte a testare l’opinione pubblica internazionale e i limiti del diritto internazionale, per sondare con mano fin dove gli USA possono spingersi. Tuttavia, va osservato anche che tali dichiarazioni nascondono un pericoloso precedente, soprattutto per l’Europa.

La questione del canale di Panama in Europa appare lontana, interessa prevalentemente gli scambi navali tra Americhe ed Asia, e solo in misura marginale gli interessi Europei, o almeno così sembra.

Se si guarda più da vicino la retorica di Trump nasconde un concetto pericoloso, ossia la possibilità per gli USA di rivendicare la propria sovranità, ed esercitare diritti, ovunque gli USA abbiano investito negli anni, soprattutto se con fondi pubblici. E se il canale di Panama, costruito a ridosso della prima guerra mondiale, in America Latina, appare qualcosa di lontano dagli interessi europei, le infrastrutture europee, soprattutto in Germania, Italia, Francia e Regno Unito, costruite, ricostruite e ampiamente finanziate nel secondo dopoguerra con gli aiuti del Piano Marshall, lo sono un po’ meno.

L’Europa, distrutta dai bombardamenti di alleati e nazisti nella seconda guerra mondiale, è stata ampiamente ricostruita, ed ha potuto fondare la sua nuova economia, proprio grazie agli aiuti dell’European Recovery Program, meglio noto come Piano Marshall. Ed è proprio in quegli aiuti che si annida la minaccia all’Europa, rappresentata dalle rivendicazioni di Donald Trump sul canale di Panama.

Senza troppi giri di parole, così come Trump può dire che il canale di Panama deve “servire” gli interessi USA, perché è stato costruito dagli USA, lo stesso vale per l’industria europea, per i porti, ferrovie, autostrade, ecc, che negli anni 50 e 60 poterono prendere forma grazie agli aiuti USA.

Se si guarda ai dati puri, il canale di Panama ha visto investimenti per circa 2 miliardi di dollari dell’epoca, mentre gli aiuti del piano Marshall furono di circa 12 miliardi, solo in valore assoluto, senza contare l’inflazione, l’ERP costò diverse volte più della costruzione del canale, se però si tiene conto anche dell’inflazione, il dato appare sorprendente.

I 2 miliardi investiti per Panama ad oggi equivarrebbero a decine di miliardi di dollari, mente i 12 miliardi del Piano Marshall, equivarrebbero a diverse centinaia di miliardi di dollari.

Ad un primo sguardo può sembrare inverosimile e improbabile, che Donald Trump rivendichi gli aiuti del piano Marshall, tuttavia, non è proprio così, parlando infatti della Russia di Putin, in merito al conflitto in Ucraina, Donald Trump ha dichiarato che la Russia ha giocato un ruolo cruciale nella vittoria alleata della seconda guerra mondiale, e tale impegno non può essere “dimenticato”, insomma, l’Europa è in debito con la Russia, quindi bisognerebbe accettare le sue rivendicazioni, e se la Russia erede dell’Unione Sovietica, può rivendicare il solo impegno nella seconda guerra mondiale contro i regimi Nazi-Fascisti, gli USA possono rivendicare molto di più.

La retorica di Trump sta andando in una direzione pericolosa, una minaccia concreta per l’Europa, un Europa che, per il presidente è in debito con gli USA, e che non ha il diritto di opporsi ad essa.

Il debito europeo nei confronti degli USA si compone di 3 elementi, la liberazione dai regimi nazifascisti, la ricostruzione e la difesa attraverso il patto atlantico. E proprio in termini di NATO abbiamo le prime rivendicazioni di Trump sull’Europa, Trump chiede che l’Europa aumenti i propri finanziamenti alla NATO fino almeno al 5% del proprio PIL, una cifra significativa che, in vero, neanche gli USA coprono.

Secondo gli accordi, i membri della NATO contribuiscono all’alleanza, con investimenti per la difesa, stimati intorno al 2%, cifra ridimensionata rispetto agli anni della guerra fredda quando il contribuito era stimato intorno al 3% del PIL. Dal 1992 in poi, con la fine dell’URSS, i vari stati membri hanno progressivamente tagliato la propria spesa militare, arrivando ad investire mediamente tra l’! ed il 2% del PIL, ad eccezione degli USA, unico paese NATO ad aver mantenuto investimenti per la difesa nell’ordine del 3% del proprio PIL.

In conclusione, oggi Trump sta rivendicando la propria autorità sul Canale di Panama, e allo stesso tempo sta provando a determinare gli investimenti militari dei membri della NATO e dell’Europa, minacciando l’Europa stessa di conseguenza e ripercussioni se non si adegueranno al dictat statunitense. Usa un registro diverso, apparentemente più moderato, più amichevole, ma in realtà, l’argomentazione di fondo, appare la stessa, per Trump, l’Europa, così come Panama, “appartiene” agli USA, poiché gli USA l’hanno finanziata e resa libera. Una libertà di facciata dunque, con buon piacere dei cospirazionisti antiamericani, una libertà ad ore, un premio per i fedeli alleati ma che, per il presidente 47° presidente degli USA, Donald Trump, evidentemente può essere revocata in qualunque momento se ci si oppone alla sua volontà.

La Lega segue Trump, presentato DDL per uscita dell’Italia dall’OMS

Non ci sono più i sovranisti di una volta. è decisamente il caso di dirlo, e paradossalmente, questa è una brutta notizia, perché quando c’era Lui, e per lui intendo Bossi, almeno la Lega aveva una sua identità, con valori e idee discutibili che non condivido, ma era qualcosa di nostro, al servizio di Italiani, certo, una parte degli italiani, quelli del lombardo-veneto, ma comunque italiani, era un partito che si professava come baluardo dell’autonomia locale, poi divenuto nazionalista, ma oggi la storia è cambiata e la Lega, ormai tristemente lontana da quella “lega nord per l’indipendenza della Padania” di cui mantiene simbolo e statuto, si presenta come un alfiere di politiche allineate, per non dire sottomesse, ad una potenza straniera e seguendo le direttive, senza che queste neanche vengano dettate, di Donald Trump. Più che seguire le direttive in effetti, segue Trump, come un cagnolino fedele segue il proprio padrone per non essere strattonato al guinzaglio.
Questa è l’immagine che ho avuto quando ho letto della recente proposta di legge della Lega per l’uscita dell’Italia dall’OMS, ddl ispirato all’ordine esecutivo del nuovo presidente americano che segna una svolta controversa e pericolosa.

La Lega, o meglio, il senatorie Claudio Borghi, ha giustificato questa iniziativa, lanciando accuse all’OMS di cattiva gestione durante la pandemia e di eccessiva influenza cinese. In che modo ci sia un influenza cinese nell’organizzazione che per prima ha accusato la Cina di non aver fornito sufficienti informazioni sui primi casi di Covid è un mistero che solo Brogli può risolvere. Nelle argomentazioni del senatore leghista vi è anche un forte richiamo alle decisioni di Trump, suggerendo più un’adesione ideologica che un’analisi autonoma. Insomma, dalle parole di Brogli sembra evidente che la Lega ha proposto l’uscita dall’OMS più per seguire Trump che per ragioni reali, e questo è decisamente un problema.
Perché con l’assunzione di una posizione così forte, d’impatto, dettata dal solo desiderio di emulare le scelte USA, il rischio è quello di una forte perdita di credibilità internazionale. Una credibilità che, con merito anche della destra guidata da Giorgia Meloni e dalla precedente guida di Draghi del paese, l’Italia negli ultimi anni è riuscita a riacquisire.

Oggi, grazie alle scelte autonome di Draghi e Meloni, l’Italia gode di una certa credibilità internazionale, gode di un immagine forte e di autonomia, che non possiamo rischiare di gettare via con leggerezza, e l’uscita da un’organizzazione come l’OMS, semplicemente per seguire la scia di Trump, si tradurrebbe automaticamente in una perdita di quella credibilità e rischierebbe di isolare il Paese in un contesto globale che richiede sempre più collaborazione per affrontare emergenze sanitarie e sfide come il cambiamento climatico. Soprattutto per un paese piccolo e con limitate risorse come l’Italia.

La proposta di Brogli solleva innumerevoli interrogativi su quelle che sono le priorità e strategie politiche di una parte del governo, ma ci offre anche un opportunità, o meglio, offre alla presidenza del consiglio un importante opportunità.
Giorgia Meloni copre in questo momento un ruolo strategico di primo piano, non solo per l’Italia, ma per l’intera Unione Europea e di conseguenza l’Italia può rendersi protagonista di una fase politica globale che connette Europa ed USA, la meloni deve solo decidere in che modo giocare questo ruolo, e soprattutto da che parte schierarsi. Perché prima o poi dovrà scegliere tra Europa ed USA.
Al momento non ci sono le condizioni per una scelta diretta e la leader di Fratelli d’Italia può abilmente svolgere un ruolo politico, tessendo alleanze e negoziando tra le due parti, dall’altra parte, la Lega sembra aver deciso in che direzione andare, ed è una direzione che antepone gli interessi USA a quelli Italiani, una posizione decisamente anomala per un partito che faceva eco a Trump al grido di “prima gli italiani”.

Del resto, seguire ciecamente l’esempio trumpiano può sembrare una contraddizione per un partito che ha costruito parte della sua identità sull’autonomia, tuttavia, è innegabile come, in quest’epoca, lo scetticismo, l’anticientificismo, siano dilaganti. Viviamo nell’epoca delle fake news, dei deep fake, del diritto a dubitare di tutto, tranne che di dio. Viviamo nel secolo delle cospirazioni globali, scoperte da anonimi pensatori autonomi sul web che, dalla loro “cameretta” riescono ad eludere i sofisticati e futuristici sistemi di controllo delle masse dei governi ombra… E che per qualche motivo, non riescono a vedere i pericoli di un miliardario che “compra” un capo di stato, o di un presidente che quota sul mercato la propria amministrazione.

Tornando alla lega, questo cambio di rotta, di natura, evidenzia un cambio di paradigma nel sovranismo, non più centrato sull’indipendenza e l’autonomia, ma su un allineamento selettivo a leader carismatici esterni, perpetuando il paradosso del sovranismo internazionale, per cui realtà in competizione, con interessi divergenti, che non possono lavorare insieme, in nome di un interesse comune che non esiste, ma vedono il “debole” lavorare affinché il forte possa godere dei propri interessi. Stiamo inseguendo il colonialismo, l’imperialismo, sperando che da colonie almeno la nostra leadership possa trarre qualche beneficio, a discapito della popolazione, e applaudiamo a quei leader che ci propongono un falso senso di sovranismo, asservito ad una nazione straniera.

Per quanto riguarda l’opzione di una possibile uscita dall’OMS, va ricordato che ci troviamo in un mondo sempre più interconnesso e l’idea di isolarsi da organizzazioni multilaterali rischia di essere un boomerang, soprattutto per un Paese come l’Italia che ha bisogno di alleanze per affrontare sfide complesse.
La prossima pandemia potrebbe arrivare da un momento all’altro, e l’umanità ha bisogno di monitorare costantemente ogni angolo del pianeta, affinché possiamo muoverci per tempo, affinché possiamo identificare e isolare i primi nuclei di una possibile malattia mortale che decimi la popolazione mondiale, ma stiamo scegliendo di non farlo, e non perché dubitiamo dell’efficacia o l’utilità dell’OMS, ma perché Trump, sentendosi colpito e umiliato dall’OMS nell’ultimo anno della sua precedente amministrazione, ha deciso di scagliarsi contro l’organizzazione.
La scelta di Trump di andare contro l’OMS e di far uscire gli USA dall’OMS è folle e delirante, trova fondamento in un impeto di rabbia del presidente, ma la scelta della Lega di proporre l’uscita dell’Italia dall’OMS, non ha alcun fondamento politico, ideologico, scientifico, economico, ed è dettata esclusivamente dalla volontà di emulare le decisioni di Trump.

Va detto altresì che, non è la prima volta che la lega lancia un affondo all’organizzazione, già lo scorso anno, a gennaio 2024, la Lega proponeva di tagliare i finanziamenti dell’Italia all’OMS per reinvestire quei 100 milioni di euro con cui l’Italia finanzia l’organizzazione, in Italia, per assumere medici e finanziare ospedali… salvo poi votare a favore del reintegro in servizio e risarcimenti, per medici e infermieri novax, sospesi durante la pandemia, e allo stesso tempo, mandare a casa medici e infermieri che durante la pandemia, hanno messo a rischio la propria vita, per assistere malati che rischiavano la vita. Ma ovviamente, se le persone morivano in pandemia è colpa dell’OMS, e dei vaccini, non certo dell’incompetenza dei no-vax.

