La prima guerra persiana

L’inizio degli scontri tra le Polis Greche e l’impero Persiano, noti come Guerre Persiane, vanno dal 498 al 480. Sebbene gli scontri che vedono contrapporsi direttamente le polis all’ impero persiano iniziano soltanto nel 491, va considerata anche la situazione precedente.

Nel 498 , re Dario di Persia, conquista il confinante regno di Lidia. Con la conquista persiana della regione, si rompono i legami con le Polis d’Asia minore. Aristagora, tiranno di Mileto, approfitta delle tensioni tra le Polis e i Persiani, per fomentare una rivolta delle Polis, egli era sicuro di poter contare sull’ appoggio delle Polis di Grecia, e non appena l’impero persiano attacco, richiese aiuto alla Grecia, ma risposero alla sua richiesta soltanto Atene ed Eretria che nel 498 inviarono 25 trireme (20 da Atene e 5 da Eretria).

Grazie all’ intervento ateniese, viene presa Sadi (città persiana) e rasa al suolo dopo un incendio, poco dopo l’esercito Greco è costretto a ritirarsi.
Nel 494 i persiani prendono Mileto, appiccando un incendio e radendo al suolo la città come punizione per aver distrutto Sadi. Con la caduta di Mileto, terminano gli scontri.

Secondo Erodoto, fu l’intervento ateniese in Asia minore, a scatenare le successive guerre persiane.

Nel 491 si riaprono gli scontri, Dario, desidera espandere ulteriormente l’impero persiano, organizza così una campagna greca. La spedizione parte nel 490, ed inizia con una serie di vittorie da parte dei persiani, raggiungono la parte settentrionale della Grecia attraverso un ponte di barche dall’Asia minore , successivamente conquistano Corinto, ed Eretria.  Nel frattempo la flotta punta verso la baia di Maratona, per poter raggiungere ed annientare Atene, lo scopo principale della campagna era punire Atene.

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Atene richiede l’aiuto di altre Polis, tra cui sparta, ma non essendo direttamente minacciate dal nemico persiano, si rifiutano di intervenire, Atene si trova così da sola a dover fronteggiare i Persiani.

Siamo ancora nel 490, ed i persiani sbarcano nella baia di Maratona, a fermarli, l’esercito ateniese guidato da Milziade. L’abile stratega riesce a fermare l’esercito persiano, ma parte della flotta non ha ancora sbarcato gli uomini. Quello che rimane dell’esercito persiano cambia destinazione, cercando di sbarcare nella baia di Falero, situata dall’altra parte della penisola.

Milziade intuisce la mossa dei persiani e costringe i suoi uomini ad una lunga marcia per raggiungere in tempo la baia di Falero. Quando anche la flotta persiana raggiunge la baia, trova schierato sulla spiaggia l’esercito ateniese che li aspettava, decidono così di tornare in a casa.

Pochi anni dopo, alla morte di Dario e l’ascesa al trono di suo figlio Serse, iniziò la seconda guerra persiana.

Bibliografia 

Storia dei greci, Dalle origini alla conquista romana. di Claude Mossè e Annie Schnapp-goubeillon

Una prigione per streghe

Quando sentiamo parlare di cacciatori di streghe, roghi e torture, siamo soliti pensare all’età medievale, anni oscuri di teocrazia cattolica in europa, e pure, la caccia alle streghe ed dei tribunali dell’inquisizione, raggiunsero la piena efficienza tra il XV ed il XVI secolo, e nel caso della stregoneria, superarono abbondantemente anche il XVII secolo.

In questo articolo non voglio ripercorrere la storia della caccia alle streghe, argomento sicuramente molto interessante, sul quale torneremo in altre sedi, qui oggi, voglio soffermarmi su uno dei luoghi in cui la caccia alle streghe fu perpetuata.

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Noi creeremo quello che non è esistito…

La tesi di Jacques Pierre Brissot nel dibattito con Maximilien Robespierre sull’opportunità di entrare in guerra coi principi tedeschi

Tra il dicembre 1791 e il gennaio 1792, si svolse in Francia il celebre confronto tra J.P. Brissot e M. Robespierre sull’opportunità di dichiarare guerra ai principi tedeschi che accoglievano gli emigranti controrivoluzionari. Sullo sfondo del dibattito vi era l’ultimatum rivolto agli Elettori di Treviri e Magonza e annunciato da Luigi XVI il 14 dicembre 91’ con la richiesta di allontanare gli assembramenti di emigranti entro il 15 gennaio 92’. Nel clima di crescente sospetto verso Luigi XVI e la corte creatosi dopo la fuga di Varennes del giugno 91’ e le decisioni altalenanti prese dal sovrano nei mesi passati, l’entrata in guerra diveniva motivo di aspro confronto all’interno del fronte rivoluzionario tra chi sottolineava le opportunità e chi i rischi del conflitto.

In questo quadro si collocano i discorsi di Brissot e Robespierre alla Società degli amici della Costituzione di Parigi, ove il primo sosteneva la guerra ai principi tedeschi mentre Robespierre anteponeva alla guerra esterna la prioritaria necessità di sbarazzarsi dei nemici interni.

Se la storiografia ha sottolineato molto le tesi di Robespierre, spesso considerandole erroneamente come pacifiste (lo stesso Robespierre sottolinea più volte di volere anche egli la guerra ma solo dopo aver vinto la guerra interna), meno conosciute e considerate sono quello di Brissot.

Nei loro interventi sia Brissot che Robespierre si propongono di difendere la rivoluzione, quello che li separa non è tanto il problema della guerra o la diversa posizione all’interno del fronte rivoluzionario (più moderato il primo e più radicale il secondo), ma una diversa visione del mondo post 1789.

