La Germania conia una nuova moneta da 5 euro

La Germania ha creato una nuova moneta da 5 Euro ? non proprio.

La Germania ha davvero coniato una nuova moneta parallela all’euro dal valore di 5€ valida solo all’interno dei confini della Germania?

Il sistema monetario internazionale è un pochino complicato e la risposta a questa domanda, è un pochino più complicata di semplice Si e No.

La risposta più semplice che possiamo dare è non proprio. Non si tratta infatti di una vera e propria moneta nuova, si tratta invece di quello che potremmo definire un vettore monetario, ovvero di uno strumento fisico per garantire liquidità (moneta fisica) a denaro presente su un conto corrente, ed è stato distribuito in quantità limitata.

Per essere più precisi, sono state messe in circolazione monete 2,25 milioni di monete, dal valore unitario di cinque euro, per un valore complessivo di 11,25 milioni di Euro, ma questi 11,25 milioni di euro, non sono stati creati dal nulla, la Germania ha infatti posto a garanzia di queste monete, un fondo dal valore di 11,25 milioni di euro.

Non è un calcolo complicato, ci sono 2,25 milioni di “monete“, che hanno un valore fisso, ovvero 5€ e se si moltiplica 2,25 milioni, per 5 si ottiene 11,25 milioni, che è l’equivalente del valore complessivo di moneta in circolazione. Questo complicato calcolo può farlo anche la vostra nipotina di sette anni che, a differenza della figlia di qualcuno che già sapeva farle a 2 anni, ha imparato a fare le moltiplicazioni solo di recente.

11 Milioni e un quarto, questo l'ammontare della "nuova moneta" messa in circolazione dalla Germania

Esempi di monete che funzionano come la nuova moneta tedesca

Ciò che ha fatto la Germania, non è qualcosa di nuovo, non ne di anomalo, ne di illegale o irregolare, è un qualcosa che potrebbe fare chiunque, anche io, a condizione di rispettare determinate regole.

Fiches dei Casinò

Il Casinò Bellagio di Las Vegas, nella propria cassaforte, custodisce in media 15/20 Milioni di Dollari, il Casinò Wyn, sempre a Las Vegas, custodisce in media più di 20 Milioni nella propria cassaforte, il Casinò Sands di Macao (Cina) custodisce in cassaforte più di 30 Milioni di Dollari, mentre il casinò di Venezia, custodisce in cassaforte circa 10 Milioni di €.

Perché vi do questa informazione?

Perché i casinò, per legge, ormai in tutto il mondo, hanno l’obbligo, di garantire una copertura a tutte le proprie fiches in circolazione. Ciò significa che, se il casinò di Venezia, per fare un esempio Made In Itlay, ha in circolazione, tra sale private e slot, più circa 10 milioni di € in Fiches, il banco di cambio che vende e riacquista le fiches, deve poter riconvertire in Euro, in qualsiasi momento, tutte le fiches in circolazione, di conseguenza, nella cassaforte del casinò, devono esserci almeno 10 milioni di euro.

Le fiches del casinò di Venezia, hanno un valore minimo di 0,5€ ed un valore massimo di 500€, ma hanno un valore solo ed esclusivamente entro le mura del Casinò di Venezia, fuori dal casinò sono solo dei dischi di plastica o metallo, privi di alcun valore, se sono a Venezia e ho 1000€ in fiches del casinò di Venezia, e vado in un ristorante fuori dal Casinò, non ci posso comprare neanche una bottiglia d’acqua.

La Cryptovaluta di Napoli

Nel 2018 Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, ha annunciato la creazione di una cryptovaluta basata su tecnologia blochchain e garantita dal comune di Napoli, de facto la prima cryptovaluta coniata da una “città”.

La crypto creata a Napoli ha un valore fisso di 1€, ed è stata messa in circolazione, nel solo territorio di napoli, nel 2019 in quantità limitata.

La quantità di cryptovaluta napoletana in circolazione era limitata all’equivalente del capitale presente in un conto posto a garanzia della moneta, così che il Comune, in qualsiasi momento, avrebbe potuto convertire quella moneta virtuale, in euro, e, all’aumentare del capitale nel conto (grazie agli interessi di questi) sarebbero aumentate progressivamente le cryptomonete in circolazione.

I Testoni di Santo Stefano di Magra

Ogni anno, intorno all’ultimo Weekend del mese di Luglio, nel comune ligure di Santo Stefano di Magra, si svolge una rievocazione storica, in costume, alla quale sono sempre ben felice di andare (solo come visitatore perché non mi invitano :'( ), si mangia bene, si beve del buon vino, ma soprattutto, si paga tutto in Testoni, ovvero delle monete che hanno valore solo ed esclusivamente durante la fiera, che sono state realizzate in collaborazione con la banca e che sono “garantite” da un fondo temporaneo.

Le Monete che vedete raffigurate in foto sono rispettivamente un testone ed un mezzo teston, il testone vale 2€ mentre il mezzo testone vale 1€.

Quando si arriva alla fiera, alle due entrate del paese ci sono dei chioschi di cambio, dove, alcuni operatori, “vendono” ai visitatori questi testoni, e rilasciando loro una ricevuta in cui si attesta quanti testoni sono stati acquistati.

Con i testoni, che nella fiera sono delle vere e proprie monete, con un valore reale, si può acquistare di tutto, cibo, souvenir, bevande, persino lasciare la mancia ai camerieri dei locali, ma, fuori dalla fiera, e fuori dalle ore della fiera, quelle monete non valgono assolutamente nulla. Sono semplici oggetti, dischi di metallo. Non sapendo quanto una persona spenderà molto spesso succede che qualcuno acquisti più testoni del necessario, di conseguenza, è possibile riconvertirli in euro, presso il chiosco di cambio, e ricevere l’equivalente in euro dei testoni rimasti.

Detto più semplicemente, se vado al chiosco, compro 10 testoni (quindi 20€) e dopo aver mangiato e bevuto, mi rimangono 5 testoni, posso tornare al chiosco, consegnarli, dimostrare di averli acquistati riconsegnando la ricevuta di cambio che mi è stata consegnata all'inizio, e avere in cambio l'equivalente in euro di 5 testoni, ovvero 10€.

L’ultima volta che sono stato alla fiera Santo Stefano di Magra, io e mia sorella abbiamo deciso di conservare dei testoni, perché erano molto belli, quindi, quando è stato il momento di riconvertirli abbiamo consegnato parte dei testoni rimasti, meno un testone e un mezzo testone, che sono per l’appunto quelli presenti in foto.

Quelle monete, durante la fiera, hanno valore perché sono sono garantite da denaro reale, posto a garanzia dei testoni, al momento dell’acquisto, in questo modo, nelle casse del chiosco, c’è sempre l’equivalente monetario dei testoni messi in circolazione, sia quelli messi in circolazione durante quella sera e quella fiera, sia di quelli non rientrati durante le fiere precedenti. In questo modo, Chiunque abbia dei Testoni, il cui numero e valore, sono fissi e limitati, può riconvertirli in euro in qualsiasi momento.

Il Luigino di Seborga

Il Comune di Seborga, in provincia di Imperia, in Liguria, è un piccolo comune di poco meno di 300 abitanti, che, qualche anno fa, nel 2010, ha coniato una propria moneta interna chiamata Luigino, in onore dell’amatissimo sindaco della città, acclamato “principe” dalla comunità locale, e il comune si è autoproclamato principato, ma solo formalmente, de facto non lo è, non è un vero principato autonomo e indipendente.

Il Luigino è una moneta locale, priva di alcun valore reale fuori dal comune di Seborga, ma garantita da un fondo comunale, che assicura la totale copertura di tutti i luigini in circolazione. Un Luigino ha un valore unitario di 6€ e il comune ha immesso poche migliaia di monete, per l’equivalente di poche decine di migliaia di euro, che sono depositati, su un conto corrente posto in garanzia delle monete in circolazione.

Il Luigino non è un alternativa all’euro, ne punta a gettare le basi di un sistema economico parallelo e indipendente, anzi, al contrario, è una moneta fittizia basata e derivata dall’euro, poiché il suo valore è fissato al valore dell’euro e le monete in circolazione sono limitate dalla quantità di denaro corrente (euro) depositato in garanzia di questa moneta.

Detto più semplicemente, se sul conto in garanzia del luigino ci sono 6000€ allora in circolazione possono esserci al massimo 1000 luigini.

I Buoni spesa garantiti per i comuni italiani

Anche l’italia, durante l’emergenza in corso, ha utilizzato uno strumento simile, introducendo dei buoni spesa, dal valore unitario di 50 euro, che sono stati affidati ai sindaci e alla gestione comunale, così da garantire liquidità alle famiglie.

Quei buoni, non hanno un valore reale, sono semplicemente dei codici univoci, generati da un sistema certificato che garantisce l’emissione di un codice unico, e ad ogni codice è stato assegnato un valore costante. Quei codici hanno valore economico perché parallelamente, è stato creato un fondo di garanzia, per cui, in qualsiasi momento, quei codici possono essere convertiti in denaro corrente, ovvero euro.

Ciò che è successo è che l’italia ha creato un conto contenente una certa quantità di denaro, ed ha dato ai comuni la possibilità di distribuire il denaro presente nel conto, attraverso dei codici, limitati, il cui valore complessivo equivale alla quantità esatta di denaro presente nel fondo di garanzia, in questo modo, i commercianti, possono che hanno accettato quei buoni, possono riconsegnare il codice allo stato e avere in cambio del denaro reale.

Altri esempi

Potrei fare innumerevoli altri esempi, come ad esempio i vecchi gettoni telefonici, o i gettoni e tagliandi dei Lunapark, con i quali, all’interno del lunapark, si possono effettuare degli acquisti, ma con i quali, fuori dal lunapark, ci si può solo limitare a guardarli, se particolarmente belli.

Ma forse è più semplice limitarsi ad esporre il principio di base di questi sistemi.

In tutti i casi presentati, dalle fiches ai gettoni telefonici, non è stato creato del nuovo denaro, non sono state create nuove monete reali, ma è stato creato del “denaro fittizio” come i soldi del monopoli, sono state creati degli strumenti che permettono di circoscrivere l’uso di una quantità fissa di moneta in un area ristretta, in modo che quella moneta vada in circolazione senza alterare i delicati equilibri economici.

L’utilizzo di questi strumenti limita le possibilità di circolazioni “illegali” di moneta, poiché quelle monete hanno valore solo in un area circoscritta, la cui ampiezza è definita dal garante, e generalmente per un periodo limitato di tempo, non ha dunque alcun senso accumulare queste monete, e ciò ne facilita la circolazione.

Esistono tuttavia, monete “parallele” illegali, come la Lira Italiana, la vecchia e cara lira, ormai fuori corso da oltre 20 anni, e pure, ancora in circolazione.

La criminalità organizzata ha infatti costruito un sistema “bancario” parallelo, in cui alcune organizzazioni criminali fanno da garanti alla quantità di lira in circolazione e questa moneta parallela viene utilizzata, per semplificare pagamenti clandestini.

Questo sistema illegale è stato costruito nei primi anni duemila, ed è basato su un vecchio sistema, semi illegale, basato su dollari fuori corso di stampa, molto diffuso negli anni ottanta e novanta.

Il funzionamento della “nuova moneta” tedesca

Questa “nuova moneta” messa in circolazione dalla Germania, funziona esattamente allo stesso modo delle Fiches dei casinò, dei Testoni della fiera di Santo Stefano di Magra, della Cryptovaluta su base blockchain del comune di Napoli, del luigino di Seborga, dei buoni spesa non sono altro che delle Fiches prodotte dal governo, garantite da un Fondo Speciale in cui c’è l’equivalente delle monete in circolazione, in questo modo, può, in qualsiasi momento riconvertire quelle monete in denaro reale.

Può farlo solo la Germania? no, può farlo letteralmente chiunque, a condizione che possa garantire un valore reale a quello strumento fittizio e soprattutto, che possa garantire un emissione limitate, finita, di “moneta”.

Lo ha fatto persino Facebook con la creazione della Cryptovaluta Libra, garantita da un fondo speculativo, lo ha fatto, circa due anni fa, il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, lo fanno ogni anno, gli organizzatori di una rievocazione storica che si tiene a Santo Stefano di Magra, in provincia di La Spezia, In liguria, nell’ultimo weekend di luglio, lo ha fatto il sindaco di Seborga, e lo fanno i direttori di Casinò e organizzatori di fiere di tutto il mondo.

