Sono laureato in storia contemporanea presso Unipi.
Su internet mi occupo di divulgazione, scrivo storie di storia, geopolitica, economia e tecnologia.
Ogni studente di storia sa che c’è sempre qualcosa da imparare ed è impossibile per chiunque, condensare l’intera storia dell’umanità in una sola vita. Inoltre, la vastità del nostro pianeta, dei suoi popoli e delle sue culture, di conseguenza la vastità e la varietà delle società umane, rende impossibile una conoscenza totale della storia dell’uomo. Molte civiltà sono cresciute e cadute nelle migliaia di anni da quando gli esseri umani hanno iniziato ad interagire tra di loro, alcune di queste civiltà hanno storie avvincenti, siano esse antiche o moderne. E se si è interessati a conoscere tutte queste storie, un solo blog come historicaleye, forse non basta. Quindi, ho deciso di giocare a carte scoperte, mostrandovi una piccola parte delle mie fonti digitali, già in passato ho realizzato una serie di video sul canale youtube in cui parlavo di archivi digitali e biblioteche digitali, con questo articolo/post invece, voglio semplicemente proporvi una breve rassegna di blog che seguo e da cui spesso, traggo ispirazione per un video o un articolo.
Attenzione, i blog che seguono sono tutti in lingua inglese, non ho inserito blog accademici o di società storiche, do per scontato che quelli siano affidabili per definizione, quelli che seguono sono dei blog, come Historicaleye, nulla di più nulla di meno.
Iniziamo con il mondo antico, la storia antica è probabilmente una delle più affascinanti e avvincenti, da sempre avvolta da un velo di magia e mistero, che rende ogni narrazione, ogni evento, ogni dinamica, estremamente seducente. Il mondo classico greco, le civiltà preistoriche del vicino, medio ed estremo oriente, portano con se un sapore mistico che trascende il tempo e la storia, ma cerchiamo di mettere la fantasia e le legende da parte, e concentriamoci sulla storia reale.
Questo blog sul mondo antico è uno dei miei preferiti, il suo autore Mike Anderson si diverte a comparare il mondo antico con il mondo moderno, con il nostro tempo, cercando di analizzare l’attualità con occhio storico, ho scoperto il suo blog con l’articolo “Trump in ancient world” e me ne sono subito innamorato, dopo aver letto quell’articolo ho cercato di recuperare quanti più post possibile sul suo blog, ed ho trovato semplicemente geniale, la sua capacità di analisi.
Questo blog è dedicato all’antropologia, una disciplina analitica relativamente nuova, la sua storia inizia con il colonialismo ottocentesco e si dipana in tutto il XX secolo, subendo variazioni e influenze dalle due principali scuole di pensiero, quella britannica più “antropologica” e quella francese, più “etnologica“,in entrambi i casi comunque, si guarda alle culture “primitive” per comprendere meglio il mondo antico e l’evoluzione della nostra società, ma non siamo qui a parlare di storia dell’antropologia, bensì per parlare del blog di Dienekes. La ricerca antropologica è parecchio antica e spesso si mischia con studi sociologici o studi storici, ed il blog di Dienekes cerca di fare chiarezza, divulgando e spiegando in maniera estremamente semplice, il contenuto di articoli e libri di recente pubblicazione. Qualcosa che, con un po di tempo in più, mi piacerebbe provare a fare anche qui su historicaleye.
C’è poco da dire su Roman Times, è probabilmente uno dei migliori blog esistenti per quanto riguarda la storia romana, dico migliori blog perché, a differenza di molti altri, come ad esempio l’italiano Romano Impero, e quasi ogni altro blog dedicato alla storia romana, non si limita ad avere un carattere enciclopedico, o da manuale, ma cerca di fare chiarezza, proponendo chiare e semplici (in realtà molto complesse, ma esposte in maniera estremamente semplice) analisi storiche e storiografiche, e, cosa più importante, contestualizzando autori e fonti.
Uno dei miei blog preferiti per quanto riguarda la storia medievale, li seguo da tantissimo tempo e confesso di essermi ispirato spesso a loro, soprattutto per il modo di proporre e gestire i contenuti sulla pagina, questo blog è semplice, divertente e irriverente, nonostante ciò è estremamente preciso e corretto, insomma, un blog che parla di storia in maniera seria, ma senza prendersi troppo sul serio, leggerlo è un vero piacere.
Cosplay di Batman in armatura Medievale. Fonte : Superherophoto
A differenza di Got Medieval, In the Middle è un blog che si prende sul serio, forse il più “complesso” da leggere, di tutti i blog citati fino ad ora, a metà tra un blog di divulgazione ed un blog accademico. Tuttavia, i suoi post interessanti, spesso riguardanti ricerche in corso o di recente pubblicazione, lo rende a mio avviso, un elemento utilissimo per chiunque sia appassionato di storia medievale.
Ultimo blog della rassegna, ma non per importanza, anzi, forse il mio blog preferito tra tutti quelli citati fino ad ora, un blog che affronta un campo di studi estremamente recente, ovvero, la storia delle donne, La storia di genere è una storia recente, o meglio, è una storia antica come l’umanità, ma solo di recente, e per recente intendo negli ultimi trenta anni circa, è diventata oggetto di studio al pari della storia ordinata. Questo blog scava nel passato raccontando non solo la storia delle donne, ma le donne nella storia, senza scadere in eccessi retorici e senza commettere mai l’errore di valutare il passato con canoni moderni. Del resto, il nome del blog dice tutto, Storia e Donne.
Il blog di Egittologia Djedi Medu, è l’unico blog italiano presente in questa rassegna, e non è un caso, questo blog è uno dei più accurati per quanto riguarda l’egittologia, proponendo articoli divulgativi e news legate alle nuove scoperte e ricerche in corso. L’accuratezza dei sui post, e la gentilezza del suo curatore, lo hanno reso in breve tempo un vero e proprio punto di riferimento in italia per quanto riguarda l’egittologia.
Menzioni d’onore vanno alla pagina facebook Lost Archeologi, che, come potete intuire dal nome, si occupa di archeologia, e al canale youtube Annaliside, curato da Annalisa Arci, autrice qui su historicaleye, dove, oltre ai temi di storia antica e storia medievale, si occupa anche di storia della filosofia.
Spero l’articolo sia stato interessante e che apprezzerete, almeno quanto me, i blog citati, e, se volete farmi un favore, dite loro che vi manda Historicaleye.
Il ruolo della scienza e della tencologia è sicuramente un elemento centrale nella trasformazione culturale delle società umane, e fin dall’antichità sovrani e governanti hanno tentato di condurre alla propria corte gli uomini più brillanti del proprio tempo, creando in talune occasioni, vere e proprie accademie, fucine del sapere, in cui impegnare gli intellettuali del proprio “regno” nell’ostica impresa di creare la più avanzata delle civiltà.
Scienza e conoscenza non erano tuttavia promossi in maniera gratuita, e spesso i mezzi per accedere al sapere furono accessibili a pochi eletti. Gli esempi nella storia sono innumerevoli, basti citare tra i più noti, la grande biblioteca di Alessandria d’Egitto alla corte dei Tolomei, dove il sapere era custodito gelosamente e gli intellettuali impegnati al suo interno, se da un lato erano liberi di esplorare i limiti del sapere senza alcun vincolo, erano, dall’altro lato, legati in maniera indissolubile alle sorti della corona d’Egitto e della dinastia dei Tolomei, così anche per la leggendaria dimora del sapere di Baghdad, o ancora, l’italia rinascimentale, che grazie agli sforzi di alcune grandi famiglie del tempo, diede vita ad un mondo nuovo, permettendo alla civiltà europea di superare il medioevo.
In tutti questi casi tuttavia, il sapere ebbe un doppio volto, gli intellettuali, i sapienti, che vissero ad Alessandria, a Baghdad, a Firenze, Napoli, Parigi, Londra, New York, Los Alamos, ecc ecc dovettero fare i conti con la vita politica del proprio tempo, impegnando le proprie menti, per scopi politici e militari.
La storia del sapere potrebbe dirsi conclusa qui, potremmo dire che la dove vi è un accademia, la dove si insegna e si studia, la dove si concentrano menti brillanti per progettano nuove tecnologie, qualcuno, storicamente un autorità pubblica, è in attesa che i tempi siano maturi.
Ma con l’avvento dell’età contemporanea, e soprattutto nell’ultimo mezzo secolo, le cose sono cambiate. La scienza, il sapere, un tempo erano esercitati al servizio esclusivo di un autorità politica o al massimo privata. Oggi non è più così, il sapere, grazie soprattutto alla diffusione di internet e delle nuove tecnologie di comunicazione è diventato realmente pubblico e accessibile a chiunque. Questa semplificazione dell’accesso al sapere porta con se il rischio (fin troppo reale) che si possa creare un informazione ed un sapere falsato e distorto, ma in questo post voglio soffermarmi agli esempi positivi, di cui credo/spero Historicaleye possa essere un esempio.
Negli ultimi decenni sono nate numerose realtà digitali in grado di rappresentare una più che valida alternativa, ai tradizionali istituti accademici e scolastici, in alcuni casi, queste comunità sono sorte negli angoli più nascosti del web, in altri, si sono sviluppate perfettamente visibili sulla superficie del web, senza addentrarci troppo nelle mille realtà nascoste nel deepweb, voglio parlare di un caso specifico, una “nuova” eccellenza italiana nel sapere e nello sviluppo tecnologico, questi è l’Università degli studi Niccolò Cusano, fondata nel 2006 a Roma come università telematica, e nello specifico della sua facoltà di Ingegneria che negli ultimi quattro anni, è riuscita a scalare la classifica Vqr (Valutazione della qualità della ricerca), stilata dall’Anvur, l’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e la ricerca, riuscendo a raggiungere la sesta posizione. Un risultato sorprendente e impressionante che pone il “neonato” ateneo telematico, d’avanti a numerose università secolari del nostro paese.
Questo sorprendente risultato è stato raggiunto grazie all’impegno e la dedizione dei docenti e dei ricercatori dell’ateneo, il cui prestigio è rapidamente cresciuto, grazie anche e soprattutto alla partecipazione ad importanti concorsi su scala nazionale che hanno attirato importanti investitori e cosa più importante, sempre più iscritti. Si è passati da circa 20 iscritti alla facoltà di ingegneria nel 2011 ad oltre mille appena tre anni più tardi.
L’università telematica Niccolò Cusano, e come lei tante altre realtà accademiche telematiche, grazie ai propri studenti e ricercatori, hanno potuto compiere importanti investimenti e produrre innovazioni significative nel mondo accademico, mettendo in luce il vero potenziale del web, come strumento di sapere e al servizio del sapere.
Come è noto, i giochi Olimpici affondano le proprie radici nel mondo antico, ma come e quanto sono cambiate le “nostre” olimpiadi rispetto a quelle dell’antica Grecia ?
Nel 2012 è stata pubblicata sul blog dell’Historical Journal of Cambridge, un intervista al dottor Chris Carey, docente di greco presso la UCL e presidente della Società ellenica. Nella sua intervista Carey spiega esattamente cosa sappiamo e come abbiamo quelle informazioni sulle olimpiadi degli antichi. Carey sottolinea che queste informazioni ci sono giunte attraverso testi poetici e in prosa, in cui si esaltava il valore degli atleti, e ci informano sulla storia del sito in cui si svolgevano i giochi oltre che sugli eventi, sui vincitori e sulle loro origini.
La divisione è puramente ideologica e presenta due letture/visioni inconciliabili l’una con l’altra.
