Marco Polo e la vera storia della pasta

secondo la leggenda, Marco Polo, di ritorno dalla Cina, avrebbe portato la in Italia, ma è davvero andata così?

La pasta, vanto e orgoglio di noi italiani. La pasta è il simbolo dell’Italia nell’immaginario comune, è la nostra più grande ricchezza, e secondo la leggenda, siamo stati proprio noi italiani ad esportarla in tutto il mondo, dopo averla importata, grazie a Marco Polo, dall’oriente.

La verità però è leggermente diversa, e se è vero che l’Italia ha diffuso la pasta in tutto il mondo, non è invece vero, che questa sia arrivata dall’oriente.

Su Marco Polo tornerò in altri post, qui mi limito a riportare alcuni riferimenti alla pasta.
Come sappiamo, secondo la leggenda, Marco Polo, intorno alla fine del XIII secolo, sarebbe tornato dalla Cina, dove era stato, tra il 1271 e il 1295, consigliere dell’imperatore. Al suo ritorno, ci racconta il mito, Marco avrebbe portato con sé polvere lirica, pasta e tante altre cose sconosciute agli occidentali.

Tuttavia, negli anni ottanta del XIII secolo, un ormai anziano Salinbene da Parma, monaco francescano, nella sua Cronica, ci parla di quando, da giovane, molti anni prima della nascita da giovane, era solito mangiare pasta ripiena, un piatto tipico della tradizione medievale, la cronica di Salinbene ci dice in modo inequivocabile che la pasta era nota in Italia almeno 50 anni prima del viaggio di Marco Polo, e di conseguenza che non sia stato lui a portarla.

Ma allora, come e quando è arrivata la pasta in Italia?

Purtroppo non lo sappiamo ancora con certezza, ma sappiamo che intorno al 1154, il geografo arabo Al-Idrin, menziona nei propri scritti un cibo di farina, a forma di fili, che lui chiama triyah e che veniva confezionato a Palermo.

Il testo di Al-Idrin è oggi il più antico documento noto, in cui si fa riferimento alla pasta, ma purtroppo, ci dice solo che alla metà dell XII secolo, questa era già diffusa, almeno nell’Italia meridionale, ma non ci dice da quanto.

Secondo alcuni storici, alcuni tipi di pasta, potrebbero essere stati prodotti già al tempo della Megale Ellas (Magna Grecia) anche se con qualche leggera variazione dalla “Pasta” così come la intendiamo oggi. Questi storici si riferiscono in particolare al cibo dei morti, “makar” da cui potrebbe essere derivata la parola maccheroni.

L’Influenza Spagnola (1918-1920) è arrivata dagli USA ?

Secondo uno studio del 2014 l’Influenza spagnola, che tra il 1918 ed il 1920 ha mietuto più di 100 milioni di vittime, sembrerebbe essere arrivata in europa per poi diffondersi in tutto il mondo, attraverso lavoratori cinesi impegnati nelle retrovie francesi e britanniche, tuttavia, più accurati studi del 2016, sembrano andare in tutt’altra direzione, e confermare quello che già era emerso in uno studio storico del 1999.

Secondo uno studio del 2014 l'Influenza spagnola, che tra il 1918 ed il 1920 ha mietuto più di 100 milioni di vittime, sembrerebbe essere arrivata in europa per poi diffondersi in tutto il mondo, attraverso lavoratori cinesi impegnati nelle retrovie francesi e britanniche, tuttavia, più accurati studi del 2016, sembrano andare in tutt'altra direzione, e confermare quello che già era emerso in uno studio storico del 1999, ma andiamo con ordine.

Tra il gennaio del 1918 e il dicembre del 1920, la Grande Influenza, Influenza Spagnola o epidemia Spagnola, o chiamatela come vi pare, provocò tra i 50 ed i 100 milioni di vittime, e registrò oltre 500 milioni di contagiati. con un tasso di mortalità stimato del 15% circa.
La Grande epidemia è stata letta da molti “contemporanei” come una delle più grandi calamità del ‘900, visto anche il numero di vittime, che superò quello della peste nera del XV secolo, tuttavia, una più corretta analisi storica, ci ha permesso, in tempi più recenti, di fare chiarezza su quel drammatico episodio.

Va fatta una doverosa premessa. In moti credono che, l’influenza spagnola sia arrivata in Europa dagli USA, dove, secondo una teoria che a ottenuto un discreto successo in seguito ai fatti del 2009, quando il virus H1N1, già responsabile dell’influenza spagnola del 1918, ha fatto sentire nuovamente la propria presenza, su scala globale.

Secondo questa teoria, il virus H1N1, si sarebbe diffuso nel mondo, partendo da alcuni allevamenti di maiale in Kansas, negli USA. Tuttavia, questa teoria è stata abbandonata quando, studiando i casi clinici, è stato scoperto che in Europa, più precisamente in Francia, già nel 1917, erano stati registrati diversi casi di quella che in seguito sarebbe stata identificata come l’influenza spagnola.