La Germania ha adottato lo stesso principio, ha creato una quantità limitata di monete e le ha messe in circolazione, creando un fondo di garanzia che permette a chiunque, in qualsiasi momento, in Germania, di convertire quella moneta semi virtuale in moneta corrente, ovvero euro.

La Germania, non ha creato 11,25 Milioni di euro, la Germania ha preso 11,25 Milioni di euro e li ha distribuiti con una moneta fittizia, un supporto diverso dalla classica moneta, mettendo però allo stesso tempo, da parte, l’equivalente in euro di quella cifra, costituendo per l’appunto il fondo di garanzia della nuova moneta semi-virtuale, il cui valore e espresso in euro.

Conclusioni

La Germania avrebbe potuto distribuire quegli 11,25 milioni in tanti modi diversi, come dei Buoni spesa, o codici univoci, affidati ai comuni, esattamente come ha fatto l’Italia, avrebbe potuto metterli in circolazione sotto forma di cryptovaluta basato su tecnologia blockchain, come ha fatto il comune di Napoli, avrebbe potuto metterle in circolazione utilizzando un sistema che i Casinò di tutto il mondo utilizzano da oltre due secoli, o avrebbe potuto adottare un sistema simile a quello delle fiches, come il sistema utilizzato alla fiera Santo Stefano di Magra da diversi anni e nel comune ligure di Seborga, sempre in liguria, in provincia di Imperia, ed è stato proprio questo il sistema adottato dalla Germania.

Volendo essere puntigliosi la Germania non ha creato una nuova moneta, perché la moneta immessa è garantita da un conto in Euro, e dunque quella moneta è una forma locale, e limitata, di euro, esattamente come le Fiches dei Casinò. Se dicessimo che la Germania ha creato una nuova moneta, allora, per coerenza logica, dovremmo dire che i casinò di tutto il mondo sono dotati di una propria moneta. Il che è in parte vero, ma solo se ci si riferisce a quel micro ambiente interno ai casinò, per cui quella moneta ha valore, ma, non avendo alcun valore esterno, per cui, fuori dal casinò, dalla città, dalla fiera, quella moneta non vale nulla.

La Germania, non ha quindi creato una nuova moneta, ciò che ha fatto è stato creare è un fondo di garanzia, in cui il governo tedesco ha depositato 11,25 milioni di euro (l’equivalente del valore complessivo delle monete) e poi ha messo in circolazione delle monete fittizie, che hanno valore solo per un periodo di tempo limitato e un area circoscritta (la Germania), e possono essere riconvertite in moneta corrente (euro) in qualsiasi momento, finché la moneta è in corso di validità, solo attraverso banche fisicamente presenti in Germania, perché, solo le banche che si trovano in Germania possono interfacciarsi con il fondo di garanzia, e quindi restituire le monete allo stato e avere in cambio del denaro reale.

Trump dichiara la Luna territorio Americano?

per Donald Trump, la Luna non è un bene comune globale, e firma un ordine esecutivo che invita i privati allo sfruttamento minerario della luna

Il presidente degli Stati Uniti ha firmato un ordine esecutivo che incoraggia i soggetti privati a investire nel programma di esplorazione spaziale che punta a Marte passando dalla Luna. Trump garantisce lo sfruttamento minerario e naturale dello spazio agli americani: «gli Stati Uniti non lo considerano un bene comune globale»

Aprile 2020, non c’è limite al peggio. Con un ordine esecutivo, il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, incoraggia le società private, in particolare quelle statunitensi, allo sfruttamento minerario del suolo lunare.

L’ordine Esecutivo di Trump

Tra i poteri del presidente degli stati uniti, vi è quello di emanare ordini esecutivi, ovvero leggi speciali/straordinarie, e il 6 aprile 2020 il presidente Trump, ha emanato un ordine esecutivo che riguarda il programma spaziale degli USA che punta ad andare su Marte, passando per la Luna, nell’ottica del programma Artemis.

Il programma Artemis punta a stabilire una presenza umana sostenibile nell’orbita lunare entro il 2024 ed una base sul suolo lunare, entro il 2028. Il programma Artemis prevede anche la partecipazione di partner commerciali che possano recuperare e utilizzare le risorse dello spazio: acqua, regolite e altri minerali.

Secondo il presidente Trump la mancanza di regole che consentono a soggetti privati di recuperare risorse naturali dalla luna e dallo spazio, ha enormemente rallentato e scoraggiato la partecipazione di privati ai vari programma spaziali governativi e intergovernativi

La mancanza di certezze riguardo ai diritti di sfruttamento delle risorse spaziali da parte di soggetti privati, e in particolare il diritto di recupero e utilizzo a scopi commerciali delle risorse naturali della Luna, ha scoraggiato alcune imprese a partecipare al programma spaziale”

In effetti, la giurisprudenza che riguarda lo sfruttamento minerario e delle risorse extra atmosferiche, è abbastanza vacante, non vi sono molte regole se non qualche trattato, che lo stesso Trump non ha mancato di menzionare.

Il trattato spaziale

Nel 1966 una commissione delle Nazioni Unite, ha elaborato un trattato internazionale, noto come The Outer space Treaty, approvato dalla risoluzione 2222, successivamente firmato e ratificato dai governi di tutti i paesi membri dell’ONU entro la fine del 1966.

Firma e Ratifica sono passaggi istituzionali differenti, la firma coinvolge il presidente e il governo, mentre la ratifica, avviene in un secondo momento, e costituisce l'approvazione e acquisizione, da parte del parlamento nazionale, della norma di diritto internazionale, all'interno del corpus giuridico nazionale. Può capitare che un presidente o ministro Firmi un trattato ma che questi, successivamente, non venga ratificato, come è successo con il trattato istitutivo della Società delle Nazioni, firmato dal presidente USA Woodrow Wilson, ma non ratificato dal Congresso, cosa che de facto, ha ha permesso agli USA di non entrare a far parte della Società delle Nazioni  

Secondo questo trattato, la Luna e gli altri corpi celesti (extra atmosferici) possono essere usati esclusivamente per scopi pacifici, non si fa tuttavia menzione della possibilità (o divieto) di sfruttamento privato delle risorse naturali dei suddetti corpi.

Il trattato è stato modellato su quello che era il preesistente trattato antartico del 1959.

Un video del Canale Link 4 Universe in cui si parla proprio di Diritto “lunare” e sfruttamento delle risorse spaziali.

La questione giuridica scaturita dall’ordine esecutivo di Trump, apre le porte ad un corposo dibattito internazionale, che coinvolgerà nelle prossime settimane, mesi, forse anni, l’ufficio delle Nazioni Uniteper gli affari dello spazio esterno (UNOOSA) l’assemblea Planetaria dell’ONU ed il consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e l’ampia documentazione giuridica riguardante il trattato Antartico, giocherà quasi certamente un ruolo determinante, viste le numerose analogie tra i due trattati del 1959 e 1966.

Una questioni di diritto internazionale

Il trattato dello spazio extraplanetario, rientra in quello che è il campo del diritto internazionale, ed è volto a regolamentare i rapporti tra le nazioni.

Nella gerarchia giuridica, questo trattato rientra in un campo posto al di sopra del diritto nazionale, ciò significa che, l’ordine esecutivo di Trump, ha valore, ma il suo valore è relativo, poiché tecnicamente Trump non possiede l’autorità giuridica per decidere autonomamente, come, dove e quanto può o potrà essere sfruttato il suolo lunare e altre risorse extra atmosferiche.

Nonostante ciò, l’ordine esecutivo di Trump, non costituisce (totalmente) una violazione del diritto internazionale, poiché interviene in una zona grigia del diritto internazionale, dove non è ben chiaro cosa si possa o non si possa fare. L’ordine esecutivo, che deriva dai poteri militari del capo della Casa Bianca, non totalmente legittimo, ma non è neanche un atto di guerra e finché l’ONU non si esprimerà in merito, vivrà in quel limbo giuridico per cui è valido e illegittimo allo stesso tempo.

Va detta un ultima cosa, i provvedimenti e le decisioni da prendere, in seguito ad una violazione di questo calibro, coinvolgono direttamente il consiglio di sicurezza delle nazioni unite, consiglio di sicurezza di cui gli USA sono membro permanente con diritto di veto, che tradotto significa che molto probabilmente non ci saranno ripercussioni per gli usa, e l’ordine esecutivo di Trump verrà accolto positivamente dall’Office for Outer Space Affairs delle Nazioni Unite.

Indipendentemente da come si concluderà la vicenda giuridica, ciò che accadrà nell’immediato futuro è che l’ordine esecutivo di Trump verrà analizzati e valutato direttamente dal consiglio di sicurezza dell’ONU

Considerazioni personali

Personalmente non so come evolverà la situazione, ma possiamo provare ad intuirlo.

Lo spazio extraplanetario, così come la superficie lunare e marziana, rappresentano una grande opportunità per l’umanità nel suo complesso, oltre che un immensa fonte di profitto per chiunque vorrà mettere le mani su quell’enorme torta ricca di risorse minerarie preziose.

Dall’accesso e dal controllo dello spazio dipenderanno, nei prossimi anni, gli equilibri tra nazioni, società private e multinazionali.

Potenzialmente una nazione povera di risorse minerarie, in grado di attingere alle risorse minerarie extraplanetarie, può vivere una vera e propria rivoluzione industriale, così come una nazione ricca di risorse minerarie, ma impossibilitata a raggiungere lo spazio, potrebbe non conoscere una nuova fase espansiva, e in assenza di un sistema di regole e di una visione condivise tra le nazioni sulle modalità con cui operare, questa corsa alle risorse potrebbe tradursi in conflitti di varia natura, anche sulla terra.

Rispetto alle questioni terrestri tuttavia, lo spirito di cooperazioni tra le nazioni, quando riguarda lo spazio sembra essere condiviso, è quindi molto improbabile che assisteremo a scenari simili a quello africano, ed è più probabile che si andrà in una direzione molto simile a quella presa per l’Antartide, dove, da decenni, le nazioni collaborano con privati, per scopi scientifici e per recuperare risorse minerarie.

Il Fascismo Ungherese di Miklós Horthy

l’Ungheria di Miklos Horthy fu un regime autoritario, conservatore, di estrema destra, fortemente legato al fascismo prima e al nazional socialismo tedesco poi.

L'Ungheria di Miklós Horthy fu un regime autoritario, conservatore, di estrema destra, fortemente militarista e legato al fascismo prima e al nazional socialismo tedesco poi.

Correva l’anno 1920 quando l’ammiraglio Miklós Horthy, già ministro della guerra nel 1919, venne proclamato capo del Governo del regno di Ungheria.

La figura di Miklós Horthy è estremamente importante per la storia politica dell’europa degli anni venti e trenta, perché fu, in un certo senso, l’anticipatore di quei movimenti nazionalisti anticomunisti che, negli anni seguenti, avrebbero coinvolto Italia, Germania, Spagna e tutto il resto d’europa, attraverso forme e nomi di partito diversi nella forma, ma tutti strutturati in maniera paramilitare, con una rigida gerarchia interna e caratterizzati da sentimenti di odio verso comunisti, ebrei e numerose altre minoranze etniche e culturali.

Horthy è il grande anticipatore di Mussolini, Oswald Mosley ed Hitler, ne condivide le idee e l’ideologia, se pur con qualche differenza.

La Carriera di Miklós Horthy

La carriera di Miklós Horthy è iniziata tra i ranghi dell’esercito ungherese, dove fece rapidamente carriera, grazie anche alle sue origini nobiliari, e negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, tra il 1909 ed il 1914, si ritrovò ad essere uno degli aiutanti e più stretti collaboratori dell’imperatore Francesco Giuseppe, per poi servire durante la guerra fino al raggiungimento del grado di contrammiraglio e comandante supremo della flotta imperiale della regia marina austro-ungarica.

Finita la guerra, Horthy ricopriva una delle più alte cariche militari dell’impero Austro-Ungarico, impero che tuttavia usciva sconfitto dalla guerra e si preparava alla propria disgregazione definitiva, che sarebbe avvenuta tramite una serie di scontri interni, e in quel contesto di crisi, la guida del governo ungherese venne affidata al comunista ungherese, Ábel Kohn, meglio noto come Béla Kun.