La disputa ha inizio nel 632 alla morte di Maometto, detto in breve, alla morte del profeta, ci fu una lotta per stabilire chi dovesse riempire il vuoto di potere, e tra i tanti contendenti alla successione di Maometto, in due trionfarono, da una parte Abu Bakr, amico del profeta e padre di Aisha, moglie Maometto, dando origine al ramo Sunnita, secondo cui, ogni musulmano di buona fede, e abbastanza addentrato nella dottrina, potesse accedere alla carica di guida politica e spirituale dell’intera Umma, tutta la comunità islamica mondiale. Dall’altra parte trionfò Ali, cugino e genero di Maometto, dando origine alla corrente sciita, secondo cui, alla guida politica e spirituale dell’Umma avrebbe dovuto esserci un consanguineo di Maometto, un discendente diretto della sua famiglia.
Questa differenza apparentemente minimale, è in realtà una profonda differenza sul piano politico, de facto, che avrebbe portato la corrente sunnita a diventare la principale e più diffusa corrente islamica (ad oggi circa il 90% della popolazione islamica è di fede sunnita). Questo per ovvie ragioni soprattutto politiche.
La corrente sunnita è quella che più si presta ad una possibile “carriera” politica e spirituale, chiunque si professi di fede sunnita può infatti ambire a diventare guida politica e spirituale dell’intera comunità, e più probabilmente potrà riunire sotto un unico vessillo l’Umma. Dall’altra parte, questo progetto, per gli sciiti è molto più complesso e difficile da perseguire, poiché solo un legame di parentela reale o presunto con il profeta poteva garantire la possibilità di accedere a tale carica, in questo senso, la fede sciita, più dinastica si sarebbe ritrovata a vivere sulla propria pelle, numerose crisi e lotte politiche tra i vari eredi o presunti eredi, che ambivano alla successione di Maometto, queste lotte interne avrebbero portato alla nascita di numerose correnti minori, di cui almeno tre grandi confessioni sciita, da una parte i Duodecimani (1) (o Imamiti), da un altra parte gli Ismailiti (Settimani) e in fine i Zayditi.
I Duodecimani e Ismailiti nascono in seguito al problema della successione dell’ Imam Jaʿfar al-Ṣādiq avvenuta nel 765, il cui erede legittimo, il primogenito Ismāʿīl era morto prima di Jaʿfar al-Ṣādiq. A questo punto si aprì un problema di successione, per gli Ismailiti l’erede legittimo era Muḥammad b. Ismāʿīl, figlio di Ismāʿīl e nipote di Jaʿfar al-Ṣādiq, mentre i Duodecimani sostennero il fratello di Ismāʿīl, Mūsā al-Kāẓim, nonché figlio secondogenito di Jaʿfar al-Ṣādiq.
Per i sunniti il problema della successione dinastica, per certi versi, non si pone, l’erede legittimo non è infatti colui che condivide il sangue con il suo predecessore, ma colui che si sarebbe dimostrato più inoltrato nello studio e nella conoscenza dei testi sacri.
La grande “versatilità” politica offerta dalla fede Sunnita, l’ha resa con il passare del tempo, sempre più diffusa, fino ad arrivare, come abbiamo già detto, a coprire più del 90% della popolazione islamica mondiale, e soprattutto negli ultimi secoli, in cui gli avvenimenti europei mettevano in discussione il diritto di nascita, e professavano il trionfo della democrazia, la fede sunnita, acquisiva sempre maggiori consensi sul piano, creando leader carismatici in grado di trascinare le folle, dando vita a partiti politici di massa, come il Ba’ath o i Fratelli Musulmani, il cui principale obbiettivo politico è la riunificazione del popolo islamico. La visione internazionalista della fede sunnita, e la sua politica molto più democratica di quanto non fosse la visione sciita, avrebbe incontrato nell’ultimo secolo e mezzo la visione marxista, portando alla nascita di numerosi partiti socialisti islamici, come il Ba’ath, i cui leader più illustri sono probabilmente la “dinastia” degli Assad in Siria e Saddam Hussein in Iraq, o i Fratelli Musulmani, più radicati in Egitto e a Gaza, e che per l’aperta conflittualità con il Ba’ath, sarebbero stati messi fuorilegge in paesi come Bahrain, Egitto, Russia, Siria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Tagikistan e Uzbekistan.
I termini Decimanide e Settimanide derivano rispettivamente dal decimo e settimo califfato. Per estensione, l’affermazione della dinastia di Osman I, che avrebbe portato alla nascita dell’impero Ottomano, deriva dall’ottavo califfato
Si dice che la prostituzione sia il mestiere più antico del mondo. Ma è davvero così?
Probabilmente no, poiché questo mestiere, per esistere, necessita della conoscenza e della percezione del valore, ha bisogno di strutture economiche di tipo “avanzato” in cui esistono beni non necessariamente primari, insomma, la prostituzione non può svilupparsi in una civiltà che pratica un economia di sussistenza, ma necessita di un economia in grado di produrre beni e servizi superflui.
Nelle prime comunità umane, quelle più primitive per intenderci, la prostituzione non avrebbe avuto alcuna ragione d’esistere, dato che in quelle comunità, nei primi villaggi, nelle prime tribù, nei primi insediamenti, il ritmo della vita era scandito dalle stagioni e dalle migrazioni di animali, mentre il sesso era qualcosa di puramente istintivo, violento, e in alcuni casi non particolarmente piacevole per le donne, di certo non era un lavoro poiché ci si accoppiava in preda all’istinto e ad accoppiarsi erano solo i più forti, qualcuno potrebbe obiettare all’utilizzo del termine accoppiare, suggerendo che, più che accoppiamento si trattava di stupro, e rispondo a questa obiezione dicendo che non avrebbe alcun senso usare etichette e classificazioni moderne un mondo primitivo estremamente lontano e diverso dal nostro.
La prostituzione esisteva in quelle epoche ? come è facile intuire, la risposta a questa domanda è no, nel mondo primitivo, esistevano altri mestieri, come il mestiere del cacciatore, dell’artigiano, del conciatore, ma non il mestiere della prostituta, di questa professione abbiamo sporadiche tracce soltanto a partire dall’epoca storica classificata come “età dei metalli“, iniziata tra l’8 e il 5 mila avanti cristo e si chiude con la fine dell’età del ferro, e la nascita delle polis in grecia, almeno per quanto riguarda l’età del ferro nel mediterraneo, mentre a seconda delle varie civiltà e delle aree geografiche del pianeta, questa data cambia, in alcuni casi di diversi secoli o addirittura millenni.
Si ipotizza tuttavia che nell’ultima fase dell’età della pietra si iniziasse già a praticare la prostituzione ma non si hanno prove concrete a sostegno di questa tesi e come dice sempre il buon Alberto Angela, probabilmente non lo sapremo mai, quello che però sappiamo è che la prostituzione implica la conoscenza, se pur primitiva, del valore, questo mestiere a differenza dei sopracitati cacciatore, allevatore, coltivatore ecc, non è un mestiere direttamente connesso alla propria sopravvivenza, nel senso che non produce nulla di utile alla sopravvivenza, ma implica l’esistenza di primitivi scambi commerciali. Io mi accoppio con te, tu dai a me del cibo o delle pelli.
Nel primordiale e primitivo mondo precedente l’età dei metalli, come abbiamo già detto, il sesso non rappresentava una merce di scambio, dunque, un mestiere come la prostituzione non avrebbe avuto alcuna ragione di esistere.
Va detto però che , prima di giungere all’età dei metalli, l’umanità era già entrata in una dimensione commerciale che potremmo definire “avanzata“, imparando a lavorare l’argilla per produrre vasellame e altri oggetti, soprattutto ornamentali. In quel dato momento della storia, l’uomo ha iniziato a concepire il valore, producendo non più soltanto beni necessari alla sussistenza fisica per se e la propria comunità, ma anche beni “superflui” volti a riempire le giornate e decorare le abitazioni, ed è in quel momento, e solo in quel momento, che il mestiere della prostituzione può iniziare ad esistere.
Può iniziare ad esistere perché iniziano ad esistere scambi commerciali fine a se stessi, il piacere diventa una merce di scambio, il bello diventa una merce di scambio, l’inutile acquisisce valore, e con esso il sesso.
Quindi no, la prostituzione non è affatto il mestiere più antico del mondo, ma la sua invenzione, molto probabilmente, coincide con l’invenzione dell’economia che avrebbe permesso alle civiltà umane di compiere enormi passi in avanti, l’invenzione della prostituzione implica l’esistenza di un economia “moderna” e di un pensiero articolato e complesso che fino a quel momento non era esistito. In questo senso, l’invenzione della produzione coincide con un passaggio importantissimo nella definizione delle civiltà umane.
L’articolo originale è stato pubblicato il 18 aprile 1999 dall’allora primo ministro britannico Tony Blair, sulla rivista Neewsweek, a pagina 40. L’articolo è stato tradotto e pubblicato anche in italia il 4 maggio 1999 da La Rapubblica, come Dossier.
Segue la traduzione dell’articolo.
Chiunque, in Occidente, abbia assistito agli eventi del Kosovo non può dubitare che l’ azione della Nato sia giustificata. In una delle sue frasi celebri, Bismarck aveva detto che i Balcani non valevano le ossa di un solo granatiere della Pomerania. Ma chi ha visto i volti rigati di lacrime di centinaia di migliaia di rifugiati mentre attraversavano il confine, o ascoltato i loro strazianti racconti di atrocità, o immaginato il destino di chi è rimasto indietro, sa che Bismarck era in errore. Questa è una guerra giusta, basata non su ambizioni territoriali ma su valori.
Noi non possiamo permettere che continui l’ orrore della pulizia etnica. Non dobbiamo fermarci finché non si sarà invertita questa rotta. Abbiamo appreso per ben due volte, nel corso di questo secolo, che la pacificazione non serve. Se lasciassimo che un dittatore perverso spadroneggi incontrastato, alla fine dovremmo spargere infinitamente più sangue e più risorse per fermarlo. Ma la gente non chiede soltanto se avevamo ragione di intraprendere quest’ azione; vuole sapere anche se i nostri obiettivi erano chiari, e se riusciremo a conseguirli. I nostri obiettivi sono cinque: la cessazione verificabile di tutte le attività belliche e dei massacri; il ritiro delle forze militari, paramilitari e di polizia serbe dal Kosovo; il dispiegamento di una forza militare internazionale; il ritorno di tutti i profughi e il libero accesso di aiuti umanitari; e infine, un quadro politico per il Kosovo, basato sugli accordi di Rambouillet. Non negozieremo su questi obiettivi. Milosevic deve accettarli. Con la nostra campagna aerea abbiamo distrutto la maggior parte delle forze aeree operative di Milosevic, un quarto dei suoi sistemi radar Sam (mentre la parte restante non viene utilizzata per timore della sua distruzione), le sue raffinerie di petrolio e le vie di comunicazione verso il Kosovo, le sue infrastrutture militari, compresi gli strumenti di comando e di comunicazione, e buona parte dei suoi depositi di munizioni.