Elon Musk: Il Visionario che Flirta con il totalitarismo

Vado diritto al punto, poi approfondiamo sul sito. #ElonMusk non è un nazista, è “solo” un vorace capitalista che punta ad un mondo in cui tutto è in vendita, compresa la libertà.

Elon Musk è una figura controversa che da sempre divide il pubblico. Da un lato, è celebrato come un visionario per le sue imprese rivoluzionarie come #Tesla, #SpaceX e #Neuralink, che puntano a trasformare settori chiave come la mobilità elettrica e l’esplorazione spaziale. Dall’altro, le sue recenti azioni sollevano preoccupazioni sul suo approccio al potere e alla libertà d’espressione.

Con l’acquisizione di #Twitter, ora #X, #Musk ha cercato di trasformare il social in una piattaforma per il “discorso libero”. Tuttavia, questa missione è stata oscurata da decisioni che sembrano minare i principi democratici che dice di sostenere.

La gestione arbitraria dei contenuti e l’interazione con forze politiche nostalgiche e con tendenze autoritarie hanno portato molti a chiedersi se Musk stia davvero promuovendo la libertà o se stia solo assumendo il ruolo del platonico coppiere che, al popolo assetato di liberà, ne versa sempre di più, fino ad ubriacarlo, al fine di facilitare il germogliare della tirannia.

Le sue posizioni, spesso esposte in modo diretto e provocatorio sui social, evocano immagini di un imprenditore che si considera al di sopra della critica e dei limiti. Le affermazioni polarizzanti e i comportamenti non convenzionali possono essere letti come un sintomo di un narcisismo che sfiora il culto della personalità. Banalmente, sembra voler ascendere al rango di nume vivente, impresa compiuta nella nostra storia solo da 3 uomini, Mussolini, Hitler e Stalin.

Questo lato oscuro si riflette anche in come Musk si rapporta alla politica globale. La sua influenza è cresciuta al punto da interferire in questioni geopolitiche delicate e ci si comincia a chiedere quali siano i suoi reali interessi. Cosa vuole realmente Musk? è davvero “solo” un miliardario annoiato che sta giocando con il destino del mondo, o quel mondo vuole controllarlo per il proprio tornaconto personale?

Personalmente credo che Elon Musk non sia un nazista. Ma questa non è una buona notizia, perché de facto, è il “grande fratello” orweliano, l’uomo che ci sta conducendo, acclamato dagli applausi di molti, verso una società inquietante, estremamente vicina ad una distopia moderna, e in questa trasformazione non è solo, con lui anche “insospettabili” rivali del miliardario alla guida di multinazionali e big tech, ma in questo articolo manterrò il focus sullo Sugar Daddy di Donald Trump.

Il miliardario patron di X, Space X e Tesla, non è un fautore ideologico della supremazia razziale né un teorico del totalitarismo, tuttavia, all’uomo più ricco del mondo, entrambi i punti “servono”.

Musk non è nazista, ma a lui i nazisti servono – o meglio, non è che gli servano proprio i nazisti, gli servono individui inclini ad una visione totalitarizzante e monopolistica del mondo, gli servono cittadini e politici che siano facilmente manipolabili, influenzabili, scettici nei confronti delle democrazie moderne, e i nostalgici del nazi-fascismo, cadono a pennello, sono esattamente ciò di cui ha bisogno per ottenere ciò che vuole, e allora ecco che si spiegano le bizzarre avventure del miliardario.

Musk nella sua ascesa pubblica, negli ultimi anni, ha rincorso vari estremismi radicali, senza però ottenere ciò che voleva. Per un periodo è stato un sostenitore dell’ideologia “gender”, poi della transizione ecologica e del green deal, poi ancora, è diventato un sostenitore del “reddito universale” e di un utopia umana in cui gli esseri umani non debbano più lavorare per vivere, potendosi dedicare solo alle proprie passioni e interessi, mentre macchine ed intelligenze artificiali lavorano al nostro posto. Poi improvvisamente ha iniziato a sostenere l’esatto contrario di tutto ciò, finanziando Trump che, nel proprio programma politico si opponeva a tutto ciò che negli ultimi anni per Musk era stato importante.

Può sembrare insensato, può sembrare incoerente, ma in realtà, è semplicemente ciò che Musk ha sempre fatto nella propria vita, ha testato varie strade, investito in varie direzioni per poi focalizzare le proprie energie e risorse in quei segmenti che gli garantivano un ritorno considerevole, e sul piano politico, quel segmento “vincente” si è rivelato nell’ultradestra di Donald Trump.

Ricapitolando quindi, Musk non è un nazista, ha solo degli interessi privati, per i quali, i nazisti gli tornano utili. Un po’ come accadde nell’Iinghilterra degli anni 30, quando Edward Wood, I conte di Halifax, segretario di Stato britannico tra il 1938 e il 1940, che non era un Fascista, ne tantomeno un Nazista, che si era scontrato duramente contro Oswald Mosley (il padre del fascismo britannico), in Germania, nel 1937, incontrò Hitler e, sintetizzando tantissimo uno dei discorsi più imbarazzanti della storia britannica, ebbe l’ardire di riconoscere che l’espansionismo tedesco era pericoloso, che la deportazione degli ebrei apolidi da mezza Europa era discutibile, ma finché questo fermare i comunisti, allora poteva essere giustificabile, perché in fondo, la Germania Nazista, era l’ultimo baluardo della civiltà europea contro la barbarie bolscevica, e il Führer era in prima linea in quello scontro di civiltà.

Halifax non era un Nazista, ma provò a servirsi dei nazisti per contrastare l’Unione Sovietica, e questo cinismo politico, che si piega a qualunque abominio pur di raggiungere i propri scopi, è lo stesso che vediamo in Musk, ma come dicevo, non è un invenzione di Musk o Halifax, non è una novità del nostro tempo ma anzi, la troviamo ampiamente descritta e codificata nelle teorie del realismo politico, in particolare negli scritti di Machiavelli e Hobbes, del XVI e XVII secolo.

Elon Musk è il “principe machiavellico” che mente pur di consolidare il proprio interesse.

AI miliardario in soldoni, non interessa quale sia il regime autoritario di cui servirsi per i propri interessi, ma gli va bene chiunque possa assecondare le sue ambizioni.

Quali sono questi interessi?

Cerchiamo allora di capire quali sono i reali interessi che hanno portato Elon Musk a strizzare l’occhio all’estrema destra globale, finanziandola e assumendo atteggiamenti che, come nel caso del nostro Vannacci, richiamano non troppo velatamente, simboli e gesti legati al Nazi-fascismo, per poi negare sia stato fatto e accusare la sinistra di accuse infondate.

La principale fonte di rendita di Elon Musk è legata all’industria automobilistica e al valore di mercato di Tesla, entrambi fortemente minacciati da asset cinesi. Musk teme la concorrenza cinese che punta su un abbattimento dei costi, abbattimento che Tesla non può sostenere, o meglio, potrebbe, rinunciando ad una quota significativa dei ricavi per azionisti e dirigenti, ma che non è conveniente per chi “vive di quei ricavi”, ma non solo, tra i motivi per cui la Cina può essere maggiormente competitiva, abbiamo una politica del lavoro molto poco attenta ai lavoratori, e alle emissioni.

Per fare un esempio ipotetico, se un operaio cinese fa turni di 18 ore, 7 giorni su 7, senza ferie o indennità di malattia e viene pagato 0,5$ l’ora, l’azienda avrà costi di produzione molto più bassi rispetto ad un azienda i cui operai, per forza di cose possono lavorare massimo 8 ore, con straordinari pagati, indennità varie, malattie, ecc e salari di almeno 8$ l’ora.

Allo stesso tempo un azienda che non ha alcuna limitazione sulle emissioni, che può inquinare liberamente, anche a costo di rendere tossica l’acqua e l’aria nelle zone adiacenti lo stabilimento, avrà costi di produzione notevolmente più bassi di chi invece deve necessariamente adeguarsi a standard sulle emissioni e garantire che i propri operai e chi vive nei pressi dello stabilimento, non si ammali.

Questi sono solo due dei “vantaggi” che l’industria automobilistica cinese ha rispetto all’industria automobilistica euro-statunitense, e per chi opera nel settore automobilistico, mettere un freno a questo divario, è prioritario. Musk ha quindi bisogno di limitare l’influenza cinese sul mercato automobilistico occidentale e per farlo ha bisogno di avere al suo fianco governi disposti a intraprendere guerre economiche e a mettere in discussione il libero mercato quando non giova alle sue aziende.

Qualcuno potrebbe osservare che per anni Tesla è stato una sorta di “sponsor” di politiche ambientali e sostenibili, e non avrebbe torto, parte del marketing di Tesla si fonda sulla maggiore sostenibilità delle auto elettriche, il problema tuttavia è che in realtà, la sostenibilità, per Musk, è solo un marketing tool, non un reale impegno etico. De facto, il motivo per cui Tesla produce auto elettriche e non tradizionali, fa parte di una strategia di mercato a lungo termine, è una scommessa sul futuro, ma che non parte dal desiderio di abbattere le emissioni, e se si guarda agli impianti di produzione Tesla, e le numerose problematiche che questi hanno riscontrato in termini di politica ambientale, se ne ha una conferma. A tale proposito, proprio su questo tema, il 24 novembre 2024, il Wall Street Journal, ha pubblicato un interessante articolo in cui osservava come lo stabilimento Tesla di Austin ha subito sanzioni per emissioni di sostanze tossiche e scarico di acque reflue pericolose non trattate, causando danni ambientali significativi. Inoltre, per rispettare i ritmi di produzione imposti, Tesla avrebbe trascurato le normative ambientali, minimizzando i rischi e i problemi segnalati dagli ispettori, con una notevole Dissonanza con la mission aziendale. Nell’articolo si evidenzia come l’azienda, che si promuove come leader nella sostenibilità e nell’innovazione ecologica, è accusata di agire in modo incoerente con questi valori.

Ci sono poi altri interessi che spingono Musk, e altri miliardari come lui, ad avvicinarsi a movimenti reazionari, facilmente influenzabili, ma non credo sia necessario elencarli tutti. Ad esempio la volontà di rimuovere limitazioni e controlli relativi allo sviluppo di intelligenze artificiali, o ridurre le limitazioni anti monopolistiche, o ancora, abbattere le tasse che le multinazionali miliardarie devono pagare, ecc.

Musk non è nazista, ma forse è qualcosa di più pericoloso

Alla luce dei dati analizzati fino ad ora, possiamo dire che no, Elon Musk non è un nazista, ma questa forse non è una buona notizia, poiché il nazismo è un concetto che associamo automaticamente a qualcosa si malvagio, di sbagliato, qualcosa da respingere. Ma Musk non promuove direttamente i valori del nazional socialismo, e anzi, si presenta come un qualcosa di profondamente diverso, è un innovatore, un visionario, e questo è proprio ciò che lo rende pericoloso, perché dietro questa maschera si nasconde un monopolista miliardario che sfrutta a proprio vantaggio la retorica e la visione radicale di ideologie che distruggono la democrazia dall’interno.

Musk non ha bisogno di indossare una svastica per piacere ai nostalgici del Reich e servire interessi che finiscono per alimentare sistemi oppressivi. Lui è un maestro della provocazione con la capacità di usare tecnologia e innovazione come una cortina di fumo per nascondere un sistema che concentra sempre più potere e ricchezza in poche mani.

La sua visione del futuro non è una società equa, aperta e progressista. Ed è sempre più evidente come, il mondo che sta progettando, è un mondo fortemente gerarchizzato, in cui tutto è in vendita e la libertà stessa è un bene di consumo. Nel mondo che si presenta dinanzi a noi, la libertà non è piiù un diritto universale, ma un bene di lusso, accessibile solo a chi può permetterselo e se sei povero, se non hai i mezzi per comprare la tua fetta di “libertà”, allora sei escluso, etichettato come un “clandestino”, un parassita, una “zecca comunista”, e per quanto ciò possa sembrare evidente, in realtà non lo è per tutti e molti si lasciano distrarre da promozioni, offerte e pacchetti di diritti civili in saldo durante il Black Friday, libertà di espressione a rate, disponibili solo per i fedeli cittadini tesserati. come nel ventennio, se sei iscritto al partito bene, altrimenti, fame e manganellate.