Da questo punto di vista, il più “rivoluzionario” è senza dubbio Jacques Pierre Brissot. Infatti, il futuro leader dei Girondini, parte dall’assunto che le rivoluzioni americana e francese abbiano creato un orizzonte culturale totalmente nuovo che si pone in discontinuità sia con i secoli dell’Ancien Régime sia con il mondo della classicità. A far data dal 1789 tutti gli esempi del passato diventano quindi obsoleti poiché la rivoluzione ha creato uomini nuovi, plasmati dai lumi e dalle nuove idee di libertà; una nuova umanità che non deve più temere i vizi dell’antico regime perché messa in guardia della nuova libera stampa; una nuova umanità che genera nuovi soldati difensori della libertà, ben diversi da quelli che lottavano per i despoti dell’antico regime.

Nell’illustrare questo nuovo scenario Brissot sottolinea una evidente discontinuità della nuova Francia con quella della Fronda. Infatti se in quel conflitto del XVII secolo “Non vi era maggior motivo di battersi per Condé che per Mazzarino”, la Rivoluzione apriva certamente un nuovo orizzonte:

Ma ora quale cambiamento di scenario! Quali vasti interessi incatenano il soldato francese alla causa della libertà! Che cos’è infatti il soldato francese? Un uomo, l’uguale degli altri uomini, al quale tutti i posti sono aperti , un uomo che conosce la propria dignità, la propria forza, i propri diritti. Non si seduce un soldato simile; non lo si seduce soprattutto quando non gli si può offrire come compenso nient’altro che l’umiliazione e il nulla dell’antico regime.”

I nuovi soldati di Francia sono quindi immuni ad ogni tradimento perché combattono per la patria e per la libertà e non più per i despoti.

Se lo scenario è totalmente cambiato, anche i modelli non possono che provenire dalle nuova storia, infatti gli esempi citati da Brissot provengono quasi tutti dalla Rivoluzione americana, i cui avvenimenti all’epoca dovevano essere ben noti ad un vasto pubblico. Allora i modelli sia virtuosi (Washington) che meschini (Arnold) sono citazioni delle note vicende d’oltre oceano alle quali Brissot aggiunge al massimo qualche personaggio della Rivoluzione inglese citando Ireton e Cromwell (ovviamente Cromwell nei suoi bei giorni ).

In questa nuova visione immaginifica del post 89’ anche la guerra non può essere più quella di antico regime, infatti:

“… la guerra della libertà è una guerra sacra, una guerra ordinata dal cielo; e come il cielo, essa purifica gli animi. In mezzo ai terrori della guerra libera l’egoismo scompare, il pericolo comune riunisce tutti gli animi; allora si esercita l’ospitalità, quella virtù dei popoli liberi.”

Se allora è cambiata la natura della guerra anche le conseguenze sono diverse e il nuovo conflitto finisce per avere un effetto igienico e rigenerante:

La guerra avrà per voi lo stesso pregio; metterà in pratica l’uguaglianza tra gli uomini, poiché solo la guerra può, confondendo e gli uomini e i ranghi, innalzando il plebeo, abbassando il fiero patrizio, solo la guerra può uguagliare le teste e rigenerare gli animi.”

La visione di Brissot assolutamente netta e tranchant viene ripresa nel secondo discorso del 30 dicembre 91’, pronunciato in risposta alla replica di Robespierre del 18 dicembre. Nel suo discorso Robespierre spiega che anch’egli vorrebbe la guerra, ma solo dopo aver sconfitto i nemici interni, poiché “la sede del male non è a Coblenza, è in mezzo a noi, è nel nostro seno”. Rifiuta invece quella che vede come la guerra della corte e del governo pronti a tradire ben presto la causa rivoluzionaria ed utilizzare la guerra solo per riportare in Francia il dispotismo e i privilegi del ancien régime. Infine vi è il timore, su cui tornerà nei successivi interventi, che qualche generale, su tutti La Fayette, possa approfittare del conflitto per instaurare una dittatura come fece Cromwell in Inghilterra.

Se il ragionamento di quello che sarà l’Incorruttibile è altrettanto brillante e ben costruito di quello di Brissot e se entrambi saranno in qualche misura premonitori dei fatti futuri, il brillante giurista e oratore Robespierre utilizza un linguaggio e un immaginario culturale ben diverso da quello di Brissot. Infatti per il leader della Montagna i punti di riferimento sono ancora quelli classici: Cesare, Pompeo, il Senato di Roma, i Bruti e Catone ecc…; e per Robespierre non fa problema citare gli esempi antichi con i moderni, ad esempio Cesare e Cromwell, e reputarli ancora buoni modelli di Historia Magistra Vitae utili anche per i tempi presenti. Da questo punto di vista se Brissot, influenzato da quanto visto in prima persona nella Rivoluzione Americana prima e Francese poi, è ormai lanciato verso una visione di una società totalmente nuova da quelle del passato nella quale i nuovi diritti viaggino di pari passo a una nuova forma mentis e alla nascita di una nuova umanità, Robespierre resta ancorato alle forme mentali dell’antico regime e al suo repertorio.

Nel corso della sua controreplica del 30 dicembre Brissot, mantiene la promessa di ribattere alle obiezioni poste al suo precedente discorso. Lo fa con una prosa più asciutta e meno aulica di quella di Robespierre, ma estremamente lucida e puntuale. La nuova logica post rivoluzionaria è qui illustrata in tutte le sue potenzialità, divenendo non solo un modello utile agli Stati Uniti e alla Francia ma un esempio da esportare, infatti questi popoli hanno creato qualcosa di totalmente nuovo e moralmente migliore in grado di contagiare gli altri popoli:

Descartes (sic) diceva: “Datemi un punto d’appoggio e solleverò il mondo”. Questa idea è ancora più vera in politica che in morale. Abbiate un punto d’appoggio per sollevare l’universo contro i tiranni e l’universo è libero; ora questo punto è trovato. Anzi! Ne esiste uno in ogni emisfero; gli Stati Uniti nell’uno, la Francia nell’altro, ecco due fabbriche eterne per la libertà generale, due rifugi per coloro che non riusciranno. Conoscete un popolo, si sente gridare, che abbia conquistato la sua libertà sostenendo una guerra straniera, civile e religiosa, sotto gli auspici del dispotismo che lo ingannava? … Ma che ci importa l’esistenza o non di un simile fatto? Esiste nella storia antica una rivoluzione simile alla nostra? Mostrateci un popolo che, dopo dodici secoli di schiavitù si sia ripreso la sua libertà. Noi creeremo quello che non è esistito …”

Per il leader dei Girondini la rottura con il passato è ormai totale, l’esperimento rivoluzionario è un unicum nella storia a cui non si possono accostare fatti o accadimenti del passato, infatti Brissot rigetta gli esempi di Robespierre in quanto non hanno più niente da spartire con il nuovo creato post rivoluzionario: che cosa vi è di comune tra Cesare e Pompeo, e i nostri generali, tra Roma e la Francia? chiede retoricamente Brissot e risponde che queste due realtà non hanno niente in comune poiché la modernità così dirompente aveva rotto i cordoni con il passato e soprattutto aveva dato il vaccino contro il dispotismo che di certo l’antichità non aveva:

Roma non aveva né clubs, né società patriottiche, né stampa, né giornali, e la tirannide diventa impossibile ovunque esistano dei clubs patriottici e la stampa; sono come tante campane moltiplicate che suonano ben presto l’allarme se il nemico compare. 

Alla luce di questo incredibile ottimismo Brissot si propone di creare secoli nuovi e nuove rivoluzioni. I tempi antichi sono ormai definitivamente tramontati e le citazioni di Robespierre ormai non appartengono più all’immaginario rivoluzionario del Girondino.

Se tutto è cambiato è allora bene che vengano i tradimenti, affinché si possano separare i patrioti dai traditori e l’unico timore e che nessuno tradisca, I grandi traditori saranno funesti solo ai traditori; saranno utili ai popoli.”

Con questo ragionamento, certamente un po’ utopico e semplicistico ma di grande carica ideale, Brissot replica con poche parole a tutte le obiezioni di Robespierre. Nella sua lunga controreplica, l’Incorruttibile dovrà mettere tutta la propria abilità oratoria per attaccare Brissot e le sue facili e ridenti vie del patriottismo, ma lo farà sul piano del realismo e della purezza arrivando ad attaccare Brissot sul piano personale; Robespierre sa infatti molto bene che non può reggere il confronto con Brissot sul piano immaginifico.

Nel frattempo anche gli eventi evolvono ed il 6 gennaio 1792 il principe elettore di Treviri promette di disperdere il raggruppando di emigranti, il nemico diventa sempre di più l’Impero austriaco, ma i partiti pro e contro la guerra esterna restano di fatto immutati.

Il 17 gennaio Brissot pronuncia un discorso pro guerra all’assemblea legislativa, il 20 torna alla Società degli amici della Costituzione per replicare ancora una volta a Robespierre.

Nell’ultimo intervento Brissot cambia in parte la sua visione delle cose alla luce del nuovo quadro internazionale. La guerra esterna resta necessaria per rafforzare la rivoluzione e colpirne i nemici esterni ed interni, ma a differenza di quando aveva assicurato nel primo discorso, ove ne prevedeva la neutralità, il nemico diviene l’imperatore austriaco. Anche rispetto alla corte Brissot ora sostiene di aver sempre denunciato la scarsa volontà di questa all’impegno bellico.

Risulta qui evidente la paura di Brissot di perdere l’opportunità la tanto agognata guerra che aveva con così tanta passione difeso. Infine il Girondino è costretto a difendersi dagli attacchi di Robespierre ed alle sue insinuazioni rispetto al suo rapporto con La Fayette.

Lo sconto tra i due Giacobini si concluderà il 26 gennaio con l’ultimo intervento di Robespierre. Il giorno prima era stato dichiarato l’ultimatum all’imperatore, ma la guerra all’Austria arriverà soltanto il 20 aprile.

Gli interventi di Brissot e Robespierre ebbero subito dignità di stampa e furono largamente conosciuti all’interno del fronte rivoluzionario. La frattura fra i due porterà proprio in quei mesi alla nascita dei partiti della Montagna e dei Girondini (ma all’epoca erano chiamati spesso Brissottini dal loro principale esponente). Il modello di guerra rivoluzionaria proposto da Brissot, nel quale i soldati marciano cantando Ah! ça ira! e diffondono le nuove idee di libertà sarà il modello che di lì a qualche anno la Francia avrebbe esportato in Europa. I nuovi eserciti rivoluzionari avranno un impatto fortissimo sul vecchio continente, contribuendo a diffondere i primi germogli della nuova Europa contemporanea.

Bibliografia

Primo discorso di J.P. Brissot alla Società degli amici della Costituzione del 16 dic 1791.

Primo discorso di M. Robespierre alla Società degli amici della Costituzione del 18 dic 1791.

Secondo discorso di J.P. Brissot alla Società degli amici della Costituzione del 30 dic 1791.

La guerra parallela degli italiani

Quale fu il ruolo dell’italia nella seconda guerra mondiale ? Siamo abituati a considerare l’italia uno dei principali alleati della Germania ma fino a che punto i due paesi camminarono insieme ? Esisteva una gerarchia tra Italia e Germania , così come esisteva tra la Germania e tutti i suoi satelliti o l’italia godeva di un posto privilegiato nello scacchiere europeo ? Fino al 1941 circa, l’italia sarà impegnata di fatto in quella che è nota come guerra parallela, e solo a partire 1941/1942 e fino all’agosto del 1943, l’italia sarà costretta a fare un passo indietro, abbandonando il suo progetto autonomo di trasformare il mediterraneo in un “lago italiano” per seguire le direttive del Reich.