Il morale dell’ esercito jugoslavo sta incominciando a crollare. Mentre l’ Uck è ora più forte, e gode di un sostegno più ampio di quando Milosevic iniziò la sua campagna. Abbiamo sempre detto chiaramente che questa campagna richiederà tempo. Non potremo riportare il successo finché non siano entrate in Kosovo forze internazionali, che consentano ai profughi di far ritorno nelle loro case. Milosevic non potrà opporre un veto all’ ingresso di questa forza internazionale. Così come a mio parere non vi erano alternative all’ azione militare, ora che è iniziata non vi sono alternative al suo successo. Quella del successo è l’ unica strategia d’ uscita che sono disposto a prendere in considerazione. Ora dobbiamo incominciare a lavorare per ciò che verrà dopo il nostro successo in Kosovo. Quello che serve è un nuovo Piano Marshall per il Kosovo, così come per la Macedonia, l’ Albania e la stessa Serbia, se passerà alla democrazia. è necessario un nuovo quadro per la sicurezza dell’ intera regione dei Balcani. Dovremo inoltre assistere il Tribunale per i crimini di guerra per portare davanti alla giustizia chi ha commesso questi spaventosi crimini. Vent’ anni fa, non ci saremmo battuti nel Kosovo. Gli avremmo voltato le spalle. Il nostro impegno è il risultato di un’ ampia serie di cambiamenti: la fine della guerra fredda, il cambiamento tecnologico, la diffusione della democrazia. Ma i cambiamenti sono anche maggiori. Io credo che il mondo sia mutato in un senso più fondamentale. La globalizzazione ha trasformato le nostre economie e il nostro modo di lavorare. Ma la globalizzazione non è soltanto economica. è un fenomeno che investe anche la politica e i problemi della sicurezza. Molti dei nostri problemi interni hanno origine in un’ altra parte del mondo.
L’ instabilità finanziaria in Asia distrugge posti di lavoro sia a Chicago che nella mia circoscrizione elettorale, nella Contea di Durham. L’ indigenza nei Caraibi fa aumentare la droga per le strade di Washington e di Londra. Il conflitto nei Balcani accresce l’ afflusso dei profughi in Germania e negli Stati Uniti. Tutti questi problemi possono essere affrontati soltanto attraverso la cooperazione internazionale. Oggi siamo tutti internazionalisti, che ci piaccia o meno. Non possiamo rifiutare di partecipare al mercato internazionale se vogliamo la prosperità. Non possiamo ignorare le nuove idee politiche di altri paesi, se vogliamo innovare. Non possiamo voltare le spalle ai conflitti e alle violazioni dei diritti umani in altri paesi, se vogliamo rimanere al sicuro. Alla vigilia del nuovo millennio, viviamo ormai in un nuovo mondo. Abbiamo bisogno di nuove regole per la cooperazione internazionale, di nuove forme di organizzazione delle nostre istituzioni internazionali.
Dopo la seconda guerra mondiale abbiamo creato una serie di istituzioni internazionali per affrontare lo sforzo della ricostruzione di un mondo devastato: Bretton Woods, le Nazioni Unite, la Nato. Già allora era chiaro che il mondo stava diventando sempre più interdipendente. La dottrina dell’ isolazionismo è caduta vittima di una guerra mondiale, quando gli Stati Uniti (insieme ad altri) si resero conto infine che quella di assistere passivamente non era una scelta da prendere in considerazione. Oggi, l’ impulso all’ interdipendenza è incommensurabilmente più forte. Stiamo assistendo al sorgere di una nuova dottrina sulla comunità internazionale. Mi riferisco con ciò all’ implicito riconoscimento del fatto che oggi siamo reciprocamente dipendenti, più di quanto lo siamo mai stati in passato, e che gli interessi nazionali sono governati in misura significativa dalla collaborazione internazionale; si avverte quindi la necessità di un dibattito chiaro e coerente sulla direzione in cui questa dottrina ci conduce in ogni campo dell’ impegno internazionale. Tuttavia, finora abbiamo sempre affrontato i problemi caso per caso. Siamo continuamente alle prese con il rischio di lasciare che dovunque siano le scene inquadrate dalla Cnn nei suoi continui spostamenti a fare da pungolo per indurci a prendere sul serio un conflitto globale. Abbiamo ormai dieci anni di esperienza dalla fine della guerra fredda. è stato certo un periodo meno facile di quanto molti avessero sperato, nell’ euforia seguita al crollo del muro di Berlino. Le nostre forze armate hanno avuto più che mai da fare per fornire aiuti umanitari, svolgere azioni deterrenti contro aggressioni a popolazioni indifese, sostenere le risoluzioni dell’ Onu e impegnarsi occasionalmente in guerre di più vasta portata, come quella del Golfo del 1991 e l’ attuale impegno nei Balcani. Possiamo vedere nelle difficoltà di quest’ ultimo decennio semplici ripercussioni della fine della guerra fredda? La situazione si stabilizzerà tra breve, o prefigura invece un modello destinato a estendersi in futuro?
Molti dei nostri problemi sono stati causati da due uomini pericolosi e spietati: Saddam Hussein e Slobodan Milosevic. Entrambi erano pronti a scatenare aggressioni perverse contro settori della propria comunità. Come risultato di queste politiche distruttive, entrambi hanno attirato calamità sulle proprie popolazioni. L’ Iraq, che pure avrebbe potuto mettere a frutto le proprie ricchezze petrolifere, è stato ridotto all’ indigenza, e le intimidazioni hanno soffocato la sua vita politica. Milosevic era alla testa di uno Stato etnicamente variegato, con notevoli risorse e buone possibilità di trarre vantaggio dalle nuove opportunità economiche. Ma a causa della sua ossessione per la concentrazione etnica, si ritrova oggi con un paese molto ridimensionato, un’ economia distrutta e presto anche un apparato militare azzerato. Una delle ragioni per le quali ora è tanto importante vincere il conflitto è assicurare che altri non commettano lo stesso errore in futuro. Questo è di per sé della massima importanza per assicurare che nel prossimo decennio e nel prossimo secolo vi siano minori difficoltà che in passato. Se la Nato dovesse fallire nel Kosovo, un dittatore che in futuro fosse minacciato di un intervento militare potrebbe non credere nella nostra risoluzione di dare attuazione alla minaccia. La fine di questo secolo vede emergere gli Usa come lo Stato di gran lunga più potente. Questo paese non sogna conquiste mondiali, né sta cercando di colonizzare terre. Gli americani sono fin troppo inclini a non vedere alcuna necessità di farsi coinvolgere negli affari del resto del mondo. Per i suoi alleati, la disponibilità dell’ America a farsi carico degli oneri e delle responsabilità inerenti al suo status di unica superpotenza è sempre motivo di sollievo e di gratificazione. Noi comprendiamo di non avere il diritto di dare per scontata questa disponibilità, e di dover contribuire a questo sforzo con il nostro impegno.
Da questa base ha preso le mosse una mia recente iniziativa, in accordo con il presidente francese Jacques Chirac, per migliorare l’ assetto difensivo dell’ Europa. Dobbiamo ora stabilire un nuovo quadro. La nostra esistenza in quanto Stati non è più minacciata. Oggi le nostre azioni sono guidate da una più sottile commistione tra i nostri propri e reciproci interessi e l’ intento di difendere i valori morali che ci stanno a cuore. In definitiva, i valori e gli interessi si fondono. Se possiamo stabilire e diffondere i valori della libertà, dello stato di diritto, dei diritti umani e di una società aperta, ciò corrisponde anche ai nostri interessi nazionali. La diffusione dei nostri valori ci garantisce una maggiore sicurezza. Come ebbe a dire John Kennedy, “la libertà è indivisibile. Se un solo uomo è schiavo, chi può dirsi libero?”. Il problema di politica estera più pressante è quello di identificare le circostanze nelle quali saremo attivamente coinvolti nei conflitti di altri popoli. La non interferenza è stata considerata a lungo un principio importante dell’ ordine internazionale. Non è un principio che si possa gettare a mare troppo facilmente. Uno Stato non può ritenersi in diritto di cambiare il sistema politico di un altro Stato, o di fomentare la sovversione, o di impossessarsi di parti di un territorio sul quale ritenga di avere dei diritti. Ma il principio della non interferenza deve essere qualificato per alcuni aspetti importanti. Atti di genocidio non possono mai costituire una questione puramente interna. Se uno stato di oppressione dà luogo a un flusso massiccio di profughi, tale da destabilizzare i paesi vicini, si può parlare a ragione di una “minaccia alla sicurezza internazionale”. Se un regime è dominato da una minoranza, perde la propria legittimità: si pensi al caso del Sudafrica. Se ci guardiamo intorno, nelle varie parti del mondo vediamo molti regimi antidemocratici, che commettono atti di barbarie. Se volessimo raddrizzare tutte le storture cui assistiamo nel mondo moderno, praticamente non potremmo più far altro che intervenire negli affari di altri paesi; e non saremmo in grado di far fronte a tutto. Quindi, come decidere quando e se intervenire? Io penso che dobbiamo attenerci a cinque principali considerazioni. Prima di tutto, siamo sicuri di ciò che sosteniamo? La guerra è uno strumento imperfetto per porre rimedio a drammi umani; ma le forze armate costituiscono a volte il solo mezzo per affrontare un dittatore. In secondo luogo, sono state esaurite tutte le possibilità della diplomazia? Dobbiamo sempre dare ogni opportunità alla pace, come abbiamo fatto in questo caso per il Kosovo. Terzo: a fronte di una valutazione pratica delle situazioni, quali operazioni militari possiamo intraprendere su basi di ragionevolezza e di prudenza? Quarto: siamo pronti al lungo termine? In passato abbiamo parlato troppo di strategie d’ uscita. Ma avendo preso un impegno, non possiamo semplicemente andarcene dopo la battaglia; meglio rimanere con una forza militare ridotta che dover tornare a ripetere azioni con un impegno militare maggiore. E infine, i nostri interessi nazionali sono coinvolti? L’ espulsione di massa della popolazione albanese dal Kosovo esigeva l’ attenzione del resto del mondo. Ma il fatto che ciò stia avvenendo in una parte così infiammabile del mondo modifica i termini del problema? Non intendo affermare che questi criteri debbano avere carattere assoluto; ma sono queste le questioni sulle quali dobbiamo riflettere al momento di decidere, in futuro, quando e se intervenire. Nuove regole potranno comunque essere funzionali soltanto quando avremo riformato le istituzioni internazionali che provvederanno alla loro applicazione. Se vogliamo un mondo fondato sul diritto e sulla cooperazione internazionale, dobbiamo sostenere l’ Onu come pilastro centrale. Ma è necessario trovare un modo nuovo per far funzionare l’ Onu e il Consiglio di Sicurezza, se non vogliamo tornare alla situazione di stallo che ha eroso l’ efficacia del Consiglio di Sicurezza durante la guerra fredda. Questo compito dovrà essere affrontato dai cinque membri permanenti del Consiglio una volta concluso il conflitto nel Kosovo. La Terza Via è un tentativo da parte dei governi di centro e di centro-sinistra di ridefinire un programma politico diverso rispetto alla vecchia sinistra come rispetto alla destra degli anni 80. Anche in campo politico, le idee si stanno globalizzando. Nella misura in cui i vari problemi – competitività, cambiamento tecnologico, criminalità, droga, crisi della famiglia – acquistano carattere globale, lo stesso deve avvenire per quanto riguarda la ricerca di soluzioni. Nelle mie conversazioni con i leader di altri paesi, non mi sono tanto sorpreso delle differenze quanto dei punti che abbiamo in comune. Ci troviamo tutti ad affrontare gli stessi problemi: come conseguire la prosperità in un mondo in rapida trasformazione economica e tecnologica, o la stabilità sociale, a fronte dei cambiamenti nella famiglia e nella comunità; il ruolo dei governi, in un’ era in cui abbiamo imparato che le cose funzionano male quando lo Stato è ipertrofico, ma ancora peggio quando è inesistente. La decisione più importante che dovremo affrontare nei prossimi due decenni è il rapporto della Gran Bretagna con l’ Europa. Per troppo tempo, l’ ambivalenza britannica nei confronti dell’ Ue ha reso irrilevante la nostra posizione in Europa, e di conseguenza ha sminuito la nostra importanza anche nei rapporti con gli Stati Uniti. Abbiamo finalmente sgombrato il campo da una falsa pregiudiziale: quella di dover scegliere tra due strade divergenti, vale a dire tra il rapporto transatlantico o l’ Europa. Per la prima volta da tre decenni, abbiamo un governo a un tempo europeista e filo-americano. Io credo fermamente che questo sia nell’ interesse della Gran Bretagna, ma anche in quello degli Usa e dell’ Europa.