Immaginate un mondo in cui la cittadinanza non è un diritto di nascita ma un abbonamento premium, dove il valore di un individuo è determinato dalla sua capacità di contribuire ai profitti dei pochi al comando. Può sembrare una visione distopica del mondo, ma se ci pensiamo, in parte è già così, guardiamo ai migranti, clandestini e carne da macello che può essere sacrificata in mare o in zone di guerra, se non abbastanza produttivi, ma benvenuti se hanno tra le tasche un libretto degli assegni e un conto in banca con liquidità in dollari o euro.

Musk non è un nazista, ma questa non è un assoluzione, poiché sta contribuendo a costruire un mondo molto simile ad una distopia fururistica, in cui il progresso e la libertà sono esclusiva di una minoranza privilegiata, e la cosa più pericolosa è che tutto questo ci appare lontano, poiché ci viene lasciato credere, falsamente, che anche noi potremmo essere parte di quella minoranza. Ci viene promessa la libertà totale, una libertà pericolosa come osservava Platone nel libro V della repubblica in cui può facilmente germogliare una mala pianta, la tirannia.

Quando un popolo, divorato dalla sete dI libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a sazietà, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati despoti.
E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani.
In questo clima di libertà,nel nome della libertà,non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia

$TRUMP, il token crypto di Donald Trump, quanto vale? Opportunità e rischi

Il 17 gennaio 2015, a 3 giorni dal proprio insediamento alla Casa Bianca, il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, sostenuto dal miliardario Elon Musk, ha lanciato sul mercato la propria cryptovaluta, un vero e proprio meme-coin che in pochi giorni è arrivato a valere circa 40 miliardi di dollari.

Andiamo per gradi e definiamo, per chi non lo sapesse, cos’è un meme coin e da cosa dipende il suo valore e quanto Trump ha da guadagnare o perdere dallo $Trump.

Memecoin, cosa sono e quanto valgono?

Un memecoin una cryptovaluta, generalmente ispirato ad un meme o temi virali, generalmente ironici, parodistici e con più o meno diretti riferimenti culturali che, in alcune rare occasioni, hanno raggiunto un elevata capitalizzazione di mercato, mentre, per la maggior parte dei memecoin, il loro valore è rimasto irrisorio.

Sebbene siano cryptovalute, i memecoin non sono cryptovalute tradizionali come Bitcoin ed Ethereum, nel senso che, i loro obbiettivi, le loro funzioni, e le tecnologie su cui si basano, sono diverse.

Basandoci sulla “storia del web” il primo “memecoin” degno di tale nome fu Dogecoin, il cui debutto nel mercato crypoto risale al 2013, da allora il suo valore è mutato innumerevoli volte, con picchi di capitalizzazione quando il più ricco e influente alleato di Donald Trump, ovvero Elon Musk, ha acquistato ingenti quantità di Dogecoin ed ha sponsorizzato la valuta, suggerendo possibili utilizzi sul suo social X.

Ad oggi sul mercato ci sono circa 146.615.606.383,705 Doge coin, dal valore di circa 0,15€ ciascuno, dando alla valuta un valore complessivo di circa 20 miliardi di euro. Non male per un memecoin, ma del resto, parliamo del più popolare e fortunato tra i meme coin, almeno, fino ad oggi.

Come per la maggior parte delle cryptovalute, i memecoin sono particolarmente volatili, e la loro volatilità è accentuata proprio dal loro legame con meme e fenomeni virali. Per quanto riguarda lo $trump quindi possiamo facilmente intuire come il token avrà un valore fintanto che trump avrà un valore, una rilevanza, e degli “sponsor” facoltosi. Il coin quindi può essere un arma a doppio taglio per il presidente, perché in parte, riflette l’effettivo apprezzamento globale nei confronti di Trump.

$trump, opportunità e rischi

Come ogni cryptovaluta, anche lo $trump si porta dietro numerose opportunità e rischi che, in questo caso specifico, sono accentuati dal fatto che questo token è legato al presidente degli stati uniti, alle sue mosse politiche, alle sue decisioni e, più di tutto, alle sue provocazioni.

Banalmente, più Trump farà parlare di se, più il suo coin acquisterà valore, e questo rappresenta allo stesso tempo un incredibile opportunità per gli investitori, ma anche un terrificante rischio per gli Stati Uniti e il mondo in generale.

Il secondo mandato di Trump parte in maniera bellicosa e belligerante, con minacce di intervento diretto in medio oriente al fianco di Israele, in America Latina per il controllo del canale di Panama, oltre che in un conflitto economico e non solo contro Europa, in particolare la Danimarca, Canada e ovviamente l’evergreen asiatico, la Cina. E ognuna di queste mosse, estremamente destabilizzanti per la pace globale, potrebbero portare a Trump un enorme fortuna privata legata proprio al valore di $trump.

Investire in $trump significa investire su Trump, e come anticipato, questa è sia un opportunità di investimento, che un rischio, perché il token, per la sua natura decentralizzata e libera, è uno strumento incredibilmente potente per aggirare qualsiasi limitazione su eventuali investimenti e finanziamenti.

Faccio un esempio per assurdo, Bytedance, la holding cinese proprietaria di TikTok, potrebbe investire miliardi di Yuan cinesi in $Trum, a seguito della dichiarazione di Trump di sbloccare TikTok in USA. Questo investimento porterebbe ad un incremento immediato e visibile del valore di $Trump, il cui valore dipende esclusivamente da domanda ed offerta, e potrebbe essere utilizzato per influenzare, indirettamente, le scelte del presidente.

Ora, l’esempio fatto è estremo, ma più in generale, Trump può usare come strumento e indice di gradimento delle proprie dichiarazioni, il valore dello $trump, e allo stesso tempo, quell’indice può essere facilmente influenzato da chi dispone di ingenti capitali, dando così una percezione falsata del gradimento nei confronti delle decisioni di Trump.

Lo $Trump in effetti nasce proprio con questa finalità, è infatti un token che si pone principalmente due obbiettivi, consolidare il personal Brand “Donald Trump” e finanziare direttamente Trump. Trump infatti dispone di una significativa quota di mercato dello $trump, e questo significa che, variazioni positive del valore dello $trump possono tradursi in una monetizzazione immediata e diretta per il presidente.

Inoltre, la criptovaluta punta ad essere un punto di contatto tra il presidente e la sua base, di fatto, chi possiede lo $trump possiede una “quota” di Trump, e questo riguarda sia elettori, che investitori, che governi stranieri.

Possiamo quindi asserire, senza troppe difficoltà, che, lo $trump, non è una semplice criptovaluta, si tratta invero di una mossa strategica, in un contesto geopolitico molto più ampio e che unisce obiettivi economici, politici e mediatici.

Criticità della crypto presidenziale

Il principale problema legato allo $trump è il suo legame estremamente forte e diretto con il presidente degli USA, che, come abbiamo visto, spiana la strada ad innumerevoli rischi e problematiche legate a conflitti d’interesse. Le leggi USA impongono al presidente di prendere le distanze dalle proprie aziende e investimenti privati, tuttavia, il segmento Crypto negli USA si trova ancora in un limbo normativo, de facto permettendo al presidente di continuare ad operare con lo $trump senza infrangere le leggi attualmente esistenti. Vi sono poi enormi rischi legati a ingerenze straniere, influenza su mercati finanziari, violazione delle norme sulla finanza pubblica, donazioni e finanziamenti, riciclaggio di denaro, implicazioni sull’imparzialità, per non parlare dei rischi per la sicurezza nazionale e cybersecurity.

Tutte problematiche che affondano nella mancanza di una regolamentazione chiara delle criptovalute.

Un precedente pericoloso per la democrazia

C’è dell’altro, l’adozione del presidente di una crypto personale il memecoin $trump, a cui ha fatto eco lo $melania, lanciato da Melania Trump, rappresenta un precedente pericolosamente inquietante, che permette di investire concretamente sul leader degli USA, e in quanto investitori, avere indirettamente voce in capitolo sulle decisioni del presidente.

Qualcuno potrebbe dire che ciò non è dissimile dalle donazioni elettorali e il sistema lobbistico statunitense, che tuttavia, sono regolamentati a differenza delle cryptovalute in questo momento, il cui valore di mercato è soggetto esclusivamente alla differenza tra domanda ed offerta. Le Crypto in questo senso sono espressione pura del libero mercato, privo di qualsivoglia forma di regola e regolamentazione, e se questo può rappresentare un “pregio” per gli investitori, se si parla di democrazia, si va verso un terreno oscuro e pericoloso.

Il BAN di TikTok, un semplice Redirect 301

il 19 Gennaio 2025 è scaduto l’ultimatum dato dalla corte suprema a ByteDance per la vendita di TikTok, e questo ha portato al “ban” della piattaforma dagli USA, così, al loro risveglio, milioni di utenti statunitensi, provando ad accedere al social cinese si sono ritrovati di fronte questa pagina.

Alcuni hanno provato ad aggirare il Ban di TikTok utilizzando una VPN, ma senza successo, e su internet, reddit e altri social, si trovano numerosi messaggi di utenti che lamentano di non essere riusciti ad accedere, anche con l’ausilio di una VPN. Abbiamo quindi fatti alcuni test. Ci siamo recati su TikTok tramite Opera, senza usare la VPN integrata e come ovvio che sia, dall’Italia nessun problema, abbiamo quindi attivato la VPN sugli Stati Uniti e il social ci ha detto “TikTok is temporarily unavailable. We’re working hard to resolve this issue. Thank you for your patience.” impedendoci la navigazione.

Ok, quindi, il ban c’è, la VPN funziona e quando accediamo dagli USA ci dice che non possiamo. A questo punto abbiamo provato a disattivare la VPN, ipotizzando che avremmo potuto utilizzare normalmente TikTok, ma ciò che ci siamo trovati di fronte era questo.

Come è possibile? Nonostante la VPN disattivata, TikTok continuava a risultare inaccessibile.

Prestando attenzione alla pagina, abbiamo notato che, l’URL di destinazione era il seguente https://www.tiktok.com/us-landing e non https://www.tiktok.com abbiamo quindi cliccato sulla barra degli indirizzi, rimosso “/us-landing” dall’URL e TikTok ha ripreso a funzionare regolarmente.

Come funziona (in questo momento) il ban di TikTok negli USA?

In questo momento, al 19 gennaio 2025, il ban da tiktok dagli USA è un semplice redirect 301, che si attiva quando la piattaforma rileva un IP statunitense, reindirizzando così gli utenti, qualunque sia l’indirizzo di tiktok, sulla pagina https://www.tiktok.com/us-landing.

Se si accede da PC o da Browser quindi, aggirare il ban con una VPN è relativamente semplice, è sufficiente attivare una VPN su una località diversa dagli USA e accedere a TikTok, se per qualche motivo viene mostrata la pagina us landing, è sufficiente cancellarla per poter navigare liberamente sul social.

Per quanto riguarda l’app di tiktok invece, è leggermente più complesso. L’app del social è infatti una Web App, semplificando tantissimo (informatici e sviluppatori mi perdoneranno) si tratta di una pagina web “camuffata” da applicazione che però, non permette di modificare liberamente l’URL.

Cosa è successo agli utenti USA?

TikTok, una volta loggato, mantiene in memoria l’ultimo url visitato, questo fa sì che, ogni volta che avviamo l’app, ci ritroviamo sull’ultimo video, o sul video successivo, all’ultimo video visualizzato. Una funzione di utility e quality of life, che in questo caso però, sembra bloccare TikTok anche a chi ha una VPN attiva. Se infatti l’app di tiktok si trova sulla pagina us-landing che ci comunica la temporanea disattivazione dagli USA, anche aggiornando l’app, rimarremo su quella pagina, dando così agli utenti USA l’impressione che TikTok non sia utilizzabile dagli USA neanche utilizzando una VPN.

In realtà non è così, semplicemente si sta aggiornando una pagina web in cui ci viene detto che non è possibile, ma, modificando l’URL, se si ha una VPN attiva, è possibile navigare liberamente sul social.

Ma come fare a modificare l’URL dall’app?

Come anticipato, l’app non permette una modifica “diretta” dell’url, ma ci sono alcune soluzioni alternative.