Fonte :

D.Rodogno, Il nuovo ordine del mediterraneo 

L’ingresso della Gran Bretagna nell’Unione Europea

Uno degli argomenti più attuali sul tema delle relazioni internazionali è sicuramente la recente decisione presa dal popolo britannico di lasciare la Comunità Europea.

Un po ovunque sul web si sta discutendo delle motivazioni della scelta e sulle possibili conseguenze della futura applicazione di questa decisione, io stesso ho realizzato una lunga diretta durata più di un’ora sull’argomento, ed ho prodotto diversi articoli e post sulla questione, e proprio in risposta ai miei interventi è emersa un’agghiacciante verità, sul web ci si riempie facilmente la bocca con parole sull’Europa, ma cosa essa sia, e come, quando e perché, si sia giunti alla comunità europea così come la conosciamo, sfugge a molti, e di fatto, in pochi e sempre meno, conoscono o si informano sulla sua storia.

In questo articolo voglio quindi ripercorrere brevemente, e senza troppe pretese, le scelte e le motivazioni che portarono la Gran Bretagna nel 1973 ad entrare ufficialmente a far parte della comunità economica europea (CEE), e sedere al tavolo delle trattative, al fianco di Francia, Italia, Germania, Belgio, Lussemburgo ecc.

Appena un anno prima di entrare a far parte della CEE, nel 1972 la Gran Bretagna lascia l’EFTA (organizzazione europea di libero scambio) nata nel 1960 come risposta alla CEE, di cui la Gran Bretagna faceva parte fin dalla sua fondazione e di cui era uno dei paesi fondatori. Successivamente entrerà a far parte della CEE, organizzazione che aveva osteggiato fino a quel momento e farà il suo ingresso supportata dalle pressioni statunitensi e “stranamente” dalle posizioni dell’Italia.

Il Regno Unito era stato ai tempi dei trattati NATO una vera e propria spina nel fianco per l’Italia, che in seguito alle vicende della seconda guerra mondiale, non era vista di buon occhio dai britannici. Le posizioni Britanniche di fatto impedirono all’Italia di sedere al tavolo delle trattative del patto atlantico, successivamente fu permesso ai rappresentanti italiani di presenziare ed osservare i negoziati, ed in fine di sottoscrivere il trattato, grazie all’appoggio Francese, senza però poter intervenire in merito.

Questo precedente diplomatico aveva portato fino a quel momento l’Italia nella sfera di influenza Francese, ed in più occasioni a scontrarsi direttamente con le posizioni Britanniche, tuttavia, quando il Regno Unito si affacciò timidamente sul palco europeo, nonostante le resistenze francesi, fu presa per mano ed accompagnata al tavolo delle trattative proprio dall’Italia. Non starò ad entrare nel merito della scelta politica Italiana, che vide, nell’ingrasso britannico in europa, una preziosa opportunità ed un importante alleato per superare la sua posizione minoritaria e porre sotto scacco la leadership Franco-Tedesca che si stava creando e che sarebbe stata messa in discussione se un paese grande ed influente come la Gran Bretagna fosse entrata in europa.

La Gran Bretagna da parte sua, decise di entrare attivamente in “Europa” come effetto e conseguenza dell’ormai inarrestabile sfaldamento del suo impero coloniale, il Regno Unito, proprio come anche la Francia e altri imperi coloniali, a partire dal secondo dopoguerra assistono e tenteranno in vano di resistere alla disgregazione degli imperi coloniali, nel 1971, col il ritiro britannico da Aden (Yemen) la Gran Bretagna si troverà di fatto fuori da gran parte dell’ex impero, ex impero che smetterà di esistere ufficialmente soltanto nel 1997, ma tra il 1976 ed il 97 la sua centralità nelle politiche internazionali e nelle dinamiche dei possedimenti ed ex possedimenti coloniali, sarà di sola facciata.

Come dicevo, l’inizio della fine dell’impero Britannico coincide con l’ingresso del paese nella comunità europea, comunità che richiedeva ai suoi partecipanti la chiusura di alcuni canali privilegiati (quali potevano essere gli scambi con le colonie) in favore di un’apertura delle frontiere nei confronti dell’europa, insomma, privilegiare gli scambi commerciali tra paesi europei invece che quelli con paesi extra europei.

Questa condizione era stata il principale “ostacolo” all’ingresso del Regno Unito in “europa” ma con l’impero in crisi, il governo intuì l’imminente fine dell’amministrazione imperiale cercando quindi un nuovo sbocco per le proprie produzioni agricole e industriali; questo nuovo sbocco fu rappresentato dalla nascente comunità europea, alla quale il Regno unito si unì nel 1973 appena un’anno dopo la fuoriuscita dall’ EFTA che nel 1972 è colpita da una forte emorragia di stati che, al seguito del Regno Unito avrebbero lasciato l’organizzazione europea di libero scambio per entrare a far parte della comunità economica europea.

Oggi l’EFTA esiste ancora, se pur notevolmente ridimensionata e si compone di Svizzera, Islanda, Norvegia e Liechtenstein.

Fonte :

La Cenerentola d’Europa. L’Italia e l’integrazione europea dal 1946 ad oggi – Antonio Varsori

Storia dell’integrazione europea – Bino Olivi, Roberto Santaniello

Le organizzazioni internazionali – Anna Caffarena

L’evoluzione del sistema dei pagamenti internazionale tra gli accordi di Bretton Woods e la revoca della convertibilità del dollaro USA

Nel luglio del 1944, i delegati di 44 si riunirono nella località di Bretton Woods, negli Stati uniti, orientati alla definizione di un nuovo sistema di pagamenti internazionale che potesse evitare situazioni analoghe a quelle verificatesi negli anni trenta, mirarono alla realizzazione di un sistema che promuovesse il libero scambio, stabilizzasse i cambi e assicurasse l’autonomia delle politiche economiche nazionali in un contesto di cooperazione internazionale.