Questo dato apparentemente banale, anticipa la manifestazione dell’influenza spagnola in Europa al 1917 e quindi prima dell’apparizione dei primi casi, datati 1918, in Kansas(USA).

Cominciamo con il dire che, la maggior parte delle vittime furono soldati tornati dal fronte, anziani, e che, la malattia si diffuse rapidamente tra i militari nel 1918 e gli inizi del 1919, mentre, nella seconda metà del 1919 e il 1920, furono infettati soprattutto anziani, operai e contadini, ovvero i membri più poveri della società, sia in Europa che nel resto del mondo.
La diffusione dell’influenza spagnola tra questi individui, è molto significativa, perché ci dice che ad essere colpiti, in modo letale, dall’influenza, furono soprattutto quegli individui in condizioni sanitarie precarie. Questo è particolarmente evidente nei soldati tornati dal fronte malati, mutilati e deperiti, ma anche negli “anziani”, soprattutto se si considera che all’epoca, la speranza di vita media, era di circa 10/15 anni più bassa rispetto ad oggi.
Fu inoltre, relativamente alto, anche il numero delle vittime molto giovani, tra i 0 ed i 10 anni, ma parliamo di numeri che oscillano intorno al 3% delle vittime totali dell’influenza, contro un +60% di reduci di guerra.

Nel 1999 uno studio sull’influenza spagnola, condotto dal St Bartholomew’s Hospital e dal Royal London Hospital, guidato dal virologo virologo John Oxford, ha identificato nel campo militare di Étaples, in Francia, quello che è stato classificato come il centro della pandemia influenzale del 1918.
Da questo campo militare, situato a pochi chilometri dal fronte orientale francese, nella Francia settentrionale, era direttamente rifornito via mare dagli alleati Britannici e Statunitensi, in quanto centro nevralgico della rete logistica dell’Intesa sul suolo francese. La maggior parte dei medicinali, armamenti, rifornimenti, scorte alimentari ecc, che arrivavano in Francia, passavano per Étaples, così come passavano per Étaples i soldati britannici e statunitensi feriti in azione e pronti al rimpatrio.

L’importanza strategica e la centralità logistica di Étaples è stata, per il team di Oxford, uno dei motivi che hanno permesso all’influenza di diffondersi in tutto il mondo.
L’epidemia, ha osservato lo studio, ha colpito inizialmente i campi militari e per poi trasferirsi alle città portuali e industriali britanniche e degli USA, in cui transitavano i militari di rientro e gli equipaggi delle navi mercantili che trasportavano i rifornimenti per l’intesa.
Secondo lo studio di Oxford, una volta raggiunte le città, i primi ad essere contagiati sono stati gli operatori portuali, addetti al carico e scarico delle merci, seguiti poi dagli operai degli stabilimenti industriali e dalle loro famiglie, e a quel punto l’epidemia era impossibile da contenere, ed iniziò a mietere vittime anche tra la popolazione civile.
Oxford ed il suo team, osserva nello studio che dai campi ospedale in cui vennero ricoverati la maggior parte degli infetti civili, a differenza di quello che si è pensato per decenni, non contribuirono troppo al diffondersi della malattia in quanto medici ed infermiere nei campi, vivevano in un regime di quasi isolamento dal resto del mondo ed avevano per lo più contatti con i militari impegnati nel trasporto di malati e rifornimenti verso i campi.

Un più recente studio, datato 2014, condotto dallo storico canadese Mark Humphries del Memorial University of Newfoundland, incentrato sullo studio di documenti clinici che, fino a quel momento erano rimasti ignorati, e capirete a breve perché.
Ad ogni modo, l’originale studio di Humphries ha sottolineato il forte legame tra l’influenza Spagnola e la Prima Guerra Mondiale.
Detto molto brevemente, non è un caso, per Humphries, che la pandemia sia esplosa nel 1918, e questo perché, oltre all’importante canale di diffusione individuato da Oxford, durante la guerra furono impiegati tantissimi lavoratori, impegnati principalmente a scavare trincee dietro le linee Francesi e Britanniche, e tra questi uomini che lavorarono in condizioni igieniche pressoché inesistenti, sottolinea Humphries, erano presenti anche circa 96000 lavoratori cinesi, e sarebbero proprio questi lavoratori cinesi, per Humphries, il punto di origine dell’influenza Spagnola.

I documenti clinici studiati da Humphries non riguardano infatti la popolazione europea, ne quella statunitense, durante la prima guerra mondiale, ma riguardano invece una malattia che, nel 1917, copi la Cina settentrionale.
Per Humphries questa sconosciuta malattia cinese, giunta in qualche modo in Europa durante la guerra attraverso i lavoratori cinesi impiegati nelle retrovie, sarebbe da considerarsi il vero fattore scatenante dell’Influenza spagnola.