Secondo alcuni giornali on line, da alcuni documenti segreti declassificati dal governo statunitense, sarebbero essere emerse delle prove che dimostrerebbero l’esistenza di ordigni nucleari progettati dalla Germania nazista. Ma cosa effettivamente è emerso dal report APO 696, si tratta di una una comunicazione postale a lunga distanza effettuata dalle truppe statunitensi presenti in Europa nel 1944 e Washington. Secondo questa comunicazione militare, inviata nell’ottobre 1944, archiviata nel 1947 e declassificata soltanto nel 2017, alcuni testimoni civili avrebbero avvistato un enorme esplosione, che oggi, col senno di poi, possiamo associare ad un esplosione nucleare. Ma a che punto era effettivamente il programma di armamento nucleare della Germania Nazista nel 1944?
Insieme al debunker Juanne Pili, abbiamo realizzato un video in cui spiegavamo cosa effettivamente è emerso dal report APO 696 e a che punto sono effettivamente le ricerche storiografiche legate al programma di armamento nucleare della Germania Nazista, vi lascio qui di seguito il video pubblicato sul suo canale youtube.
Per quanto riguarda le indagini storiografiche, queste, come spesso accade in ogni ricerca storiografica, sono attualmente in una situazione di stallo, letteralmente impantanate dalla carenza di dati e informazioni materiali, nel caso specifico di questa particolare ricerca, l’assenza di informazioni è dovuta principalmente a tre diversi fattori.
Distruzione dei documenti da parte dei nazisti durante la guerra
Distruzione dei documenti come conseguenza delle incursioni e bombardamenti degli alleati
Classificazione del materiale documentario recuperato dagli alleati
Durante la ritirata, nelle fasi finali della guerra (1944-1945), gli ufficiali della Wehrmacht e delle SS, si impegnarono affinché nessun documento del Reich cadesse nelle mani degli alleati, provvedendo alla sistematica distruzione di documenti. Ci sono numerose ragioni strategiche per cui venne adottata questa scelta e la trasformazione della guerra, in atto fin dalle campagne napoleoniche, in chi le informazioni rappresentano una delle armi più potenti nelle mani dei generali, rappresenta soltanto una delle infinite ragioni per cui, una qualsiasi forza armata impegnata in una ritirata strategica, proceda con la distruzione di ogni qualsiasi informazione.
I primi documenti ad essere distrutti sono quelli che possono permettere l’identificazione e localizzazione di eventuali altre basi militari, impianti di produzione o di ricerca più o meno segrete, e più o meno lontane, seguono i documenti contenenti informazioni sulla strategia della ritirata, sugli spostamenti, sui rifornimenti, rifugi, vie e piani di evacuazione ecc ecc ecc. E nel caso fortuito in cui qualche documento riuscì a sopravvivere alla distruzione sistematica operata dagli ufficiali del Reich, incendi, infiltrazioni d’acqua, crolli e macerie generati dai bombardamenti sull’Europa, contribuirono indirettamente alla distruzione del materiale informativo.
Poteva però capitare che, per svariati motivi, le truppe alleate, statunitensi o sovietici, riuscissero a prendere e liberare alcune basi militari prima che l’opera di distruzione fosse ultimata, riuscendo così a mettere le mani su importanti e preziose informazioni che, soprattutto per quanto riguarda il lato scientifico, potevano essere utilizzate dall’una o l’altra nazione per ottenere una posizione di vantaggio alla fine della guerra rispetto ai propri alleati, che si sapeva, non sarebbero rimasti tali per molto tempo dopo la fine della guerra. In questo senso l’esempio dei razzi V2 di Wernher von Braun, è perfetto per sostenere questa tesi.
Durante la conferenza di Jalta, i leader delle tre principali potenze alleate, Iosif Stalin, Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill, presero alcune importanti decisioni in merito alla futura organizzazione territoriale di Polonia e Germania, andando così a definire quelle che sarebbero poi divenute le sfere di influenza di Stati Uniti e Unione Sovietica. Nel dicembre del 1944 l’Unione Sovietica aveva individuato la posizione di un importante impianto di produzione di razzi V2, situata in un area che successivamente sarebbe stata consegnata all’influenza di Stati Uniti e Gran Bretagna, la scoperta spinse gli uomini dell’Armata Rossa a trasferire nel minor tempo possibile gran parte della documentazione, della strumentazione e dei prototipi presenti nell’impianto in un area dopo la guerra sarebbe rimasta sotto il controllo sovietico, e grazie a quella tecnologia, negli anni 50 l’unione sovietica avrebbe potuto avviare il proprio programma spaziale, avendo come punto di origine per i propri vettori aerospaziali, la base progettuale ed i prototipi dei V2 progettati da Wernher von Braun. Queste informazioni sono rimaste segrete per tutta la guerra fredda e pubblicate soltanto dopo la fine dell’unione sovietica, fornendo ai ricercatori attivi negli anni novanta, nuove e importanti informazioni su cui lavorare, sia per quanto riguarda gli anni della guerra fredda, sia per quanto riguarda la tecnologia nazista durante la seconda guerra mondiale.
Queste nuove informazioni, hanno finito inevitabilmente con l’alimentare numerose speculazioni teoriche in merito al livello di tecnologia effettivamente raggiunto dalla Germania Nazista, al punto che ancora oggi ci si continua a chiedere se effettivamente i nazisti avessero costruito armi nucleari, laser della morte, basi sotterranee in europa, nell’artico, in Antartide, e sulla luna. E molti non addetti ai lavori si chiedono, quanto del materiale che l’Unione Sovietica ha tenuto segreto per decenni sia stato effettivamente divulgato e quanto invece, per diverse ragioni, sia ancora protetto dal segreto militare.
Per quanto riguarda la ricerca storiografica sul nucleare nazista e tutte le ricerche in corso fanno largo uso di testimonianza orali, pervenute soprattutto attraverso la popolazione civile. Queste informazioni, per loro natura sono generalmente considerate indiziarie, poiché come è noto, la memoria umana può essere ingannata e alterata, contaminata da paure, pregiudizi e informazioni successive che permettono una rielaborazione postuma della memoria. Per queste ragioni la testimonianza, anche quella diretta, è presa in considerazione nel processo di indagine storiografica, e assume tanto più valore quanto quella testimonianza è condivisa e supportata da prove empiriche, quali possono essere ritrovamenti, documenti o altri testimoni che confermano quella data versione dei fatti.
In questo caso specifico le testimonianze giunte fino a noi sono molto variegate, e nella maggior parte dei casi raccolte e documentate soltanto a partire dal 1946, ovvero dopo la fine della guerra, ma cosa più importante, dopo gli episodi di Hiroshima e Nagasaki, la cui natura devastante e drammatica, ha finito inevitabilmente per imprimersi nella memoria collettiva dell’intera civiltà umana.
Tra le tante testimonianze più o meno attendibili alcune sembrano essere più interessanti di altre, come nel caso del corrispondente di guerra italiano Luigi Romersa, inviato in Germania nel 1944 per osservare e alcuni test balistici, e in questa occasione Romersa sembra abbia incontrato personalmente Wernher von Braun. Durante la sua visita racconta Romersa, gli fu permesso di assistere al test di un nuovo ordigno esplosivo, questo test avvenuto nell’ottobre del 1944 avrebbe avuto come effetto un esplosione che per portata ed effetto potrebbe essere associata ad un esplosione nucleare, nel racconto di Romersa figura anche il caratteristico fungo atomico. Questo test sembra essersi compiuto in una base di ricerca segreta situata su un imprecisata isola del mare del Nord.
La testimonianza di Romersa tuttavia presenta alcune lievi incongruenze, dalla location imprecisa, alla descrizione dell’esplosione, il suo racconto infatti viene fuori soltanto dopo gli episodi di Hiroshima e Nagasaki, e se bene l’esplosione da lui descritta ricordi un esplosione nucleare, alcuni dati riportati da Romersa non sembrano essere totalmente coerenti con gli effetti di un effettiva esplosione nucleare. Nella sua testimonianza è infatti presente il fungo atomico, ma le sue dimensioni sembrano essere fortemente contenute rispetto ai funghi atomici di Los Alamos, Hiroshima e Nagasaki. Potrebbe tuttavia trattarsi di un semplice errore di valutazione dovuto alla grande distanza e per questi motivi viene concesso a Romersa il beneficio del dubbio.
Se la sua testimonianza fosse reale, da qualche parte nel mare del nord, si troverebbe un certa concentrazione di radiazioni, coerente con l’esplosione di un ordigno nucleare avvenuta 70 anni fa, ma la distanza temporale potrebbe rendere particolarmente complicata la ricerca poiché la pioggia, le intemperie e il naturale decadimento, potrebbero aver completamente lavato via ogni traccia di eventuali radiazioni.
Cercare picchi di radiazioni lungo il mar baltico di conseguenza non è la strada più semplice per dimostrare l’effettivo stadio di avanzamento del programma nucleare nazista, un programma che sappiamo essere reale, e che avrebbe potuto nascondere anche un parallelo programma di armamento nucleare, almeno secondo uomini del calibro di Albert Einstein e altri scienziati europei fuggiti negli USA, i quali nell’agosto del 1939 scrissero una lettera indirizzata all’allora presidente USA, Franklin Delano Roosevelt, che avrebbe poi dato il via a quello che sarebbe diventato il Progetto Manhattan.
Il programma nucleare iniziato nel 39 sembra tuttavia essersi concluso nel 1941, quando il capo progetto Werner Karl Heisenberg, avrebbe rinunciato all’idea di produrre un ordigno nucleare, impegnando la propria equipe nella progettazione di un reattore nucleare dedito alla produzione energetica. Il reattore sperimentale di Heisenberg è stato individuato già nel 1945 e smantellato dalle forze militari di Stati Uniti e Gran Bretagna. Non mi dilungo oltre in questa direzione poiché queste informazioni sono ampiamente disponibili ed estremamente facili da reperire.
Come dicevamo, cercare picchi di radiazioni nel baltico è estremamente problematico, una ricerca più “semplice” e tradizionale, si lega al materiale documentario esistente, se effettivamente il Reich ha continuato le sue ricerche per la creazione di un arma nucleare dopo il 1941, qualcuno dovrà aver lavorato a quel progetto e da qualche parte, prima o poi, dovrà saltare fuori qualche documento.
Inoltre, si ipotizza un qualche collegamento tra un ipotetico programma nucleare ed il programma missilistico guidato dal già citato Wernher von Braun, che, in qualità di massimo esperto di ingegneria missilistica del Reich, è ipotizzabile che sarebbe stato coinvolto nella progettazione di un vettore a medio-lungo raggio in grado di trasportare un oggetto dal peso e la massa di un ordigno nucleare. Se si tiene in considerazione questa ipotesi è interessante osservare i risultati raggiunti dal suddetto von Broun negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni cinquanta e sessanta, quando, coinvolto nel programma spaziale statunitense, si impegno nella progettazione di nuovi vettori più potenti, questa volta in grado di raggiungere lo spazio e non “solo Londra”.
Le indagini per far chiarezza sull’effettivo stato del programma di armamento nucleare della Germania Nazista sono ancora in corso, al momento le uniche informazioni certe che si hanno, vedono un programma iniziato nel 1939 e abbandonato in favore di un programma energetico nel 1941. Parallelamente si hanno alcune testimonianze più o meno attendibili non supportate da alcun documento o prova empirica, e se mai qualcosa verrà fuori, sarà grazie all’accurata analisi di una documentazione estremamente limitata e le indagini sul campo degli archeologi del nazismo impegnati nella ricerca di tutte le strutture, basi e bunker che i nazisti seminarono in tutto il Reich.
