Auto elettriche: a inizio 1900 erano più diffuse di quelle a benzina?

Ma, è vero che all’inizio 900, nelle strade c’erano più auto elettriche che auto a benzina?

Mi è capitato spesso di leggere la pittoresca storia secondo cui, le auto elettriche a inizio 900 erano più diffuse di quelle con motore a combustione interna, ma vennero sostituite per volontà delle avide lobby del petrolio.

La verità storica è molto diversa da così, e se da un lato è vero che ad un certo momento le auto a benzina sostituirono quelle elettriche, dall’altro le motivazioni sono profondamente diverse.

La prime automobili

Le prime automobili, intese come mezzi di trasporto, alimentate da un “motore” e non trainate da animali, risalgono alla seconda metà del diciottesimo secolo, in piena rivoluzione industriale.

Sono gli anni in cui il mondo scopre la potenza del vapore e l’ingegnere francese Nicolas Cugnot, progetta il “carro di Cugnot”.

Il brevetto del carro Cugnot risale al 1769, si tratta di un carro alimentato da un motore a vapore. Sostanzialmente c’è una fornace in cui viene bruciata legna o carbone, che fa bollire dell’acqua producendo vapore, che, in pressione, produce energia meccanica con cui si alimentano le ruote.

La potenza del motore a vapore è qualcosa di straordinario, forse addirittura eccessiva per il carro a vapore, e non c’è da sorprendersi se nel 1783, appena 14 anni dopo, viene brevettato il primo battello a vapore e in fine, nel 1803 abbiamo la prima locomotiva.

Tra XVIII e XIX secolo, vengono realizzate diversi veicoli a vapore, ma, esclusi treni e battelli, hanno prevalentemente una funzione dimostrativa.

Le cose iniziano a cambiare nella seconda metà del XIX secolo, quando Thomas Rickett, nel 1858, progettò un veicolo a vapore per utilizzo commerciale, si tratta della prima vera auto a vapore in grado di essere utilizzata sulle strade delle città, con una velocità massima di 30km orari.

Da quel che sappiamo, la carrozza Rickett, nonostante le ambizioni del suo inventore, non riuscì ad affermarsi e sebbene fosse sul mercato, non ci risulta che siano mai stare vendute molte vetture.

Carrozza a vapore di Thomas Rickett, 1860 (1956). Rickett, un fabbricante di attrezzi agricoli di Birmingham, costruì un aratro a vapore nel 1858. Questo spinse il Marchese di Stafford a chiedergli di costruirgli una carrozza a vapore. Un secondo esemplare fu ordinato da James Sinclair, Conte di Caithness (uno dei passeggeri nella fotografia) nel 1860. Sinclair guidò la carrozza per 146 miglia da Inverness al Castello di Barrogill, a nord di Wick. Rickett pubblicizzò le sue carrozze sulla rivista The Engineer a un prezzo di 180-200 sterline, ma si ritiene che non ne siano state ordinate altre. Una stampa tratta da Things, un volume sull’origine e la storia antica di molte cose, comuni e meno comuni, essenziali e non essenziali, pubblicato da Readers Union, The Grosvenor Press, Londra, 1956.

Al di la della fortuna della carrozza Rickett, dagli anni 60 dell’ottocento in poi, abbiamo una sporadica apparizione di auto a vapore, realizzati da diversi produttori europei e nord americani, che nel 1883 riusciranno a raggiungere una velocità massima di 42 km/h.

Le auto elettriche

Tra Cugnot e Rickett, si inserisce l’inventore scozzese Robert Anderson, che tra il 1833 ed il 1839 lavorò ad una carrozza elettrica, il cui primo prototipo è datato 1835, tuttavia, questo veicolo era in grado di percorrere solo pochi metri. Nel 1865 però, dalla Francia arrivano nuovi accumulatori di energia elettriche, batterie.

Le nuove batterie sono una svolta epocale e nel 1867, all’esposizione universale di Parigi, l’inventore Gaston Planté espone quella che è considerata la prima auto elettrica della storia.

I successivi miglioramenti alle batterie, porteranno le auto elettriche a raggiungere nel 1885 un autonomia di circa 30 km e una velocità massima di 35Km/h.