Per quanto interessante la teoria di Humphries, va precisato che si basa esclusivamente sulla comparazione di cartelle cliniche di pazienti cinesi ed europei, vicini nel tempo e con sintomi simili, che però, non presenta molte informazioni effettive sul virus. De facto Humphries non era in grado da solo di stabilire se il fantomatico virus cinese del 1917 avesse qualche legame ereditario con il virus dell’influenza spagnolo.
Partendo dalla teoria di Humphries, nel 2016 è apparso sul Journal of the Chinese Medical Association un articolo in cui si osservava che non erano state ritrovate prove sufficienti per dimostrare che il virus cinese del 1917 ed il virus del 1918 fossero legati tra loro, più semplicemente, secondo questo articolo, si tratta di due virus diversi e non è possibile dimostrare che la trasmesso in Europa sia avvenuta attraverso soldati e operai cinesi provenienti dalla Cina.
Invece, vennero evidenziate prove che il virus circolasse negli eserciti europei già da mesi, e forse da anni, prima dello scoppio della pandemia del 1918, confermando quindi indirettamente, le teorie esposte da Oxford e dal suo team di ricerca, con lo studio del 1999.

Connor, Steve, "Flu epidemic traced to Great War transit camp", The Guardian (UK), Saturday, 8 January 2000. Accessed 2009-05-09. Archived 11 May 2009.
J.S. Oxford, R. Lambkin, A. Sefton, R. Daniels, A. Elliot, R. Brown e D. Gill, A hypothesis: the conjunction of soldiers, gas, pigs, ducks, geese and horses in Northern France during the Great War provided the conditions for the emergence of the "Spanish" influenza pandemic of 1918–1919, in Vaccine, vol. 23, nº 7, 2005, pp. 940–945, DOI:10.1016/j.vaccine.2004.06.035.
Hannoun, Claude, "La Grippe", Ed Techniques EMC (Encyclopédie Médico-Chirurgicale), Maladies infectieuses, 8-069-A-10, 1993. Documents de la Conférence de l'Institut Pasteur : La Grippe Espagnole de 1918.
G. Dennis Shanks, No evidence of 1918 influenza pandemic origin in Chinese laborers/soldiers in France, in Journal of the Chinese Medical Association, vol. 79, nº 1, 2016, pp. 46–8, DOI:10.1016/j.jcma.2015.08.009PMID 26542935.

Il ricordo storico delle Foibe

Oggi è la giornata delle memoria per le vittime delle Foibe, parliamo allora delle vittime delle foibe. Ma parliamone in termini storici e senza fare propaganda.

Quando si parla delle Foibe, la prima cosa che si dice è che furono uccisi perché “colpevoli di essere italiani”.
La verità, è leggermente più complicata di così e la storia che le vittime delle foibe furono vittime di un qualche odio verso gli italiani/italiofoni, è in realtà, frutto della propaganda.

La vera “colpa” delle vittime delle foibe (e con questo non voglio assolutamente giustificare i foibisti, anzi, condanno i loro crimini, non meno disgustosi di quelli del fascismo e del terzo reich) non era quella di “essere italiani o italiofoni” perché tra i foibisti, in realtà, c’erano moltissime persone che parlavano italiano, e che erano molto più vicini alla cultura e alle tradizioni italiche che a quelle dell’area balcanica.

La loro colpa era quella di essersi rifiutati di lasciare le terre che pochissimi anni prima avevano occupato, la loro colpa era quella di essere andati lì come fascisti e di aver stuprato donne e assassinato brutalmente chiunque si fosse opposto a loro, erano colpevoli di aver cacciato i locali dalle proprie terre e dalle proprie case e di essersi impossessati di quelle terre e di quelle case.
Va però altresì detto che non tutti gli “italiani” o per essere più precisi, tutti i non slavi nella regione rientravano in questo profilo, vi erano anche moltissime persone che erano andate lì come lavoratori stagionali e che erano rimaste lì, pacificamente, e che avevano vissuto pacificamente con i locali, ma purtroppo, durante le ondate “nazionaliste” quando si va a tracciare una linea di confine tra “noi e loro” chiunque non sia “noi” diventa automaticamente portatore di tutti i crimini commessi dagli altri, e di conseguenza moltissimi italiani innocenti, vennero trattati come dei criminali e vennero messi al bando, vennero cacciati e costretti ad andare via, a lasciare per sempre quelle terre, in un modo o nell’altro.
Alcuni capendo la situazione fuggirono, e i primi a fuggire furono proprio quelli con la coscienza sporca, quelli che si sentivano direttamente minacciati, molti altri invece, non avendo fatto nulla di male, decisero di rimanere, e nel rimanere, andarono in contro alla rappresaglia disumana e sproporzionata dei foibisti e vennero trattati, come gli italiani avevano trattato chi si era rifiutato di giurare fedeltà al Fascismo.
Vennero arrestati, portati sui monti, assassinati e gettati nelle Foibe.

Ciò che è successo è stato schifoso e disumano, e lo è stato sia prima che durante che dopo la guerra, è stato disgustoso e disumano il comportamento degli italiani prima e durante la guerra, nei confronti dei locali, così come lo è stato quello dei locali, dopo la guerra, nei confronti degli italiani, e personalmente trovo altrettanto schifoso far finta che la colpa sia solo dell’una o dell’altra parte, senza invece considerare il contesto storico e tutto ciò che vi era dietro e che tra il 1919 (dall’occupazione di fiume) e il 1945 aveva contribuito ad alimentare tensione e intolleranza nella regione.