La più “brutale” consiste nell’attivare la VPN, disinstallare TikTok, reinstallare TikTok ed effettuare il login. In questo modo, accederete dal paese indicato dalla VPN, ma bisognerà stare attenti a non andare su TikTok senza VPN attiva, o, ogni volta, bisognerà disinstallare e reinstallare l’applicazione.

Una soluzione decisamente più semplice è attivare la VPN, aprire il browser dello smartphone, andare su un video qualsiasi di TikTok, e aprirlo tramite app. A quel punto si verrà reindirizzati sul link del vide, e non sulla pagina “us landing” , e da lì, si potrà navigare senza problemi, almeno in questa versione del ban, e utilizzando una VPN.

Se per qualche motivo non volete cercare video di tiktok su google o altri motori di ricerca, c’è un ulteriore soluzione ,è infatti sufficiente inviarsi un link ad un video di tiktok con una qualsiasi app di messaggistica, e il gioco è fatto, a patto di avere una VPN attiva.

Ban e Redirect

Per quanto riguarda la soluzione trovata da TikTok per disattivare la piattaforma negli USA, va detto che non c’è nulla di anomalo, la maggior parte dei web tool e portali localizzati, il cui utilizzo è consentito solo in determinati paesi, generalmente effettua un redirect, da qualunque indirizzo, per gli utenti che accedono al portale tramite IP di paesi in cui il servizio non è attivo. Altri servizi invece operano al contrario, reindirizzando verso la pagina di utilizzo, solo gli IP degli utenti che accedono da paesi in cui il servizio è attivo. Come ad esempio Google Whisk, di Google Labs, un tool IA per la generazione di immagini, disponibile solo negli USA e che mostra a chiunque altro il seguente URL e messaggio.

E invece si dispone di una VPN attiva sugli USA ci viene mostrata questa pagina.

Irma Grese, tra storia e attualità

Irma Grese, soprannominata la Bestia bionda di Belsen, carceriera nazista, agì in un sistema che glorificava odio e crudeltà.

Oggi, mentre facevo un po’ di manutenzione al sito, ho scoperto che il tool del “contattaci” era rotto, e negli ultimi 3 anni, non ci è stato inoltrato via mail un singolo messaggio che ci avete lasciato.

Colpa mia che non ho controllato che funzionasse bene e che mi sono affidato ad un servizio terzo, in ogni caso, ho deciso di approfittare di questo incidente per produrre una rubrica con cui rispondo ai vostri messaggi e le vostre richieste, dando priorità ai messaggi archivio da qualche anno.

Il primo messaggio a cui voglio rispondere ce lo manda Cristina, anzi, ce lo ha mandato Cristina quasi 3 anni fa, il 14 febbraio 2022, ed era un interessante risposta ad un articolo questo nostro articolo del 23 settembre 2020 su Irma Grese, la temuta Bestia Bionda di Belsen.

Cristina Scrive:

Caro Historicaleye,
Mi chiamo Cristina, ho 45 anni e sono madre. Sono laureata. Sono come te profondamente amante della storia. Sono indignata dall’articolo letto sul tuo portale, relativo a Irma Grese. Questa bestia prese una scelta. Leggere contenuti di questo livello mi fa paura.

Dal basso della mia ignoranza, lascio ad uno scritto di Primo Levi, tratto dal suo libro Sommersi e Salvati, quanto io non trovo le parole per esprime:

“Non so, e non mi interessa sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti, non solo in Germania, e ancora esistono, e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetistico o un sinistro segnale di complicità; soprattutto, è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità. […] “

Spero queste mie poche righe possano portare ad una riflessione.

Ciao Cristina, scusami ancora per la risposta estremamente tardiva. Come ti ho scritto anche via mail, se lo avessi letto prima ti avrei risposto da tempo, ma purtroppo, ci sono stati un po’ di problemi con i messaggi, quindi, ti rispondo ora, e ti chiedo pubblicamente scusa per il ritardo.

Ho riletto l’articolo e non ci vedo nulla di inquietante o sconvolgente, anzi, ammetto di essere estremamente orgoglioso di come ho trattato l’argomento nell’articolo, nel quale non vi è alcun tentativo di assoluzione di una donna che nel proprio lavoro da carceriera del Reich in un campo di concentramento fu estremamente crudele.

Mi rendo però conto che c’è una parte dell’articolo che può essere facilmente “fraintesa”, ossia la parte in cui dico che, da volontaria, Irma Grese, era convinta di fare “del bene” e di servire il proprio paese, passaggio che però non vuole assolvere, ma anzi, far riflettere anche sull’attualità.

La Germania degli anni 30, del Terzo Reich, è una Germania, ma in generale l’Europa gli anni 30 del novecento rappresentano una realtà molto lontana da noi sul piano etico e morale, poiché appartengono ad un mondo cui l’odio era profondamente radicato mentre violenza e intolleranza erano considerate dei valori, e per una persona che viveva in quel mondo, i principi morali che determinavano le sue scelte, erano altri rispetto ai nostri, ed erano un qualcosa di aberrante e terrificante. Di fatto l’uomo comune di quel tempo, nella sua ignoranza, per citare un aneddoto tratto dalla Banalità del Male di Hannah Arendt, era convinto che gli affamati che rubavano il cibo ai porci, fossero delle bestie, e non riuscivano a rendersi conto che quei disperati, che si cibavano di ghiande rubate ai porci o cibo ai cani, mentre erano condotti ai lavori forzati, lo fa perché affamati.

Il nostro articolo, anzi, il mio articolo, serviva anche a far riflettere sull’attualità, sul mondo in cui viviamo, un mondo in cui odio e intolleranza, sono sempre più presenti e spesso “giustificati”, spingendoci a guardare dall’altra parte quando ci vengono presentati episodi sconcertanti.

Il senso dell’articolo, non era quello di giustificare o condannare il comportamento individuale di una persona nello specifico, anche perché siamo “storici” non giuristi, il nostro non è un processo volto ad assolvere o condannare Irma Grese, ma un articolo volto ad inquadrarla storicamente. Il nostro obiettivo era quindi quello di analizzare e contestualizzare, rimanendo il più possibile super partes, un episodio storico, e più nel profondo, cercare di capire perché Irma Grese ha agito in quel modo e in che modo la società e il mondo in cui viveva hanno influenzato le sue scelte e le sue idee. E non è facile, perché, fortunatamente, non viviamo in quel mondo, e abbiamo valori e regole morali profondamente diversi da quelli del tempo.

Tu suo messaggio tuttavia, Cristina dice qualcosa che condivido profondamente, dice che Irma Grese ha fatto una scelta, fu lei a scegliere di agire in quel modo e non può essere in alcun modo assolta. Fu lei a scegliere di essere una carceriera sadica e crudele, “esemplare” in quel sistema malato. E va detto che questo principio, ai processi di Norimberga, è stato scolpito nella pietra. Di fato, è stato “perdonato” chi ha guardato dall’altra parte, chi ha finto di non vedere, ma non chi ha partecipato attivamente nel compimento di crimini atroci.

A Norimberga e ancora di più a Gerusalemme, nel 1961 durante il processo di Adolf Heichmann, però, è stato sancito anche un ulteriore principio, ovvero, si è stabilito che quella scelta, non fosse in realtà libera.

Vorrei poter dire il contrario, che le scelte di Irma Grese, dei Nazisti, dei Fascisti, dei Comunisti, ecc, che collaborarono con i regimi Totalitari del novecento, furono libere, vorrei dire che Irma Grese in fondo era una “volontaria”, ma mentirei a me stesso e a voi, perché in realtà, la sua formazione, a cui è stata sottoposta dalla famiglia fin da bambina, non le lasciava realmente scelta, ponendola de facto, di fronte ad una scelta obbligata: Servire fedelmente il Reich, diventando complice di quei crimini che nel Reich erano considerati qualcosa di cui andare fieri, o tradire famiglia, amici e uno stato estremamente presente, in ogni aspetto della quotidianità. E una giovane donna, indottrinata fin da bambina a vedere il mondo in un certo modo, difficilmente cambierà il proprio punto di vista.

Oggi, nel 2025, sembra facile condannare il modo di agire di Irma Grese, quel comportamento, quel modo di fare, quel modo di vedere il mondo, eppure, non sempre lo facciamo, anzi, ci sono innumerevoli episodi che quotidianamente, spingono molti di noi a guardare dall’altra parte, colpevolizzando le vittime. Guardiamo alle vittime del mare, migranti che quotidianamente perdono la vita nel mediterraneo, alla guerra in Palestina, che in poco più di un anno ha fatto più di 46mila vittime, guardiamo alla Somalia, alla Costa d’avorio, al Burkina Faso e Nigeria, di questi ultimi i media neanche ci parlano.

Guardiamo a chi si oppone al soccorso in mare dei naufraghi perché “clandestini”, a chi sostiene la guerra in Palestina, una guerra che ha tutti i tratti di un genocidio e giustifica tacitamente la morte di migliaia di palestinesi per mano del governo Israeliano, per poi etichettare chi critica le scelte del governo israeliano di essere antisemita.

Torno a citare Hannah Arendt, che è stata testimone diretta del processo di Gerusalemme ad Adolf Heichmann, e dico che tutto ciò, non fa di loro dei mostri, quel modo brutale a tratti disumano di vedere il mondo, non fa di loro l’incarnazione del male, semplicemente fa di loro delle persone stupide, incapaci di mettersi concretamente nei panni degli altri.

Perché in un mondo in cui odio e intolleranza sono serviti quotidianamente alla popolazione, in un mondo in cui ci viene detto quotidianamente di odiare qualcuno e che tutte le nostre sofferenze sono causate da quel qualcuno, odiare è estremamente facile, abbiamo odiato gli Ebrei ed i Comunisti, poi i Nazisti ed i Fascisti, poi nuovamente i Comunisti, poi è venuto il tempo degli Islamisti ed i clandestini, e poi i Cinesi e così via.

C’è sempre qualcuno contro cui puntare il dito, e odiare quel qualcuno, quando la società, gli amici, la famiglia, i media, il cinema, tutti ci dicono di farlo, diventa naturale, e quel male diventa banale. Così finisce per odiare anche un bambino di 6 anni, che non sa cosa o perché, sa solo che è giusto odiare. Come ci viene mostrato divinamente in quel capolavoro di JoJo Rabbit di Taika Waititi.

Diversamente, capire, contestualizzare, mettersi nei panni degli altri, è complicato, è difficile, richiede uno sforzo che non sempre vogliamo fare, soprattutto se siamo i soli a pensare di poterlo fare, uno sforzo non indifferente, uno sforzo che però è alla base della ricerca storiografica e questo mi riporta ad Irma Grese, la bestia bionda di Belsen.

Una donna che fu senza ombra di dubbio crudele, spietata, sadica, disumana e disgustosa, una donna imperdonabile, le cui azioni furono aberranti, ma pur sempre una donna che visse in un mondo che imponeva di essere in un certo modo, e in quel mondo lei fu una donna “esemplare”. Un esempio di spietatezza e crudeltà, che oggi, non in quel mondo, possiamo condannare con facilità.

Bando di TikTok dagli USA, chi decide?

Qualche giorno fa ho scritto un articolo in cui parlavo dei rumors relativi alla possibile vendita dei servizi USA di TikTok ad Elon Musk da parte di ByteDance, come ancora di salvataggio per rimanere attiva sul mercato USA, e oggi torniamo sul possibile bando di Tik Tok dagli USA, bando che è sempre più vicino a meno che ByteDance non venda ad una società con sede in USA.

Il 19 gennaio infatti, l’ultimo giorno di presidenza Biden, potrebbe anche essere l’ultimo giorno in cui si potrà accedere a TikTok dagli USA , senza una VPN, questo perché la corte suprema, il 17 gennaio 20925 ha confermato la validità della legge, varata nell’aprile 2024, con cui si impone a Bytedance la vendita di TikTok, pena il bando dagli USA.

Questa legge, che nasce nel timore che il governo cinese possa sfruttare TikTok per spiare i cittadini USA è stata contestata da Bytedance, la holding cinese proprietaria di TikTok, secondo la Holding, questa legge violerebbe il primo emendamento, con cui si sancisce la libertà di parola, di stampa, di religione, ecc, e in quanto piattaforma mediatica, TikTok secondo Bytedance godrebbe della libertà di parola e di stampa, e sostiene che, il governo statunitense, voglia limitare questa libertà, impedendo di utilizzare una piattaforma “libera” e non sotto il controllo degli USA.