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Queste linee di principio diedero vita ad un sistema basato su precise regole di comportamento per i paesi partecipanti, ed affidò la vigilanza ed il supporto di tale sistema a due nuovi organismi internazionali, sovranazionali, il Fondo monetario Internazionale (FMI) e la Banca internazionale.

Compito del FMI era quello di vigilare sul sistema di cambi fissi, stabilito durante i negoziati di Bretton Woods, che fissava le parità di cambio delle valute nei confronti del dollaro e del dollaro nei confronti dell’oro, promuovere la convertibilità delle valute e fornire finanziamenti per correggere gli squilibri delle bilance dei pagamenti, mentre la Banca Internazionale aveva il compito di assistere finanziariamente il processo di sviluppo.

_4jEZEKD_400x400Il FMI entra in funzione soltanto nel marzo del 1947, mentre la piena applicazione delle norme del sistema di Bretton Woods richiesero ancora un certo numero di anni, a causa di numerosi problemi e restrizioni legate ai pagamenti correnti e la liquidità.

La liquidità internazionale nell’immediato dopoguerra era concentrata prevalentemente negli Stati Uniti che, detenevano circa i due terzi delle riserve auree mondiali. Parallelamente i paesi europei e quelli asiatici impegnati in un processo di ricostruzione ed avevano necessità di grandi importazioni, domanda soddisfatta dalle esportazioni Statunitensi.

Gli aiuti del piano Marshall, circa 13 miliardi di dollari elargiti dagli Stati Uniti all’Europa tra il 1948 ed il 1952, equivalenti al 3% circa del reddito dei paesi beneficiari, insieme all’unione europea dei pagamenti, ebbro un ruolo fondamentale, nello smantellamento delle restrizioni che portarono alla finire degli anni cinquanta, al ristabilimento della convertibilità di parte corrente delle valute dei principali paesi europei.

Raggiunta la convertibilità, vennero a verificarsi i problemi che avrebbero successivamente portato al crollo del sistema Bretton Woods.

Questi riguardavano liquidità e fiducia nel dollaro, ed erano determinati dalla mancanza di un organismo orientato alla creazione di moneta internazionale in maniera coerente con le esigenze degli scambi e della produzione. La creazione di liquidità dipendeva prevalentemente dalle emissioni di dollari da parte degli Stati Uniti, ma l’aumento della liquidità, riduceva la copertura aurea dei dollari, e ciò minava la fiducia nella piena convertibilità in oro della valuta americana, il problema della liquidità viene risolto con l’introduzione dei DSP, un’attività di riserva la cui creazione fu affidata al FMI.

Nel 1968 fu istituito il doppio mercato dell’oro con quotazioni libere per i privati e scambi al prezzo fisso di 35 dollari l’oncia tra le autorità ufficiali, l’aumento del prezzo dell’oro sul mercato privato rese evidente la sopravvalutazione del dollaro.
Nell’agosto del 1971, temendo una massiccia conversione di dollari in oro le autorità statunitensi sospesero temporaneamente la convertibilità del dollaro, in un vano tentativo di contenimento dell’inflazione. Nel dicembre dello stesso anno i maggiori paesi industrializzati (Gruppo dei Dieci), concordarono nuove parità di cambio, procedendo con una svalutazione del dollaro nei confronti dell’oro e delle altre valute, e vennero fissati più ampi margini di fluttuazione. La nuova configurazione sopravvive fino ai primi mesi del 1973 quando i principali paesi industrializzati, in rapida successione, decisero di lasciar fluttuare le loro valute.

Bibliografia

La Nascita dell’economia Europea – Barry Eichengreen

Capitalismo Scatenato – Andrew Glyn

La morte di Aldo Moro

Il 9 maggio del 1978 com’è noto, fu ritrovato, nel bagagliaio di una Renault 4 di colore rosso, il corpo senza vita del giurista, allora segretario della Democrazia Cristiana (DC) Aldo Moro.

La morte di Moro ed il ritrovamento del cadavere rappresenta la fine di una lunga prigionia durata 55 giorni, iniziata appunto con con il rapimento di Moro, avvenuto il 16 maggio del 1978, nel quartiere Trionfale nella zona Monte Mario di Roma, non lontano dalla sede della camera dei deputati.

L’automobile su cui viaggiava Moro, una Fiat 130 fu intercettata da un commando delle Brigate Rosse all’incrocio tra via Mario Fiani e via Stresa. In pochi secondi il commando eliminò la scorta, rapì Moro e si dileguò, sparendo nell’ombra.

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Una vita da Legionario

Qual è la vita del legionario romano? Quali sono le sue mansioni? Come impegna il proprio tempo libero? È difficile da dire, poiché l’Impero Romano ha attraversato quasi mille anni di storia e, inevitabilmente, è mutato nel corso dei secoli.
Ma c’è una peculiarità che caratterizza sia l’esercito romano arcaico sia quello repubblicano che quello imperiale: l’adattabilità. Un elemento, questo, che ai nostri occhi sembra scontato, ma è di fondamentale importanza per capire il successo militare romano. Infatti, rispetto alle altre popolazioni, i romani furono in grado di adattare il loro esercito in base alle caratteristiche del territorio e del nemico. Questa capacità è stata affiancata anche da un’altra particolarità: la disciplina.

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Religione, una storia che va dalla magia alla scienza

“Storia ed evoluzione della religione e del mondo spirituale, dalle prime preistoriche forme di magia, passando per i politeismi antichi fino a raggiungere la divisione tra il mondo spirituale ed il mondo scientifico, e la nascita di monoteismi, scienza e filosofia.”

La storia delle religioni è una disciplina che viaggia parallelamente all’antropologia e permette di osservare l’evoluzione del mondo e delle strutture umane da un punto di vista differente.

Ad un certo punto della storia, la religione si trasforma, passando dall’essere un qualcosa di pubblico e condiviso, da vivere collettivamente in gruppo attraverso giochi, feste e banchetti, per diventare qualcosa di più intimo e riservato, da vivere nel privato, in un clima più familiare, questo cambiamento strutturale si lega al cambiamento di rotta nell’inseguimento degli obbiettivi fondamentali, o meglio nei compiti propri della ricerca religiosa e spirituale.