Le vittime delle foibe sono anzitutto vittime del Nazionalismo cieco e brutale, sono vittime della generalizzazione, dell’incapacità di distinguere il vero colpevole, da un qualcuno che si trovava lì per caso, ed è abbastanza surreale, che oggi, siano proprio i nazionalisti e sovranisti a puntare il dito contro i crimini del nazionalismo e il sovranismo della jugoslavia di Tito.

Va detta anche un altra cosa, nel 1948 il governo italiano, in accordo con il governo jugoslavo, ha scelto di mettere una pietra su questa vicenda, di passare oltre.
L’italia nel dopoguerra aveva tanti problemi, e rischiava di perdere il controllo di alcune città e regioni di “frontiera” a causa di una disputa sulla liberazione, con la Jugoslavia, inoltre vi erano accuse reciproche, tra Italia e Jugoslavia, di aver commesso atroci crimini durante il periodo bellico.

Settant’anni dopo, quello che è successo va assolutamente ricordato, ma va ricordato in modo Storico, come fatti ormai conclusi da oltre settant’anni. Delle stragi, gli eccidi, la pulizia etnica, sia in età fascista che nel regime di Tito, va preservata la memoria storica, non va invece proseguita la narrazione politica, politicizzata e propagandistica.

Anche perché, a volerla dire tutta, fu la corrente di destra della DC e successivamente il MSI a spingere per l’archiviazione dei fascicoli per crimini di guerra, mentre il PCI si configurò nella scena politica degli anni cinquanta, come l’unico partito italiano condannò apertamente i crimini di guerra della Jugoslavia e che a più riprese, in modo costante fino al 1954 e in modo saltuario fino ai primi anni sessanta, chiese pubblicamente la riapertura dei fascicoli, ma la sua voce rimase inascoltata fino a quando non svanì del tutto.

Bibliografia e Fonti

Michele Battini, Peccati di memoria. La mancata Norimberga italiana, Laterza. 
Jon Elster, Chiudere i conti. La giustizia nelle transizioni politiche, Il Mulino.
Jacques Sémelin, Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi, Einaudi.
Joanna Bourke, Le seduzioni della guerra. Miti e storie di soldati in battaglia, Carocci.
Carlo Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia, Einaudi.
Danilo Zolo, La giustizia dei vincitori, Feltrinelli.
Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina, Storia dell’emigrazione italiana, Donzelli.
Corrado Barberis, Le campagne italiane dall’ottocento ad oggi, La Terza

Il fascismo Britannico di Mosley

Nell’ottobre del 1932, sir Oswald Mosley, all’epoca Ministro del governo britannico eletto nel partito Labour, diede ufficialmente vita ad un nuovo movimento politico, fortemente conservatore, di carattere protezionista e isolazionista, di estrema destra, che avrebbe preso il nome inizialmente di British Union of Fascists e successivamente, nel 1934 avrebbe cambiato nome in British Union of Fascists and National Socialists, per poi cambiare ancora una volta nome, nel 1937 diventando semplicemente British Union.

Mosley è un grande ammiratore e sostenitore di Benito Mussolini, successivamente anche di Hitler, e tra il 1930 e il 1932, quale membro del governo britannico, incontra in diverse occasioni Mussolini, da cui trae ispirazione.

Mosley costruisce il proprio partito sfruttando diversi canali che gli avrebbero portato il favore sia della classe operaia britannica, sia della classe borghese britannica che dell’aristocrazia, inoltre le posizioni ufficialmente antibolsceviche di Mosley gli avrebbero garantito una certa libertà d’azione. Mosley tuttavia, non cercò realmente lo scontro con i comunisti e inizialmente si propose in una posizione intermedia, quasi come un alleato, che avrebbe portato all’inghilterra la rivoluzione, senza però allertare troppo chi temeva una rivoluzione.

La svolta isolazionista di Mosley avvenne in seguito al crollo della borsa di New York nel 1929, i cui effetti non tardarono ad arrivare anche in europa, con conseguente chiusura di fabbriche, perdita di innumerevoli posti di lavoro e contrazione dei consumi nazionali da parte della classe operaia.

Mosley diede la colpa della crisi finanziaria che aveva impoverito la nazione a fantomatici cospiratori stranieri, tra cui le grandi famiglie e banchieri ebrei. Argomentazione già utilizzata da Mussolini in italia e che sarebbe poi stata ripresa anche da Hitler in germania.