Il governo comunista di Béla Kun ebbe vita breve, sopravvivendo dal 21 marzo 1919 al 3 aprile dello stesso anno, e vi fece seguito un governo anticomunista guidato da Károly Huszár, appoggiato da Miklós Horthy che, tra il marzo 1919 e l’aprile del 1920, ricoprì la carica di ministro della guerra.

Lo scontro tra Comunisti e Anti-Comunisti in Ungheria, non fu solo politico, ci furono diversi scontri armati in tutta l’Ungheria, scontri che videro contrapposti i monarchici anticomunisti ai comunisti di Kun.

Una delle prime disposizioni del Governo di Huszár fu quella di ripristinare la monarchia ungherese, e preparare un ritorno degli Asburgo, tuttavia, il nuovo ordine europeo venutosi a formare dopo la fine della guerra, rendeva particolarmente ostico questo progetto, e alla fine, in seguito all’ingresso trionfale e conseguente occupazione militare di Budapest da parte di Horty e le sue truppe, l’ammiraglio assunse l’incarico di capo provvisorio dello stato, con il titolo di reggente del regno d’Ungheria, in ungherese kormányzó, carica che ricoprì fino alla fine della seconda guerra mondiale.

La Politica di Horthy

La politica di Miklós Horthy era inquadrabile nelle idee della destra sovranista e conservatrice, Horthy rappresentava gli interessi dell’aristocrazia e per lui e la propria cerchia sociale di appartenenza, il comunismo era una minaccia reale. Béla Kun nel proprio programma puntava a sottrarre le terre ai nobili per darle al popolo ungherese, Horthy era membro di una di quelle famiglie nobili a cui Kun voleva togliere le terre.

Una delle prime decisioni politiche che l’ammiraglio ungherese dovette affrontare in qualità di capo del governo, fu quella dei trattati di pace ancora in corso, e il ruolo giocato dall’Ungheria durante la prima guerra mondiale, non dava molto margine di manovra all’ammiraglio, fu quindi “costretto” ad accettare le dure condizioni del trattato di pace del Trianon, il trattato con cui vennero stabilite, dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale, le sorti del nuovo Regno d’Ungheria, in seguito alla dissoluzione dell’Impero austro-ungarico. Presero parte alla conferenza Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Italia, oltre ai loro alleati, Romania, Regno dei Serbi, Croati e Sloven e il trattato venne firmato il 4 giugno 1920.

Le dure condizioni del trattato di Trianon, come sarebbe accaduto anche in Germania, alimentarono una forte insofferenza nei confronti dei vincitori della guerra e, unito ad un crescente sentimento anticomunista e antisemita, portarono alla nascita di un regime, estremamente autoritario, anche se non assunse mai i tratti di una dittatura o di un regime totalitario come invece sarebbe accaduto all’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler, in cui il parlamento venne completamente esautorato.

Il regime di Horthy

Durante gli anni del regime di Horthy, che coincidono con gli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale, l’Ungheria rimase, se pur in modo parziale, una monarchia parlamentare, guidata da un reggente.

Il parlamento Ungherese come anticipavo non venne completamente esautorato, ne venne sostituito da altri organi e istituzioni, tuttavia, l’autorità del reggente fu particolarmente incisiva e il parlamento, il più delle volte, si ritrovò a seguire le direttive di Horthy.

Nel regime di Horthy l’ordine sociale ungherese doveva rimanere inalterato, e a tal proposito l’ammiraglio, da militare, aristocratico e conservatore qual’era, si impegnò profondamente affinché quell’ordine precostituito non venisse alterato, in particolare dalla minaccia della “barbarie sovietica” che aleggiava alle porte dell’Ungheria.

L’Ungheria di Horthy fu uno dei primi paesi europei a varare delle leggi discriminatorie nei confronti degli ebrei e con largo anticipo rispetto alle leggi di Norimberga e le leggi razziali italiane, già nel 1921 Horthy ordinò che venisse limitata la percentuale di studenti di varie minoranze presenti in Ungheria.

La legge, firmata dal primo ministro ungherese del 1921 Pál Teleki, fissava al 6% il numero massimo di studenti di origine ebraica che potevano iscriversi alle università ungheresi. Altre leggi discriminatorie di questo tipo vennero varate negli anni seguenti, il cui corpo legislativo, per molti, preparò il terreno per le successive leggi di Norimberga del regime nazista, proclamate il 15 settembre 1935. In Ungheria, comunque, il culmine delle leggi razziali e antisemite arrivò nel 1938 con una serie di leggi proclamate dal’allora primo ministro fino al culmine di una vera e propria legislazione antiebraica introdotta nel 1938 dal primo ministro Kálmán Darányi, con cui il paese si preparò alle deportazioni naziste.

Il proto fascismo di Horthy

Il regime autoritario di Horthy si trova in un limbo ai limiti del fascismo, ideologia con la quale Horthy ebbe un forte legame, consolidato soprattutto dopo la firma dei protocolli di Roma del 1934, con cui l’Ungheria si legava all’influenza economica e politica dell’Italia. Tuttavia, nonostante questo legame Horthy non arrivò mai ad abbracciare totalmente il Fascismo e, in seguito alla morte di Engelbert Dollfuss, leader del fronte Patriottico, un partito austriaco di ispirazione fascista, Horthy, come molti altri proto fascisti in europa, si avvicinò maggiormente alle posizioni più radicali del nazional socialismo tedesco.

L’ambizione di Horthy

Come Hitler e Mussolini, anche Horthy ambiva al potere personale e puntava ad assumere il potere assoluto sullo stato che governava, questa ricerca del potere ebbe evoluzioni diverse in Ungheria, Italia e Germania, che si legano soprattutto allo status politico delle tre nazioni.

Ungheria ed Italia erano monarchie, anche se, l’Ungheria era de facto una monarchia senza re, mentre l’Italia, anche se non particolarmente presente nella scena politica, aveva comunque un re. Diversamente la Germania era una repubblica.

Secondo Max Weber, la legittimazione del potere può avvenire in tre diversi modi, ovvero in modo tradizionale, carismatico e legale/giuridico e, sempre secondo Weber, il potere politico (assoluto) può manifestarsi solo in presenza di questi tre elementi.

Noi oggi sappiamo che tra Hitler, Mussolini ed Horthy, l’unico a conseguire il potere assoluto fu Hitler, questo perché Hitler, grazie al proprio carisma e all’uso della forza, riuscì a conseguire una legittimazione legale e carismatica del proprio potere, inoltre, l’organizzazione paramilitare della Germania, collocava Hitler al vertice di una sorta di gerarchia tradizionale, simil feudale, garantendo quindi, anche un potere tradizionale in uno stato in cui non erano presenti forme di potere tradizionali.

Nell’Ungheria di Horthy, se bene l’ammiraglio, godesse di potere legale/giuridico, grazie al proprio, conseguito grazie a carisma e forza, proprio come Hitler, l’Ungheria era una monarchia, senza re, ma comunque una monarchia, e di conseguenza, per ascendere al rango supremo, Horthy aveva necessità di essere proclamato regnante e non semplicemente reggente della corona.

A tale proposito, durante il proprio governo Horthy estese progressivamente i propri poteri, cannibalizzando parti del parlamento e accentrando nelle proprie mani diverse cariche, e riuscì tantissimo ad avvicinarsi tantissimo al proprio obiettivo di diventare “re di Ungheria”, al punto che, nel 1937, alle soglie della seconda guerra mondiale, ad Horthy mancava soltanto il riconoscimento della chiesa cattolica per l’investitura ufficiale e l’ascesa al trono, ascesa che probabilmente non avvenne proprio a causa della guerra

TGR Leonardo, il servizio è vero, ma non parla del CoViD19

Il Servizio del TGR Leonardo del 2015 in cui si parla di un virus creato in laboratorio è autentico, ma il virus di cui parla non ha nulla a che vedere con il SARS-CoViD19

In questi giorni sta circolando sui social un vecchio servizio del TGR Leonardo, del 2015, in cui si parla di un misterioso virus killer, che attacca i polmoni, creato in laboratorio dalla Cina, e per molti, quel virus è il SARS-CoViD19.

In realtà si tratta di due virus totalmente diversi, il primo è un virus artificiale, creato in laboratorio per motivi di ricerca, il secondo, il CoViD19, è invece frutto della naturale evoluzione e selezione naturale di un ceppo virale che muta abitualmente. Citando Roberto Burioni, il Coronavirus è un virus naturale al 100%, purtroppo. Purtroppo perché se fosse un virus artificiale avremmo già tutti gli strumenti necessari per renderlo inoffensivo, ma purtroppo non è così, e abbiamo a che fare con un virus totalmente nuovo, di cui conosciamo pochissimo.

Premettendo che non sono un medico, non sono un biologo, ne un virologo o un epidemiologo o qualsiasi altra cosa finisca in ologo, sono semplicemente una persona che sa fare una ricerca su Google e soprattutto che sa leggere.

Voglio quindi provare a spiegarvi in modo semplice e facile, la differenza tra un virus artificiale come quello di cui si parla nel servizio di Leonardo del 2015, e un virus naturale, 100% bio, come direbbe Burioni, come il SARS-CoViD19, e se avessi dei mattoncini Lego userei quelli per la spiegazione, come solito fare il buon Dario Bressanini.

Il Modello di un Virus

Immaginate i virus, tutti i virus, come blocchi di mattoncini Lego, che si possono montare insieme, ogni virus si compone di una un certo numero di mattoncini Lego.

Mattoncini Lego o presunti tali

Nel 2015 i cinesi, hanno preso parte dei mattoncini di un virus comune tra i pipistrelli, parte dei mattoncini di un virus dei topi, ed hanno unito i mattoncini, creando un terzo virus, che un era po’ l’uno e un po’ l’altro e nel complesso era un virus totalmente nuovo che era in grado di attaccare e infettare i polmoni umani, e per evitare che quel virus potesse casualmente infettare qualcuno e diffondersi fuori dal laboratorio, il virus sintetizzato è stato privato della capacità di riprodursi, cosa che lo rendeva inoffensivo.

Un qualsiasi biologo, chimico, medico, persino io, con un microscopio e i tre virus a portata di mano, sarebbe in grado di dire, guardando il virus artificiale e i suoi genitori, che quel virus è stato costruito partendo dai virus precedenti. Più o meno, non è proprio semplicissimo in realtà, diciamo che in realtà io con un microscopio neanche vedrei il virus, ma gli “scienziati” che per lavoro studiano virus e micro organismi, si, loro sono perfettamente in grado di farlo.

Quello che è apparso nel 2019, è un altro virus.

Il Virus creato in laboratorio nel 2015 ha precise caratteristiche, e queste caratteristiche sono diverse dalle caratteristiche del SARS-CoViD19,, sono de facto due virus diversi.

Se guardiamo al microscopio il CoViD19 e il virus del 2015, possiamo osservare che il CoViD19 non ha nessun elemento in comune con il virus del 2015, ne con i suoi genitori.

È come se qualcuno, che chiameremo madre natura, avesse preso una manciata di mattoncini dal tavolino, di quelli ancora non utilizzati da nessuno, e li avesse aggiunti ad un virus comune, creando un virus totalmente nuovo, ma allo stesso tempo naturale e 100% bio.

Per intenderci, se i virus fossero fatti di lego e il virus del 2015 fosse fatto di mattoncini gialli e rossi, il CoViD19, sarebbe composto da mattoncini verdi e azzurri.

Un po’ di esempi surreali

Se l’esempio dei virus non fosse abbastanza chiaro, proviamo con qualche esempio alternativo.

Se invece di virus, stessimo parlando di esseri viventi più complessi, come cani, gatti, scimmie, ippopotami, il virus del 2015 potremmo immaginarlo come la fusione tra un cane e un gatto, nel senso che, la parte di posteriore della creatura creata in laboratorio sarebbe quella di un gatto, quindi coda di gatto, zampe di gatto ecc, mentre la parte anteriore, sarebbe quella di un cane, quindi zampe anteriori e testa di cane. Sarebbe una creatura nuova, metà gatto e metà cane, ma senza genitali, così non potrebbe riprodursi.

Diversamente da questa simpatica creatura, il covid-19 si presenta come qualcosa di anomalo, come un animale ha una forma tutta strana, che non è metà di un animale e metà di un altro, anche se ha la struttura di un quadrupede. Possiamo immaginarlo come un bizzarro essere un braccio con mano al posto della coda, con enormi occhi simili a quelli delle mosche, le zampe anteriori con lunghi artigli e quelle posteriori palmate, e anche un corno, così, per gradire.