La corte suprema tuttavia ha respinto il ricorso di Bytedance, sostenendo la legittimità e la costituzionalità della legge, poiché questa non vuole limitare la libertà di espressione, ma evitare il possibile utilizzo dei dati dei cittadini USA da parte di un governo straniero. La legge in soldoni, si fonda sulla necessità di garantire e tutelare la sicurezza nazionale, che, grazie all’articolo II sezione 2, in cui sono elencati i poteri e le responsabilità del presidente, si conferisce al presidente USA il ruolo di comandante in capo delle forze armate, nonché il potere di gestire crisi che minacciano la sicurezza nazionale. Inoltre, il presidente può adottare misure urgenti per proteggere il paese e i suoi cittadini. L’articolo I della sezione 8 invece consente al congresso di approvare leggi necessarie per la difesa nazionale e il potere di regolare il commercio con nazioni straniere.

Ed è proprio in questi poteri del congresso che si fonda il RESTRICT Act del 2023, ancora in discussione al congresso e non completamene approvato, si tratta di una legge finalizzata a regolamentare e mitigare eventuali rischi derivanti dalla tecnologia e da piattaforme digitali, una legge che, senza girarci troppo attorno, è stata costruita ad hoc, per mettere un freno a Tik Tok e altre piattaforme digitali non statunitensi, e che ha portato all’ordine esecutivo e la sentenza che dal 20 gennaio 2025 mettono al bando, proprio TikTok, se questi non venderà i servizi USA ad una società statunitense.

Il presidente eletto Donald Trump tuttavia, non sembra essere d’accordo al bando, è molto legato alla piattaforma e alla propria cerimonia di insediamento che avrà luogo il 20 gennaio 2025 e alla quale è stato invitato anche Shou Zi Chew, il CEO di TikTok.

Con la sentenza del 17 gennaio 2025 la corte suprema ha ribadito il bando, a partire dal 20 gennaio, per Tik tok se questi non venderà i propri servizi USA ad una società statunitense e a questa sentenza, ha fatto immediatamente eco una dichiarazione dello stesso Trump, che sostiene il congresso gli ha dato il potere di decisione, e quindi sarò lui a decidere sul bando di tik tok, lasciando quindi intendere che cercherà di evitarlo, ma cosa può effettivamente fare? Vediamo cosa dice il RESTRICT Act.

Cosa dice il Restrict Act?

Il RESTRICT Act ha come obbiettivo quello di identificare, valutare e mitigare rischi legati alla tecnologia straniera su suolo USA, questi rischi includono la compromissione di dati personali e sensibili dei cittadini USA, l’utilizzo dei suddetti dati al fine di manipolare l’informazione o per fini di spionaggio e analisi, e, più di tutti, creare vulnerabilità nelle infrastrutture.

Prendiamo ad esempio Tik Tok, che, se installato su un dispositivo, può fornire dati sulla posizione, o raccogliere dati personali dell’utente, esattamente come fanno Google, Apple, Meta, X, Microsoft, Amazon, ecc, ma a differenza di queste big tech statunitensi, essendo controllata da una società vicina ad un governo straniero, può rappresentare un rischio alla sicurezza nazionale. Motivo per cui, molti dei servizi delle big tech sopracitate sono bandite dalla Cina, e al contrario, molti fornitori di tecnologia cinesi sono banditi dagli USA.

Tornando al RESTRICT Act, questi punta a sorvegliare le tecnologie straniere conferendo al Segretario al Commercio, il potere di esaminare e intervenire su Applicazioni, Software, Hardware, ecc. Dal 20 gennaio, il segretario al commercio USA sarà Howard Lutnick, a capo dei Cantor Fitzgerald e grande sostenitore dei dazi alla Cina, che potrebbero arrivare al 60%, e all’Europa. Il RESTRICT Act stabilisce inoltre che il segretario al commercio debba collaborare con il dipartimento di sicurezza nazionale e l’ufficio del direttore della National Intelligence, per valutare eventuali minacce.

Possibile revoca del bando?

Allo stato attuale, TikTok è stata considerata una possibile minaccia per la sicurezza nazionale dal governo federale guidato da Joe Biden, e il futuro presidente Trump, una volta in carica, potrà procedere su diverse strade per annullare l’ordine esecutivo di Biden.

Più precisamente, in quanto presidente in carica, Trump potrà emettere un nuovo ordine esecutivo e annullare o modificare il precedente. Questa procedura può tuttavia portare a dei controlli da parte delle autorità federali.

Vi è però una seconda strada, più lenta, meno diretta, ma più sicura per il presidente, che passa per il CFIUS, il Comitato sugli Investimenti Esteri negli Stati Uniti. Il presidente può autorizzare un riesame di una data tecnologia al CFIUS per una nuova valutazione, e la nuova valutazione potrebbe confermare o ribaltare il precedente status di minaccia alla sicurezza nazionale.

In entrambi i casi comunque, la revoca dello status di minaccia deve basarsi su una documentazione chiara e dati che attestino tale circostanza, in caso contrario, sia il congresso che la corte suprema, possono bloccare la revoca, mantenendo il bando.

TikTok verrà bandita dagli USA?

In questo momento, al 17 gennaio 2025, la corte suprema si è espressa a favore del bando di Tik Tok dagli USA, mentre il presidente eletto Trump sembra essere intenzionato a revocare tale bando, ed è molto probabile che, uno sei suoi primi ordini esecutivi andrà proprio in quella direzione, tuttavia, come osservato poco sopra, l’ultima parola non spetta al presidente. Spetterebbe al Presidente se si dovesse decidere di bandire tik tok, ma, visto che il bando è già stato autorizzato e bisogna autorizzare la revoca del bando, il presidente potrebbe avere le mani legate, anche in vista della sua posizione conflittuale nei confronti della corte suprema. Di fatto, il congresso ha dato al presidente il potere per bandire, TikTok, ma non il potere di riammetterlo. Potrà farlo, quasi certamente lo farà, ma non nei primi giorni di mandato e non con un ordine esecutivo.

Pozzuoli dice addio alla storica tratta della ferrovia Cumana

Sono passati più di 13 anni dall’ultima volta che mi sono interessato a ciò che accadeva alla Linea cumana, dell’EAV in Campania, una linea ferroviaria locale che mi ha accompagnato per tutti gli anni delle scuole superiori e i primi anni di università, in particolare l’anno trascorso ad ingegneria informatica alla Federico II ed il triennio in Storia, sempre alla Federico II, poi mi sono trasferito, e ammetto ,con un certo sollievo dovuto al fatto che non avrei più preso la cumana… poi le cose sono cambiate ed ora la linea Cumana fa di nuovo parte della mia vita, e il 2025 si è aperto con un interruzione della linea a tempo indeterminato, seguita da alcune informazioni “divergenti” mettiamola così.

Da qualche giorno, alcuni giornali e blog dell’area flegrea (periferia di Napoli) stanno rilanciando la notizia per cui, EAV starebbe per dire addio ad una tratta storica della linea Cumana, interrompendo in maniera definitiva, la tratta Gerolomini-Pozzuoli, a causa del rinvenimento nell’area sottostante la linea ferroviaria, di antiche fogne di epoca romana, che minerebbero la sicurezza della linea ferroviaria e sarebbe alla base del recente cedimento che dal 1 gennaio ha portato all’interruzione della linea, sostituita temporaneamente con navetta.

Tutto parte da un post di Ferrovie.it, rilanciato da Pozzuolinews24, in cui vengono rilanciati alcuni “rumors” sulla futura gestione della linea cumana, in particolare della tratta Pozzuoli-Gerolomini che potrebbe non essere mai più riattivata, non come la conosciamo al momento, ma vedrebbe l’attivazione di una galleria che copre il tratto Gerolomini-Cantieri e in un prossimo futuro vedrebbe l’attivazione della nuova stazione di Pozzuoli, che, come ci insegna la storica “Stazione di Baia” i cui lavori sono iniziati in vista dei mondiali Italia 90 e non è ancora stata aperta, l’apertura della nuova stazione di Pozzuoli potrebbe avvenire in un arco temporale che va da qui ai prossimi 35 anni.

Ironia a parte, facciamo un po’ di fact checking su questa news locale, anche perché, per come è stata descritta la nuova linea, una galleria che va da Gerolomini a Cantieri, passerebbe “sotto” la solfatara”, e non è proprio la scelta ideale, ma andiamo con ordine.

Per quanto riguarda EAV, le ultime informazioni ufficiali note, ovvero comunicati stampa pubblicati da EAV sul proprio sito web, risalgono al 3 gennaio, giorno in cui è stato rilasciato il Comunicato “EAV – Interruzione linea Cumana – Servizi sostitutivi” con cui si comunicava l’impossibilità di riaprire in tempi brevi la circolazione ferroviaria presso la stazione di Pozzuoli, e la conseguente attivazione di linee sostitutive su gomma, i cui percorsi ed orari sono stati pubblicati e aggiornati, l’ultimo aggiornamento dei servizi automobilistici sostitutivi, nella tratta Bagnoli-Arcofelice, che comprende quindi la tratta danneggiata Gerolomini-Pozzuoli, risale al 14 gennaio 2025.

In data 9 Gennaio 2025 si è tenuta, come riporta Fanpage, un incontro tra i vertici di EAV ed i sindaci di Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida, ovvero i comuni interessati dai disagi dovuti all’interruzione della linea cumana presso la stazione di Pozzuoli. Durante l’incontro è stata evidenziata la necessità di riattivare la linea nella sua interezza (da Montesanto a Torregaveta) entro la fine di Gennaio, ed è stata avanzata la possibilità di una riattivazione della linea con alcune limitazioni, ovvero la sospensione delle attività presso la stazione di Pozzuoli (in altri termini, la linea ripartiva ma avrebbe fermato a Pozzuoli), a causa di una serie di problematiche tecniche e di sicurezza che de facto rendono inagibile la stazione ed i binari tra le stazioni di Cappuccini e Cantieri.

Stando alle prime rilevazioni e ipotesi comunicate da EAV, la voragine che ha interessato la stazione di Pozzuoli, profonda 4,5 metri e larga 4, potrebbe essere stata causata dai numerosi terremoti che negli ultimi anni hanno interessato i campi flegrei nella loro interezza, e, indagini tecniche più approfondite hanno ricondotto tale voragine alla presenza di una cavità sotterranea, presumibilmente parte di un’antica rete fognaria inutilizzata, la cui presenza rende impossibile l’utilizzo di Ponti Essen e altre soluzioni temporanee per il ripristino, in tempi brevi, della stazione di Pozzuoli. Inoltre i rilevamenti hanno evidenziato anche diversi cedimenti strutturali presso gli edifici della stazione cumana di Pozzuoli che, al momento risulta inagibile.

Vista l’impossibilità di riaprire la Stazione di Pozzuoli e ripristinare il servizio in sicurezza, sembra che EAV abbia chiesto l’autorizzazione all’ANSFISA per accelerare la procedura che dovrebbe permettere l’attivazione di una nuova galleria di Monte Olibano, comprensiva della nuova stazione di Pozzuoli.

Qui le informazioni rilanciate dai vari giornali locali si fanno confuse e divergenti, poiché alcuni parlano come anticipato di una galleria che andrebbe da Gerolomini a Cantieri, ma di questa galleria, non esiste traccia, tuttavia alcuni giornali locali parlano di lavori a buon punto indicando come fonte un comunicato stampa di EAV datato 18 Marzo 2024.

Anche di questo comunicato non sembra esserci traccia nell’archivio comunicati stampa del portale eavsrl.it, il sito web di EAV ed i comunicati più vicini a tale data sono il comunicato datato 21 febbraio 2024 “ Comunicato EAV – Sasso contro autobus di EAV” che ha interessato il comune di Bacoli, ed il comunicato datato 6 aprile 2024 “Comunicato EAV – Lavori di ammodernamento della linea Cumana – modifica della tratta interrotta – da Lunedì 8 interruzione soltanto tra Bagnoli e Torregaveta”. Nessun comunicato ufficiale, di EAV sul proprio sito, riporta invece la data 18 marzo 2024, in cui si parla di questa galleria sostitutiva.

Le informazioni sullo stato di avanzamento di questi lavori tuttavia scarseggiano, sappiamo che manca l’autorizzazione da parte di ANSFISA, ma non sappiamo se si tratta dell’autorizzazione all’attivazione o all’inizio dei lavori, si presuppone tuttavia che si tratti di autorizzazione all’attivazione poiché in data 2 aprile 2024, il sindaco di Pozzuoli, Gigi Manzoni, rendeva noto che, i lavori per il nuovo tracciato della Cumana ed i lavori per la nuova stazione di Pozzuoli in Via Fasano, al ridosso del porto e degli ex cantieri, erano alle fasi finali.