Puntare il dito contro gli Ebrei, in quel tempo era estremamente semplice, vi erano diffuse teorie di cospirazioni sioniste che trovavano apparentemente conferma nella chiusura quasi totale e nella forte diffidenza, delle comunità ebraiche nei confronti dei non ebrei.Ma gli ebrei non erano l’unico nemico di Mosley e non furono l’unico gruppo etnico contro cui i Fascisti Britannici avrebbero puntato il dito, per Mosley e i fascisti britannici, chiunque non fosse “britannico” era una minaccia per la nazione e l’impero, ed tra i grandi nemici del partito vennero inseriti “zingari”, Irlandesi e Winston Churchill.

Durante i comizi del BUF del 1932 e fino al 1936 vi furono numerosi scontri e rivolte, tra i fascisti britannici coadiuvati da alcuni gruppi criminali, tra cui i Billy Boys di Glasgow, guidati da Billy Fullerton, per gestire la sicurezza e la popolazione britannica.Generalmente durante un comizio di Mosley, quando la folla fascista iniziava ad inneggiare ed augurare la morte agli ebrei ed esibivano il saluto fascista (che ricordiamo, non essere un gesto romano), i gruppi antifascisti ed ebrei insorgevano, spesso scatenando episodi di violenza che venivano poi raccontati da Mosley in modo molto fantasioso, ad esempio agitando un giornale in cui si parlava di uno scontro tra fascisti e antifascisti e dicendo “sono loro, gli antifascisti, i violenti, quelli che istigano l’odio, non noi fascisti”, riconducendo la violenza fascista (che in diverse occasioni si lasciò qualche morto alle spalle) come di legittima difesa all’aggressione ebraica.

Nell’ottobre del 1936, durante una manifestazione a londra, ci fu un enorme mobilitazione britannica di matrice antifascista, nota oggi come la “battaglia di Cable Street” in cui socialisti britannici, liberali, e persino indipendentisti dell’IRA, coadiuvati da gruppi armati delle famiglie criminali britanniche si scontrarono contro i fascisti e “spezzarono” definitivamente l’ascesa fascista britannica e relegando i fascisti britannici a partito minore e minoritario, fino al momento dello scioglimento del partito e l’arresto di Mosley nel 1940.

La battaglia di Cable Street presenta molte anomalie, tra cui la mobilitazione delle forze di polizia che non fu particolarmente chiara, e si ipotizza, dietro l’episodio, ci fosse la mano del governo britannico e di Churchill che forse avevano intuito la pericolosità del fascismo, e se bene lo tollerassero all’estero, non potevano permettere che divampasse anche nel regno unito, anche perché, nelle sue ambizioni e nei suoi discorsi pubblici, Mosley, padre ed ispiratore del fascismo britannico, ambiva a rovesciare addirittura la corona Britannica.

La storia di Mosley e del Fascismo Britannico viene raccontata molto bene, nel background narrativo della quinta stagione di Peaky Blinders, serie di cui ho sempre apprezzato il modo in cui si allaccia alla storia reale, e in questo caso ci racconta da vicino il modo in cui i britannici hanno vissuto l’esperienza del fascismo, se non l’avete già vista, vi consiglio di recuperare Peaky Blinders dalla prima alla quinta stagione, perché merita davvero tanto. Tempo fa ho pubblicato un articolo in cui vi spiegavo perché tutti dovrebbero guardare quella serie.

La storia di Mosley e del BUF ci mostra il vero volto del fascismo, quello che la narrazione italiana post bellica, ha dimenticato, a causa della grande amnistia generale. Il fascismo che emerge dai discorsi di Mosley, ma anche quello che emerge dai discorsi di Mussolini, è un fascismo fortemente Antisemita e xenofobo, che per opportunismo si è raccontato in modo diverso a seconda di quella che fosse la platea.
Mosley parlando agli operai prometteva garanzie salariali, meno ore di lavoro e più soldi, parlando ai proprietari delle fabbriche prometteva protezione dalla concorrenza straniera e maggiori libertà nella gestione del personale, parlando all’estero prometteva l’intensificazione di scambi commerciali, e forse gli unici di cui non ha mai cercato il consenso, furono gli ebrei, perché loro erano il nemico da eliminare, e questo molti anni prima che Hitler prendesse il potere in Germania e presentasse la “soluzione finale”.

La storia del BUF ci mostra un europa che non siamo abituati ad immaginare, un europa che ha sconfitto il Fascismo sul nascere. Provate ad immaginare che mondo sarebbe se Mussolini non avesse preso il potere e la Germania fosse insorta contro Hitler e il Nazional Socialismo. Probabilmente non avremmo mai avuto la seconda guerra mondiale ed oggi vivremmo in un mondo profondamente diverso.


Bibliografia
Fascismo britannico e nuova Europa. Scritti e discorsi di battaglia dalla British Union of Fascists all'Europa-Nazione
L.Biancani, Il fascismo britannico (1920-1945)
T.Linehan, British Fascism, 1918-39: Parties, Ideology and Culture
N.Copsey, D.Renton, British Fascism, the Labour Movement and the State

La conquista dell’Italia Meridionale |Miti Neoborbonici

Con l’unità d’italia, non c’è stata una conquista, anzi, le masse contadine dell’italia meridionale hanno scelto volontariamente di seguire Garibaldi e rovesciare la corona borbonica delle due sicilie.