Compito della magia e dei politeismi è quello di spiegare l’inconoscibile, la magia in particolare aveva il compito di rendere accessibili all’uomo quei fenomeni di cui non se ne comprendeva totalmente la natura ed i meccanismi, e di cui tuttavia aveva una conoscenza empirica degli effetti e di conseguenza quei fenomeno sono considerati magici.

Agire in un determinato modo, compiere una determinata azione produce una reazione, la magia è quindi la larva da cui sarebbero nate il mondo della fisica, l’embrione potremmo dire del terzo principio della dinamica, e allo stesso tempo delle religioni, procedendo con una prima divisione netta tra tutto ciò che poteva essere controllato dall’uomo, e ciò che al contrario era totalmente incontrollabile e quindi inconoscibile. Ciò che può essere controllato esce dal mondo magico per entrare a far parte del mondo tecnico e scientifico, tutto il resto necessita di una spiegazione, e a questo scopo nascono divinità e le mitologia.

La mitologia riesce a spiegare con le i suoi racconti ed i suoi personaggi dotati di poteri straordinari, tutto quanto accadeva al di fuori del controllo umano, per ogni fenomeno geologico o cosmologico esiste una divinità che con il suo lavoro possa giustificarlo, e in caso di anomalie la natura “umana” delle divinità funge da ancora di salvataggio, così fenomeni rari o imprevedibili quali possono essere una eclissi, un terremoto, o una pioggia di meteore, sono spiegate con capricci e litigi e guerre tra queste divinità create allo scopo di decidono e regolare le sorti del mondo.

Il mondo mitologico è un mondo statico e stagnante, che tende alla non evoluzione, e in caso di nuove scoperte semplicemente si munisce di una nuova divinità per assolvere al nuovo compito, al contrario il mondo fisico delle scienze è in continua evoluzione e mutamento, teorie e concetti sono continuamente rielaborate e ridisegnate, e lo stesso accade per la strumentazione in uso, gli attrezzi da lavoro e di osservazione del ricercatore, dello scienziato, sono in continua evoluzione, diventando sempre più accurati e precisi e permettendo di diversificare sempre di più la ricerca, e le ricerche, permettendo quindi lo studio di fenomeni che prima erano considerati incomprensibili la cui comprensione era affidata alla mitologia.

Gli scienziati puntando i propri strumenti e facendo luce sul lavoro degli dei, rendono quel tipo di mitologia, statica, obsoleta, sostituendosi ad essa, e rilegando la religione e lo spiritualismo al ruolo di guida etica e morale.

La religione in questo modo cambia la sua natura trasformandosi da pubblica a privata, ed incentrando la sua ricerca non più sul funzionamento del mondo e dell’uomo, ma sull’uomo in quanto essere senziente, lavorando parallelamente alla ricerca filosofica, con però un’eredità sociale, che rende la religione un fenomeno culturale da vivere privatamente, e nella sua componente originale di strumento di semplificazione, basato sull’accettazione di dettami e dogmi precostituiti, risulta accessibile a chiunque.

Potremmo dunque dire che da una parte le scienze cercano di capire come funziona l’universo e l’uomo, mentre le varie religioni e filosofie cercano di comprenderne il perché, nel tentativo di rispondere alla domanda fondamentale … chi è l’uomo ?

 

 

Bibliografiai :

James George Frazer, The Golden Bough: A Study in Magic and Religion, 1915

Ernesto de Martino, Il mondo magico: prolegomeni a una storia del magismo , 1948

La battaglia di Watling Street

61 d.C. Britannia. Un esercito ribelle e la sua regina. Le legioni XIIII Gemina e XX Valeria e il loro generale. Britanni contro romani. La regina Budicca contro il governatore Gaio Svetonio Paolino. Lungo la Watling Street, nei pressi del fiume Anker, si deciderà la sorte della provincia romana della Britannia. Rimarrà sotto il dominio straniero o riuscirà a liberarsi dal giogo latino? Prima di scoprirlo, facciamo un passo indietro di un anno per capire come siamo giunti a questo.

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La Battaglia del Nilo

1° agosto 1798 , la flotta francese, forte di tredici vascelli al comando dell’ammiraglio Brueys, è ancorata a pochi chilometri da Alessandria, in una baia delimitata a ovest dalla punta di Abukir e a est dalla foce Rosetta del Nilo.

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Le navi sono disposte in fila, a chiudere completamente la baia. Le ciurme a bordo sono ridotte, perché molti sono stati mandati a terra per fare rifornimento di cibo, acqua e vettovaglie.

La campagna d’Egitto è iniziata nel migliore dei modi, con la conquista di Alessandria e la sconfitta delle truppe mamelucche a Il Cairo. Il piano di Napoleone per bloccare le linee commerciali tra India e Inghilterra sta procedendo a gonfie vele.

Ma i preparativi della spedizione fatti a Tolone non passano inosservati agli occhi dell’Ammiragliato inglese. Si teme una possibile invasione dell’Irlanda attraverso lo stretto di Gibilterra o, passando per la Spagna, del Portogallo. Anche Napoli e la Sicilia sono in pericolo.

Così l’ammiraglio della flotta del Mediterraneo, Lord St Vincent, decide di scoprire cosa i francesi hanno in mente. Affida l’incarico al contrammiraglio Horatio Nelson, già distintosi per il suo coraggio e l’abilità marinara nella battaglia di St Vincent, destinandogli tre navi di linea e tre fregate.

Nelson cattura una corvetta francese ma non riesce a scoprire dove sono destinate le truppe di Bonaparte a Tolone. Una terribile tempesta sparpaglia la flotta, costringendo Nelson a effettuare delle riparazioni sull’isola di San Pietro, in Sardegna.