Sarebbe una creatura che a vederla, non saremmo in grado di ricondurre a nessun essere già esistente

Visto che mi piacciono gli esempi strani, faccio ancora un ultimo esempio, questa volta con il cibo, sono infatti convinto che la riduzione a cibo sia il modo perfetto per veicolare qualsiasi messaggio.

Se il Virus fosse una pizza

Immaginate il virus del 2015 come una un nuovo cibo, i cui genitori, sono una pizza e del sushi. E quindi il “virus” si presenta come una sorta di pizza con sopra dei pezzi di sushi.

Guardandola i suoi “genitori” ci appaiono evidenti, è una pizza con sopra del sushi, non c’è molto altro da dire.

Il CoViD19 invece, è qualcosa di diverso. È come se fosse una sfoglia pizza, fatta con farina di riso con dei semi di papavero nell’impasto, su cui è spalmata, a mo’di salsa della crema di avocado su cui poggiano dei pezzetti di salmone e salame piccante alternati in modo casuale, il tutto viene poi arrotolato e fritto.

Al primo sguardo, diversamente dalla pizza sushi, ci è impossibile capire di cosa si tratta, non è una pizza, non è sushi, anche se gli ingredienti sono gli stessi della pizza e del sushi, ma usati in modo diverso, e de facto, ciò che è venuto fuori non è una pizza con il sushi, ma è un qualcosa di totalmente nuovo, creato da uno chef stravagante, diversamente dalla pizza sushi che al massimo possiamo trovare in qualche video dei ragazzi di space valley.

Conclusione

Spero che questi esempi possano essere d’aiuto, io purtroppo non sono un biologo, quindi perdonatemi se la mia spiegazione non è tecnicamente perfetta e contiene qualche precisazione.

Il punto è che il virus del 2015 è un virus diverso dal CoViD19, il primo è stato prodotto artificialmente in laboratorio, per una ricerca che è stata poi pubblicata sulla rivista nature, il secondo è evoluto naturalmente, come dimostrato da un altra ricerca, pubblicata anch’essa sulla medesima rivista.

La Bufala della poesia scritta durante la peste dell’ottocento

Sta circolando su Facebook una presunta Poesia scritta da Kitty O’Meary 1839-1888 durante l’epidemia della peste nel 1800, una poesia che sembra molto attuale, potrebbe essere stata scritta ieri… probabilmente perché è stata scritta la poche settimane fa.

Facendo qualche rapida ricerca sul nome dell’autrice, non sembra venir fuori nulla, di Kitty O’Meary, poetessa o comunque scrittrice vissuta tra il 1839 ed il 1888, sembra non esserci traccia. Cercando invece su Google, mettendo il nome tra gli apici, così da fare una ricerca mirata al suo nome, escono circa quattro pagine di contenuti e tutti creati nelle ultime ore.

Queste informazioni da sole sono sufficienti a dirci che si tratta di una falsa attribuzione. La poesia, non è stata scritta da Kitty o’Meary e ci dicono anche che questa Kitty o’Meary, il cui cognome ci suggerisce una qualche origine irlandese, non è mai esistita, non nel XIX secolo almeno, ma ci arriviamo con calma.

Voglio però spingermi oltre in questa “ricerca” e cercare di capire se potrebbe essere reale, magari si tratta solo di una falsa attribuzione, di una poesia scritta effettivamente nel 1800, o forse invece, si tratta di qualcosa di diverso, magari una poesia contemporanea che qualcuno ha retrodatato, all’insaputa dell’autrice.

Nei post virali che circolano sui social, oltre al testo della poesia, che vi lascio in calce a questo post, ci viene detto che la poesia è stata scritta durante la peste del 1800, oltre alla data di nascita e di morte della poetessa 1839-1888.

Già da queste date possiamo scorgere un incongruenza, come può, una poetessa vissuta tra il 1839 e il 1888, aver scritto una poesia nel 1800?

La cosa più probabile è che per 1800 si intende XIX secolo, ma noi ora questo non lo sappiamo, cerchiamo allora di non lasciare nessuna strada inesplorata e di vagliare, più che altro per gioco, le varie possibilità.

Partiamo quindi da questo dato.

Noi oggi abbiamo un ampia conoscenza delle pestilenze ed epidemie del XVIII e XIX secolo, e sappiamo con assoluta certezza che nell’anno 1800 non era in corso nessuna epidemia di peste in europa. In particolare sappiamo che non c’erano focolai di peste in Irlanda, luogo in cui possiamo presumere viveva la donna, il cui cognome è chiaramente di origine irlandese, e sappiamo anche che non c’erano epidemie di peste neanche negli altri possedimenti britannici dell’epoca. Sappiamo inoltre che nel 1800 non c’era nessun focolaio di peste nelle Americhe, in particolare nell’america settentrionale. Del resto Kitty o’Meary potrebbe essere un immigrata o discendente di immigrati irlandesi in America. Tutto è possibile, e come dicevo, cerchiamo di non lasciare nessuna strada inesplorata.

Tornando comunque alle epidemie di peste

Noi sappiamo che l’ultima epidemia di peste ad aver colpito le isole britanniche è stata la grande peste di londra del 1665-1666, possiamo quindi escludere la possibilità che l’autrice vivesse in Irlanda nel 1800 durante la peste, perché nel 1800, in Irlanda, non c’era la peste, c’era invece qualche focolaio, molto contenuto, di febbre gialla.

Potremmo ipotizzare che non fosse peste ma Febbre gialla la malattia raccontata nella poesia, tuttavia, come anticipavo, la diffusione di febbre gialla in Irlanda nel 1800 fu molto contenuta, e si registrarono per lo più casi isolati non coerenti con lo scenario carico di ansia e angoscia raccontato nella poesia.

Nello stesso periodo tuttavia c’è effettivamente un focolaio di peste, da qualche parte nel mondo, che potrebbe aver contagiato qualche britannico, e volendo essere precisi la parte del mondo in cui è in corso, nel 1800, un epidemia di peste è l’impero ottomano, e la zona più colpita dell’impero è l’Egitto, e proprio l’Egitto, tra il 1798 al 1801, è stato teatro di uno scontro aperto tra le forze napoleoniche e la prima coalizione antifrancese guidata dal regno unito.

Potremmo quindi pensare che la peste a cui ci si riferisce l’autrice della poesia è questa peste “egiziana” e che la poetessa si trovasse effettivamente lì, insieme ai soldati della coalizione.

Il testo della poesia a questo punto diventa importante, perché tra le sue righe in modo più o meno diretto, dovremmo trovare un qualche riferimento alla guerra in corso, e non è così, la poesia ci racconta un universo domestico che è in guerra con la malattia, ma che non sta vivendo un vero scontro armato, non direttamente.

Lo sguardo della poetessa è lontano, distaccato, come come se vi fosse apprensione per la malattia, ansia, angoscia, ma tutto sommato non c’è una preoccupazione diretta, percepiamo che la malattia non la riguarda direttamente e ciò totalmente incompatibile con lo sguardo di qualcuno che vivendo in quel mondo devastato da guerre e rivoluzioni, sente il bisogno di scrivere una poesia per dar voce a quel dramma in corso. Il testo della poesia ci allontana dal XIX secolo, e ci fa supporre che l’autrice sia una donna, che tutto sommato vive la sua vita in modo abbastanza tranquillo.

Mi sono soffermato, in questa prima parte dell’analisi, sull’anno in cui sembrerebbe essere stata scritta la poesia, 1800, ma forse, quel 1800 non è l’anno, e come ipotizzavamo, potrebbe essere il secolo, del resto nello stesso post ci viene detto che questa Kitty O’Meary è vissuta tra il 1839 ed il 1888.

Torniamo quindi, ancora una volta alle pestilenze e soffermiamoci questa volta sulla forbice temporale 1839-1888.

Nel 1840, quando la poetessa, presumibilmente aveva un anno, c’è stata l’ultima grande pestilenza dell’europa continentale, in Dalmazia e Italia settentrionale, potrebbe essere questa la peste descritta dalla poetessa, che la guarda da lontano, con uno sguardo rivolto al passato, questo spiegherebbe il distacco emotivo da quei momenti e la totale assenza di ogni riferimento ad altri scenari di quel tempo. Sarebbe sicuramente una lettura interessante, ma anche molto fantasiosa.

L’unica grande epidemia di peste nel XIX secolo, che possiamo in qualche modo collegare all’arco temporale in cui visse questa presunta Kitty O’Meary, è la terza grande pandemia di peste, che intercorse tra il 1856 ed il 1960.

Non è una vera pandemia, si tratta di una serie di focolai di peste bubonica, legati alla rete dei trasporti globali, che si manifestarono in gran parte del mondo extra europeo, e che coinvolsero principalmente l’Asia e l’oriente in generale.

Purtroppo, anche se in realtà è una fortuna, dal XIX secolo in po, le pestilenze in europa e in occidente sono state sempre meno, così come le grandi epidemie, grazie anche alla diffusione di migliori condizioni igieniche, ma anche di antibiotici, vaccini e medicinali vari.

L’assenza di altre epidemie di peste nell’Europa del XIX secolo fa terminare qui il nostro gioco, e lo fa terminare con una verità, la poesia non è stata scritta nel XIX secolo.

Fin qui ci siamo divertiti a giocare ed abbiamo provato a trovare un qualsiasi possibile appiglio, una base che potesse giustificare l’autenticità della poesia che sta circolando sui social, ma senza troppi risultati, purtroppo, più cercavamo di giustificarla e più ci rendevamo conto che questa poesia non è stata scritta nel XIX secolo, ma nel marzo del 2020.

La verità sulla poesia

E proprio nel marzo 2020 è apparsa sul web, per la prima volta questa poesia, la cui vera storia ci è stata raccontata da oprahmag che ha intervistato Kitty O’Marea, una poetessa contemporanea, che il 16 Marzo 2020 ha pubblicato sul proprio blog https://the-daily-round.com/ un post intitolato “in the time of pandemic” in cui è contenuta una poesia intitolata “And The People Stayed Home” con cui l’autrice ha cercato di raccontare l’angoscia e l’ansia del momento storico vive, e in cui viviamo noi tutti.

Vi lascio di seguito il testo originale della poesia di Kitty o’Meara

And the people stayed home. And they read books, and listened, and rested, and exercised, and made art, and played games, and learned new ways of being, and were still. And they listened more deeply. Some meditated, some prayed, some danced. Some met their shadows. And the people began to think differently.
And the people healed. And, in the absence of people living in ignorant, dangerous, mindless, and heartless ways, the earth began to heal.
And when the danger passed, and the people joined together again, they grieved their losses, and made new choices, and dreamed new images, and created new ways to live, and they healed the earth fully, as they had been healed.

Epidemie Virali su Facebook, ma mancano molti (troppi) nomi all’appello

Negli ultimi quattro secoli, il mondo ha conosciuto innumerevoli epidemie virali, più o meno ampie e pericolose, alcune hanno provocato poche migliaia di vittime, altre, diversi milioni, ma per il popolo di facebook e dei social network, solo 4 di queste epidemie che hanno colpito l’europa tra il 1720 ed il 2020, meritano di essere citate.

 Nel 1720 la peste. Nel 1820 il colera. Nel 1920 l’influenza spagnola. Nel 2020 il coronavirus.

Peste, Colera, Influenza Spagnola, SARS-CoViD19… ma mancano all’appello Influenza asiatica, Influenza di Londra, Influenza di Hong Kong, Tifo, Vaiolo, Peste persiana, Peste russa, Peste balcanica, HIV/AIDS, Ebola,

Negli ultimi quattro secoli, il mondo ha conosciuto innumerevoli epidemie virali, più o meno ampie e pericolose, alcune hanno provocato poche migliaia di vittime, altre, diversi milioni, ma per il popolo di facebook e dei social network, solo 4 di queste epidemie che hanno colpito l’europa tra il 1720 ed il 2020, meritano di essere citate.

Su Facebook sta circolando questa serie di “date” che in qualche modo vorrebbero richiamare ad una natura ciclica di epidemie, di varia natura, che si sono susseguite a intervalli regolari, negli ultimi quattro secoli, c’è però in questa informazione un terribile errore di valutazione, che, se nel caso “migliore” presenta un errore di pochi anni, nel caso peggiore presenta un errore pluridecennale, insomma, ci da delle date che non sempre sono veritiere, ma andiamo con ordine.