Sono passati già quasi dieci anni dalla conclusione dei restauri che hanno gettato nuova luce sulla magnifica Cappelli degli Scrovegni, a Padova, uno degli esempi più lampanti della maestria e della modernità di Giotto. I lavori, che hanno richiesto l’intervento di un team variegato composto da tecnici, storici dell’arte e restauratori e i servizi necessari forniti da ditte specializzate in opere edili e noleggio di ponteggi, cominciarono nel luglio 2001 e vennero conclusi ufficialmente nel novembre 2002, con il Convegno Internazionale di studi tenutosi a Padova.
Grazie al compimento del programma di restauro, finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ai visitatori del nuovo millennio è stata data la possibilità di ammirare gli affreschi giotteschi in tutto il loro originario splendore, e di scoprire anche alcuni particolari significativi che il tempo aveva nascosto, ma che sono essenziali per capire la grandezza di un’artista quale Giotto è stato. Uno degli esempi più noti, in questo senso, riguarda le lacrime, visibili dopo il restauro, che rigano il viso delle madri raffigurate nella sezione dedicata alla strage degli innocenti, ma potremmo citare anche i tre specchietti che adornano l’aureola del Cristo Giudice, un artificio tecnico-scientifico più che artistico:
grazie a questa trovata, il 25 marzo, anniversario della consacrazione della Cappella alla Vergine Annunciata, la luce che entra dalla finestra e si staglia sul Cristo viene riflessa e illumina a sua volta l’immagine di Enrico Scrovegni, ossia il committente dell’opera.
Ma l’importanza del restauro non sta solo in queste chicche che è riuscito a portare alla luce, sta anche e soprattutto nell’essere riuscito a mettere l’accento sull’uso del colore e della tecnica del “marmorino” effettuato da Giotto nella decorazione della cappella. Non bisogna sottovalutare, inoltre, che i lavori di ristrutturazione si sono resi necessari non solo per il restauro del manufatto in sé, ma anche per rallentare il processo di deterioramento dell’opera. I lavori hanno dunque previsto, oltre che il restauro degli affreschi, lo studio di interventi di adeguamento dell’ambiente e di conservazione
dell’edificio, quali la messa in opera di controvetrate schermanti e la sostituzione delle lampade ad incandescenza, senza dimenticare l’innovazione maggiore, ossia la messa in opera del Corpo tecnologico attrezzato, un sistema di protezione studiato per impedire agli inquinanti gassosi di penetrare nella cappella e la cui installazione ha preceduto i lavori di restauro veri e propri.
Solo dopo la verifica dell’efficacia del Corpo tecnologico attrezzato è stato infatti possibile procedere con il montaggio di ponteggi e cominciare dunque gli interventi conservativi d’urgenza (consolidamento dell’intonaco e della pellicola pittorica) e i lavori volti ad attenuare le disomogeneità cromatiche che erano venute a crearsi in seguito ai precedenti lavori di restauro portati a termine alla fine dell’Ottocento e, più di recente, agli inizi degli anni Sessanta. Il restauro è stato inoltre accompagnato dalla creazione di una pagina web dedicata, dalla creazione di una banca dati sulla Cappella e il suo restauro e da una documentazione digitale, in modo da dare a tutti una possibilità di approfondimento per comprendere la portata e le finalità degli interventi di restauro.
Un’opera dettagliata e sfaccettata, dunque, quella che ha portato al compimento dei lavori di restauro della Cappella Scrovegni, un’opera che ha dato – e che darà ancora a lungo – la possibilità ai numerosi visitatori di godere dei colori e dei particolari riscoperti di un innegabile
capolavoro.
La questione delle stragi delle Foibe e il “silenzio della politica italiana di quegli anni” , da qualche anno è diventato un elemento centrale nel dibattito pubblico che viene ad originarsi sul web durante alcune manifestazioni della memoria, volte a non dimenticare, i crimini di guerra compiuti durante la seconda guerra mondiale. Il tema delle Foibe è spesso utilizzato in modo improprio, estraendo quegli avvenimenti dal contesto storico in cui si verificarono, mi riferisco al silenzio politico oltre che ovviamente alle stragi.
Possiamo sintetizzare il tutto in questa breve frase, dietro l’insabbiamento degli eccidi delle foibe, si celano profonde ragioni di stato e politiche, legate al principio di reciprocità. Più espressamente, procedere nel dopoguerra con i processi a carico die criminali di guerra Jugoslavi, avrebbe implicato processi analoghi contro criminali di guerra italiani (responsabili di crimini in Jugoslavia) tra cui anche nomi illustri, come Gabriele D’annunzio.
La neonata repubblica Italiana, che stava godendo in quel momento dell’immagine di “brava gente vittima del fascismo e di Mussolini” non poteva e non voleva rischiare di rivangare il proprio passato, di ammettere una complicità estesa, soprattutto nelle periferie coloniali, con il regime. Per cui, la dove possibile, bisognava insabbiare.
Ripulire le mani degli italiani però non è l’unica ragione, vedremo infatti che vi era in sentito timore che lo scontro giuridico ed i processi politici avrebbero potuto prolungare il conflitto ben oltre la sua fase di belligeranza armata, e per l’Italia che giocava un ruolo strategico nel Mediterraneo per effetto di un nuovo ordinamento mondiale che andava delineandosi, era di vitale importanza, mantenere il più possibile rapporti “pacifici” con i vicini Jugoslavi, il cui collocamento geopolitico era ancora incerto.
Tante ragioni quindi, politiche, strategiche, storiche, riassumibili nel concetto di “ragion di stato” spinsero la classe politica dell’epoca ad insabbiare tutto.
Ho avuto la possibilità, qualche anno fa, di recuperare un vecchio “intervento” di Giulio Andreotti, risalente al febbraio 2007, un intervento che segue di 3 anni l’istituzione della giornata della memoria per le vittime delle foibe e che, in un modo o nell’altro, ci dice tanto.
Integrerò la dichiarazione di Andreotti con alcune spiegazioni, estratte dai miei appunti inerenti un ciclo di lezioni all’Università di Pisa risalente al 2016, in modo da rendere il più chiaro possibile cosa accadde sul piano politico nell’Italia a ridosso della seconda guerra mondiale e l’inizio dell’età repubblicana, tra il 1945 ed il 1948.
“Credo sia mio dovere intervenire perché questa espressione di riferimento ad un lungo silenzio può essere equivoca. Ho vissuto quel periodo e quindi lo conosco direttamente e vorrei dire perché noi abbiamo coscientemente evitato di fare di quell’argomento un motivo che dividesse.”
L’intervento di Andreotti è una risposta all’intervento dell’allora presidente del Senato Franco Marini sulla questione delle Foibe, in cui Andreotti spiega perché all’epoca (nell’immediato dopoguerra) l’argomento fu a suo dire “coscientemente evitato“. Andreotti ricordiamo che, prima di essere un politico di lunga data, protagonista quasi indiscusso della prima repubblica, fu uno dei più giovani membri dell’Assemblea Costituente, uno dei pochi a dire il vero a non avere un passato politico tra le fila del Fascismo.
“Certamente eravamo ispirati da due fattori: innanzitutto, non doveva essere un motivo di polemica interna, perché i Comunisti Italiani non c’entravano niente”
Credo le sue parole siano fin troppo chiare, e non diano molto spazio ad interpretazioni, eravamo in un momento , nel 45, di grande fermento politico, una fase di transizione storica a cavallo tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda, le prime tensioni tra le due superpotenze vincitrici della guerra iniziavano a manifestarsi in maniera concreta e apertamente dichiarata, e di conseguenza iniziavano anche le prime pressioni internazionali per limitare l’azione politica dei gruppi e partiti più vicini all’una o l’altra parte, in particolare si cercava di arginare, nel mondo occidentale e in Italia, quelle formazioni in qualche modo vicine all’unione sovietica, era quindi impossibile affrontare un tema che riguardasse un paese comunista come la Jugoslavia, senza che le sue responsabilità ricadessero di riflesso sui comunisti italiani, che però, come osserva e ricorda lo stesso Andreotti, non c’entravano nulla.
“in secondo luogo vi era un dovere di cercare quanto più possibile di instaurare con un Paese vicino, con il quale vi era stato più di un motivo di grandissimo contrasto, un clima di comprensione che guardasse al futuro e non al passato.”
In questo passaggio Andreotti fa un tacito riferimento alla “clausola di reciprocità”, un cavillo giuridico utilizzato dall’Italia nell’immediato dopoguerra per prendere le distanze dai crimini del nazismo, e “proteggere” gli italiani da un destino analogo a quello dei condannati a Norimberga.
Sono anni in cui il dibattito internazionale sui crimini di guerra e contro l’umanità è particolarmente acceso, e allo stesso tempo oscuro, non ci sono in quel momento organi di diritto internazionale universalmente riconosciuti, non c’è la Corte di Giustizia Internazionale o la Corte Penale internazionale, e il tribunale speciale di Norimberga, nel suo tentativo di fare giustizia si è presto trasformato in un tribunale dei vincitori sui vinti, che fece venir meno uno dei principi fondamentali del diritto, ovvero la non retroattività di un crimine. Passaggio che però fu necessario vista la brutalità senza precedenti dei crimini nazisti.
A livello giuridico un tale operato fu necessario per punire quelli che erano i crimini, più che evidenti, compiuti dal regime Nazista, che de facto, nell’ordinamento giuridico dell’epoca tecnicamente non erano crimini, poiché compiutisi in modalità e portata totalmente nuova e non prevista da nessun codice nazionale o internazionali. Inoltre, nella Germania Nazista, e successivamente nell’Italia Fascista, tutto ciò era legale.
In quel meccanismo criminale, messo in atto dai regimi Nazi-fascisti, furono coinvolti numerosi ufficiali militari e leader politici italiani, tra cui molti “eroi del fascismo” che in seguito avrebbero voltato le spalle al fascismo e supportato Pietro Badoglio, tra cui lo stesso Badoglio, che in Africa aveva compiuto quelli che dopo Norimberga potevano essere definiti crimini di guerra e contro l’umanità, e lo stesso valeva per molti degli italiani che avevano occupato e amministrato l’area balcanica durante la guerra.
Con la fine della guerra iniziano a diffondersi in tutti i paesi coinvolti, numerose liste di “criminali di guerra”, la Francia prepara la lista dei criminali stranieri attivi in Francia, così come avrebbe fatto la Germania, la Russia, la Polonia, l’Italia e la Jugoslavia.
La maggior parte dei nomi presenti in quelle liste erano ufficiali tedeschi, ma nelle liste non c’erano solo loro, c’erano in realtà molti italiani, ma non mancarono accuse nei confronti di francesi, jugoslavi, britannici, statunitensi, russi ecc.
Alcuni nomi erano presenti in diverse liste, e per semplicità e convenienza politica, si decise di condividere quelle liste, ordinare i criminali per nazionalità e procedere caso per caso, nazione per nazione, attraverso tribunali nazionali che avrebbero avuto il compito di giudicare e punire i propri criminali di guerra, in altri termini l’Italia avrebbe dovuto giudicare e punire i criminali italiani, la Francia i francesi, la Jugoslavia i jugoslavi ecc, ed è proprio qui che entra in gioco la sopracitata “clausola di reciprocità”, prevista dai codici militare, in particolare quello italiano e che permetteva all’Italia di processare i propri criminali di guerra a condizione che i criminali accusati dall’Italia, fossero a loro volta processati, di conseguenza se in Jugoslavia non fossero stati avviati dei processi, l’Italia non avrebbe processato i propri criminali, e viceversa, perché la Jugoslavia processasse i propri criminali, chi aveva commesso crimini in Jugoslavia doveva essere processato.