L’italia non è stata unificata, ma, è stata conquistata dai piemontesi, interessati soltanto all’oro di Napoli per coprire i propri debiti. Ma è davvero questa la verità? Il piccolo e indebitato regno di Piemonte e Sardegna è davvero riuscito a conquistare il grande, ricco e prospero Regno delle due Sicilie? O forse c’è qualcosa che i “Neoborbonici” non raccontano?

Ne parliamo in questo episodio della nuova serie su Youtube, Miti Neoborbonici , ma non preoccupatevi, perché qualche informazione ve la metterò anche per iscritto in questo articolo.

Partiamo dall’Inizio, partiamo dal Regno delle Due Sicilie, quel regno che, secondo la narrativa neoborbonica era, nel XIX secolo un moderno e ricco regno italico, le cui casse erano traboccanti d’oro e vi era tanta ricchezza e tanto benessere da fare invidia a tutto il resto d’italia, ma soprattutto, da poter acquistare e liquidare l’enorme debito pubblico piemontese, e dunque “unificare l’italia” senza spargimento alcuno di sangue.

Questa narrazione molto romantica parte dal volume d’oro effettivamente presente nelle casse delle Banche di Napoli e Palermo, si parla del 65/70 % circa dell’oro che sarebbe confluito nelle casse della banca d’italia dopo l’unificazione. Nel 1861, dopo l’unificazione, 213 tonnellate ca. in lingotti d’oro, su 330 tonnellate ca. che secondo l’archivio storico della Banca d’Italia, erano presenti nelle casse della banca, presentavano il marchio del Regno delle due Sicilie ed il restante 35/30 % presentava il marchio degli altri banchi, tra cui quello del regno di Piemonte, confluiti nella nascente banca d’Italia.

L’oro di Napoli però, non era un reale indicatore di ricchezza, e anzi, era solo un deposito stantio che, stando ai registri del banco di Napoli, non aveva subito quasi alcun tipo di variazione dai tempi della corona Spagnola. L’oro di Napoli era oro dell’Ex corona spagnola che che si trovava a napoli e palermo prima della nascita del regno delle due Sicilie, e che dopo, aveva semplicemente fatto da garanzia per i prestiti volti a coprire principalmente le spese della casa reale.

Napoli prima dell’unificazione Italiana era una città enorme, una delle più grandi città al mondo, per numero di abitanti seconda in europa soltanto a Londra e Parigi, ma, questa grande presenza di uomini a napoli, non era sinonimo di una città florida, in crescita ed espansione economica, e questo perché il regno delle due sicilie non investiva in infrastrutture, non investiva in ammodernamenti, non rinnovava le opere pubbliche e non spingeva verso la rivoluzione industriale, a napoli, la corona si preoccupava soltanto di avere i granai pieni, così da dare il pane al popolo, perché nella visione estremamente feudale del regno delle de sicilie, se il popolo aveva il pane, il popolo non insorgeva e tanto bastava ai regnanti per non avere problemi.

Il regno delle due sicilie, prima dell’unificazione italiana, aveva tanto oro, ma non era ricco, era invece estremamente povero e fuori dalle città, dove per città si intende Napoli, Palermo e pochissimi altri centri urbani, c’era il nulla più assoluto, tutta la terra, tutte le terre erano nelle mani di pochi aristocratici che vivevano nel lusso in Città, mentre le campagne erano popolate da contadini analfabeti e totalmente ignari di ciò che accadeva nel mondo esterno. Vi era il grande latifondo e vi erano i “coloni” poco più che antichi servi della gleba, uomini che coltivavano una terra che non era loro, seguendo il ritmo del sole e delle stagioni, uomini che passavano la vita nei campi e donne che passavano la vita nei cortili ad allevare il bestiame, e cercare il modo di conservare il più a lungo possibile i prodotti della terra, i pochi prodotti che rimanevano alla famiglia una volta che i proprietari, lo stato e la chiesa, avevano riscosso la propria fetta.

Quando in queste campagne, passa Garibaldi, seguito non da soldati ma da uomini e volontari, quando arriva in quelle terre un uomo che promette al popolo che la terra che coltivano sarebbe diventata loro se avessero seguito la causa dell’unificazione, questi contadini si ritrovano a dover scegliere tra la povertà più assoluta in cui avevano sempre vissuto, e la possibilità di vivere in condizioni decisamente più agiate o comunque, di non soffrire più la fame, e non hanno dubbi, la maggior parte dei coloni, dei contadini, dei pescatori, le “masse popolari” che dimoravano nelle campagne e sulle coste, si uniscono a Garibaldi e accrescono le fila dei Mille.

Mentre Garibaldi avanzava con il favore delle masse contadine, l’aristocrazia e le proprie milizie mercenarie provarono a resistere, senza troppi successi, ma, il loro rango, una volta unificata l’italia, fu preservato e quelle terre che Garibaldi aveva sottratto ai signori locali, vennero affidate dalla corona italica, ai vecchi signori affinché questi, nel nome del re, amministrassero quei territori.