Nel 1720, in europa, era effettivamente in corso una grande pestilenza, una delle ultime grandi pestilenze della storia europea, de facto, l’ultima pestilenza registrata nel regno di Francia, o meglio, nel regno di Francia e Navarra. Ma, a scanso di equivoci, anche se estremamente importante e con numeri apocalittici, non fu una pestilenza che si diffuse su scala globale, ne su scala europea.

La Peste di Marsiglia

Nel 1720 la peste c’era, ma era circoscritta a Marsiglia, e alle zone limitrofe, dove sembrerebbe essere era arrivata, a bordo della Grand-Saint-Antoine, un mercantile proveniente dalla Siria, il cui carico di tessile sembrerebbe essere stato infettato dai bacilli di Yersinia pestis, un batterio zoonotico che quindi può passare di specie, in particolare, questo batterio passa dalla pelle del ratto all’uomo, attraverso parassiti e altri vettori, causando malattie quali peste bubbonica, peste setticemica e peste polmonare. Ed è proprio la peste setticemica quella che colpì Marsiglia nel 1720. Secondo i più recenti studi microbiologici, è la “variante (passatemi il termine) della peste, riesce facilmente a diffondersi in periodi come primavera, estate e autunno, diversamente dalla peste polmonare e quella bubbonica, che invece, si diffondono più facilmente nei mesi più freddi dell’anno. Questi studi sono coerenti con la teoria per cui i bacilli di Yersin siano arrivati in Provenza dalla Siria o comunque dal medio oriente, luogo in cui hanno più facilità di sopravvivere rispetto all’Europa settentrionale, spiegherebbero inoltre perché la peste sia esplosa proprio nel mese di Maggio.

Clima e ambiente sono un fattore determinante estremamente importante nella diffusione e nel contrasto di malattie come la peste, soprattutto in età moderna e medievale.

Se bene la Peste di Marsiglia sia ormai nota come la peste del 1720, in realtà, nel 1720, la malattia, per quanto ampiamente diffusa, rimase limitata alla sola città di Marsiglia, e solo nella primavera del 1721 l’epidemia si diffuse in gran parte della Provenza, infettando tra il 1720 e il 1722, circa un quinto della popolazione e causando la morte di quasi il 25% della popolazione, parliamo di numeri enormi, sono infatti circa 160.000 le vittime totali della peste di Marsiglia su circa 400.000 abitanti nell’intera Provenza, di cui 40.000 vittime e circa 90.000 infetti, vennero registrati nella sola città di Marsiglia.

Marsiglia è inequivocabilmente la città più colpita, almeno secondo la relazione Jean-Baptiste Bertrand sulla peste di Marsiglia.

J.B. Bertrand, 1779. Relazione storica della peste a Marsiglia del 1720

La prima delle quattro date dei post che circolano su facebook, 1720 si trova ad essere sia esatta che inesatta, è un po’ come la data di Shrodingher, finché non si fanno le dovute verifiche è sia vera che falsa. è vera perché la peste di Marsiglia iniziò effettivamente nel 1720, ma è anche falsa perché la pestilenza si diffuse soprattutto nel 1721, anno in cui si attesta il maggior numero di vittime e di infetti dell’intera pestilenza, e si concluse nel 1722.

L’epidemia di Colera del 1820

Nel 1820, in Europa, c’era effettivamente il colera, ma l’epidemia era ampiamente diffusa già nel 1816 e non terminò prima del 1826. L’epidemia di Colera in europa durò ininterrottamente per oltre 10 anni, ma in realtà, la sua portata fu molto più ampia, infatti un nuovo focolaio di colera esplose, sempre in Europa, nel 1829 e questa seconda pandemia perdurò almeno fino al 1851.

Dire che nel 1820 in Europa c’era il colera non è errato, ma lo stesso lo si può dire per quasi ogni anno compreso tra la fine dell’età napoleonica e la seconda rivoluzione francese, va inoltre detto che, il 1820 non fu un anno particolarmente significativo per l’epidemia di colera, in quanto, per quel che sappiamo, in quell’anno non è registrato un picco di mortalità o di contagi, e nel computo generale, sono de facto poche migliaia le vittime di colera avvenute nel 1820, un numero sicuramente importante ma in realtà esiguo e quasi trascurabile se consideriamo che complessivamente il colera, nel XIX secolo, costò la vita ad oltre 200.000 persone in tutto il mondo.

Altre epidemie

Va inoltre detto che, tra la fine della Peste di Marsiglia e l’epidemia di Colera, l’europa e l’america settentrionale, furono attraversate da numerose epidemie, di vaiolo, morbilo, febbre gialla, influenza, tifo, colera e peste, molte delle quali furono circoscritte a singole città o regioni, come nel caso dell’epidemia di Febbre Gialla del 1730 che colpì soprattutto la città spagnola di Cadice o la Peste dei Balcani (peste bubbonica in questo caso) che tra il 1738 ed il 1740 causò più di 100.000 vittime, di cui circa la metà nella sola area balcanica, da cui il nome di “peste Balcanica”.

Particolarmente significativa la Peste Russa (anche in questo caso peste bubbonica) del 1770-1772, che nella sola città di Mosca costò la vita ad un numero non meglio definito di persone compreso tra 50.000 e 100.000, vale a dire circa un terzo o un sesto della popolazione della “terza roma“.

A tal proposito, una testimonianza del Comandante Generale Christopher von Stoffeln su circa 1500 pazienti registrati dalle truppe al suo comando, soltanto 300 sopravvissero alla malattia.

Nello stesso periodo esplose anche un enorme pestilenza in Persia (Peste setticemica), che si stima provocò la morte di circa 100.000 infetti. Vi sono poi altre pestilenze di portata analoga che coinvolsero principalmente l’Impero Ottomano tra il 1812-1813.

Nel 1816- 1819 è di nuovo la volta dell’Europa, questa volta con un epidemia di Tifo, circoscritta all’Irlanda, mentre nel 1821 in Spagna, a Barcellona, esplode un epidemia di Febbre Gialla mentre il paese era attraversato da fermenti rivoluzionari (moti del 20-21).

Tra il 1820 e il 1920, le cose vanno meglio rispetto al secolo precedente, ma non troppo.

Tra il 1832 e il 1834 Stati Uniti e Canada assistono all’esplosione di diversi focolai di Colera, che coinvolgeranno principalmente le città di New York, Montreal e Clumbus, ma di diffonderanno anche in altre comunità negli stati di New York e Ohio, e nel 1837 la città di Philadelfia viene colpita da un epidemia di Tifo.

Nel 1840 la Dalmazia fu il focolaio di una nuova epidemia di Peste, che si sarebbe estesa in gran parte dell’impero Asburgico, la cui cattiva gestione dell’epidemia sarebbe stata uno dei fattori scatenanti della crisi imperiale e la divisione dell’impero in Impero d’Austria e Regno di Ungheria (ma questa è un altra storia).

Nel 1847 il Tifo colpisce nuovamente l’america settentrionale, questa volta in un epidemia su larga scala che andò dal Canada al Golfo del Messico, cui fece seguito, nel 1848 un epidemia di Colera che sarebbe perdurata almeno fino al 1852, anno in cui si registra la massima diffusione della malattia su scala globale, causando in tutto il mondo oltre 1 milione di vittime.

Una nuova pandemia di Colera sarebbe esplosa, questa volta partendo dal medio oriente, tra il 1863 e sarebbe perdurata almeno fino al 1896.

Arriviamo quindi al 1920 e l’Influenza spagnola. Quest’ultima pandemia in realtà, nel 1920 era già stata debellata, l’influenza si diffuse a partire dal 1917 e raggiunse il proprio apice, per numero di vittime e nuovi contagiati, nel 1918, per poi sparire quasi completamente nel 1919. Nel 1920 l’influenza spagnola è ancora diffusa, soprattutto negli imperi coloniali, ma in misura molto ridotta, registrando poche centinaia di vittime nel 1920, numero sicuramente importante, ma poco significativo per una malattia che complessivamente ha infettato più di mezzo miliardo di persone in tutto il mondo ed ha causato oltre 100 milioni di vittime tra il 1918 e il 1919.

Tra il 1920 e il 2020 quattro grandi pandemie, rispettivamente tra il 1957 e il 1958, con l’influenza asiatica che causò oltre 2 milioni di vittime. Tra il 1961 e il 1975, con l’ultima grande pandemia di Colera, che registrò vittime per oltre 2 milioni di vittime in tutto il mondo. Tra il 1968 ed il 1969, con l’influenza di Hong Kong, che provocò vittime per oltre 1 milione in tutto il mondo. Tra il 1972 e il 1973 fu la volta invece dell’influenza di Londra, anche questa volta, con oltre 1 milione di vittime in tutto il mondo.

Vi sono poi innumerevoli altre epidemie di portata più o meno ampia, e di malattie più o meno letali, che non citerò perché altrimenti non ne usciamo più. Servirebbe un intero articolo solo per parlare delle innumerevoli epidemie di Vaiolo ed Ebola, che, nel solo 2016 ha infettato circa 30.000 persone e causato più di 3000 decessi in poche settimane.

Va però menzionata quella che è ad oggi la più grande pandemia, per numero di vittime ed estensione temporale, mai registrata nella storia.

Si tratta dell’epidemia di HIV/AIDS iniziata nel bacino del Congo nel 1960, poi diffusasi in tutto il mondo a partire dal 1981, causando la morte di oltre 32 milioni di persone. Dare un numero “totale” di vittime e infetti dall’inizio della pandemia ad oggi è impossibile, 32 milioni sono solo le vittime note, ma innumerevoli sono le vittime di cui ignoriamo l’esistenza e si stima che il numero reale delle vittime totali possa aggirarsi attorno al mezzo miliardo, se non di più. Ciò che invece sappiamo è che, ad oggi, il numero di nuovi infetti su base annua è stato fortemente contenuto ed oggi i nuovi sieropositivo all’HIV ogni anno sono circa 3 milioni mentre le vittime annue del virus sono circa 2 milioni.

Conclusioni

Come abbiamo potuto vedere, soprattutto nei secoli scorsi, le grandi epidemie erano molto frequenti, e il più delle volte passavano di anno in anno da una città o regione all’altra, e dire che nel 1720, 1820, 1920, e 2020 ci sono state delle epidemie, non significa assolutamente nulla.

Una cosa certamente interessante da notare è che, soprattutto negli ultimi due secoli, ma in realtà anche nei secoli precedenti, le grandi epidemie hanno accompagnato momenti di grande tensione politica all’interno delle nazioni e nei rapporti tra le nazioni, oltre ad aver segnato in modo estremamente profondo la dimensione sociale delle nazioni, facendo da sfondo o innescato conflitti e rivoluzioni, come nel caso della grande guerra o delle campagne napoleoniche, e allo stesso tempo, hanno messo in crisi l’integrità di entità internazionali e sovranazionali, come gli Stati Uniti d’Amarica, l’Impero Asburgico, l’Impero Ottomano, l’Impero Zarista, e tutti gli imperi coloniali, ed è molto probabile che una crisi di questo tipo, in seguito all’epidemia di SARS-CoViD19 possa in qualche modo, nell’immediato futuro, minare anche l’integrità e la struttura interna dell’Unione Europea.

Vi lascio di seguito un elenco completo di tutte le epidemie e malattie infettive che che si sono susseguite nella nostra storia, dalla peste di Atene (458 a.c.) che si stima produsse circa 100.000 vittime, fino alle epidemia tutt’ora in corso in tutto il pianeta.

Cesaricidio, l’assassinio di Cesare alle Idi di Marzo

Il 15 Marzo del 44 a.c. nel giorno delle Idi di Marzo, alcuni cospiratori romani, assassinarono Giulio Cesare, nel tentativo di ripristinare la Repubblica a Roma. Tuttavia, l’episodio, noto come Cesaricidio, innescò una serie di nuove guerre e conflitti interni che portarono all’ascesa di Ottaviano Augusto, il quale cancellò per sempre la repubblica, dando vita all’Impero Romano

Il 15 Marzo del 44 a.c. nel giorno delle Idi di Marzo, alcuni cospiratori romani, assassinarono Giulio Cesare, nel tentativo di ripristinare la Repubblica a Roma. Tuttavia, l’episodio, noto come Cesaricidio, innescò una serie di nuove guerre e conflitti interni che portarono all’ascesa di Ottaviano Augusto, il quale cancellò per sempre la repubblica, dando vita all’Impero Romano

Così fu trafitto da ventitré pugnalate, con un solo gemito, emesso sussurrando dopo il primo colpo; secondo alcuni avrebbe gridato a Marco Bruto, che si precipitava contro di lui: "Anche tu, figlio?". Rimase lì per un po’ di tempo, privo di vita, mentre tutti fuggivano, finché, caricato su una lettiga, con il braccio che pendeva fuori, fu portato a casa da tre schiavi.