Dichiarazione ottimistica, visto che in quasi un anno, non si è ancora giunti ad un autorizzazione per la quale ora si chiede un accelerazione della procedura dio attivazione. Ma ammetto che in questo c’è poca sorpresa, EAV e la linea cumana, che ricordiamo, nel 1989, annunciavano, 35 anni fa, annunciavano l’imminente apertura della nuova stazione di Baia per i mondiali Italia 90, stazione terminata più volte e che non è stata ancora aperta, e forse non lo sarà mai.

Ma comunque, ironia a parte, ci auguriamo comunque che in questo caso, i tempi siano più stretti e che l’ANSFISA fornisca al più presto le autorizzazioni per l’attivazione del nuovo tracciato e della stazione, poiché questo permetterebbe ai comuni di Bacoli e Monte di Procida, di rimanere collegati “al resto del mondo”.

Entrambi i comuni, la cui natura è prevalentemente residenziale e turistica, vivono la mobilitazione quotidiana di migliaia di lavoratori diretti verso Napoli ed Oltre, una quantità di pendolari che i pochi autobus attualmente attivi nei due comuni, non sono in grado di smaltire, rendendo necessario lo spostamento con mezzi propri, causando quindi ingorghi, traffico, rallentamenti e ritardi.

Cina valuta cessione di TikTok USA ad Elon Musk

Secondo voci non ufficializzate, la Cina, più precisamente ByteDance, la holding partecipata dal governo cinese e proprietaria di Tik Tok starebbe valutando un accordo per la cessione dei servizi di Tik Tok in USA ad Elon Musk, già proprietario del social X (ex Twitter). A tale proposito, sembrerebbe che dalla Cina siano arrivate delle smentite, su tale accordo, ma anche questa smentita non è propriamente ufficiale in quanto non parte da ByteDance. In altri termini al momento si sta parlando di una vendita che non è stata ne confermata ne smentita dai diretti interessati.

Secondo voci non ufficializzate, la Cina, più precisamente ByteDance, la holding partecipata dal governo cinese e proprietaria di Tik Tok starebbe valutando un accordo per la cessione dei servizi di Tik Tok in USA ad Elon Musk, già proprietario del social X (ex Twitter). A tale proposito, sembrerebbe che dalla Cina siano arrivate delle smentite, su tale accordo, ma anche questa smentita non è propriamente ufficiale in quanto non parte da ByteDance. In altri termini al momento si sta parlando di una vendita che non è stata ne confermata ne smentita dai diretti interessati.

Cerchiamo allora di capire cosa c’è dietro e se potrebbe avere un senso un accordo di tale natura, ossia il trasferimento dei servizi in USA di Tik Tok ad una società USA di proprietà di un uomo estremamente vicino al presidente Trump, al punto da essere definito da molto un “presidente ombra” o se si tratta di una bufala volta ad alimentare le preoccupazioni di chi vede in Musk un monopolista e spietato capitalista, con tratti sempre più vicini a quelli delle grandi corporazioni dei romanzi distopici.

Tik Tok e il possibile bando dagli USA

Il popolare social cinese, che ha rivoluzionato il modo di fare video e di comunicare, già da qualche anno si trova in una posizione controversa, e molti governi hanno bandito la piattaforma dai rispettivi paesi poiché fortemente compromessa con il governo cinese, sollevando dubbi sulla sicurezza e l’utilizzo dei dati che vengono raccolti dalla piattaforma, perché si sa, se i dati vengono raccolti e analizzati dai cinesi è un pericolo, se a farlo è una società statunitense, in quel caso non c’è nessun pericolo.

Il bando di Tik Tok dal mercato cinese, è sul tavolo dal2’agosto 2020, quando, l’allora presidente uscente Donald Trump, emise un ordine esecutivo con cui richiedeva la vendita delle operazioni statunitensi di Tik Tok e WeChat, rispettivamente popolare piattaforma di video sharing e di messaggistica, di proprietà di colossi cinesi. Se TikTok è di proprietà di ByteDance, WeChat è invece di proprietà di Tencent, holding cinese quotata in borsa ad Hong Kong, con un valore di circa 449 Milioni di dollari USA.

Secondo l’allora presidente uscente, c’era il timore che tali piattaforme potessero condividere dati degli utenti USA con il governo Cinese, rappresentando pertanto una pericolosa minaccia alla sicurezza nazionale. L’ordine esecutivo di Trump è stato possibile sulla base dell’International Emergency Economic Powers Act, tuttavia, la successiva elezione di Joe Biden alla presidenza, ha portato ad un rallentamento della vicenda, di fatto nel giugno 2021, l’allora presidente eletto Biden, ha revocato l’ordine esecutivo del suo predecessore, affidando allo stesso tempo, la verifica dei rischi legati a suddette applicazioni al Dipartimento per il commercio.

Dal 2021 al 2024 il bando di Tik Tok è stato sospeso e nel frattempo la posizione di Trump sulla piattaforma cinese è fortemente cambiata, dopo il Ban da Facebook e il Ban da Twitter, salvo poi reintegrazione dopo l’acquisizione di Twitter da parte di Musk, l’allora ex presidente Donald Trump, è diventato un assiduo e regolare utilizzatore della piattaforma cinese, emulato in questa linea dalle destre di tutto il mondo che ci hanno deliziato con la magia degli italici Berlusconi e Salvini in live su Tik Tok.

Tik Tok si è rivelata, soprattutto negli anni della pandemia, una straordinaria piattaforma di comunicazione, nonché terreno fertile per la proliferazione di fake news e deep fake.

RESTRICT Act

Se il bando politico di Tik Tok dagli USA, nel 2021 sembra essere sfumato, o comunque ridimensionato, nel 2023 la piattaforma di Video Sharing ha iniziato una nuova trafila, questa volta giudiziaria, legata al RESTRICT Act (Restricting the Emergence of Security Threats that Risk Information and Communications Technology), una legge che conferiva al governo federale degli USA ampi poteri in termini di limitazione e bando di tecnologie straniere dagli USA, se queste rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale.

Tale legge si applica anche a piattaforme social, come X, Meta e ovviamente TikTok, e se le prime due sono statunitensi, la terza era ed ancora oggi di proprietà di una multinazionale Cinese, e per molti è stata costruita ad hoc per permettere al governo di intervenire e limitare la crescente popolarità di TikTok in USA.

Per quanto riguarda la sicurezza nazionale, molti governatori USA hanno vietato, nei propri stati, l’utilizzo di TikTok, e altre applicazioni social e di messaggistica, come ad esempio Telegram, dai dispositivi governativi, ovvero tablet, pc e smartphone di funzionari pubblici. Quindi si, in quanto ex presidente, ed ora presidente eletto, in alcuni stati, Trump non potrebbe usare Tik Tok, poiché il suo utilizzo rappresenterebbe una possibile minaccia alla sicurezza nazionale. Tik Tok infatti si teme possa registrare e condividere una serie di informazioni aggiuntive, dette metadata, come ad esempio le informazioni sulla posizione, che potrebbero rendere nota la posizione del presidente. Non proprio il massimo della sicurezza se il presidente è per qualsiasi ragione, per ragioni di sicurezza, in una località segreta.

La reazione di Tik Tok

Fin dal 2022 ByteDance, ha cercato di dissipare le preoccupazioni del governo statunitense, e non solo, sulla sicurezza di Tik Tok, annunciando prima il Project Texas, un progetto che trasferiva i dati degli utenti statunitensi negli stati uniti, in server gestiti da Oracle, società statunitense fondata nel 1977 e quotata in borsa al NYSE con sede a Santa Clara. Ha avviato un centro di trasparenza che permette ai funzionari USA di esaminare ogni operazione di TikTok in USA.

Insomma, ByteDance affidava, con il progetto Texas ed il centro trasparenza, i dati sensibili ad una società USA, dava al governo USA libero accesso a quei dati e le operazioni di TikTok, precludendosi l’accesso a quegli stessi dati. Ma questo agli USA non sembra bastare e al congresso si è continuato a discutere di un possibile bando di TikTok dal mercato USA.

Interesse nazionale o sicurezza?

Sulla base dei dati e le informazioni note, viene quindi da chiedersi se tale dibattito abbia una rilevanza in termini di sicurezza nazionale o di interesse nazionale, possono sembrare concetti analoghi, ma sono profondamente diversi, se infatti, come è “dimostrato” dall’analisi dei dati e delle operazioni di Tik Tok, non sembra esserci un rischio reale di trasferimento dei dati sensibili al governo cinese, vi è invece un serio rischio di manipolazione, inquinamento e alterazione dell’informazione, che può indirizzare l’opinione pubblica su strade estremamente pericolose.

A tale proposito, TikTok è uno dei social mediaticamente più potenti in circolazione, con poche limitazioni in merito a tematiche delicate, ed è già ampiamente avviato su una strada che, da qualche anno è stata percorsa da X e si appresta ad essere percorrere anche Meta, che di recente ha annunciato lo stop al fact-checking e alle policy di inclusività, garantendo maggiore “libertà” anche a contenuti controversi, di natura politica e sociale.

Tornando ai dati, essi hanno un valore immenso e se risultano estremamente pericolosi se gestiti da una società cinese, una società di uno stato con cui gli usa sono in pino conflitto commerciale, diventano estremamente preziosi se gestiti dagli stessi USA, soprattutto se vicina al governo.

Vi è quindi una forte attenzione per la piattaforma estremamente rilevante in termini di interesse nazionale, e allo stesso tempo si può osservare come, a parità di attività, la piattaforma cinese sia maggiormente controllata e tenuta di analoghe statunitensi. Differenza di trattamento che potrebbe essere alla base dell’ipotesi di trasferire ad una società statunitense i servizi USA, e, tra le tante, quale società migliore della media company dell’uomo più potente e influente d’America?

Il paradosso di Trump

Va riconosciuto a Trump il merito, se così lo si può definire, di aver compreso per primo, il potenziale politico dei dati in possesso delle media company, e di essere stato tra i primi, nel 2020 a causa anche della trasformazione dei contenuti avvenuti durante la prima fase della pandemia, a vedere in TikTok una possibile minaccia, e, terminato il mandato presidenziale, una straordinaria risorsa.

Oggi Trump gode di un enorme seguito su TikTok, e molti analisti ritengono che è stato proprio tale seguito a permettere all’ex presidente di tornare alla casa bianca con le elezioni di novembre 2024, grazie a Tik Tok, Trump mantiene un contatto continuo e costante con il proprio elettorato, in particolare le frange più radicali che nel tempo sono state o si sono allontanate da altri social.

Per Trump quindi è di vitale importanza mantenere TikTok negli USA, ma il processo avviato nell’agosto del 2020 con il suo stesso ordine esecutivo, anche se rallentato, non si è fermato, ed ora il presidente si ritrova, ad inizio mandato, nella condizione di dover trovare una soluzione ad un problema creato da lui stesso alla fine del suo precedente mandato.

L’ipotesi Musk

L’insieme di questi fattori ed elementi, potrebbe essere alla base dell’ipotesi di una cessione dei servizi USA di TikTok ad Elon Musk, come anticipato, il patron di X e Tesla è estremamente vicino al presidente, qualcuno direbbe troppo vicino al presidente, inoltre avrà un ruolo chiave nel prossimo governo Trump, ed è proprio quella vicinanza una possibile scappatoia per TikTok di evitare il bando dagli USA.

Tale soluzione tornerebbe sicuramente vantaggiosa per Bytedance, che comunque dalle operazioni negli USA ha un notevole guadagno, su scala globale, secondo i dati annuali pubblicati da Bytredance, Tik Tok nel 2023 ha registrato ricavi superiori ai 120 miliardi di dollari, in crescita dispetto agli 80 miliardi del 2022 e secondo le proiezioni, nel 2024 potrebbero essere superiori ai 200 miliardi. Gli analisti concordano nell’osservare che tale crescita è legata soprattutto alla sempre maggiore presenza della piattaforma in occidente, in USA ed Europa.

L’accordo sarebbe vantaggioso anche per Musk, il cui social X nonostante la forte riduzione dei costi, continua ad avere profonde difficoltà economiche, principalmente per la fuga di numerosi investitori a seguito dell’acquisizione di twitter da parte proprio di Musk e una partnership tra X e Tik Tok, potrebbe riportare ad X parte degli investitori e colmare il divario tra X e il gruppo Meta.