Chi aveva seguito Garibaldi e aveva combattuto per quelle terre che erano tornate ai vecchi padroni si sentì tradito e la risposta a questo tradimento si divise in due grandi fenomeni.

Da una parte alcuni contadini si organizzarono in milizie private, scontrandosi con gli aristocratici, diventando così briganti, gruppi esterni allo stato che controllavano in maniera ufficiosa le terre, la cui evoluzione nel novecento avrebbe dato vita alle cosche mafiose, dall’altra parte, molti gli uomini del mezzogiorno d’italia, cavalcarono l’onda del dissenso ed utilizzarono la forte insoddisfazione popolare per iniziare e rafforzare la propria carriera politica.

Nel nome della promessa infranta e del popolo, molti uomini del mezzogiorno, più densamente popolato del settentrione in quegli anni, grazie al voto dei contadini e l’appoggio dei briganti, riuscirono ad ottenere abbastanza voti da poter entrare a far parte del neonato parlamento del regno d’Italia, e se si guarda ai membri del parlamento italiano nei primi anni di storia unitaria, prima della costituzione delle regioni che quindi distribuiva in maniera più “uniforme” il numero dei parlamentari su tutta la penisola, si può osservare che, la maggior parte degli eletti al parlamento italiano, erano meridionali, ma questa è un altra storia.

Come abbiamo visto, con l’unità d’italia, non c’è stata una conquista, anzi, le masse contadine dell’italia meridionale hanno scelto volontariamente di seguire Garibaldi e rovesciare la corona, de facto, producendo una sorta di rivoluzione contadina, volta a rinnovare la classe dirigente del mezzogiorno che, per ragioni politiche, non si è compiuta.

Perché l’Iran non fa parte della lega araba?

Di recente ho pubblicato un post in cui parlavo della storia della Lega Araba e mi soffermavo, nella seconda parte, sul perché l’Iran non fa parte della lega. Precisando, che la mancata adesione iraniana all’organizzazione è dovuta ad una scelta politica dell’Iran e non all’assenza di particolari caratteristiche o requisiti, ma la brevità del post ha creato un po’ di confusione, quindi ho deciso di ritornare su questo punto con un post dedicato.

Alcuni lettori hanno osservato e ipotizzato che il motivo della non adesione iraniana alla lega araba sia dovuto al fatto che l’Iran non è un paese Arabo, cosa che è sì vera, l’Iran non è propriamente un paese arabo, così come non lo sono la maggior parte dei paesi che compongono la lega.

La maggior parte della popolazione iraniana, ha origini vaghe e non ben delineabili, chi osserva che le origini del popolo iraniano siano prettamente “persiane” e affondino le proprie radici nell’antica Persia, probabilmente ha dimenticato che la popolazione persiana era una popolazione di guerrieri e mercanti che viaggiavano tra Asia e mediterraneo, e che, analogamente all’Italia, tra le sue città sono passate e si sono insediate genti provenienti da tutto il mondo conosciuto, cosa che rende estremamente difficile, per non dire impossibile, tracciare una linea di discendenza precisa e lineare. Questa immensa complessità accomuna sia l’odierno Iran che l’odierno Iraq, un tempo parti diverse di una stessa realtà, poi separati con la conquista ottomana che ha reso la regione irachena l’ultimo possedimento ad est dell’impero ottomano e la regione iraniana, geograficamente protetta da monti e deserti, l’unica realtà storica e politica ad essere sopravvissuta all’avanzata ottomana.

Questa distinzione storica, e non culturale o linguistica, è un elemento importante da citare, e che, nel mio precedente post, è emerso solo in maniera superficiale. 

Quando è stata creata la Lega Araba, che tra le altre cose, univa in un organizzazione sovranazionale quasi tutti gli ex possedimenti ottomani, l’Iran che non aver fatto parte dell’impero, si auto-percepiva come un elemento di discontinuità, non in linea, nella storia recente, con le altre nazioni della nascente lega che, banalmente, ambivano a diventare ciò che l’Iran era già, ovvero delle realtà politiche, autonome, indipendenti, libere di autodefinirsi.

Tuttavia, l’idea di cooperare con nazioni vicine sia geograficamente che culturalmente che puntavano a porsi come una sorta di terzo polo polo mondiale, (soprattutto durante la guerra fredda) era un idea interessante, che l’Iran ha più volte preso in considerazione, salvo poi decidere di restarne fuori definitivamente dopo l’avvento della rivoluzione nel 1979.

Se, come alcuni hanno osservato, la non adesione dell’Iran alla Lega, fosse stata di carattere prettamente linguistico, allora la maggior parte dei paesi che attualmente fanno parte della lega araba, non ne farebbero parte poiché non tutti i paesi della lega araba sono propriamente paesi di lingua araba.