Con queste parole Svetonio descrive la morte di Giulio Cesare, avvenuta in seguito ad una congiura alle Idi di Marzo.

Le Idi di Marzo

Secondo il calendario Giuliano, introdotto appena un anno prima dell’omicidio di Cesare, le “idi” corrispondevano, al tredicesimo o quindicesimo giorno del mese, e di conseguenza le idi di Marzo corrispondevano al 15 Marzo, data che tutt’ora utilizziamo per ricordare l’anniversario del cesaricidio, tuttavia, il 15 Marzo nel calendario Giuliano non corrisponde al 15 Marzo del calendario Gregoriano, vi è infatti uno sfasamento tra i due calendari di circa 12/13 giorni, e il giorno “solare” che corrisponde al 15 marzo nel calendario giuliano, cade tra il nostro 26 e il 28 Marzo, tuttavia, per convenzione, avendo una data storica ben precisa, “le idi di marzo” si tende a far corrispondere quella data con il nostro 15 marzo.

Il Cesaricidio

Col senno del poi, un uomo con l’acume e la lungimiranza di Cesare, forse avrebbe potuto prevedere quegli avvenimenti.

Vi era a Roma, soprattutto nel senato, una forte insoddisfazione e ampi dubbi riguardanti la figura di Cesare. Cesare era asceso ai più alti ranghi della repubblica, grazie ad oculate alleanze politiche, ma anche grazie alla fama di grande generale e lo status di “homo novus”.

Cesare non discendeva da antiche famiglie romane e non era membro dell’elite romana per diritto di nascita.
Giulio Cesare era in un certo senso un uomo comune prestato alla politica romana, e la sua fulminea carriera, iniziò ben presto a preoccupare, non solo i suoi rivali e oppositori, ma anche i suoi alleati.

La dittatura

Ormai al culmine della propria carriera politica, alla fine della prima campagna di Spagna, nel 49 a.c. ricevette la carica di dictator.

La dittatura in età romana era una magistratura straordinaria, dalla durata massima di sei mesi, e sostitutiva dei due consolati. Il dittatore romano, deteneva infatti il summum imperium, ed era accompagnato nel proprio esercizio da 24 littori. Tutte le altre magistrature ordinarie erano subordinate alla dittatura.

Nonostante il limite dei sei mesi, la dittatura di Cesare fu iterata più volte, fino al 47 a.c. quando la nomina fu estesa a dittatura decennale. Quella di cesare non fu la prima dittatura iterata, già con Silla, autore delle famose liste di proscrizione, Roma aveva assistito ad un iterarsi della dittatura.

Alla fine di gennaio del 44 a.c. il dittatore romano, fece posizionare presso i Rostri del foro romano, alcune statue raffiguranti Cesare, adornate con un Diadema.

Nella simbologia ellenistica, il diadema era un simbolo di potere e regalità, e la presenza di statue di Cesare adornate con diademi erano un chiaro messaggio di quali fossero le reali intenzioni di Cesare.

Questo episodio spiacevole, vide la contrarietà dei due Tribuni della plebe Caio Epido Marullo e Lucio Cesezio Flavo, che, incuranti della volontà del dittatore, fecero rimuovere le statue.

Appena pochi giorni dopo, approssimativamente il 26 gennaio del 44 a.c., secondo Plutarco, cesare venne salutato da alcuni cittadini romani, con l’appellativo di “Rex”. Ancora una volta Cesare si scontrò con l’opposizione dei due tribuni, e facendo ricorso ai propri poteri derivanti dal summum imperium, fece destituire i due tribuni.

I Lupercalia

Il 15 febbraio dello stesso anno, durante la festa dei Lupercalia, Cesare assistette alle celebrazioni, vestito di porpora e incoronato d’alloro, seduto su di un seggio dorato.

Terminato il rituale della corsa dei Luperci, una corsa in cui si correva indossando pelli di capra attorno al colle Palatino, uno dei Luperci, si avvicinò a Cesare per offrirgli in dono un diadema, che il dittatore rifiutò.

Come abbiamo già detto, il diadema, nella simbologia ellenistica, era un segno di regalità. Per la maggior parte delle fonti classiche concordano nell’asserire che l’iniziativa di offrire il diadema a Cesare, fu presa dal suo delfino Marco Antonio. Altre fonti tuttavia, sostengono che l’iniziativa partì da un tale Licino.

Le due narrazioni avvengono in ambienti politici differenti, e si prestano ad interpretazioni differenti.

Per essere più precisi, secondo la narrazione di Cicerone, dichiarato oppositore di cesare, l'incoronazione fu voluta dallo stesso Cesare, e voleva essere un tentativo di legittimazione simbolica del suo potere.
Diversamente, secondo la narrazione di Nicola di Damasco, la cui narrazione dichiaratamente più "vicina" a Cesare, e soprattutto Antonio cui era molto legato, l'incoronazione fu in realtà una cospirazione organizzata dai futuri cesaricidi per mettere in cattiva luce Cesare.

Non sappiamo quale delle versioni sia quella autentica. Sappiamo però che presumibilmente Cicerone fu testimone oculare della vicenda. O almeno, questo è quello che dice Cicerone.

Nella narrazione di Cicerone, Marco Antonio, al termine della corsa, tenne un breve discorso, cui fece seguito l’offerta del diadema a Cesare. Questo episodio, racconta cicerone, lasciò costernato Lepido, che in quel momento copriva la carica di magister equitum, carica che gli era stata conferita da Cesare in persona. Lo stesso Cicerone tuttavia osserva che Cesare rifiutò il dono.

Per Cicerone, Cesare rifiutò il diadema perché resosi conto del disappunto del popolo romano. Per Nicola di Damasco invece, Cesare rifiutò il dono perché consapevole che questi fosse parte di una cospirazione dei suoi oppositori.

L’assassinio di cesare nel film Cleopatra del 1963

Le idi di Marzo

Circa un mese più tardi, intorno alla metà del mese di Marzo, nel giorno dedicato alla celebrazione di Marte, si tenne una seduta in senato.

Tre giorni dopo, il 18 Marzo, Cesare sarebbe partito alla volta dell’oriente, per combattere Geti e Parti. In quegli stessi giorni, stava circolando a Roma, una profezia dei libri sibillini, in cui si affermava che i Parti sarebbero stati sconfitti da un Re. Ma roma, non aveva un re.

Il giorno delle idi di Marte, appare, col senno del poi, il momento più propizio per assassinare cesare. Se infatti cesare fosse partito, e avesse sconfitto i Parti, l’antica profezia Sibillina, avrebbe reso Cesare il nuovo Re di Roma. Di conseguenza, è molto probabile che i cospiratori abbiano pensato di eliminare Cesare prima della partenza.

Non sappiamo ovviamente quali fossero le reali intenzioni dei Cesaricidi, quale fosse il loro piano, sappiamo però, che terminata la seduta in senato, si compì la congiura a noi nota come Cesaricidio.

Mentre prendeva posto a sedere, i congiurati lo circondarono con il pretesto di rendergli onore e subito Cimbro Tillio, che si era assunto l’incarico di dare il segnale, gli si fece più vicino, come per chiedergli un favore. Cesare però si rifiutò di ascoltarlo e con un gesto gli fece capire di rimandare la cosa a un altro momento; allora Tillio gli afferrò la toga alle spalle e mentre Cesare gridava: “Ma questa è violenza bell’e buona!” uno dei due Casca lo ferì, colpendolo poco sotto la gola. Cesare, afferrato il braccio di Casca, lo colpì con lo stilo, poi tentò di buttarsi in avanti, ma fu fermato da un’altra ferita. Quando si accorse che lo aggredivano da tutte le parti con i pugnali nelle mani, si avvolse la toga attorno al capo e con la sinistra ne fece scivolare l’orlo fino alle ginocchia, per morire più decorosamente, con anche la parte inferiore del corpo coperta.
Così fu trafitto da ventitré pugnalate, con un solo gemito, emesso sussurrando dopo il primo colpo; secondo alcuni avrebbe gridato a Marco Bruto, che si precipitava contro di lui: “Anche tu, figlio?”. Rimase lì per un po’ di tempo, privo di vita, mentre tutti fuggivano, finché, caricato su una lettiga, con il braccio che pendeva fuori, fu portato a casa da tre schiavi.
Secondo quanto riferì il medico Antistio, di tante ferite nessuna fu mortale ad eccezione di quella che aveva ricevuto per seconda in pieno petto.
I congiurati avrebbero voluto gettare il corpo dell’ucciso nel Tevere, confiscare i suoi beni e annullare tutti i suoi atti, ma rinunciarono al proposito per paura del console Marco Antonio e del comandante della cavalleria Lepido

Svetonio, Le vite dei dodici Cesari. Vita di Giulio Cesare, 82

Il pene di Napoleone era piccolo?

Cerchiamo di capire quanto era grande il pene di napoleone

Molti sostengono che, la smisurata ambizione di Napoleone, fosse un tentativo di compensare alle minute dimensioni del suo pene. Di interpretazioni di questo tipo ne abbiamo tantissime, e in tempi recenti, quasi ogni personaggio storico mai esistito, è stato oggetto di una reinterpretazione e analisi freudiana, ma, nel caso di napoleone, è stato possibile “verificare empiricamente” questa teoria, perché in effetti, ci è stato possibile studiare, analizzare e misurare, il pene di napoleone.

Quello che vedere in foto è il vero pene di Napoleone, e se vi state chiedendo perché si trova in una scatola e non è più attaccato al suo corpo la risposta è presto detta.

Durante l’esilio sull’isola di Sant’Elena, Napoleone si ritrovò circondato da persone, diciamo di corrente politica diversa dalla sua, a parte Napoleone sembra che non ci fosse un solo bonapartista sull’isola. comunque, napoleone era circondato da persone che non lo amavano e di conseguenza si comportò, passatemi il termine, da vero stronzo, soprattutto con il medico che lo assisteva.

Secondo la leggenda, durante i suoi ultimi giorni di vita, sembra che Napoleone fu particolarmente insopportabile e quando il medico dell’isola fu chiamato per accertare l’avvenuto decesso dell’imperatore (una volta incoronati si è imperatori per tutta la vita U.U).

Quando fu lì, dopo aver stabilito che napoleone era effettivamente morto, prese un coltello e lo evirò, prima che il corpo fosse spedito a Parigi per la sepoltura ed il prezioso trofeo di pene e i testicoli fu conservato in un contenitore di vetro (tipo salsicciotto viennese).

Secondo un altra versione, il pene di Napoleone fu tagliato non sull’isola di Sant’Elena ma durante il viaggio della salma verso Parigi, ad evirare il cadavere si dice sia stato il clerico Vignali, che non aveva mai perdonato al generale alcuni riferimenti sulle sue presunte defaillance sessuali.

In ogni caso, una volta giunto a Parigi per la sepoltura, nessuno ha controllato se nella bara ci fossero tutti i pezzi del defunto imperatore.

Inutile dire che la cosa non mi sorprende, non vedo per quale motivo qualcuno avrebbe dovuto slacciare i pantaloni al cadavere di Napoleone per controllare se aveva ancora il pene

Nel 1999 il l’imperiale fallo di Napoleone è stato battuto all’asta e venduto a John F. Lattime, docente alla Columbia University, per circa 4000 dollari.

Lattime non ha acquistato l’imperiale fallica reliquia per motivi collezionistici, il suo interesse era infatti prevalentemente scientifico, e in seguito all’acquisto ha compiuto diversi test, ma soprattutto, ha fatto diverse misurazioni, che ci permettono di rispondere alla domanda, Napoleone aveva il pene Piccolo?

Secondo le misurazioni effettuate da Lattime, il pene di Napoleone misurava circa 4,5 cm a riposo e circa 6-7 cm in erezione. Lascio a voi le dovute deduzioni.

Molti studi sono stati fatti sul pene di napoleone, e non solo sul vero, ma anche su molti dipinti, alcuni studiosi infatti, hanno avuto modo di constatare che, in numerosi ritratti, le pieghe dei pantaloni, mettevano in evidenza l’organo sessuale dell’imperatore francese, particolare che sembra rafforzare l’idea che napoleone fosse realmente “ossessionato” dalle dimensioni del proprio pene.

