Nordio contro il Gioco di Ruolo… cosa dice la scienza?

In un recente intervento alla Camera, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio si è scagliato contro il Gioco di Ruolo, dichiarando che, possono causare gravi danni psicologici e sono associati ad episodi di suicidi.

Alle accuse di Nordio ha immediatamente replicato Federludo, la federazione italiana delle associazioni ludiche, contestando tali affermazioni ed evidenziando come il gioco di ruolo sia riconosciuto dalla comunità scientifica, per gli effetti benefici che ha sulla crescita della persona, lo sviluppo delle competenze sociali e il benessere psicologico. In sintesi quindi, l’esatto contrario di ciò che sostiene Nordio.

Ma chi dei due ha ragione? Cosa dice la scienza in merito? cerchiamo di capirlo ripercorrendo la storia del gioco di ruolo e soprattutto gli studi sul gioco di ruolo.

Breve storia del gioco di ruolo

Cominciamo col dire che il gioco di ruolo (“Role-Playing Game”, GdR) rappresenta un fenomeno culturale unico, che integra aspetti ludici, culturali, creativi, psicologici e sociali. Il nostro obiettivo non è trarre conclusioni, ma porci delle domande, cercando di essere il più possibile superpartes (e mi rendo conto che, da giocatore di ruolo, potrebbe essere difficile). Cercheremo comunque di tracciare in questa sezione la storia del gioco di ruolo, dalle sue origini che affondano in alcune intuizioni e pratiche psicoterapeutiche e nei wargame militari del XIX secolo, fino alla sua evoluzione in un fenomeno globale a partire dagli anni settanta e ottanta del XX secolo.

Il gioco di ruolo, inteso come dorma di intrattenimento basato sulla narrazione e l’interazione tra giocatori, come anticipato, affonda le proprie radici in due ambiti profondamente diversi, distinti ma allo stesso tempo complementari, ovvero la psicoterapia e i wargame.

Le prime forme di GdR infatti furono concepite come strumenti educativi e terapeutici, e ancora oggi la pedagogia moderna, suggerisce l’utilizzo del gioco di ruolo come strumento didattico, nel GdR però vi è anche una forte influenza dei giochi strategici militari, quale base strutturale della parte ludica, che ha permesso al gioco di ruolo di uscire dall’ambito terapeutico e e diventare un elemento ludico. In sintesi, il gioco di ruolo nasce come strumento terapeutico e didattico, per poi fondersi con i wargame, diventando un gioco a tutti gli effetti.

Più nello specifico il gioco di ruolo fa la propria apparizione, in ambito clinico, grazie ad un intuizione dello psichiatra Jacob L. Moreno che, negli anni 30 del novecento elaborò e sviluppò il concetto di psicodramma.

Lo Psicodramma è sostanzialmente l’antenato proveniente dalla psichiatria, del moderno GdR. Moreno infatti concepì lo psicodramma come un’esperienza in cui i partecipanti potevano esplorare emozioni, conflitti e ruoli attraverso l’interpretazione attiva di situazioni simulate. Con tanto di inversione dei ruoli tra i partecipanti, generalmente paziente e terapista, ma non necessariamente, lo psicodramma infatti superò rapidamente i limiti delle sessioni individuali, aprendosi a sessioni e terapie di gruppo ed è ancora oggi ampiamente utilizzato in percorsi di recupero collettivi. Questo approccio, all’epoca era estremamente innovativo in quanto incoraggiava i partecipanti a esplorare le proprie identità in modo sicuro e controllato, promuovendo il benessere psicologico e la crescita personale.

Nei propri scritti Moreno descrive lo psicodramma come una sorta di “teatro della spontaneità” in cui il soggetto può rivivere e affrontare situazioni difficili, reali o immaginarie, al fine di sviluppare nuove prospettive, nuovi punti di vista, elemento fondamentale per superare il trauma.

L’altro antenato del moderno gioco di ruolo sono i Wargame, ampiamente diffusi in Europa tra XVIII e XX secolo. Uno degli esempi di maggiore successo fu il Kriegsspiel, un wargame ideato da Georg Leopold Von Reisswits, un ufficiale prussiano, nel 1812. Questo “gioco”, era tutt’altro che ludico, si trattava in realtà uno strumento didattico e di addestramento tattico strategico, pensato per gli ufficiali prussiani che consentiva ai “giocatori” di simulare un campo di battaglia, disporre le proprie truppe e muoversi così in una battaglia simulata contro un altro giocatore al fine di trionfare in battaglia. Ancora oggi i Wargame sono ampiamente diffusi e utilizzati in campo militare, in versioni più raffinate e sofisticate, e rappresentano uno strumento essenziale per l’addestramento degli ufficiali della maggior parte delle forze armate del pianeta.