Inoltre sarebbe vantaggiosa per Trump, che non perderebbe il suo principale strumento di comunicazione con gli elettori, e no, il suo social “truthsocial” non fa testo, l’utenza di Truth, oltre ad essere “poca” è anche poco attiva, inoltre è formata per lo più da sostenitori di Trump, è quindi sicuramente utile per mantenere i contatti con la propria base, ma totalmente inutile se si parla di espandere il consenso. Cosa che invece con TikTok è molto più semplice.

I vantaggi però non finiscono qui, oltre alla possibilità di evitare il bando dal mercato USA per TikTok, Bytedance potrebbe sfruttare la partnership con Musk per un ulteriore slancio in caso di quotazione in borsa. La holding cinese al momento non è quotata anche se nel 2022 prima sembrava essere pronta al debutto sul mercato.

I problemi di Musk pigliatutto

La possibile cessione dei servizi USA di TikTok ad Elon Musk se da un lato presenta numerosi vantaggi per tutti gli attori coinvolti, in realtà presenta anche diverse problematiche. E nessuna di queste riguarda il ruolo da monopolista di Musk, a tale riguardo l’acquisizione di Instagram e l’avvio di Threads da parte di Meta, rappresentano un significativo precedente. Musk potrebbe acquisire “TikTok USA” senza aver alcun problema con l’antitrust, tuttavia, come osservano i critici e detrattori del miliardario, sempre più simile ad un “Charles Foster Kane” dei nostri tempi, si ritroverebbe nella posizione di poter influenzare ancora di più l’opinione pubblica, almeno negli USA.

Ed è questo il problema forse più grande di un possibile accordo tra Musk e Bytedance, ma non solo. Se l’accordo dovesse rivelarsi reale e Bytedance riuscisse con questo accordo ad evitare il bando di TikTok dagli USA, ci verrebbe rivelata una grande e terribile verità, ossia il presidente Trump è irrilevante, se si vogliono fare affari negli e con gli USA bisogna negoziare con Musk, e negoziare per Musk ha un significato particolare, poiché in un negoziato ognuna delle due parti cede qualcosa finché non si giunge ad un punto d’accordo, un compromesso, ma Musk non è tipo da compromesso, la sua carriera e la sua storia sono segnati da soluzioni radicali, tutto o niente. C’è allora da chiedersi quanto è esteso questo tutto.

Tutta fuffa o …

Per quanto riguarda la possibile cessione o acquisizione, che dir si voglia, dei servizi USA di TikTok, ad Elon Musk, al momento c’è un fitto velo di incertezza, con dichiarazioni vaghe, informazioni non ufficiali e smentite più o meno ufficiali.

In un intervento rilasciato da TikTok a Bbc News, la società ha dichiarato di “non poter commentare pura fantasia”. Una smentita quindi, che però, purtroppo, vale poco o nulla, visto che eventuali negoziati relativi al futuro di TikTok in USA, in realtà, non riguardano TikTok, ma ByteDance.

Come è stato anche per il Project Texas infatti, la decisione di delocalizzare i dati degli utenti USA nei server Oracle, non è stata presa da Tik Tok, ma dalla holding che la controlla al 100%, ovvero ByteDance, che sulla vicenda dei servizi USA di TikTok, non si è ancora espressa, e probabilmente non lo farà.

Sorprende anche il grande silenzio di Musk, che solitamente non lascia trascorrere troppo tempo prima di dire la sua, soprattutto su un qualcosa che lo riguarda in prima persona. Guardiamo ad esempio all’ipotesi di accordo tra Starlink e il governo italiano, a poche ore dalla circolazione delle prime indiscrezioni sono intervenuti tutti gli attori coinvolti, in questo caso invece, Musk tace. Che questo silenzio sia indicativo di un accordo effettivamente in lavorazione? O forse il miliardario sta finalmente recuperando qualche ora di sonno? Per il momento è difficile a dirlo.

Trump e Musk rivogliono il canale di Panama

Trump e Musk rivogliono il canale di Panama, perché controllarlo rappresenta un vantaggio strategico non indifferente, ma non possono dirlo apertamente, così, hanno puntato sull’ignoranza e la stupidità.

Secondo il futuro presidente, il canale costa ai contribuenti statunitensi migliaia di dollari l’anno, inoltre visto che è stato costruito dagli USA, negli anni 80 del XIX secolo, e la sua costruzione ha avuto un costo non solo economico ma anche in vite umane, gli USA devono riprenderselo.

Partiamo dal costo per i contribuenti, che non vuol dire nulla, poiché è vero che le tariffe di transito per il canale di panama incidono sul costo dei noli delle navi in transito nel canale e quindi incidono (per meno dell’1%) sul prezzo del prodotto che provengono dall’asia o che usano componenti provenienti dall’asia, tale incidenza tuttavia, se quelle navi passassero per lo stretto di magellano, è vero che non pagherebbero tariffe, ma consumerebbero molto più carburante rispetto a quello consumato nel passaggio per il canale, il cui impatto sui noli sarebbe nettamente superiore a quello delle tariffe di transito. 

Un esempio concreto ci arriva da Suez, dove, la crisi dello Yemen, ha spinto molte compagnie a scegliere di passare da Suez a Cape Town, con un incremento dei noli, dovuto a tratta più lunga, maggiori costi di equipaggio e carburante, che in alcuni casi ha superato il 200%.

Suez  riduce la navigazione molto meno rispetto a Panama, significa che passare per “magellano” costerebbe certamente più del 200% in più rispetto a Panama nonostante le tariffe “alte”.

PEr quanto riguarda la costruzione del canale, questi è stato costruito prevalentemente da operai europei, italiani e polacchi, con capitali inglesi, francesi e statunitensi. Nel 1901 gli USA ottengono la concessione, dalla Colombia, per la costruzione e gestione del canale per 100 anni, lavori iniziati nel 1907 e conclusi nel 1914, quindi la concessione Colombiana sarebbe in teoria terminata nel 2014, nel mentre però un po’ di cose sono cambiate. Nel 1903 il governo Colombiano decide di non ratificare la concessione, di risposta ci fu un colpo di stato, organizzato e finanziato dagli USA che avrebbe portato alla scissione di Panama dalla Colombia, Panama ottiene la protezione degli USA e gli USA l’affitto perpetuo della zona del canale, e l’autorizzazione alla costruzione, così, nel 1907 iniziano effettivamente i lavori di costruzione del canale.

Nel 1971 il presidente USA Jimmy Carter rinegozia con Panama le condizioni di accesso all’area del canale, viene costruita una nuova tratta e il canale viene “nazionalizzato” ma lasciato in gestione agli USA fino al 1999. Nel 1999 Panama riacquisisce la piena sovranità e autorità nella gestione del canale.

Trump ora fa un “passo indietro” sostenendo che gli USA dovrebbero avere un trattamento privilegiato (cosa che già hanno, le navi con bandiera USA godono di una riduzione delle tariffe rispetto a navi battenti altre bandiere) e che intende riprenderselo perché, secondo le stime del DOGE guidato da Elon Musk, il transito per il canale di Panama costa ai cittadini USA 15,7 miliardi l’anno, per via dei pedaggi che le navi USA pagano per transitare nel canale di Panama. Come già detto questa stima, non tiene conto dei costi enormemente superiori che si avrebbero se quelle stesse navi transitassero da Magellano.

Secondo il futuro presidente, gli USA che hanno costruito il canale, e che hanno guadagnato dalla sua gestione per circa 75 anni, devono essere ulteriormente risarciti per lo sforzo sostenuto, prima della prima guerra mondiale, e se Panama non risarcirà gli USA, gli USA si riprenderanno il controllo del canale, perché solo Panama può gestirlo. Secondo il presidente eletto, Panama favorisce la Cina, le cui navi pagano tariffe più alte rispetto a quelle USA, dettaglio mi rendo conto irrilevante nella visione di Trump e Musk.

Si tratta ovviamente di argomentazioni pretestuose, e mal congeniate, non per giustificare l’invasione di Panama o un nuovo colpo di stato nella regione, come qualcuno potrebbe ipotizzare, ma per, a mio avviso, fare pressione sul governo panamense, per far sì che questi innalzi ulteriormente le tariffe per le navi battenti bandiera cinese, o ne limiti il transito, avvantaggiando gli USA, e soprattutto, per causare un terremoto finanziario come successo qualche mese fa, quando lo stesso Trump ha dichiarato che Taiwan avrebbe dovuto pagare la protezione degli USA, dichiarazione che ha causato un crollo delle azioni di numerose aziende, a tutto vantaggio dell’uomo che qualche mese più tardi sarebbe diventato l’uomo più ricco di sempre.

Qui si apre una questione importante. Elon Musk come sappiamo coprirà un ruolo chiave nel prossimo governo Trump, una posizione che gli darà accesso ad informazioni e dati di altissimo valore, che costituiscono un innegabile vantaggio strategico in termini finanziari, ma, senza alcuna limitazione. Se Trump e i membri del suo staff, in quanto rappresentanti pubblici devono allontanarsi dalla gestione delle proprie imprese e attività finanziarie, Musk può continuare ad investire liberamente in aziende che il dipartimento federale, non governativo, che guiderà, potrebbe avvantaggiare.

Insomma, c’è il rischio concreto, che Musk possa adoperare il proprio potere e la propria influenza su Trump, per i propri interessi personali, senza alcuna limitazione, e a danno dei cittadini statunitensi, e non solo.

La presa di posizione di Trump su Panama, le cui argomentazioni di base appaiono ridicole e pretestuose, possono scatenare un autentico terremoto finanziario e bruciare miliardi di dollari, di piccoli risparmiatori, a tutto vantaggio dell’uomo più ricco del mondo.

Intervista all’autore di Storie Insolite della seconda guerra mondiale

storie insolite della seconda guerra mondiale, intervista a Domenico Vecchioni

Cari lettori e care lettrici, buonasera, a gran sorpresa, vi propongo una nuova intervista a Domenico Vecchioni, diplomatico e divulgatore, già autore di numerosi saggi storici, in occasione della pubblicazione del suo nuovo libro, “Storie insolite della seconda guerra mondiale” edito da Rusconi Libri.

Ho già avuto modo di intervistare Domenico Vecchioni circa un anno fa, in occasione della pubblicazione del saggio Mercenari, edito da Diarkos, del quale ho realizzato anche una guida alla lettura che trovate qui, ragion per cui non spenderò troppe parole in presentazioni, limitandomi a ripercorrere brevemente la sua carriera professionale, sia di diplomatico che di divulgatore.

Chi è Domenico Vecchioni ?

Come già anticipato, Domenico Vecchioni è un diplomatico e divulgatore italiano, autore di oltre 40 saggi storici e, secondo l’ambasciatore Stefano Baldi, “uno dei diplomatici più prolifici in ambito letterario“, secondo una classifica redatta dallo stesso Baldi infatti, Vecchioni si collocherebbe al secondo posto, secondo solo a Sergio Romano, che tra il 1985 e il 1989 fu ambasciatore italiano presso l’Unione Sovietica.

La carriera diplomatica di Vecchioni vede tra gli incarichi di maggior rilievo incarichi presso il consolato di Le Havre in Francia, l’ambasciata di Buenos Aires in argentina, e poi ancora diversi incarichi in Europa e presso la NATO.

La sua carriera da divulgatore è relativamente recente e, come osservato da Stefano Baldi, estremamente proficua, e conta la pubblicazione di oltre 40 saggi, con diversi editori e vede, come ultima fatica, la pubblicazione del saggio “Storie Insolite della seconda guerra mondiale”. Un saggio di microstoria, che affronta gli anni della seconda guerra mondiale attraverso uno sguardo su numerosi volti che furono, a vari livelli, protagonisti conflitto.

Microstoria della seconda guerra mondiale

Come anticipato, storie insolite della seconda guerra mondiale di Domenico Vecchioni è un saggio di Microstoria, ovvero una branca della storiografia molto fortunata nel panorama divulgativo, che parte dal quotidiano e dal particolare, per poi andare a delineare un contesto storico più ampio. Questa branca della storiografia moderna, nasce sul finire degli anni 50, il termine fu infatti coniato da George R. Stewart con la pubblicazione del saggio Pickett’s Charge: A Microhistory of the Final Attack on Gettysburg e vede tra i propri protagonisti, almeno nel panorama italiano contemporaneo il professor Alessandro Barbero.