Tuttavia, Italia, Francia e Jugoslavia in primis che vedevano tra i propri criminali numerosi nomi legati alla politica post bellica, volevano evitare di andare a processo e questo cavillo era esattamente ciò di cui avevano bisogno tutti, poiché avrebbe garantito un’importante scappatoia, in particolare all’Italia e alla Jugoslavia.
La maggior parte dei criminali jugoslavi erano coinvolti direttamente nel neonato governo di Tito, e Tito non avrebbe mai smantellato la nuova classe dirigente del neonato stato di Jugoslavia “solo” per obbligare l’Italia a processare i propri criminali di guerra. E lo stesso valeva per l’Italia.
“Ritengo quindi che il silenzio sia stato più che giusto e che siano state molto opportune le parole dette. Ognuno, del resto, ha la propria opinione e guai se dovessimo avere tutti la stessa! Dal momento che l’ho vissuto, però so che la grande maggioranza degli italiani di quelle zone riteneva di dover guardare verso il futuro e non creare dei solchi che aggravassero ulteriormente la situazione”
L’ultima parte dell’intervento di Andreotti si riferisce alla crescente tensione tra l’Italia e la Jugoslavia nell’immediato dopoguerra, sulla questione del territorio Istriano, di Trieste e parte dell’odierno Friuli, poiché queste regioni che l’Italia rivendicava, durante la guerra furono “liberati” dall’occupazione nazi-fascista, dalle milizie di Tito prima dell’arrivo degli alleati, e di conseguenza alla fine della guerra la Jugoslavia di Tito rivendicò il proprio controllo su quell’area territoriale, che l’Italia aveva occupato alla fine della prima guerra mondiale.
Entrambe le parti volevano quelle regioni e come è facile intuire, ne scaturì una profonda crisi diplomatica che avrebbe sottoposto quelle aree (soprattutto Trieste) ad un controllo internazionale.
In Italia, che aveva partecipato a due guerre mondiali per assicurarsi il controllo di quelle regioni, c’era una profonda volontà politica di mantenere l’unità nazionale e riportare sotto il controllo italiano almeno una parte dei territori controllati da Tito a partire dal 1943 e alla fine, solo una parte di essi tornò effettivamente all’Italia, dopo quasi un decennio di controllo internazionale dell’area di Trieste, terminato nel 1954.
La mancata Norimberga italiana
Il mancato processo dei criminali “comunisti” che massacrarono oltre 300.000 italiani tra i mondi del carso, del Friuli e della Dalmazia, attraverso gli eccidi delle Foibe, fu un atto politico, largamente voluto dalla politica italiana del secondo dopoguerra. Una politica che antepose le ragioni di stato alla giustizia.
L’Italia avrebbe potuto fare pressioni e richieste alla Jugoslavia affinché avviasse dei processi contro i responsabili degli eccidi, ma non lo fece, anzi, scelse apertamente di non farlo, per tante ragioni, la prima di queste riducibile nella volontà di proteggere se stessa e l’Italia.
Quanto alle vittime delle foibe e gli eccidi stessi, questi furono un crimine d’odio raziale e intolleranza, imperdonabile, che si fondò sulla generalizzazione e che venne oscurato per quella stessa ragione. Per i criminali di guerra Jugoslavi, gli Italiani occupanti erano tutti criminali nazifascisti, complice di quel regime che per vent’anni, in quelle regioni, aveva sottratto terre agli indigeni rastrellato, stuprato, massacrato e umiliato la popolazione locale, in nome della superiorità dell’Italia Fascista. E quella rabbia, quel risentimento, quel desiderio di vendetta, si abbatté su tutti, colpevoli e innocenti, ed è questo ciò che va ricordato, perché quei crimini vanno condannati per ciò che furono. Rappresaglie generalizzate contro gli Italiani, non perché Italiani, ma perché gli Italiani fino a quel momento erano stati Fascisti.
Omettere questa parte della vicenda, significa fingere che gli Italiani da un giorno all’altro, dismisero le camice nere e diventarono tutti brava gente, significa passare una mano di spugna su 20 anni di crimini compiuti in Italia e fuori dall’Italia, e fingere che non sia mai successo.
Le vittime delle Foibe non erano tutti criminali fascisti, e anche se lo fossero stati, non meritavano di essere massacrati in modo così brutale e disumano, ciò che meritavano, tutti, era un processo che giudicasse e punisse i criminali Italiani e Jugoslavi, e assolvesse gli innocenti, ma quel processo, come abbiamo visto, non c’è stato e anzi, è stato volutamente insabbiato, da Italia e Jugoslavia, per ragioni di stato. E a tale proposito, possiamo dire che quell’insabbiamento fu forse la prima (e non unica) “porcheria” commessa dall’Italia repubblicana in nome delle ragioni di stato.
Il consenso delle masse popolari fu fondamentale per l’ascesa al potere di Ottaviano, che grazie al ad esse e all’appoggio del senato, poté governare e fino a trasformare in maniera profonda e radicale la struttura amministrativa e istituzionale di Roma. Esse furono determinanti nella trasformazione del culto di Iside, da culto proibito a culto prima tollerato e poi addirittura ufficialmente praticato dall’imperatore Vespasiano, e in tempi più recenti, le masse popolari si sarebbero dimostrate estremamente significative per l’affermazione di movimenti come il Nazional Socialismo, che avrebbe portato alla presa di potere di Adolf Hitler in Germania.
Determinare e capire qual è il ruolo storico delle masse popolari rappresenta una delle grandi problematiche della storiografia contemporanea, di forte ispirazione marxista, ed è al contempo, una tematica di estrema attualità.
Secondo il marxismo ortodosso, le masse popolari hanno un ruolo centrale nel determinare le grandi correnti ed i grandi eventi della storia, esse sono presentate come uno dei motori più potenti della storia, se non addirittura, il solo, vero cuore pulsante della storia, esse sono anonime, senza volto ne nome, ma costituiscono la base da cui i grandi protagonisti della storia hanno potuto elevarsi e ricoprire il posto di rilievo per cui sono divenuti noti. In quest’ottica la storia non è determinata dalle azioni di pochi grandi uomini, ma dall’operato e dal lavoro di milioni di uomini che nell’ombra hanno permesso a quei pochi uomini di essere ricordati.
Napoleone non sarebbe Napoleone senza gli eserciti al suo seguito, senza i soldati pronti a morire per quegli ideali, Colombo non avrebbe scoperto le Americhe senza il suo equipaggio, e così per Hitler, Lienin, Washington, Cromwell, Garibaldi, Ottaviano, Carlo V, il Saladino ecc ecc ecc.
Questa visione storiografica come dicevamo è di forte ispirazione marxista, e sarà centrale nel dibattito pubblico e accademico soprattutto negli anni successivi alla seconda guerra mondiale e per tutti gli anni cinquanta e sessanta, e in larga misura almeno fino ai primi anni novanta.
Ma prima di Marx, le masse popolari, cosa come erano viste dagli storici e che ruolo avevano nella storia?
Per lungo tempo, almeno fino alla seconda metà del diciottesimo secolo, le masse popolari erano considerate in maniera estremamente marginale e quasi insignificante sul piano storico e storiografico. Tutto questo però, inizia a cambiare con l’illuminismo e con l’affermazione della classe borghese, qui Marx potrebbe storcere il naso di fronte a queste mie parole, e pure, se le masse popolari, operaie e contadine, da un certo momento in poi, hanno potuto assumere una propria identità di fronte alla storia, questo è proprio grazie all’affermazione della classe operaia, la cui pretesa di attenzioni dalla società tradizionale, ed il desiderio di penetrare in quel mondo elitario, fino ad allora territorio esclusivo della nobiltà, ha portato ad uno stravolgimento degli equilibri tale da permettere anche alle masse popolari di entrare in quella storia di cui erano sempre state parte, come attori silenziosi, celati nell’ombra dei grandi avvenimenti, e in questa analogia con il teatro, le masse popolari possono essere percepite come l’esercito invisibile di tecnici, truccatori, costumisti ecc ecc ecc che anonimi si muovono dietro le quinte, permettendo allo spettacolo di andare avanti.
Gli ideali illuministici avrebbero portato all’affermazione dell’individuo e all’indipendenza delle colonie americane dal dominio britannico, creando così uno stato libero dal’antico dominio nobiliare, costruito e guidato per la prima volta nella storia da una leadership totalmente borghese; uno stato, dove la ricchezza ed il potere non erano predeterminati dalla nascita, ma frutto di lavoro, di volontà, e capacità (e anche un po dalla fortuna) dei singoli individui. Insomma, una nazione in cui un taglia-gole e un contrabbandiere potevano sedere al tavolo con gli uomini più potenti della nazione, senza che questi li guardassero con disprezzo. Qualcosa di analogo era già avvenuto a Roma, dove la grande mobilità sociale avrebbe permesso al nipote di un esattore, di accedere alle più alte vette politiche, fino a diventare Re, Console e Imperatore.
All’indipendenza americana avrebbe fatto seguito in europa, con qualche decennio di distanza, la rivoluzione francese e con essa l’avvento di Napoleone Bonaparte, che potremmo definire come l’uomo in grado di incarnare gli ideali rivoluzionari, e soprattutto l’uomo in grado di esportare, su larga scala, quegli stessi ideali. Napoleone avrà fama e fortuna in tutta europa e a suon di battaglie combattute dal Popolo per i Popoli, potrà mettere in ginocchio l’aristocrazia tradizionale, almeno fino al momento della sua sconfitta. Ma la sconfitta di Napoleone non significa e non può significare un ritorno al passato, i suoi contemporanei sono consapevoli che il mondo era cambiato, troppi anni erano passati tra il 1789 ed il 1814 affinché si potesse tornare al passato senza conseguenze, in quegli anni del sangue era stato versato per la libertà e per l’uguaglianza, figli non divennero mai padri, e madri videro cadere i propri figli per quel sogno di libertà; i nobili non potevano più governare mossi dai propri capricci, devono ascoltare o almeno provare ad ascoltare il popolo, un popolo che non avrebbe esitato un solo istante a scendere nuovamente in piazza e impugnare le armi contro i propri sovrani, e così sarebbe stato 1820, 1830 e in fine nel 1848.
Il 1848 è il momento decisivo, è lì che si sarebbe compiuta la magia, la rivoluzione del 48 rappresenta l’affermazione definitiva della volontà popolare sulla nobiltà, e non è un caso se il 12 Febbraio del 48 a Londra sarebbe stato pubblicato il manifesto del partito comunista. I moti del 48 esplodono più o meno nello stesso periodo e si espandono rapidamente in tutta europa, ma al di la della nazione e dei popoli in piazza, la richiesta, anzi, la pretesa è sempre la stessa, i popoli d’europa chiedono un parlamento eletto a suffragio universale ed una carta costituzionale scritta dal parlamento e non concessa dal sovrano. Queste richieste rappresenteranno l’ultimo chiodo sulla bara dell’antico regime, che da oltre 50 anni, tenta in vano di sopravvivere.
Da qui in avanti le masse popolari avranno la capacità, conquistata nelle piazze e con le armi, di nominare e deporre sovrani, di stabilire l’entrata o l’uscita da una guerra, si pensi in questo senso alla Russia, le cui rivoluzioni del 1917 sono forse il punto più alto del potere politico determinato dalla volontà popolare, e ancora, si pensi all’ascesa al potere di Hitler o la deposizione del Re d’Italia e la conseguente nascita della Repubblica italiana.