Nel XX secolo i wargame subiscono una trasformazione epocale, passano dall’essere uno strumento didattico militare a vero e proprio hobby per appassionati di storia e strategia. Alessandro Barbero, Storico e divulgatore italiano ad esempio, è un grandissimo appassionato di Wargame, e non è l’unico, nel corso dei miei studi in storia, mi sono imbattuto in innumerevoli docenti e studenti appassionati di Wargame. La fortuna dei Wargame Ludici arriva grazie a titoli come Little Wars di H.G. Wells, pubblicato nel 1913, per poi diffondersi, soprattutto in Europa, nel primo dopoguerra e negli anni 20 e 30, grazie anche ad una certa spinta da parte di politiche fortemente militariste che volevano cittadini perfettamente inquadrati in ranghi militari.

Dagli anni 30 in poi abbiamo quindi lo Psicodramma e successivamente il teatro dell’improvvisazione, come strumento terapeutico, che privilegia la narrazione e l’interpretazione e il Wargame, come strumento didattico e ludico che invece si focalizza su aspetti tattici e strategici, ed è solo negli anni 70 del 900 che questi due mondi si incontrano grazie a Gary Gygax e Dave Arneson, che diedero vita a quello che è per molti il primo gioco di ruolo moderno, ovvero Dungeon’s & Dragon’s (D&D), pubblicato la prima volta nel 1974 e che nel 2024 ha compiuto 50 anni, ha visto diversi aggiornamenti nel corso del tempo ed è ancora oggi ampiamente giocato e apprezzato, io stesso sono un giocatore di D&D anche se preferisco titoli più narrativi in cui il “potere decisionale” del dado è meno incisivo, come ad esempio i più moderni e narrativi Apocalypse World o Not The End.

Con l’avvento e la popolarità di D&D il gioco di ruolo, soprattutto negli anni 80 e 90, diventa un vero e proprio fenomeno culturale e nacquero numerosi altri giochi con elementi e caratteristiche più o meno simili tra loro, riuscendo a contaminare anche, a partire dagli anni 90, il mondo del videogioco, con la nascita dei primi RPG e più in avanti, grazie ad internet, dei GdR ByChat, e gli MMORPG.

Gioco di ruolo e scienza

Come abbiamo visto dalla sua storia, il gioco di ruolo nasce sostanzialmente dall’unione di wargame e psicodramma ma questo non ci dice ancora se effettivamente, come sostiene Federludo, aiuta il benessere psicologico o invece come sostiene Nordio, lo danneggia.

Cercando articoli relativi al gioco di ruolo su Google Scholar, motore di ricerca per le pubblicazioni accademiche e PubMed, la National Library of Medicine, sostanzialmente il più grande archivio digitale con pubblicazioni cliniche, troviamo per lo più articoli che parlano dei benefici del gioco di ruolo che, come anticipato, è ancora oggi ampiamente utilizzato in ambito didattico e terapeutico, sia in sessioni individuale che in sessioni di gruppo, inoltre, in ambito pedagogico è un eccellente strumento didattico.

Troviamo però anche altro, alcuni studi ad esempio suggeriscono che in casi rari, il coinvolgimento eccessivo nei GdR, e l’esposizione prolungata all’ambiente di gioco, possa portare a un distacco dalla realtà sociale. In tale senso l’articolo di Zaheer Hussain e Mark D. Grtiffiths, The attitudes, feelings, and experiences of online gamers: a qualitative analysis, del 12 Dicembre 2009, DOI 10.1089/cpb.2009.0059 rappresenta una delle principali e più autorevoli fonti scientifiche.

L’articolo però, va precisato, non parla propriamente di Gioco di Ruolo, quanto più della sua declinazione on-line, come si può infatti leggere nell’abstract, il soggetto dello studio sono “massively multiplayer online role-playing games (MMORPGs)” e non il GDR in sè.

Altro contributo degno di nota è il libro “Dangerous Games: What the Moral Panic over Role-Playing Games Says about Play, Religion, and Imagined Worlds” di Joseph P. Laycock, del 2015“, in questo libro, presente su Jstor, si affronta storicamente l’associazione del gioco di ruolo al satanismo e il panico satanista che si diffuse tra anni 80 e 90, e di come, studi successivi agli anni 90 , hanno dimostrato che queste paure erano infondate e alimentate da pregiudizi culturali.