Nel frattempo St Vincent riceve una lettera da parte di Sir Willliam Hamilton, ambasciatore inglese alla corte di Napoli, dove si richiede un intervento della flotta del Mediterraneo per fronteggiare la minaccia francese alle loro Maestà. St Vincent decide di inviare a rinforzo di Nelson altre nove navi di linea al comando di Thomas Troubridge.

La flotta di Nelson è ora forte di dodici vascelli, in quanto le tre fregate sono andate disperse durante la tempesta e non sono più riuscite a raggiungerlo.

Intanto, il 19 maggio 1798, Napoleone assedia per un mese Malta e depreda i tesori dell’ormai morente ordine cavalleresco.

Quando Nelson scopre l’accaduto decide di far rotta su Alessandria, poiché teme che il piano di Napoleone sia quello di interrompere le rotte commerciali tra India e Inghilterra. Non si sbaglia. Ma il destino lo fa arrivare a destinazione qualche ora prima della flotta francese, così da mancarla. Nelson torna subito indietro, non perdendo neanche un minuto di tempo. Se avesse atteso, Brueys e Napoleone stesso gli sarebbero finiti in bocca. Ma così non è stato.

È solo il 28 luglio 1798, quando ha di nuovo portato la flotta a est di Siracusa, che viene informato dell’arrivo di Bonaparte in Egitto e delle sue vittorie ad Alessandria e Il Cairo.

Nelson punta verso l’Egitto una seconda volta, quella buona. Nel pomeriggio del 1° agosto le due flotte si incontrano.

Brueys è nella baia che osserva le dodici navi inglesi puntare dritto su di lui, così, intorno alle cinque di pomeriggio, dà ordine di prepararsi per la battaglia. Lo scontro sta per iniziare.

Sul ponte di comando della Vanguard, la sua ammiraglia, Nelson prende delle scelte pericolose ma vincenti. Decide di affrontare immediatamente il nemico attaccandolo subito e di concentrare i suoi sforzi sull’avanguardia e il centro dello schieramento francese. Per fare ciò, rischia volontariamente di affrontare il fondale insidioso della baia. Infatti nessuno dei comandanti britannici conosce la profondità di quelle acque. La Culloden, comandata da Troubridge, si incaglia quasi subito e non riuscirà a partecipare allo scontro.

Map_Battle_of_the_Nile_1798-en

Ma la fortuna sorride a Nelson poiché la flotta nemica è ormeggiata ad ancora singola, lasciando così spazio sufficiente per le navi britanniche di insinuarsi tra quelle francesi. E così fanno.

Cinque navi inglesi penetrano nello schieramento nemico, ancorandosi anch’esse, mentre le altre si posizionano lungo il lato marino. I francesi sono tra due fuochi.

Quello che sorprende è che i cannoni aprono il fuoco solo quando ormai i vascelli sono a un tiro di moschetto. È un errore, questo, che costerà caro a Brueys.

Le ostilità iniziano all’imbrunire. Ben presto è notte e i lampi della battaglia illuminano il cielo della baia. Le urla dei marinai si confondono con lo schianto delle palle di ferro pieno contro le murate di legno delle navi. Le schegge volano ovunque mietendo vittime in entrambi i fronti.

Anche i due ammiragli vengono feriti nel cannoneggiamento. Brueys viene quasi tranciato a metà da un colpo al ventre e insiste per essere lasciato morire sul ponte di comando. Nelson è ferito alla testa e un lembo di pelle gli ricade sull’unico occhio da cui vede, accecandolo. Viene immediatamente portato sottocoperta per essere curato.

Intorno alle nove di sera, l’Orient, la nave ammiraglia francese da 120 cannoni, prende fuoco. I vascelli ancorati nelle vicinanze tentano la fuga per non essere coinvolti nell’incendio. Si crea così tanta confusione che finiscono col farsi fuoco l’uno contro l’altro.

Alle dieci l’Orient esplode lanciando in aria detriti e marinai, che ricadono sui ponti delle navi imponendo il silenzio. Vivan Denon, a circa trenta chilometri di distanza, vede il lampo dell’esplosione e rimane stupefatto dal silenzio irreale che è caduto dopo la terribile deflagrazione.

Dei mille uomini dell’Orient, solo settanta riescono a salvarsi, la battaglia riprende dopo qualche minuto di stupore. La retroguardia francese non riesce ad aiutare il resto della flotta a causa del vento contrario e viene anch’essa bombardata dagli inglesi.

Lo scontro continua per tutta la notte e per il giorno successivo. Il terzo giorno i francesi si arrendono. Delle loro tredici navi di linea, nove sono catturate e due sono state distrutte dalle fiamme. Solo un paio sono riuscite a fuggire in mare aperto. È una sconfitta totale.

Nelson nel frattempo si è ripreso e scrive della vittoria all’Ammiragliato.

L’enorme successo riportato da Nelson, costringe Napoleone a continuare la campagna d’Egitto senza i rifornimenti necessari. Bonaparte, con l’esercito ormai stremato e decimato dalla forte resistenza locale, torna in Francia nel 1799.

Nelson ha così cambiato le regole del combattimento navale, riscrivendone la strategia e imponendo il dominio indiscusso sul mare della Royal Navy.

Schiavi del Cioccolato

La tratta tratta atlantica degli schiavi è uno dei capitoli più oscuri della storia del mondo occidentale, il cui funzionamento e la cui esistenza si basavano sul commercio di esseri umani e lo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo. Va detto che la schiavitù, in quanto istituzione non è un’invenzione dell’era moderna, essa era già conosciuta e adoperata da tutte le popolazioni coinvolte nella tratta atlantica, che fossero essi produttori, proprietari di piantagioni, mercanti, commercianti o schiavi.