Il 1945 e con esso la fine della seconda guerra mondiale segnano una temporanea interruzione, almeno nel mondo occidentale, di questa sorta di età dell’oro delle masse popolari. I crimini commessi in Europa dal Nazismo (e non solo), producono un drastico cambiamento di rotta. Si afferma a livello politico l’idea che la volontà popolare da sola non è in grado di governare un popolo, poiché da sola, ha permesso ad Hitler di governare in Germania, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe comportato, gli storici di stampo liberale vedono nei fascismi europei e nell’unione sovietica il fallimento del potere popolare, sottolineando i limiti delle sue capacità di giudizio. Ci si rende conto che le masse popolari, soprattutto le plebi rurali, contadini e operai, possono essere facilmente plagiate e manipolate, fino al punto in cui queste arriveranno a credere ad ogni sorta di bufala propagandistica raccontata loro dal manipolatore di turno. Contemporaneamente i pilastri della terra iniziano a radicarsi nelle roccaforti economiche e finanziarie del pianeta, così, il lungo diciannovesimo secolo, iniziato con l’indipendenza americana e l’affermazione della borghesia sull’aristocrazia, si conclude con la seconda guerra mondiale, donando alla civiltà occidentale, una nuova aristocrazia dal “sangue verde”, figlia dell’indipendenza americana e il cui potere è legittimato da un nuovo dio denaro.
Lo spostamento del potere dalle masse popolari alla nuova borghesia capitalistica, è un processo in corso fin dalla rivoluzione americana, ma dopo la seconda guerra mondiale, e soprattutto con il fallimento dell’esperienza del socialismo reale nell’Unione Sovietica, subirà un accelerazione tale da trascinare in poco più di un decennio, il mondo intero (o meglio, gran parte parte del mondo) in un ottica capitalistica.
Il potere, soprattutto in europa è andato progressivamente rifugiandosi in meccanismi e istituzioni sovranazionali, delegando sempre di più e sempre più spesso, le scelte per il proprio futuro. Così, all’alba del terzo millennio, tra guerre, calamità naturali e crisi economiche, come forze reazionarie spinte da un’apparente perdita di potere decisionale, ritornano degli echi del Volksgeist, lo spirito del popolo, e lentamente le masse, aiutate dal web, tornano in piazza, ma a differenza del passato, le piazze del terzo millennio sono virtuali, in cui tutto è più rapido, tutto è più immediato, e la manipolazione più efficace. Qui, i nuovi Hitler più semplicemente che in passato, possono creare i propri squadroni, militanti, pronti a rivendicare, per se stessi e in nome del popolo, un posto centrale nel determinare l’evoluzione storica del mondo, nascono così sempre nuovi e più numerosi movimenti popolari di fede ipernazionalista e individualista, camuffati da movimenti collettivi e sociali. Questi movimenti rivendicano il benessere e la dignità dell’uomo, e si ripropongono di creare equità sociale, ottenendo facili consensi, ma paradossalmente, per raggiungere i propri fini, sistematicamente negano, nelle loro stesse intenzioni, benessere, dignità ed equità sociale, a minoranze etniche e religiose.
E così, in quei movimenti, le cui parole offuscata ed ubriacano le menti dei popoli, risorgono gli ideali che negli anni più oscuri del novecento, avevano portato alla sistematica distruzione di vite umane, dimenticando troppo facilmente i crimini del Nazismo furono anche i crimini del popolo tedesco, oltre che di tutti i popoli europei del mondo, ma soprattutto, per citare la Hannah Arendt, furono i crimini della stupidità umana, una stupidità che oggi come allora è molto diffusa, una stupidità che deriva dall’incapacità di vedersi realmente nei panni dell’altro.
I nostri antenati hanno peccato di superficialità, permettendo e la loro più grande colpa è quella di essersi opposti al nazismo, ma anzi, di averlo sostenuto e appoggiato, nonostante i suoi programmi ed i suoi piani, furono ampiamente esposti e largamente condivisi per molto tempo, prima che la guerra iniziasse per ragioni unicamente politiche.
Il consenso popolare ha permesso ad Hitler, Napoleone, Ottaviano e molti altri, di governare indisturbati (o quasi) mentre privavano di significato le istituzioni repubblicane. Il popolo li sosteneva perché in grado di proteggere il proprio popolo, la propria nazione, da ogni interferenza esterna, e mentre si presentavano al popolo come baluardi della nazione, se ne impossessavano, creando degli imperi e instaurando monarchie o dittature.
Il nostro mondo e il nostro tempo sono avvolti da quelle stesse tenebre che settant’anni fa distruggevano l’europa, non con le bombe, non con gli aerei, ma con le idee, e se allora l’europa perdeva la propri umanità trasformando gli uomini in numeri, oggi come allora, si costruiscono muri ideologici, culturali e fisici, nati per dividere gli uomini dagli altri, quelli che noi non siamo, quei muri portano il mondo occidentale a voltarsi dall’altra parte quando un uomo, uno degli altri, non è più un uomo ma un clandestino, e può morire in mare, in un tunnel o in un furgone, muore di fame perché ha perso il suo lavoro o una bomba ha distrutto la sua casa.
Quei muri privano gli uomini della propria dignità di essere umano, e distruggono ancora una volta il potere del popolo, concentrandolo nelle mani di opportunisti e manipolatori, pronti a costruire sulle macerie della nostra civiltà in crisi.
La storia ci ha insegnato l’estremizzazione di movimenti popolari e nazionalistici può portare ad una sola inevitabile conclusione, la fine di ogni ordinamento repubblicano e democratico, e la concentrazione di poteri straordinari nelle mani di un singolo uomo, sia esso Ottaviano, Cromwell, Napoleone, Hitler, Stalin, Putin o Trump.
Il cesaricidio, ovvero l’assassinio di Gaio Giulio Cesare da parte di Bruto e altri cospiratori, avvenuta alle idi di marzo del 44 a.c. (15 marzo 44 a.c.), segna l’inizio dell’ascesa politica di Gaio Giulio Cesare Ottaviano, ma procediamo con ordine.
Dopo la morte di Cesare, Marco Emilio Lepido e Marco Antonio stringono un’alleanza militare volta ad eliminare i cesaricidi, al tempo Lepido, già pretore nel 49 e governatore di spagna dal 48 al 47, si trovava a Roma con il suo esercito, un esercito che dopo le riforme dell’ordinamento militare di Gaio Mario era diventato un esercito mercenario, professionista, stipendiato e fedele prima al proprio comandante (ma soprattutto a chi versava loro il soldum) e poi a Roma. La presenza a Roma di Lepido ed il suo esercito lo poneva in una situazione di vantaggio rispetto ai cesaricidi, e grazie all’alleanza con Marco Antonio, già luogotenente di Cesare e suo erede militare, ottenne la carica di Pontifex Maximus (pontefice Massimo), precedentemente ricoperta da Cesare, si trattava della più alta carica religiosa e conferiva a chi la ricopriva, il pieno controllo del diritto romano, impegnandolo nella regolazione dei fasti, nel redigere annualmente la tabula dealbata e gli annales pontificum.
L’alleanza tra Lepido e Marco Antonio era percepita dal senato come una minaccia all’ordine repubblicano, forse persino più grande della minaccia precedentemente rappresentata da Cesare, in quanto Marco Antonio puntava a costituire a Roma una monarchia di stampo orientale, progetto dovuto al suo forte legame con l’oriente, in particolare con l’Egitto di Cleopatra. Per frenare questo progetto monarchico e limitare il potere dei due, il senato doveva trovare il modo di privare Marco Antonio del proprio esercito, esercito che aveva “ereditato” da Cesare. Decisero quindi di portare in italia Gaio Giulio Cesare Ottaviano, erede materiale del tesoro di Cesare, in possesso quindi dell’oro necessario per pagare i soldati di Marco Antonio, consapevoli che, la sua presenza in italia avrebbe fatto vacillare la fedeltà dell’esercito nei confronti di Antonio.
Gli astuti membri del senato erano certi di poter controllare il giovane Ottaviano e di riuscire ad utilizzarlo come strumento per ripristinare l’ordine repubblicano, e conseguentemente dell’autorità e i privilegi del senato, ma Ottaviano si sarebbe rivelato molto più astuto del previsto e soprattutto, molto più difficile da controllare.
Ottaviano si sarebbe alleato inizialmente con il senato contro Marco Antonio e Lepido, successivamente si stipulò un accordato privato con i due cesariani, durante un incontro organizzato da Lepido, che si proponeva come mediatore tra i due eredi di Cesare. L’incontro sarebbe avvenuto nei pressi della colonia romana di Bononina (Bologna). Da questo incontro sarebbe nato il secondo triumvirato della storia romana, ma, a differenza del primo triumvirato tra Cesare, Pompeo e Crasso, questo triumvirato non sarebbe rimasto a lungo un accordo privato, e il 27 novembre del 43 a.c. con la Lex Titia, il patto fu ufficializzato ed istituzionalizzato, ottenendo valore legale, nominando i membri Triumviri Rei Publicae Constituendae Consulari Potestate (Triumviri per la Costituzione della Repubblica con Potere Consolare, abbreviato come “III VIR RPC“) e sarebbero rimasti in carica per una durata di cinque anni.
Prima che venisse varata la Lex Titia, il senato vide nell’accordo tra Ottaviano, Antonio e Lepido, un rischio per la repubblica, mobilitando di conseguenza i consoli Irzio e Penza contro gli eredi di Cesare. Ne seguì una dura battaglia che si sarebbe conclusa con il trionfo di Ottaviano e Marco Antonio, ed il successo militare avrebbe portato alla ratifica della Lex Titia.
Il ruolo “privilegiato” degli eredi di Cesare agli occhi dei soldati e della popolazione, unita al carisma di Ottaviano e Marco Antonio, avrebbe rapidamente messo in secondo piano la figura di Lepido, e durante la battaglia di Filippi, Ottaviano e Marco Antonio avrebbero marciato alla testa dei propri uomini, contro gli ultimi cesaricidi rifugiatisi in Grecia, mentre Lepido fu lasciato in Italia. Dopo la Battaglia di Filippi, il triumvirato fu rinnovato per altri 5 anni, secondo i nuovi accordi presi a tra Ottaviano e Antonio a Brindisi nel 40.a.c. e suggellati dal matrimonio tra Marco Antonio e Ottavia minore, sorella di Ottaviano. La nuova divisione territoriale lasciava a Lepido il governo dell’Africa, Antonio invece rinunciava alla Gallia per ottenere il pieno controllo sull’Oriente e Ottaviano manteneva il controllo dell’Illirico estendendo il proprio potere all’intero Occidente.
Tra il 39 ed il 36 Ottaviano si sarebbe scontrato in Sicilia contro Sesto Pompeo, durante la guerra avrebbe chiesto l’aiuto di Lepido che però lo avrebbe tradito accordandosi con Pompeo. La poca fedeltà di Lepido nei confronti di Ottaviano, gli sarebbe costata la fiducia dell’esercito che lo avrebbe abbandonato, costringendolo ad implorare il perdono di Ottaviano prima di uscire definitivamente dalla scena politica romana e ritirarsi a vita privata al Circeo dove sarebbe rimasto fino alla morte nel 12 a.c.
L’uscita di Lepido dalla scena politica segna la fine del triumvirato formale del triumvirato che si comporrà d’ora in avanti di soli due membri, sempre più in conflitto tra loro a causa della divisione territoriale ed i successi militare contro pirati illirici e parti. Antonio ormai relegato in Egitto avrebbe sposato la regina Cleopatra, ripudiando la moglie romana (sorella di Ottaviano) e abbandonando progressivamente le tradizioni ed i costumi romani per adottare quelli orientali, e quando Antonio deciderà di lasciare in eredità ai figli di Cleopatra, i territori orientali di Roma, provocherà l’ira del senato che, appoggiato da Ottaviano, entrerà in guerra contro l’Egitto.