Motori a combustione interna

Come abbiamo visto, tra anni 30 e 80 dell’ottocento, lo scontro è tra auto a vapore ed elettriche, le auto con motore a combustione interna non esistono ancora, e questo è dovuto al fatto che il motore a combustione interna, non esiste ancorta.

Il primo motore a combustione interna della storia è il Barsetti-Matteucci, che venne ultimato nel 1957 ed esibito durante l’Esposizione Nazionale di Firenze del 1861. Nel 1861 in Francia, Alphonse Beau de Rochas, progetta invece il primo motore a gas della storia, anche questo un motore a combustione interna.

I primi motori a combustione interna non sono particolarmente efficienti, ma sono molto promettenti, e iniziano a minacciare il monopolio industriale del vapore (l’energia elettrica è prodotta con impianti a vapore).

Le prime auto a “benzina”

Negli anni 80 dell’ottocento la tecnologia dei motori a combustione è ormai nota, si tratta di una realtà diffusa e affermata, ma il mondo delle automobili è ancora dominato dal “vapore”.

Tutto però cambia nel 1885 quando l’ingegnere tedesco Karl Benz progetta quella che è annoverata come la prima automobile con motore a combustione interna, la Benz Patent-Motorwagen.

Questa nuova tipologia di automobile unisce i “vantaggi” delle auto elettriche e delle auto a vapore, ha un solo “difetto” di progettazione, che sarebbe stato corretto nei modelli successivi. La prima auto infatti non ha un “serbatoio” di carburante, limitando la sua autonomia al carburante presente nel motore.

Problema non osservato dal suo inventore, ma riscontrato da sua moglie, Bertha Benz, quando, durante un viaggio dimostrativo, di circa 100km (l’autonomia stimata partendo a motore pieno, circa 1 Litro), a seguito di alcuni inconvenienti e problemi, si ritrovò senza carburante nei pressi di Wiesloch.

Il problema tuttavia fu immediatamente risolto, Bertha si recò alla farmacia cittadina, acquistò della Ligroina, un solvente derivato dal petrolio, molto diffuso all’epoca, lo versò nel motore e ripartì.

Il viaggio di Bertha fu un incubo, un susseguirsi di incidenti, problemi, guasti, ma alla fine, riuscì a raggiungere la destinazione.

Le auto del nuovo secolo

All’inizio del novecento, su carta, abbiamo auto elettriche, a vapore e a combustione interna.

Molti oggi sostengono che, a inizio 900 le auto elettriche fossero più diffuse delle auto a benzina, sostenendo che in alcuni casi si contendessero il 50% circa del mercato. in realtà le quote di mercato, stando ai dati dei tre principali produttori di automobili del 1900, è molto diversa.

Sappiamo che, tra il 1890 ed il 1906, negli USA erano state immatricolate poco più di 30.000 automobili, circa 33.000 per essere precisi, nel biennio successivo il numero di automobili, tra elettriche, vapore e benzina, raggiunge le 90.000 unità in tutti gli USA, e nel solo 1910, vengono immatricolate negli USA oltre 190.000 automobili.

Quanto ai dati di produzione, sappiamo che le varie società produttrici di automobili a vapore, iniziano a produrre sempre meno, società come Stanley Brothers passa da circa 1000 auto all’anno nel 1900, l’anno di maggiore produzione, a 575 nel 1910.

Sappiamo che produttori di auto elettriche invece registrano un aumento della produzione, Detroit Electric Car, fondata nel 1907, passa da 900 veicoli del 1909 a 1250 del 1910. Producendo in tutto circa 13.000 auto elettriche tra il 1907 ed il 1939 (anno in cui cessò la produzione).

In fine le auto a benzina, il principale produttore mondiale è Ford, che passa da una media di 1600 auto nel 1904, a produrne oltre 10000 nel 1907 (anno di fondazione di Detroit Electric) e chiuderà il decennio con la produzione di circa 32.000 auto nel solo 1910.

Quando è avvenuto il sorpasso tra benzina ed elettrico, se è avvenuto un sorpasso?

Come abbiamo visto, nel 1910 le auto con motore a combustione interna sono decine di volte di più rispetto allea auto elettriche, ma già nel 1900, la produzione di auto a “benzina” era maggiore rispetto alle auto elettriche. Viene allora da chiedersi quando e se è avvenuto un “sorpasso” tra le due tecnologie.