Per quel che riguarda la schiavitù ci limiteremo a dire che essa figura nei primi codici scritti della Mesopotamia, dell’Egitto e nelle leggi Greche e Romane, su cui si sarebbero basati i vari codici dell’Europa medievale e moderna. L’istituzione della schiavitù aveva un carattere educativo e correttivo, l’adattamento forzato ad un determinato codice di comportamento come strumento di istruzione necessario per l’inserimento dello straniero all’interno della società, ed una volta corretto la differenza culturale, almeno fino al XV secolo era possibile che uno schiavo diventasse un libero cittadino.

In epoca romana lo schiavo era considerato una preziosa risorsa per i proprietari la cui vita e salute andavano tutelate in quanto, a differenza dei lavoratori salariati, che se malati o feriti non avrebbero ricevuto alcun compenso, il padrone era costretto a provvedere alla sussistenza di uno schiavo anche quando questo non fosse stato propriamente in grado di lavorare.

Quando in età moderna i coloni europei giunsero nelle Americhe ed entrarono in contatto con le popolazioni autoctone, presso le quali, se bene con alcune differenze, esisteva ed era praticata l’istituzione della schiavitù, gli europei adottarono quei sistemi per un inserimento forzato delle popolazioni precolombiane nelle ottiche europee.

Il nuovo mondo però non era solo un enorme distesa di terra in cui esportare i propri modelli sociali e culturali, ma essa rappresentava anche un nuovo continente ricco di piante, frutti e creature molto rare o addirittura sconosciute in Europa. Una di queste piante era quella del cacao, dalle cui bacche era possibile, produrre delle polveri che unite ad altri ingredienti quali zucchero e diluite nel latte, permettevano la realizzazione di una bevanda estremamente aromatica e gustosa, nota oggi come Cioccolato, dall’unione di cacao e latte.

Questo tipo di bacca era estremamente difficile da coltivare in altre aree del pianeta, e questa sua particolarità la rendeva una risorsa estremamente rara e di conseguenza preziosa, ed intuendone il potenziale economico e commerciale, i coloni spagnoli e portoghesi importarono questa risorsa in Europa. L’arrivo in Europa del cacao spalancò le porte ai mercati paralleli di caffè e di tè, che proprio come il cacao era possibile produrre solo in alcune aree specifiche del pianeta. Parallelamente ai mercati del cacao, del caffè e del tè si svilupperanno altri mercati altamente redditizi, come il mercato delle ceramiche dall’oriente e dello zucchero dalle Americhe e dall’Africa, dando origine ad un sistema economico di portata globale che collegava insieme prodotti provenienti dai più remoti angoli del pianeta. Bere del cioccolato, del tè o del caffè in Europa di fatto significa miscelare polveri provenienti dalle Americhe, dall’Africa o dall’oriente, utilizzando magari porcellane e ceramiche orientali, simbolo di ricchezza e raffinatezza.

Questo colossale sistema economico poteva funzionare grazie all’integrazione di risorse dal valore differente, e che costituivano fette di mercato complementari. Da una parte le preziose e rare bacche di cacao, le foglie del tè ed i semi di caffè, rappresentavano risorse rare e necessarie alla preparazione di gustose e ricercate bevande, tuttavia a rendere particolarmente saporite queste bevande era l’aggiunta di zucchero , una risorsa relativamente facile da produrre in grande quantità, il cui costo doveva necessariamente restare basso.

Grazie all’arrivo in Europa del cacao dunque si gettano le basi per il primo grande sistema economico di portata globale, capace di produrre profitti “milionari” che avrebbero determinato l’evolversi delle economie e delle politiche mondiali nei secoli successivi. L’insediamento coloniale delle aree in cui era possibile produrre determinate risorse strategiche o preziose è il primo passo, a cui si aggiungeranno con l’aumentare della domanda, la necessità di forza lavoro a bassissimo costo.

Come abbiamo visto ad inizio articolo, la schiavitù rappresentava un istituzione universalmente riconosciuta se pure con alcune differenze, che ben si sposava con la richiesta di un elevato numero di braccianti e quindi di manodopera a bassissimo costo. La crescente domanda di zucchero genera una crescente richiesta di manodopera che non può essere più soddisfatta solo dalle popolazioni indigene, si rende quindi necessaria l’importazione, a partire dalla metà del XVI secolo, di manodopera proveniente dall’Africa. L’Africa aveva un passato ed una storia che se pur indirettamente si legavano alla storia europea e mediterranea, questo rendeva gli schiavi africani più resistenti alle malattie europee, e il fatto che le popolazioni africane fossero considerate prive di un’anima, unito all’esistenza di un oceano di distanza tra la loro terra natale ed il luogo di prigionia, li rendeva soggetti ideali per il lavoro forzato nelle piantagioni.

I primi ad importare schiavi dall’Africa furono gli Olandesi, grandi produttori di canna da zucchero, cui si uniranno spagnoli, portoghesi, francesi e britannici, i quali ricorreranno all’utilizzo di schiavi nelle piantagioni di cacao, zucchero, frutta, cotone, grano ecc ecc ecc.

L’arrivo del cacao in Europa ha quindi innescato un processo economico sempre più ampio, dando origine ad una mastodontica rete commerciale che legava insieme le Americhe, l’Africa, l’Europa, e l’oriente Asiatico. Elemento centrale di questo mercato era l’aumento di domanda di determinati prodotti dalla borghesia e delle aristocrazie europee, che illuminati da un profondo senso di superiorità nei confronti delle più primitive popolazioni esotiche, proponendosi loro come portatori di civiltà iniziarono ad inserirsi in maniera sempre più consistente nei sistemi di amministrazione, produzione e commercio di tutto il mondo, dando il via ad una massiccia espansione coloniale che avrebbe reso il mondo schiavo del cioccolato.

Tasting Empire: Chocolate and the European Internalization of Mesoamerican AestheticsThe American Historical Review (2006) 111 (3): 660-691. doi: 10.1086/ahr.111.3.660

Il commercio degli schiavi, Lisa A. Lindsay, il mulino, 2011