Migranti in fuga dall’Italia: chiedono rimpatrio alle ambasciate

Migranti in fuga dall’italia, chiedono passaporti alle ambasciate facendo crollare i castelli della sinistra, ma le immagini mostrate sono di manifestazioni del 2018

Secondo un post della pagina facebook Mai più la sinistra al governo, in questi giorni sarebbero migliaia i "migranti" presenti in italia che starebbero cercando di "fuggire dal bel paese" richiedendo passaporti alle proprie ambasciate, così da poter tornare a casa perché i loro paesi sarebbero "più sicuri" dell'Italia, e nella diaspora migratoria al contrario, i migranti, nel rientrare a casa, rischierebbero di esportare il virus anche altrove. Si tratta però di una storia di fantasia, costruita con immagini decontestualizzate e tante informazioni parziali e distorte in modo artistico, così da veicolare l'idea che tutti i migranti in italia, sono in realtà, migranti economici. 

Sulla pagina facebook “Mai più la sinistra al governo” pagina dal nome e dai toni per nulla anti-democratici, è apparso un post, o meglio, un video, in cui viene raccontato ai follower della pagina che, in questo momento di crisi ed emergenza sanitaria per il nostro paese, folle di “migranti” si sono “messi in coda” presso le “loro ambasciate di riferimento” per richiedere “passaporti” e la possibilità di ritornare nei propri paesi di origine con la speranza di non contrarre il corona virus.

Per la pagina, il rischio è che queste persone in fuga possano contribuire a diffondere l’epidemia, ma non gli importa, perché “vogliono soltanto tornare a casa” ritenendo i paesi d’origine, più “sicuri dell’Italia”. Seguono poi alcuni estratti tagliati dal programma “diritto e rovescio”.

"Migranti in fuga dall'Italia: chiedono rimpatrio alle ambasciate
Coronavirus - Migranti in fuga dall'Italia: cadono i castelli della sinistra
I migranti si rivolgono alle ambasciate per fuggire dal #Belpaese
Se nei Paesi di provenienza ci fosse una guerra o un pericolo non chiederebbero di tornare indietro immediatamente…
"Abbiamo paura, fateci tornare a casa" - l'appello dei migranti alle ambasciate per tornare nei paesi d'origine"

Il racconto che viene perpetuato da questo post, ha una doppia chiave di lettura, e ci dice, indirettamente, che “i migranti” presenti in Italia, senza passaporto, dunque i rifugiati politici, non sono realmente qui per un motivo di necessità, non c’è la guerra, non ci sono malattie, non c’è fame e carestia nei loro paesi, ci sono “solo” condizioni economiche peggiori di quelle italiane, insomma, il post ci dice che “i migranti” e soprattutto i “rifugiati e profughi” giunti clandestinamente e non, nel nostro paese, sono tutti “migranti economici” e alla prima reale minaccia, hanno scelto di fuggire via, per tornare in quei paesi che in altri tempi hanno finto essere pericolosi.

È un racconto pericoloso, violento, ma soprattutto falso.

Il “video” de facto non fornisce alcuna informazione reale a supporto della tesi presentata, non ci dice quali sono le fonti a cui si affida, non ci dice da dove arrivano le informazioni che sta veicolando, non mostra le “file di migranti” in coda alle ambasciate, non ci mostra le ambasciate, ne i migranti, e non ci fa sentire le loro parole.

Ci mostra invece alcune immagini casuali, come delle persone in coda fuori da un edificio, che non è un ambasciata, sappiamo che quell’edificio si trova in Italia perché sulle pareti sono affisse “bandiere” e “striscioni” che recitano “ambasciata dei popoli” “nessuno è clandestino, no cpt, stop deportazioni”

Estratto di un frame del video della pagina “mai più la sinistra al governo”

Facendo una rapida ricerca su Google Immagini possiamo scoprire che quell’immagine, spacciata per una mobilitazione di massa di migranti fuori dalle proprie ambasciate nel marzo 2020, è in realtà una foto risalente alle manifestazioni di Dicembre 2018, e vedeva mobilitati attivisti per i diritti civili contro i Centri di Permanenza Temporanei, da molti ribattezzati centri di espulsione.

I migranti presenti nel nostro paese stanno dunque cercando di fuggire dall’Italia, per tornare ai propri paesi d’origine?

Sempre nel video, vengono mostrate alcuni estratti di un servizio della trasmissione “Diritto e Rovescioin cui il giornalista intervista alcuni uomini e donne che dichiarano di essere preoccupati per l’emergenza sanitaria, il servizio però viene tagliato ad arte dai montatori della pagina “Mai più la sinistra al governo” lasciando intuire che, questa preoccupazione e la lontananza dai familiari rimasti in India, Pakistan e Bangladesh, siano parte di un tutt’uno “sono preoccupato -> mi manca la mia famiglia -> preferirei essere a casa con loro”.

Quello che ci viene lasciato intuire dunque è che, anche i “migranti” siriani, nigeriani, congolesi, ecc, vivano la stessa preoccupazione e lo stesso desiderio.

Ed in parte è vero, tutti i migranti, di qualsiasi paese e in qualsiasi parte del mondo, vivono quelle sensazioni, anche l’emigrante italiano a Londra, vive la stessa preoccupazione, trovandosi solo e lontano dalla famiglia in un paese lontano, preferirebbe tornare a casa, preferirebbe vivere insieme ai propri cari, ma spesso non è possibile, soprattutto se si è stati costretti a lasciare la propria casa, per via di una guerra civile, per molti migranti non c’è una casa in cui tornare, non c’è una famiglia da cui tornare, perché i propri cari sono già morti, a causa di malattie come l’Ebola, a causa di infezioni virali e/o batteriche che per noi occidentali sarebbero facilmente curabili, ma per loro sono letali a causa dei costi elevatissimi dei farmaci o dell’impossibilità di curarli perché vivono in un villaggio troppo lontano da un ospedale, o perché siero positivi all’HIV, e di conseguenza estremamente vulnerabili alle malattie a causa di un sistema immunitario fortemente debilitato, o ancora, perché i propri cari sono stati uccisi o rapiti e venduti come schiavi da una delle innumerevoli milizie presenti in africa.

Raccontare la preoccupazione dei migranti, per screditare i soccorsi umanitari, per fingere che non vi siano crisi umanitarie in corso in numerosi paesi africani, mediorientali e del sudest asiatico, è un atto vile e pericoloso. Ed è oltremodo scandaloso che questi mezzi e strumenti, vengano utilizzati, soprattutto in momenti delicati come questo, per fare propaganda politica di matrice estremista e xenofoba.

Il virus denominato SARS-CoViD19 dovrebbe ricordarci che siamo tutti esseri umani, che siamo tutti sulla stessa barca, che siamo tutti spaventati e preoccupati allo stesso modo, e soprattutto, siamo tutti vulnerabili allo stesso modo, il virus infatti non fa distinzioni, infetta europei, asiatici, africani e americani, il virus si diffonde senza preoccuparsi di rispettare i confini politici delle nazioni, senza preoccuparsi delle idee politiche o della religione delle persone. Il virus infetta tutti allo stesso modo, ed è in questo, estremamente rispettoso del principio di uguaglianza, sancito dalla nostra costituzione e dalla carta dei diritti dell’uomo.

Per il il SARS-CoViD19 infatti, tutti hanno le stesse possibilità di contrarre il virus e di incorrere in complicazioni, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Baldovino IV di Gerusalemme, il Re Lebbroso

Baldovino IV di Gerusalemme, soprannominato “Il Re Lebbroso”, salì al trono nel 1174 malgrado la sua malattia. Nato nel 1161, la sua vita fu segnata da lotte politiche per la successione e conflitti con il Saladino. Baldovino IV regnò con l’ambizione di garantire il futuro del regno, affrontando sfide significative.

Nelle storie di fantasia gli eroi ed i principi sono tutti giovani, eroici e belli, sempre in buona salute, anche durante una pestilenza, ma nella realtà, le cose non sempre sono così.

Ci sono stati re, principi ed eroi di guerra che forse erano giovani, ma non erano belli o non erano in buona salute. Questo è il caso di Baldovino IV di Gerusalemme, passato alla storia come Il Re Lebbroso.

Sul perché del suo soprannome non c’è molto da dire, Baldovino era un re, ed era malato di lebbra. Su quella che invece è la sua storia, tanto è stato detto, tanto è stato scritto, e tanto ancora c’è da scoprire.

La famiglia di Baldovino VI

Baldovino IV d’Angiò, nasce a Gerusalemme nel 1161, dall’unione di Amalrico I d’Angiò, Re di Gerusalemme, e Agnese di Courtenay, della contea di Edessa, il più settentrionale degli stati crociati del XII secolo.

Baldovino appartiene a quella elite europea impegnata nella ricerca di nuove terre e la creazione di nuovi regni oltre i confini dell’europa., perché la terra in europa non bastava a soddisfare i bisogni della nobiltà europea. Questa ricerca di nuove terre si sarebbe tradotta, in quel momento, nelle varie guerre crociate, per la conquista di Gerusalemme, e l’istituzione di porti sicuri che semplificassero il commercio con l’oriente lungo la via della seta.

Baldovino d’Angiò, trascorre i propri anni giovanili a palazzo, presso la corte paterna di Gerusalemme, ed ebbe pochi contatti con la madre, contessa di Giaffa e Ascalona, a causa dell’annullamento del matrimonio, avvenuto nel 1164, quando il principe aveva appena 3 anni, appena un anno dopo l’ascesa di Almarico al trono di Gerusalemme, avvenuta nel 1163 alla morte di suo fratello Baldovino III, morto senza lasciare eredi.

L’annullamento del matrimonio del novello Re di Gerusalemme, fu voluto dalla chiesa e avallato da numerosi nobili ostili alla casa di Courtenay, il cui intento, si suppone potesse essere quello di insediarsi sul trono di Gerusalemme utilizzando come arma la consanguineità di Amalrico e Agnese. L’annullamento del matrimoniale avrebbe reso illegittimo il giovane Baldovino, che quindi sarebbe stato escluso dalla catena di successione, facendo così passare di mano la corona.
Amalrico tuttavia, grazie all’influenza della propria famiglia in Europa, riuscì ad ottenere il riconoscimento di legittimità dei suoi figli Sibilla e Baldovino.

L’educazione dell’erede al trono di Gerusalemme venne affidata a Guglielmo di Tiro, arcidiacono della città dal 167 per richiesta di Amalrico e successivamente Cancelliere del Regno di Gerusalemme dal 1174, anno della morte di Amalrico e ascesa al trono di Baldovino.

Secondo i diari dell’arcivescovo, Guglielmo di Tiro fu il primo, durante l’educazione di Baldovino, a notare che il giovane non sentiva dolore quando gli si pizzicava il braccio destro, che in seguito si sarebbe dimostrato un sintomo della malattia di cui il giovane soffriva, ma inizialmente venne scambiata per un elevata capacità di resistere al dolore. Fatti i dovuti esami e test, si scoprì che braccio destro e mano del principe, erano parzialmente paralizzati ed in seguito venne diagnosticata la lebbra.

Baldovino IV e la Lebbra

Nel terzo quarto del XII secolo la lebbra subì un forte decorso e la malattia si diffuse rapidamente nella sua forma più grave, quella di lebbra lepromatosa.

Molti oppositori della famiglia d’Angiò, interpretarono la malattia come una piaga divina, segno della volontà di dio che Baldovino, figlio di genitori consanguinei, non ascendesse al regno “sacro” di Gerusalemme, tuttavia, gli alleati della famiglia d’Angiò sulla terra, erano abbastanza influenti e potenti, da non mettere a rischio la successione di Baldovino, anche se il suo regno e il suo governo, furono messi molto sotto pressione a causa delle sue condizioni di salute e della guerra.

Nel 1174 Amalrico di Gerusalemme morì, e il 15 luglio, il tredicenne Baldovino IV venne incoronato re di Gerusalemme, sotto la reggenza di Raimondo III di Tripoli, che, nel 1175 riuscì a stipulare un trattato di pace con il sultano Ṣalāḥ al-Dīn Yūsuf ibn Ayyūb., noto in occidente come il Saladino, e l’anno seguente, nel 1176, Raimondo, si ritirò dalla reggenza, non prima però, di aver avviato dei trattati per organizzare il matrimonio tra la principessa Sibilla, sorella di Baldovino, e Guglielmo di Monferrato, noto anche come Guglielmo Spadalunga.