Il sorpasso è effettivamente avvenuto, per una questione puramente anagrafica, le auto elettriche esistevano da circa 20 anni, quando è stata inventata la prima auto a benzina, tuttavia, il fatto che esistessero, non significa che fossero diffuse.

La diffusione di mezzi a “motore” (che fosse elettrico, a benzina, o a vapore) inizia nell’ultimo decennio del secolo, fino agli anni 90 dell’ottocento, le “automobili” erano considerate un alternativa “futuristica” alla tradizionale carrozza a cavallo.

Le auto elettriche, erano poco pratiche, con poca autonomia, e richiedevano enormi costi di manutenzione, le auto a vapore esistevano, ma il vapore era considerato troppo potente per delle automobili, e i motori a vapore sono relegati inizialmente al settore industriale. Poi ci sono le auto a benzina, potenti quasi come quelle a vapore, ma più versatili e soprattutto, compatte quasi come le auto elettriche. Inoltre, a differenza delle altre due, i costi di manutenzione erano molto più “contenuti”.

Questi più altri fattori permisero ai motori a combustione interna di rendere le automobili un prodotto a buon mercato, e nel momento in cui diventano un prodotto a buon mercato la loro diffusione è esponenziale.

Nel 1885 le auto elettriche erano più numerose delle auto a benzina, fondamentalmente perché nel 1985 esisteva un unica auto a benzina, le auto elettriche poche migliaia in tutto il mondo. Quindici anni più tardi, le auto elettriche sono ancora nell’ordine delle poche migliaia in tutto il mondo, le auto a benzina, soprattutto con la rivoluzione di Ford, diventano decine di migliaia.

Chat GPT e LLama hanno superato il Test di Turing? No, ancora nessuna IA ha superato il Test di Turing (Aggiornato ad aprile 2025)

Secondo uno studio pubblicato su arXiv, ChatGPT e Llama3.1-405B avrebbero superato il test di Turing. Ma è davvero così? LA risposta semplice è no, anche perché, contrariamente a quanto riferito dai ricercatori, quello eseguito non è il test di Turing e non ci vengono forniti dati a sufficienza per capire se effettivamente il test è stato superato o meno.

Per i più volenterosi, l’articolo è stato pubblicato da Cameron R.Jones e Benjamin K.Bergen, entrambi ricercatori al dipartimento di scienze cognitive dell’università di San Diego, e per chi volesse recuperare l’articolo integrale, vi lascio qui il link (è pubblico)

Visto che da circa 15 anni, periodicamente inizia a circolare la notizia che una IA ha superato il test di Turing, ma poi, andando a vedere, non è proprio così, e semplicemente qualcuno ha male interpretato alcuni dati, autoconvincendosi che l’IA di turno avrebbe potuto superarlo, senza però mai fornire alcun dato sul test, e senza spiegare chi, come, dove, quando, ecc ha eseguito il test, (tra l’altro fornendo dei punteggi e percentuale di successo che non hanno alcun senso), ho deciso di scrivere un articolo che aggiornerò periodicamente, in cui andrò a spiegare cos’è il test di Turing, come funziona, e perché quello che ci viene spacciato per “test di Turing” in realtà non è il test di Turing.

Alan Turing e il suo esperimento teorico

Alan Turing è stato un matematico britannico, da molti considerato uno dei padri dell’informatica modera, mosso da alcune idee radicali, molto all’avanguardia per il suo tempo, è grazie al suo genio, è riuscito negli anni 40, grazie ad una macchina e ad alcune intuizioni, a bucare i codici Nazisti e superare Enigma. Ma questa è un altra storia.

Ciò che importa è che, dopo la guerra, gran parte del lavoro di Turing e del team di Bletchley Park venne “insabbiato” e messo sottochiave almeno fino ai primi anni 2000, inoltre Turing, per via della sua omosessualità, che nell’Regno Unito dell’epoca era illegale, venne sottoposto a castrazione chimica, cosa che ebbe diversi effetti collaterali sulla sua salute e gli causò una forte depressione.

Negli anni 50 sostanzialmente Turing era un autentico eroe di guerra, completamente sconosciuto al popolo britannico, abbandonato dallo stato e per lo più perseguitato per il suo orientamento sessuale e le sue idee, e quando dico perseguitato, intendo dire che era tenuto sotto strettissima osservazione perché sostanzialmente era un civile in possesso di segreti militai, di grandissimo valore.