Più interessante invece è il saggio “The Fantasy Role-Playing Game: A New Performing Art. McFarland” di Mackay, D. (2001), in cui si osserva come in alcuni soggetti vulnerabili, il gioco di ruolo potrebbe essere lesivo, amplificando le tendenze ossessive o dinamiche interpersonali problematiche. Nel saggio si osserva inoltre che queste casi sono tuttavia estremamente rari e non superiori ad altri hobby o giochi, più precisamente, questo tipo di effetto collaterale del gioco di ruolo, non è in realtà legato al gioco di ruolo ma al giocatore, e queste problematiche, per quei soggetti, si presenterebbero in qualunque hobby, compreso il gioco di ruolo.

Conclusioni personali

Per questa sezione metto un disclaimer, da qui in avanti ci saranno osservazioni personali, considerazioni soggettive, basate sulla documentazione scientifica presentata e citata nella sezione precedente.

La scienza ci dà risposte abbastanza chiare a proposito del gioco di ruolo, è probabilmente uno degli hobby e delle attività ludiche più sane che si possano avere, poiché stimola la creatività e le interazioni sociali. A differenza di altri giochi, quando giochi di ruolo, non puoi stare da solo, il gioco ti forza a collaborare con gli altri giocatori, a confrontarti con loro, e soprattutto ad interagire con loro. Si tratta di uno strumento incredibilmente potente, in grado di creare e rafforzare legami interpersonali, come nessun’altra tipologia di gioco è in grado di fare.

Come qualsiasi altro gioco tuttavia, non è esente da problematiche, e il rischio che i giocatori possano isolarsi e chiudersi in un mondo utopico e di fantasia, è presente, ma tale rischio riguarda prevalentemente soggetti fragili che ricadrebbero in quella stessa problematica con qualsiasi gioco, dal calcio al monopoly ai videogiochi, e come osservato e documentato in innumerevoli articoli scientifici e saggi, non è un problema che va dal gioco al giocatore, ma è un problema che parte dal giocatore e indipendentemente dal media, riguarda esclusivamente il giocatore.

Prendiamo ad esempio una persona con diverse difficoltà fisiche, impossibilitato per qualche motivo a muoversi e fare esperienza con il mondo. Quella persona non potrebbe viaggiare e potrebbe fruire del mondo solo ed esclusivamente in maniera passiva, attraverso la lettura, attraverso film, serie tv, ecc. Tuttavia, a quella persona, il gioco di ruolo, in particolare il gioco di ruolo on-line, offre un opportunità unica, gli offre la possibilità di vivere una vita che altrimenti gli sarebbe negata, di fare esperienze impossibili che i comuni mortali possono solo vedere in un film. Un giocatore di ruolo paralizzato dalla vita in già può vivere l’esperienza di lanciarsi all’inseguimento di un avversario fenomenale, e scegliere nella più totale e assoluta autonomia, senza alcun limite “meccanico” presente invece nei videogiochi.

In definitiva un giocatore di ruolo, nel momento in cui inizia il gioco, può essere eroe, esploratore, mente eccelsa o folle mercante, e fare qualsiasi cosa, dalla più nobile alla più deplorevole, e una volta finito il gioco, tornare alla propria routine quotidiana, e in questo, non c’è assolutamente nulla che possa danneggiare la sua psiche, perché semplicemente, nel gioco di ruolo, il giocatore sogna e gioca con la fantasia.

Personalmente trovo assurdo che un politico che ha calcato il palco di un festival che prende il nome di “Atreju”, il fantastico protagonista de la storia infinita, che esalta la fantasia, i sogni e l’immaginazione, possa dire che sognare, giocare con la fantasia e l’immaginazione è qualcosa che può apportare gravi danni psicologici. Come ci insegna proprio Atreju, l’uomo muore quando smette di sognare e il nulla divora ogni cosa.

Psicostasia e Peso dell’Anima

Per quale motivo gli antichi egizi praticavano la mummificazione? Ed in cosa consisteva questa pratica? Una testimonianza, per quanto ormai contestata e superata grazie all’archeologia moderna, ci giunge dallo storico Erodoto: egli ci lasciò una descrizione abbastanza accurata di questa pratica, sostenendo che avvenisse in maniera differente per individui più o meno abbienti. Per i più ricchi il corpo veniva inciso ed eviscerato, per i più poveri asciugato nel sale. Ad oggi sappiamo che, al contrario, la mummificazione era un processo molto meno “classista”, che in alcune circostanze sia il cuore sia il cervello del defunto sono stati ritrovati nel corpo e che l’estrazione dei visceri tramite incisione trans-addominale era prevista per tutti. Le motivazioni di questa pratica, che richiedeva l’accurato lavoro di imbalsamatori esperti che hanno permesso la conservazione delle salme fino ad oggi, sono a dir poco ovvie: il corpo, casa dell’anima, doveva rimanere integro per permetterne il viaggio finale ed, almeno per le caste superiori, la mummificazione era d’obbligo: il corpo non doveva per nessun motivo decomporsi, altrimenti non avrebbe permesso alle forze immortali di compiere il viaggio per poi ricongiungersi dall’altro lato.