Intervista a Domenico Vecchioni

Il testo che ci viene presentato, al di là della forma e dello stile, che ormai ho imparato a riconoscere e apprezzare, rispetto alle sue precedenti opere che ho avuto modo di consultare, si muove in una branca leggermente differente della storiografia, ma comunque interna alla storia sociale e culturale, si tratta di una branca a me “meno vicina”, per percorso di studi, ma comunque molto familiare, ovvero la Microstoria. Corrente che annovera tra i propri padri fondatori il nostro connazionale Carlo Ghinzburg, storico di rilevanza mondiale, che con tutta probabilità è ad oggi uno degli storici Italiani più autorevoli del 900, e che ho avuto il piacere di incontrare e intervistare qualche anno fa, ai margini di una conferenza tenuta presso la scuola Normale di Pisa. 

Per i nostri lettori, ed eventuali non addetti ai lavori, ad oggi la Microstoria rappresenta una delle metodologie di narrazione storiografica più apprezzate e funzionali, soprattutto in ambito divulgativo, dove è ampiamente utilizzata da maestri della divulgazione come Alessandro Barbero. La microstoria presenta una struttura che procede dal quotidiano e dal particolare e sfrutta l’aneddotica per catturare l’attenzione del lettore, al quale poi viene fornita una serie di informazioni sempre più approfondite e puntuali, volte a delineare un quadro sempre più complesso della società in un dato momento storico. E questo è esattamente ciò che ci viene proposto nel saggio “Storie Insolite della seconda guerra mondiale” edito da Rusconi Libri, e in retrospettiva, in realtà è un elemento molto presente anche in diverse altre sue opere. Le chiedo quindi.

In che modo e che dimensione la Microstoria ha influenzato ed influenza la sua produzione letteraria? 

In qualche modo la Microstoria, o meglio la divulgazione storica, è un po’ il leit-motiv di tutta la mia
produzione letteraria. Ho, in effetti, sempre avuto il gusto di “raccontare” la Storia, cioè – come
giustamente dice lei – partendo da un fatto particolare, da un evento minore, persino da un aneddoto,
risalire gradualmente alla “Grande Storia”, allo scopo di mantenere costante l’interesse del lettore. Il
piacere insomma di condividere le stesse sensazioni di stupore e curiosità che provo quando
m’imbatto in qualche evento speciale, o in situazioni storiche poco note o comunque tramandate
male. Questa è la vera divulgazione storica: nella cornice di presupposti storici accertati, descrivere
gli eventi come in un racconto letterario per viaggiare insieme al lettore, esserne insomma complice e
non infliggergli una lezione di Storia. Del resto i testi della grande divulgazione storica costituiscono
le mie letture preferite, insieme alle biografie, per le quali vale lo stesso ragionamento. Scrivo come
leggo, potrei dire…In questo mi ritrovo moltissimo in una battuta di Benjamin Disraeli, il famoso
primo ministro britannico, che era anche un autore molto prolifico e apprezzato. A chi gli chiedeva
ragione di tanto impegno nella scrittura, pur avendo sulle spalle pesanti responsabilità politiche, egli
rispondeva “quando ho voglia di leggere un libro, me ne scrivo uno!”. Nel mio caso appunto, lettore
e autore di divulgazione storica.

Rimanendo in tema di microstoria e riallacciandomi ad una domanda che le ho posto nella precedente intervista, legata al libro sui Mercenari, ovvero il suo legame con la storiografia francese, le pongo una domanda leggermente più tecnica (e in parte provocatoria).

La storiografia francese ha un forte legame con la scuola degli annales, nata dalla rivista “Annales d’histoire économique et sociale” fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre. Bloch è considerato uno degli storici più autorevoli e iconici del 900, oltre che uno dei più citati, la cui storia personale è fortemente legata alla seconda guerra mondiale, soprattutto per la sua tragica morte avvenuta per fucilazione il 16 giugno 1944 a seguito dell’arresto da parte della Gestapo dell’8 marzo 1944.

Il suo libro è un opera di microstoria che ci racconta la seconda guerra mondiale e in questo contesto, Bloch è il grande assente, di conseguenza, non posso che chiedere, il perché di questa assenza, si tratta di una scelta voluta o una mera casualità?

No, nessuna esclusione, ci mancherebbe. Mi sono semplicemente interessato a determinati episodi
che per vari motivi hanno attirato la mia attenzione, e soprattutto la mia curiosità. Il tutto abbastanza
causalmente Quindi anche la bibliografia è limitata ai testi che ho effettivamente letto e studiato. A
dire la verità, a me non piacciono troppo le bibliografie lunghe tre o quattro pagine. Oggi, nell’era
internet, sono diventate inutili. Nessuno le legge più. Si possono avere informazioni più precise e più
rapide consultando i siti giusti on line. E’ preferibile quindi limitarsi a citare i libri ai quali ci si è
ispirati e che potranno essere di riferimento per il lettore che vuole approfondire determinati aspetti
della storia raccontata. Devo dire che amazon, in questa prospettiva, fornisce un ausilio prezioso. Ti
indica istantaneamente quanti libri sono stati scritti (nelle diverse lingue) su uno stesso argomento,
dove sono reperibili, quante pagine, quanto costano ecc…Testi magari introvabili nelle librerie
perché non più in commercio. Per non parlare delle biblioteche che ti permettono la consultazione on
line.

La seconda guerra mondiale è stato un fenomeno storico estremamente complesso, che ha coinvolto una quantità infinita di luoghi e individui, e leggendo il suo libro si ha modo di affacciarsi a quegli anni attraverso una serie di spaccati di vita quotidiana, che vanno da grandi protagonisti della storia come il generale e futuro presidente Dwight Eisenhower, ai meno noti protagonisti dello spionaggio bellico e le loro operazioni segrete.

Fin dalle prime pagine appare evidente che, a monte dell’opera, sia stata effettuata una meticolosa selezione. Le pongo a tale proposito due domande interconnesse.

Quanto è stato difficile scegliere quali storie tenere, e quali storie lasciarsi alle spalle (o da parte per un secondo volume)? E ancora, se ci sono storie che per questioni di spazio e tempo ha dovuto, a malincuore, mettere da parte? Può eventualmente darci un assaggio di una di quelle storie che non troveremo in questo volume?

Di “storie insolite” della Seconda guerra mondiale da raccontare ce ne sono a centinaia. Ci
vorrebbero sicuramente più volumi. Del resto io ne ho già raccontate diverse in precedenti libri. Si
può facilmente immaginare come durante i lunghi 6 anni di durata, il Secondo conflitto mondiale
abbia generato eventi singolari, personaggi fuori del comune, forme di spionaggio fino ad allora
inedite, situazioni paradossali ecc. Non è quindi detto che non ci sarà un seguito a Storie insolite n
1… Alcune storie trattate in precedenti pubblicazioni? Le donne di Hitler, lo strano destino del
nipote inglese di Hitler, spionaggio al Salon Kitty, la “fuga delle beffe” del tenente Giovanni Corsini,
il Centro di torture di Londra , the London Cage ecc…

Scorrendo tra le varie storie che ci vengono servite, abbiamo modo di svelare un sentito legame tra quest’opera e le precedenti, mi riferisco al mondo dello spionaggio, tema estremamente affascinante, che nella seconda guerra mondiale e nei decenni successivi, avrebbe visto la sua massima espressione. In quest’opera ci vengono raccontate diverse storie di spionaggio, e posso notare, dalla bibliografia indicata, diversi testi non sempre semplici da reperire, almeno non in Italia, come “La guerre Secrète” di Anthony Cave Brown, Pymalion Editore, Parigi 1981, e “Historie de l’Espionnage mondial”. Tomi I e II, di Genovefa Etienne, edito da Kiron/Editions du Félin, Parigi 2000. Elemento quest’ultimo cha da al saggio un certo spessore, ed evidenzia la passione e l’impegno messi nella ricerca bibliografica. In effetti sulla bibliografia di quest’opera si potrebbe aprire un intera discussione e strutturare tante interviste quante sono le opere citate e questo mi porta in qualche modo verso la chiusura dell’intervista.

Una conclusione che potrebbe apparire troncata, poiché di domande per lei ne avrei ancora molte, forse troppe, ma se le ponessi tutte correremmo probabilmente il rischio di risultare tediosi per i nostri lettori, le pongo quindi, un’ultima domanda, forse la più personale.

C’è in questo libro una storia che, quando l’ha scoperta, qualcosa dentro di lei si è attivato e l’ha spinta a dire “devo raccontarla”, o, più semplicemente, quale tra le tante storie raccontate nella rassegna, l’ha colpita di più? Per quanto riguarda me, mi permetto di rispondere anche io alla stessa domanda, l’insolita storia di Roosvelt è quella che più mi ha affascinato, divertito, e stupito allo stesso tempo.

Quale storia preferita? Non saprei dire. Sono così diverse tra di loro, ma tutte egualmente
interessanti. Sono però rimasto colpito da una delle storie che ha a che vedere con la guerra solo
indirettamente: la tragedia Balvano (la più grande catastrofe ferroviaria della storia italiana, 600
morti)
. Mi sono, infatti, immaginato la scena che deve essere apparsa ai primi soccorritori nella
galleria maledetta: “i vagoni sono ancora illuminati. All’interno i passeggeri appaiono tranquilli.
Danno l’impressione di dormire. Ma di un sonno strano, insolito, un sonno senza respiro, un sonno
senza sogni, un sonno di morte. Sono, in effetti, tutti deceduti! La morte li ha colti all’improvviso e
nelle posizioni che occupavano per il viaggio e probabilmente non hanno avuto nemmeno il tempo di
capire cosa stesse succedendo.”
Questa scena, agghiacciante, l’ho visualizzata nella mia ente come
se fosse un film. E ho subito scelto di raccontare la storia della “galleria della morte”.

Con questa descrizione agghiacciante, che ci fornisce un assaggio di una delle storie insolite raccontate nel saggio, senza mediazione, ma con lo stile narrativo ed espressivo di Domenico Vecchioni, l’intervista può dirsi conclusa. Il saggio nel suo complesso offre al lettore uno spaccato della seconda guerra mondiale, da una prospettiva insolita, a volte buffa, altre volte drammatica, altre volte ancora “romantica” e, a mio avviso, esattamente ciò che un saggio di carattere divulgativo dovrebbe fare, spinge il lettore ad andare oltre, a non fermarsi alla narrazione, e spalanca infinite porte su quel drammatico conflitto, di cui, purtroppo sappiamo tanto e sempre troppo poco, di cui sappiamo molto e mai abbastanza e di cui, nella violenza drammatica delle vicende che l’hanno caratterizzato, sorprende, stupisce e lascia sconcertati ad ogni dettaglio rivelato.

A chi si rivolge l’opera ?

Come osservato dallo stesso autore, il saggio si rivolge ad un pubblico di appassionati e curiosi di storia, non necessariamente addetti ai lavori, ma desiderosi di scavare e sapere di più. Non sono però esclusi gli addetti ai lavori, io stesso che ho dedicato alla divulgazione storica gli ultimi 10 anni della mia vita, e nel fare ciò, mi sono ritrovato per forza di cose ad immergere le mani nella storia, alla ricerca di “storie” note e insolite da raccontare al mio pubblico e, nonostante ciò, durante la lettura ho avuto modo di sorprendermi, stupirmi e scoprire qualcosa di nuovo ad ogni pagina di questo libro.

La scrittura fluida e accattivante di Domenico Vecchioni e l’organizzazione delle storie, in sezioni e capitoli dedicati, rendono il testo adatto a chiunque, dal lettore occasionale a quello più regolare. Inoltre, trattandosi di una rassegna di storie indipendenti, per lo più scollegate l’una dall’altra ma allo stesso tempo, tenute insieme da un contesto storico ben definito, la seconda guerra mondiale, il libro può essere scomposto e letto in ordine sparso. Senza necessità di partire dalla prima pagina e finire all’ultima. Io ad esempio, scorrendo l’indice, ho individuato alcuni saggi che mi sono sembrati più accattivanti e sono partito da quelli, per poi divorare il resto del libro nelle successive ore.

In conclusione quindi, Storie insolite della seconda guerra mondiale, a mio avviso, può essere un ottima lettura e anche un buon regalo di natale, se avete amici o familiari appassionati e affamati di storia e di storie.