In questo contesto Turing, nel 1950, cinque anni dopo la fine della guerra e quattro anni prima che si togliesse la vita, pubblica un articolo sulla rivista Mind, intitolato “Computing Machinery and Intelligence” in cui esponeva un esperimento teorico chiamato “The imitation game” con cui cerca di capire quanto una macchina riesce ad imitare il pensiero.

Col tempo il gioco dell’imitazione, è stato ribattezzato in Turing Test/Test di Turing, e si è diffusa l’idea che tale test cercasse di rispondere alla domanda “le macchine possono pensare?” In realtà, basta aprire l’articolo e nel primo paragrafo scopriamo che Turing non si chiede se “le macchine possono pensare” ma propone una domanda più precisa e meno ambigua.

A questo punto Turing propone una nuova formulazione spiegando qual è l’obbiettivo del suo test. Si tratta in sostanza di un indagine statistica che prevede la ripetizione di un gioco di deduzione per 2*X volte, durante il primo ciclo di gioco ci saranno tre giocatori umani, durante il secondo ciclo invece, uno dei giocatori, con un ruolo ben preciso, sarà sostituito da una macchina.

Cerchiamo allora di capire come funziona il Test di Turing, e quando possiamo dire che una “macchina” ha superato il test di Turing, e soprattutto, se possiamo effettivamente dire che una macchina ha superato il test di Turing.

Come funziona il Test di Turing

Abbiamo tre giocatori, un uomo A, una donna B e un interrogatore C che può essere di entrambi i sessi. L’obbiettivo di C sarà quello di determinare chi tra i due è l’uomo e chi la donna, l’obbiettivo di A sarà quello di far sbagliare C mentre l’obbiettivo di B sarà quello di aiutare C.

Per ridurre al minimo le interferenze e far sì che le deduzioni di C si basino esclusivamente sulle risposte ricevute, durante il gioco C non avrà contatti diretti con A e B, e riceverà le risposte alle sue domande in forma scritta.

C potrà porre domande sia ad A che a B e potrà ripetere le stesse domande tutte le volte che vorrà. A e B invece, potranno sia dire la verità che mentire.

A questo punto può iniziare l’imitation game.

L’interrogatore C ripeterà il gioco diverse volte, con vari A e B, ed i risultati ottenuti verranno registrati, in modo da avere una media delle volte che ha risolto correttamente il gioco, e le volte che è stato ingannato. Dopo un certo numero di tentativi tuttavia, A verrà sostituito da una macchina, e il gioco continuerà, l’interrogatore farà anche in questo caso diversi tentativi e verranno registrate le volte in ha risolto il gioco e le volte in cui è stato ingannato.

Nell’articolo Turing si chiede “Cosa accadrà quando una macchina prenderà la parte di A in questo gioco? Sostituendo all’Uomo una macchina, l’interrogatore, sarà tratto in inganno tante volte come quando al gioco partecipavano un uomo e una donna?

Come abbiamo già detto, test di Turing, altro non è che un indagine statistica, in cui compariamo i risultati dell’interrogatore ottenuti giocando contro un umano e contro una macchina, aiutato in entrambi i casi da una donna umana.

Come si supera il Test di Turing?

Molto spesso, quando leggiamo articolo in cui ci dicono che una data IA ha superato il test di Turing, in realtà, ci stanno dicendo che l’interrogatore non è riuscito a determinare chi fosse l’Uomo e chi la Donna. Ma questo dato, da solo, senza uno storico di tentativi, dei successi e fallimenti, registrati da quello stesso interrogatore, non vale assolutamente nulla. E anzi, ha la stessa rilevanza di una partita ad Akinator/20Questions, o Indovina chi, anche perché in effetti il gioco alla base dell’imitation game c’è proprio “20 questions”, letteralmente un gioco di deduzione per bambini riadattato e rielaborato.

Purtroppo però, spesso è sufficiente che l’IA riesca ad ingannare l’interrogatore, affinché ci venga detto che l’IA in questione ha “superato” il test di Turing.

ChatGPT ha superato il test di Turing?