Guglielmo, era, in quel momento, uno degli uomini più ambiti d’europa, in quanto figlio, se pur quintogenito, di uno dei signori feudali più potenti d’Italia ed era cugino sia dell’imperatore Federico Barbarossa che del re di Francia Luigi VII.

L’unione di Guglielmo con Sibilla, avrebbe garantito alla casa d’Angiò un erede di altissimo lignaggio, che non avrebbe avuto troppe difficoltà a regnare su Gerusalemme alla morte di Baldovino, del resto, le condizioni di salute di Baldovino non erano delle migliori, e chiunque a corte, nelle corti vicine e in europa, sospettava che il re lebbroso avrebbe potuto regnare a lungo, ragion per cui, ci fu una lunga lotta politica per assicurarsi i favori dei potenziali eredi al trono, in particolare di Sibilla e della sorellastra Isabella d’Angiò, nata nel 1172 dal secondo matrimonio di Amalrico I con Maria Comnena, figlia di Manuele I, imperatore bizantino.

La successione di Baldovino era al centro di un cero e proprio scontro politico al vertice, che coinvolgeva indirettamente l’Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, il regno di Francia, il regno di Inghilterra e l’impero bizantino, il tutto sotto la minaccia costante dell’impero islamico.

Quando Baldovino raggiunse la maggiore età (che all’epoca erano i 14 anni) il giovane re, ancora forte e apparentemente in salute, poiché non ancora logorato dalla malattia, si impegnò in una prima azione militare, compiendo alcune incursioni nel territorio di Damasco, in quel momento parte del regno del Saladino, con cui nel 1175 Gerusalemme aveva stipulato un trattato di pace. Forte delle prime vittorie in Siria, e sostenuto dall’impero Bizantino, Baldovino iniziò a progettare un attacco all’Egitto, in quel momento regione centrale del regno del Saldino.

Sconfiggere il Saladino e prendere il controllo dell’Egitto, aveva un valore strategico, oltre che politico. Prendendo l’Egitto, l’intere costa nord Africana poteva essere conquistata dalle potenze europee, e quindi assicurare all’Europa, il pieno controllo delle rotte commerciali nel mediterraneo.

Per assicurare al regno di Gerusalemme il supporto Bizantino, Baldovino inviò a Costantinopoli, Rinaldo di Chatillon, già principe di Antiochia, cugino di suo padre Amalrico. La scelta di Rinaldo non fu dettata dalla casualità. Tra il 1160 Rinaldo era stato fatto prigioniero durante uno scontro contro alcuni contadini siriani e armeni nei pressi di Marash, e la sua prigionia, durata 16 anni, era terminata nel 1176, quando, l’imperatore bizantino Manuele aveva riscattato la sua libertà, al costo di 120.000 denari d’oro.

Matrimonio di Sibilla e la Questione della Successione

Nel 1177 Rinaldo tornò a Gerusalemme, forte di un accordo con l’impero Bizantino, che garantiva al regno di Gerusalemme il supporto navale bizantino durante l’attacco all’Egitto, e per questo, Baldovino gli offrì in sposa Stefania di Milly erede dei feudi di Kerak e dell’Oltregiordano, grazie ai quali Rinaldo aveva accesso al Mar Rosso. Questo matrimonio aveva ragioni strategiche significative nell’ottica di un imminente guerra all’Egitto e, già nel novembre del 1177, fu affidato, proprio a Rinaldo, il comando di un esercito che, partendo da Gerusalemme, si scontrò contro il Saladino, nella battaglia di Montgisard avvenuta il 25 novembre.

Negli anni successivi Gerusalemme fu perennemente in guerra e Baldovino, non mancò ai suoi doveri di regnante, combattendo da crociato, insieme ai propri soldati. Nel 1179 subì alcune sconfitte e rischiò di essere ucciso per mano di un nipote del Saladino.

Mentre gli eserciti crociati di Gerusalemme combattevano gli eserciti del Saladino, e la malattia iniziava a mostrare i primi segni e la successione di Baldovino diventava sempre più complicata a causa di nuovi “pretendenti” che iniziavano a rivendicare i propri diritti di successione.

Nell’agosto del 1777 Filippo di Fiandra, cugino di Baldovino, giunse a Gerusalemme come crociato e rivendicò immediatamente la propria parentela con il sovrano e in qualità di parente più prossimo, poiché figlio di Folco d’Angiò, fratello di Amalrico, ciò lo rendeva cugino di primo grado del Re di Gerusalemme, mentre, l’erede designato era soltanto un cugino di secondo grado.

Nel 1180 Sibilla d’Angiò, sorella di Baldovino e vedova di Guglielmo Spadalunga, si risposò con Guido di Lusignano. Questo secondo matrimonio di Sibilla è oggetto ancora oggi di molteplici discussioni storiografiche, ad ogni modo, il secondo marito di Sibilla aveva un pedigree di alto lignaggio, al pari del primo marito, in quanto Guido era legato sia a Filippo II che ad Enrico II, rispettivamente re di Francia e di Inghilterra.

Gli anni della reggenza di Gerusalemme

Nel 1182 Baldovino nominò suo cognato, Guido di Lusognano, reggente del regno ma nel 1183, in seguito ad alcune tensioni con Guido, che nel frattempo si era rivelato fin troppo ambizioso e disobbediente, per i gusti di Baldovino, il sovrano di Gerusalemme cercò, senza riuscirci, di far annullare il matrimonio tra sua sorella, in quel momento prima in linea di successione per il trono di Gerusalemme e Guido.

Secondo i cronisti contemporanei, Baldovino era preoccupato che dopo la sua morte, Guido avrebbe potuto far assassinare Sibilla e Baldovino V di Monferrato,ottenendo così il trono di Gerusalemme per se e la propria discendenza, decise così, insieme all’Alta Corte di Gerusalemme, di modificare la linea di successione, ponendo così Baldovino V come erede al trono di Gerusalemme. Tra il 1183 ed il 1185 venne istituito un periodo di co-regno, in cui Baldovino IV e Baldovino V, nato ne l 1177, ufficialmente, regnarono insieme, e alla morte di Baldovino IV, Raimondo III di Tripoli, già reggente di Baldovino IV, e Boemondo III di Antiochia, divennero reggenti con la potestà di Joscelin III di Edessa.

La loro reggenza però ebbe vita breve perché nel 1186 Baldovino V morì e il trono passò a sua madre, Sibilla d’Angiò, mentre Guido di Lusignano venne nominato Re Consorte di Gerusalemme.

Fonti

R.Bordone, G.Sergi, Dieci secoli di Medioevo(manuale)
G.Hindley, Saladino Eroe dell’Islam
F.Cardini, Il grande racconto delle crociate
J.R.Smith, Storia delle Crociate, dalla predicazione di papa Urbano II alla caduta di Costantinopoli
I.Pagani, Baldovino IV di Gerusalemme, il re lebbroso

Di Battista cita Mussolini… ma la citazione è FALSA

il 22 Febbraio Vittorio di Battista, padre di alessandro di battista, in un post su facebook ha citato mussolini… ma la frase da lui attribuita al duce, non è mai stata pronunciata da l dittatore italiano

“Attenzione al pericolo giallo”, così scrive Vittorio Di Battista, padre dell’ex deputato M5S Alessandro di Battista, in un suo post, in cui attribuisce la paternità di queste parole all’ex dittatore italiano Benito Mussolini.

Di Battista senior, a proposito dell’emergenza coronavirus, ha scritto su facebook

LA PROFEZIA. 
"Attenzione al pericolo giallo. Nei prossimi decenni ci dovremo guardare dall'espansionismo cinese. Invaderanno il mondo con la loro smisurata prolificità, con i loro prodotti a basso costo e con le epidemie che coltivano al loro interno".
Benito Mussolini, discorso di saluto a Galeazzo Ciano, nominato rappresentante italiano a Shangai. Discorso pronunciato a Roma nel 1927, anno V° EF. E mo? E mo, Speranza…

Con queste parole, il fascista più liberale conosciuto da Alessandro di Battista lascia intendere una profetica visione di Mussolini con la quale il duce degli italiani, non solo avrebbe “previsto” l’espansione economica cinese, ma anche l’epidemia di corona virus.

Nel suo post Di Battista Senior ci fornisce anche un indicazione ben precisa del momento in cui Mussolini avrebbe pronunciato quelle parole. Il discorso di saluto a Galeazzo Ciano, nominato rappresentante italiano a Shangai, nel 1927.

Comparando questa informazione con con il percorso diplomatico di Ciano notiamo alcune incongruenze.

Nel 1927 Ciano non si trovava a Shangai, ma a Pechino dove era stato inviato come segretario di legazione, alle dipendenze dell’ambasciatore Daniele Varè. In quell’occasione Ciano era poco più di un semplice funzionario statale, di basso livello, e il suo legame con Mussolini era prevalentemente privato e dovuto alla relazione sentimentale con Edda Mussolini, figlia del duce. Non vi è peraltro traccia (come è normale che sia) di un discorso pubblico di saluto a Ciano nel 1927.

Già questo sarebbe sufficiente per etichettare la citazione fatta da Vittorio di Battista a Mussolini, come falsa o inesatta. Vi è però una fase della carriera di Ciano in cui il diplomatico fascista è stato effettivamente a Shangai, e alla sua partenza vi è stato un saluto pubblico da parte del Duce, ovvero, nel tra il maggio del 1930 e il luglio del 1933.

Nel maggio del 1930 Galeazzo Ciano venne nominato Console italiano a Shangai, e partì, insieme alla consorte, Edda Mussolini, figlia di Benito Mussolini, a pochi giorni dal proprio matrimonio, avvenuto il 24 aprile 1930. In occasione della loro partenza, il duce tenne un discorso pubblico in cui salutava il nuovo console, non tanto in funzione del proprio ruolo diplomatico, ma quanto più perché marito di Edda. In questo discorso Mussolini si rivolge soprattutto alla coppia, e non affronta questioni politiche.
L’anno successivo Ciano venne trasferito da Shangai a Pechino, dive ottenne l’incarico, nel 1931, di Ambasciatore Plenipotenziario a Pechino.

Continua a non esserci traccia, nei discorsi di Mussolini, al “pericolo giallo” citato da di Battista.

Facendo un passo in dietro, e andando a ricercare tra i documenti della Camera, scopriamo però che, il 26 Maggio 1927, Mussolini tenne un discorso alla Camera dei Deputati, oggi noto come “Discorso dell’ Ascensione“, in cui, affrontando, tra le altre cose, il tema della sanità e della salute pubblica, Mussolini pronunciò le seguenti parole:

[...]Sotto la diretta sorveglianza degli organi della Sanità pubblica si sono derattizzati novemila bastimenti, cioè si sono uccisi quei roditori che portano dall'Oriente malattie contagiose: quell'Oriente donde ci vengono molte cose gentili, febbre gialla e bolscevismo. [...] 

Questo discorso è molto celebre, perché è il punto di origine del mito per cui Mussolini avrebbe sconfitto la Mafia, in quanto, in questo stesso discorso, Mussolini presenta i numeri relativi ad alcuni interventi statali e di polizia, grazie ai quali, un elevato numero di “delinquenti associati” sono stati individuati e arrestati. Ma questa è un altra storia.

Il discorso dell’ascensione è l’unico discorso, pronunciato da Mussolini nel 1927, in cui si fa un esplicito riferimento all’oriente, e alle “malattie” provenienti dall’oriente. Non vi è però, alcuna connessione, tra questo discorso e la nomina di Ciano a Console a Shangai o di Ambasciatore a Pechino, e la frase, messa tra virgolette da Vittorio di Battista, non è mai stata pronunciata da Benito Mussolini.

Si tratta quindi di una Falsa Attribuzione, probabilmente il frutto di una distorta interpretazione del discorso dell’ascensione, dal quale sono stati estrapolati alcuni concetti, quali la diffidenza e la preoccupazione espressi da Mussolini nei confronti della Cina, per poi adattare quei concetti alla quasi contemporanea partenza di Ciano per la Cina.

Fonti:
V.Moccia, La Cina di Ciano, La diplomazia fascista in estremo oriente
G.Ciano, I diari di Ciano: Testi originali
G.B.Guerri, Galeazzo Ciano, Una Vita(1903-1944)
B.Mussolini, Discorso dell’ascensione presso la Camera dei Deputati, 26 maggio 1927

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