Nel corpo di un uomo, secondo gli antichi egizi, coesistevano tre forze vitali: Ka, Ba ed Akh. La principale, Ka, è il fulcro dell’essere umano: è il centro della sua anima, il suo spirito; Ba invece ne è la forza, l’individualità. Akh è una terza componente che si presenta al suo massimo solo post mortem.

oltre al corpo, anche l’anima doveva giungere nell’aldilà pura ed intatta: al fine di verificarlo, una volta giunto “dall’altra parte”, il defunto, doveva sottoporsi al giudizio dei morti: superava inizialmente delle prove di forza e coraggio, dopodiché giungeva, accompagnato dal dio Anubi, al cospetto di Osiride e dei suoi 42 giudici. 42, come le prescrizioni di Maat, dea dell’ordine cosmico, della giustizia e della verità; le sue prescrizioni erano semplicemente dei “comandamenti” da non infrangere assolutamente durante la vita. I 42 giudici, inoltre, rappresentavano i 42 peccati: sedevano in una lunga fila, il defunto doveva negare uno ad uno il peccato su cui ogni giudice presiedeva.

A questo punto, la prova più difficile, la psicostasia: la pesatura del cuore. Il defunto faceva dichiarazione di innocenza, il cuore veniva posto su un piatto della bilancia. Sull’altro? La piuma di Maat. Il dio Thot registrava il verdetto: se colpevole, se l’ago della bilancia pendeva dalla parte sbagliata, allora l’anima finiva in pasto ad Ammit, “la divoratrice” una mostruosa creatura (metà coccodrillo, leone ed ippopotamo, le bestie più pericolose dell’Egitto) se invece innocente proseguiva verso il luminoso regno di Osiride, la salvezza dell’anima, diretta continuazione della vita terrena.

Anche gli animali ricevevano una sepoltura “salva-anima”, degna di un sovrano; lo dimostrano luoghi come il Serapeo, Bubasteion, Anubieion… il primo, portato alla luce nel 1850 da Auguste Mariette (pioniere dell’egittologia, fondatore del museo del Cairo e del servizio delle antichità egiziane), ospitava le sepolture dei tori Apis, i quali venivano inumati davvero come faraoni: eviscerati, mummificati, corredati di vasi canopi ed ushabti dalle fattezze di toro. Il Bubasteion era dimora dei gatti, l’Anubieion accoglieva gli sciacalli. Gli animali ricevevano tale trattamento in quanto venerati alla stregua delle divinità: non a caso, infatti, ad esse era spesso associato un animale, immagine vivente della stessa, ipostasi.

Ma pesa, l’anima? E quanto?

Nell’aprile del 1901 fu condotto, in Massachusetts, uno studio a dir poco curioso: il dottor Duncan McDougall studiò i corpi di sei pazienti moribondi, pesandoli prima, durante e dopo la morte; rilevò effettivamente delle differenze di peso, calato di qualche grammo, qualche frazione di secondo dopo la morte.

L’esperimento fu ripetuto e, nel 1907, il New York Times descriveva dello storico momento in cui il paziente cessò di vivere ed il bilancino si mosse, ad una velocità e tempistica che aveva dell’incredibile. Ovviamente, in molti non vollero crederci, che cosa poteva aver causato quella perdita di peso? Furono prese in considerazione tutte le ipotesi, dai fluidi corporei all’aria nel polmoni, nulla spiegava l’accaduto. Dopo i suoi studi, dopo aver confrontato i risultati, il dottor McDougall così concluse: “l’anima umana pesa 21 grammi “.

Gli studi sugli animali non diedero risultati, concluse quindi che solo gli esseri umani hanno un’anima.

Bibliografia:

Corso di egittologia presso università degli studi di Milano
Laboratorio di ” testi ed archivi dell’Egitto faraonico” presso università degli studi di Milano
Erodoto, ” secondo libro delle storie” (mummificazione)
Film : “21 grammi” , anno 2003 (ha come oggetto gli studi del dottor McDougall)
Psicostasia, Libro dei morti , capitolo 125