Ora che sappiamo come funziona il test possiamo entrare nel merito dell’articolo di Cameron R.Jones e Benjamin K.Bergen, e capire se effettivamente ChatGPT e LLama hanno superato il test di Turing.

E già qui bisogna fare la prima distinzione. Secondo quanto riportato dai media, Chat GPT 4.5 è riuscito ad “ingannare” l’esaminatore, nel 73% dei casi, in sessioni da 5 minuti mentre Llama 3.1-405B ci è riuscita nel 56% dei casi.

Questi risultati sono sicuramente interessanti, ma non significano nulla, perché come abbiamo visto, non è importante quante volte l’IA riesce ad ingannare l’esaminatore, e quel dato ha senso solo se affiancato da altri dati, come ad esempio la percentuale di successo e fallimento, registrata da quegli stessi esaminatori nell’individuare l’Uomo e la Donna, e non solo l’IA.

I primi dati “utili” ci vengono forniti a pagina 5 dell’articolo e mostrano la percentuale di successo di diversi modelli IA e ci viene detto che una percentuale di successo nell’ingannare l’esaminatore, superiore al 50% porta sostanzialmente al superamento del test di turing.

Ma come abbiamo visto, non è così che funziona il test di Turing.

Nell’articolo ci vengono forniti molti altri dati, informazioni sulle domande, sui modelli linguistici esaminati, sui prompt utilizzati per la configurazione delle diverse IA affinché questa si comportassero come umani, e non fraintendetemi, sono tutti dati estremamente interessanti e sicuramente utilissimi per molte ragioni, ma che non ci dicono assolutamente nulla sul test di Turing. Di seguito un esempio di prompt utilizzato per “istruire” l’IA.

Come abbiamo visto, il test di Turing, si divide in due fasi, ma in questo articolo, non ci parlano della fase 1, e i ricercatori hanno eseguito solo la fase due. Il problema è che la fase 1 del test di Turing è fondamentale per la sua corretta esecuzione.

Nella prima fase, come abbiamo già visto, l’esaminatore “gioca” con degli umani, un uomo e una donna, l’uomo prova ad ingannarlo mentre la donna prova ad aiutarlo, e l’esaminatore deve individuare l’uomo. Questa fase serve per determinare un valore di riferimento che riguarda la percentuale di successo dell’esaminatore. Solo una volta ottenuto questo dato, è possibile sostituire l’uomo con l’IA mentre la donna che dovrà aiutarlo rimarrà un umana.

A questo punto, si esegue una nuova serie di test, tante partite quante ne sono state “giocate” contro umani, e si compareranno i dati finali.

Se la percentuale di successo contro l’IA, con un certo margine d’errore, vicina alla percentuale di successo registrata contro giocatori Umani, allora, e solo allora, il test può dirsi superato.

In questo articolo tuttavia, questa comparazione manca totalmente. Non vi è alcun riferimento a test comparazioni e test in cui sono stati coinvolti tre “giocatori” umani. L’unico dato effettivo che ci viene fornito da questo articolo è la percentuale di “successo” registrata dall’esaminatore contro l’IA. Un dato che, come abbiamo già detto innumerevoli volte, nell’ottica del test di Turing, non vuol dire assolutamente nulla.

Conclusione

L’articolo di Jones e Bergen è sicuramente molto interessante, ma a differenza di quanto riportato dai media, non ci dice che ChatGPT e LLama hanno superato il test di Turing, e con i dati che vengono forniti non è possibile determinarlo.

È un po’ come se un vostro amico vi invitasse a cena da lui dicendo che sa preparare uno dei piatti di Cannavacciuolo e che non riuscireste a sentire la differenza tra il suo piatto e quello di Cannavacciuolo, vi fa assaggiare la sua versione del piatto, ma voi non avete mai mangiato da Cannavacciuolo, non sapete che sapore ha il piatto originale.

Come fate a dire se il piatto del vostro amico è uguale o diverso da quello di Cannavacciuolo? Semplicemente non potete.