La guerra di Egitto si conclude nel 31 a.C. con la battaglia di Azio dove Ottaviano riuscì a sconfiggere le truppe di Marco Antonio. In seguito alla sconfitta di Azio, Cleopatra ed Antonio si toglieranno la vita e l’oriente sarebbe passato nelle mani di Ottaviano che avrebbe trasformato l’Egitto in provincia romana, privandolo così dell’autonomia di cui aveva goduto fino a quel momento ed unificando tutti i possedimenti romani sotto il suo controllo.
Ottaviano si ritrova quindi ad essere il padrone assoluto dello stato romano, anche se formalmente roma è ancora una repubblica e ufficialmente Ottaviano non aveva ricevuto alcuna investitura, ma poté governare al sicuro, poiché e la sua vittoria contro Marco Antonio, fu interpretata come una vittoria dell’Italia e della romanità, sull’oriente.
Negli anni che seguirono alla vittoria di Azio, Ottaviano ricevette dal senato numerose onorificenze e privilegi, lasciando però intatta la natura repubblicana di roma. In fine, come già accaduto a Cesare prima di lui, gli fu offerta la dittatura a vita, ma Ottaviano a differenza di cesare rifiutò tale investitura, mostrando al popolo romano di agire in rispetto della Repubblica e non in funzione di un potere personale.
Il 16 gennaio del 27 a.c. Ottaviano restituì formalmente al senato del popolo romano i poteri straordinari che aveva ottenuto durante la guerra contro Marco Antonio, ricevendo in cambio il titolo di console, che doveva essere rinnovato annualmente ed aveva una potestas con maggiore auctoritas rispetto agli altri magistrati (consoli e proconsoli) che gli garantiva il diritto di veto in tutti i territori di Roma e che non lo assoggettava ad alcun veto da parte di qualunque altro magistrato. Ricevette anche l’imperium proconsolaris sulle province “imperiali” ovvero le province in cui era necessario un comando militare, ottenendo di fatto il comando di tutto l’esercito romano, l’imperium proconsolaris aveva durata decennale e sarebbe stato rinnovato nel 19 a.c. In fine, ma non meno importante, ottenne il titolo di Augusto “degno di venerazione e di onore“, che avrebbe sancito la sua posizione sacra, fondata sul consensus universorum di Senato e popolo romano. Gli fu inoltre concesso di utilizzare il titolo di Princeps“primo cittadino” e gli fu garantito il diritto di condurre trattative con chiunque volesse, e il diritto di dichiarare guerra o stipulare trattati di pace con qualunque popolo straniero.
La concentrazione di tutti questi poteri e privilegi nelle mani di Ottaviano Augusto segna, secondo la storiografia, la fine dell’età Repubblicana e l’inizio dell’Impero Augusteo, facendo di Ottaviano il primo Imperatore della storia romana, anche se, va detto che per molto tempo gli storici non si sono riferiti ad Ottaviano ed i suoi successori con il titolo di Imperatore, ma utilizzando il termine Augustus. Sottolineando la natura ancora una volta innovatrice di roma, il cui sistema politico era formalmente una monarchia, ma di fatto, non lo era ancora.
Il braccio di ferro giuridico tra la Donald Trump e la corte suprema, più politico che giuridico, sulla legalità di alcune decisioni presidenziali non è certo priva di precedenti. Sono numerosi i casi in cui giudici federali sono intervenuti per bloccare l’iniziativa presidenziale i cui ordini esecutivi e decreti erano in contrasto, più o meno aperto, con la costituzione.
Non sorprende quindi che l’ordine esecutivo per l’espulsione e il divieto di ammissione di alcune minoranze religiose, per motivi di sicurezza nazionale, abbia scatenato la risposta di alcuni giudici federali, secondo i quali quell’ordine andava in conflitto con diverse parti della costituzione, in particolare con il primo emendamento, nel quale si stabilisce che l’america è una nazione laica, in cui è possibile professare liberamente ogni culto religioso.
Tra le ragioni del presidente però una legge sull’immigrazione del 1954 in cui si stabilisce che il presidente può limitare l’immigrazione impedendo l’accesso al paese qualora un determinato gruppo di immigrati, possa rappresentare un pericolo per la nazione, secondo i giudici federali tuttavia, questa legge non garantirebbe una libera uscita al presidente poiché in un successivo emendamento questa stabilisce che la limitazione non può avvenire per ragioni etniche, religiose, ecc, aggiungendo inoltre che, le ragioni prese in considerazione dal presidente per attuare l’espulsione ed impedire l’accesso, sono puramente frutto di un suo pensiero personale, prive di alcuna prova empirica o scientifica.
Secondo i giudici federali inoltre, ne il presidente, ne il congresso, hanno l’autorità politica per legiferare in materia religiosa, in quanto, secondo il primo emendamento, gli stati uniti d’america sono una nazione laica, e priva di una religione di stato, definire “minoranza” una o l’altra religiosa, significa de facto stabilire una gerarchia religiosa, al cui vertice vi è un culto di stato, non ufficializzato, e questo sarebbe in contrasto con il primo emendamento della costituzione.
In questo lungo braccio di ferro politico più che giuridico, tra il presidente Donald Trump e i giudici federali, il presidente ha rivendicato l’autorità presidenziale garantitagli dallo spoils system, per far pulizia ai vertici del sistema giuridico statunitense, nominando Neil Gorsuch, un giudice conservatore vicino all’ideologia presidenziale di Trump, nuovo giudice della corte suprema.
Questa decisione rappresenta a tutti gli effetti un intromissione politica nel sistema giuridico, il cui compito dovrebbe essere quello di garantire la giustizia e l’equità per ogni uomo sul suolo americano, indipendentemente dal suo status sociale, dal suo lavoro, dalla sua fede religiosa e politica e soprattutto dalla sua posizione, sia esso un immigrato o il presidente degli USA, la legge dovrebbe essere uguale per tutti, ma Trump non sembra essere di questa idea.
Secondo il presidente e il nuovo giudice Gorsuch, uno straniero in terra straniera non gode di alcun diritto civile, sociale e politico. Su questo punto la cancelliera tedesca Angela Merkel ha ricordato al presidente Trump che gli USA hanno firmato la convenzione di Ginevra, ed è compito della nazione ospitare rifugiati politici da zone di guerra, e quindi, quei rifugiati godono dei diritti civili riconosciuti loro dalla convenzione di Ginevra, e secondo alcuni giudici federali anche dalla costituzione.
Trump dal canto suo invoca ancora una volta l’autorità presidenziale, che in tempo di guerra, permette al presidente di scavalcare la legge e la costituzione al fine di salvaguardare la nazione, invocando poteri straordinari che autorizzerebbero la presidenza a prendere decisioni in campi che normalmente non sarebbero di sua competenza. In queste dichiarazioni si può leggere tra le righe un agghiacciante e drammatica svolta autoritaria del presidente eletto, mostrando una strada oscura e su un terreno spinoso. La nomina di un giudice della corte suprema a lui favorevole, cosa che rientra nei suoi poteri ordinari, potrebbe essere vista dalla magistratura come un attacco al sistema giuridico da parte del presidente, e del suo sconfinamento in campi fuori dalla sua autorità, con il conseguente avvio di una procedura di impeachment.
Usiamo i cookie per ottimizzare la tua navigazione. Se sei d'accordo, continua. Altrimenti, puoi scegliere di non accettarli.AcceptRead More
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
In ottemperanza degli obblighi derivanti dalla normativa nazionale (D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali, e successive modifiche) e europea (Regolamento europeo per la protezione dei dati personali n. 679/2016, GDPR), il presente sito rispetta e tutela la riservatezza dei visitatori e degli utenti, ponendo in essere ogni sforzo possibile e proporzionato per non ledere i diritti degli utenti.
Il presente sito non pubblica annunci pubblicitari, non usa dati a fini di invio di pubblicità, però fa uso di servizi di terze parti al fine di migliorare l'utilizzo del sito, terze parti che potrebbero raccogliere dati degli utenti e poi usarli per inviare annunci pubblicitari personalizzati su altri siti. Tuttavia il presente sito pone in essere ogni sforzo possibile per tutelare la privacy degli utenti e minimizzare la raccolta dei dati personali. Ad esempio, il sito usa in alcuni casi video di YouTube, i quali sono impostati in modo da non inviare cookie (e quindi non raccogliere dati) fino a quando l'utente non avvia il video. Potete osservare, infatti, che al posto del video c'è solo un segnaposto (placeholder). Il sito usa anche plugin sociali per semplificare la condivisione degli articoli sui social network. Tali plugin sono configurati in modo che inviino cookie (e quindi eventualmente raccolgano dati) solo dopo che l'utente ha cliccato sul plugin.
Cookie
Se lasci un commento sul nostro sito, puoi scegliere di salvare il tuo nome, indirizzo email e sito web nei cookie. Sono usati per la tua comodità in modo che tu non debba inserire nuovamente i tuoi dati quando lasci un altro commento. Questi cookie dureranno per un anno.
Se visiti la pagina di login, verrà impostato un cookie temporaneo per determinare se il tuo browser accetta i cookie. Questo cookie non contiene dati personali e viene eliminato quando chiudi il browser.
Quando effettui l'accesso, verranno impostati diversi cookie per salvare le tue informazioni di accesso e le tue opzioni di visualizzazione dello schermo. I cookie di accesso durano due giorni mentre i cookie per le opzioni dello schermo durano un anno. Se selezioni "Ricordami", il tuo accesso persisterà per due settimane. Se esci dal tuo account, i cookie di accesso verranno rimossi.
Se modifichi o pubblichi un articolo, un cookie aggiuntivo verrà salvato nel tuo browser. Questo cookie non include dati personali, ma indica semplicemente l'ID dell'articolo appena modificato. Scade dopo 1 giorno.
Contenuto incorporato da altri siti web
Gli articoli su questo sito possono includere contenuti incorporati (ad esempio video, immagini, articoli, ecc.). I contenuti incorporati da altri siti web si comportano esattamente allo stesso modo come se il visitatore avesse visitato l'altro sito web.
Questi siti web possono raccogliere dati su di te, usare cookie, integrare ulteriori tracciamenti di terze parti e monitorare l'interazione con essi, incluso il tracciamento della tua interazione con il contenuto incorporato se hai un account e sei connesso a quei siti web.
Per quanto tempo conserviamo i tuoi dati
Se lasci un commento, il commento e i relativi metadati vengono conservati a tempo indeterminato. È così che possiamo riconoscere e approvare automaticamente eventuali commenti successivi invece di tenerli in una coda di moderazione.
Per gli utenti che si registrano sul nostro sito web (se presenti), memorizziamo anche le informazioni personali che forniscono nel loro profilo utente. Tutti gli utenti possono vedere, modificare o eliminare le loro informazioni personali in qualsiasi momento (eccetto il loro nome utente che non possono cambiare). Gli amministratori del sito web possono anche vedere e modificare queste informazioni.
Quali diritti hai sui tuoi dati
Se hai un account su questo sito, o hai lasciato commenti, puoi richiedere di ricevere un file esportato dal sito con i dati personali che abbiamo su di te, compresi i dati che ci hai fornito. Puoi anche richiedere che cancelliamo tutti i dati personali che ti riguardano. Questo non include i dati che siamo obbligati a conservare per scopi amministrativi, legali o di sicurezza.
Dove i tuoi dati sono inviati
I commenti dei visitatori possono essere controllati attraverso un servizio di rilevamento automatico dello spam.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.