Fonti

Per chi fosse interessato vi lascio di seguito l’articolo originale di Alan Turing del 1950, sono solo 22 pagine, ma il funzionamento e gli obbiettivi del test sono sostanzialmente spiegati nelle prime 3 pagine. E l’articolo di Jones e Bergen

Computing machinery and intelliogence By A. M. Turing
ChatGPT-4 in the Turing Test: A Critical Analysis

Trump è un idiota secondo sua madre – FALSO

Negli ultimi giorni mi è capitato sott’occhio, più di post in cui si mostrava una foto di famiglia di Donald Trump, più precisamente lui da giovane insieme a sua madre, accompagnato da questa frase.

Yes, he’s an idiot with zero common sense and no social skills, but he is my son. I just hope he never goes into politics, He’d be a disaster”

-Mary Anne Trump.

Ecco un esempio del post condiviso su X (ex Twitter)

Secondo questi post dunque, la madre di Donald Trump lo avrebbe definito un idiota senza senso sociale, e con una straordinaria lungimiranza, si augurava che non il figlio non intraprendesse la via della politica perché sarebbe stato un disastro, ma era pur sempre suo figlio.

Ma, quanto c’è di vero?

Cominciamo col dire che, la madre di Donald Trump è scomparsa nel 2000, circa 16 anni prima del debutto politico di Donald Trump durante il suo primo mandato e 24 anni prima dell’inizio del suo secondo mandato. Per quanto riguarda questa attribuzione invece, secondo quanto riportato da Snopes, le prime apparizioni risalirebbero al 2019, sul finire del primo mandato di Trump con la campagna elettorale alle porte, ed diventata particolarmente virale nel 2020, durante la pandemia, usata spesso per attaccare e colpire l’allora presidente uscente, e le sue bizzarre dichiarazioni in materia di Covid, Vaccini e Candeggina.

Da dove arriva la foto di Trump e sua madre

La foto che spesso accompagna il post, più precisamente la foto mostrata Donald Trump e sua Madre nel ritaglio di giornale in cui è riportata la frase attribuita a Mary Ann Trump, è apparsa in rete, per la prima volta, in un articolo del New Yorker, storico giornale newyorkese per il quale ha scritto anche Hannah Arendt, datato 24 giugno 2016.

Si tratta di un articolo uscito nel periodo in cui Trump iniziò ad attaccare ferocemente l’immigrazione, e accusò l’allora presidente uscente Barack Obama di non essere americano, perché suo padre era un immigrato, salvo poi scoprire che la nonna materna di Obama era di sangue Cheyenne. In quell’articolo si parlava di Mary Ann Trump, e delle sue origini non statunitensi, di fatto la donna era un immigrata, e il primo “Trump” nato con la cittadinanza statunitense, grazie al primo emendamento della costituzione che riconosce la cittadinanza americana a tutti i nati su suolo americano, è stato proprio Donald. Ma il fatto che Trump voglia abolire lo Ius Soli, che gli ha permesso di essere cittadino e poi presidente USA, è un altra storia.

Da dove arriva la foto?

Tornando alla foto e all’attribuzione. In quell’articolo, non c’è menzione delle scarse capacità sociali di Donald, per quanto riguarda la foto invece, questa è attribuita a Marina Garnier /Holdings, Inc. Via Getty, e purtroppo non si hanno altre informazioni, ma, a giudicare dall’aspetto di Donald Trump in quella foto, è presumibile che sia stata scattata all’incirca tra anni 80 e 90, periodo in cui Donald Trump, con le sue apparizioni televisive, ha iniziato a costruire e consolidare il Brand Donald Trump e la sua immagine pubblica. In quegli anni si è parlato molto di Trump sui vari media, in particolare sulla stampa, e, per quanto una parte considerevole di quel materiale non sia stato digitalizzato e non è attualmente reperibile in rete, è improbabile che sia completamente sparito, e anzi, se fosse esistito, sarebbe sicuramente saltato fuori nel 2016, durante la prima corsa di Trump alla Bianca.

Nei propri articoli Snopes riconosce che non è stata trovata alcune fonte che potesse confermare l’attribuzione, di conseguenza, è quasi certo sia un falso , tuttavia, non esclude al 100% la possibilità che da qualche parte, in qualche archivio giornalistico dimenticato, possa esserci un appunto in cui la madre di Trump riconosce che il figlio non sia propriamente il più grande pensatore del secolo.

Fonti

Claims Trump’s Mom Called Him an ‘Idiot With Zero Social Sense’ Aren’t Grounded in Evidence | Snopes.com