Lo stesso statuto precisa che la lingua araba come lingua nazionale, non è un elemento pregiudicante l’adesione, e fanno infatti parte della lega, diversi paesi in cui la lingua araba non è la lingua ufficiale, o addirittura, è una minoranza linguistica. Se diversamente la non adesione fosse scaturita da un problema etnico (cosa abbastanza inverosimile sul finire della seconda guerra mondiale), allora, fatta eccezione per i soli paesi della penisola arabica, unici paesi propriamente arabi, tutti gli altri, compreso l’Egitto che è uno dei paesi fondatori e principale promotore della lega araba, non ne farebbero parte.

L’Iran, per la propria storia, è paradossalmente più “arabo” dell’Egitto, del Libano, del Marocco, e pure, Egitto, Libano e Marocco, fanno parte della lega, mentre l’Iran no, e questo perché la non adesione iraniana, non è dovuta all’assenza di appositi requisiti d’accesso alla lega, ma perché il paese ha scelto, per diverse ragioni, di non farne parte.

La storia della Lega Araba

La lega Araba è un organizzazione internazionale, sovranazionale e intergovernativa (molto simile nella sua forma al Consiglio Europeo) che riguarda esclusivamente il mondo arabo e paesi del Nord Africa, e del medio e vicino oriente, detto più semplicemente, è un organizzazione che raccoglie insieme tutti i paesi di lingua araba (tranne l’Iran).

Il 22 Marzo 1945, un mese prima dell’inizio della conferenza di San Francisco (che avrebbe dato i natali all’ONU), nasceva, da, dalla volontà di Arabia Saudita, Egitto, Transgiordania (divenuta Giordania dopo il 1946), Iraq, Libano e Siria, di formare un istituto internazionale che si interessasse del mondo arabo, quella che noi oggi conosciamo come Lega degli stati Arabi, meglio nota come Lega Araba, un organizzazione che comprende tutti i paesi di lingua araba.

Oggi la Lega Araba conta conta 22 paesi Membri, tra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kwait, Iraq, Oman ecc ovvero tutti i paesi che affacciano sul golfo persico, meno l’Iran.
L’Iran non fa infatti parte della Lega Araba e in passato, in diverse occasioni, ha assunto, per via della propria fede sciita, posizioni in aperto contrasto con quelle assunte dalla lega araba.Per intenderci, quando tra il 1980 ed il 1988 Iraq e Iran furono in guerra tra loro, l’Iraq ricevette tanti finanziamenti dai paesi della lega Araba, finanziamenti e prestiti che l’Iraq avrebbe dovuto ripagare dopo il conflitto, ma questa è un altra storia che riguarda soprattutto Iraq, Kwait e I’ONU (il mondo conosce la vicenda come prima guerra del golfo).

La storia della lega Araba è lunga è complessa, e parte da lontano, la sua nascita è avvenuta nel 45, ma l’idea di un’organizzazione (all’epoca simile alla Società delle Nazioni) che potesse tutelare lo status di indipendenza di quei paesi un tempo governati dall’impero ottomano e che da poco avevano ottenuto l’indipendenza o erano caduti sotto il “protettorato” di alcune potenze europee, precede il 1945.

Già nel 1926, si tenne in Egitto a Il Cairo, quello che è noto come primo Congresso islamico, congresso che avrebbe portato alla crescita di un forte sentimento panarabista e che, molti anni dopo, sarebbe stato in qualche modo celebrato, con l’insediamento, proprio a Il Cairo, della sede della Lega Araba le cui origini affondano proprio in quel congresso.

L’Egitto, che negli anni venti era ufficialmente una monarchia indipendente, ma formalmente sotto il controllo britannico, negli anni a venire avrebbe giocato un ruolo portante nell’evoluzione di quella che sarebbe diventata la lega araba, producendo, nel 1944 il Protocollo di Alessandria, che incontrò non poche diffidenze e resistenze, in particolare dal Libano, un paese cristiano incastrato in un mondo prevalentemente musulmano, tuttavia, con non poche difficoltà, le divergenze vennero superate ed il protocollo venne sottoscritto.

Ci troviamo nel 1944 quando viene piantato ufficialmente il seme della lega araba, ovvero, in un momento storico di grande tensione internazionale, in cui la Seconda Guerra Mondiale non era ancora conclusa, non sembrava accennare a concludersi e i paesi coinvolti si trovavano impegnati più o meno direttamente, su diversi fronti, in particolare l’Egitto era ufficialmente in guerra al fianco dei britannici, e in medio oriente, grazie anche al ruolo delle tribù nomadi, si combatteva, in particolar modo in Siria, Libano ed Iraq, contro quelle correnti politiche vicine al Fascismo e al Nazismo.

Quando nacque la lega araba, vi era al mondo un unica altra organizzazione internazionale, la società delle nazioni, il cui fallimento era ben noto e sotto gli occhi di tutti nel 1944, e la lega araba aveva un inclinazione e propositi diversi, che potremmo associare a quelli che oggi sono i valori ed i propositi della comunità europea più che quelli dell’ONU.

Anzitutto questa nuova organizzazione era la prima organizzazione internazionale caratterizzata dalla presenza esclusiva di paesi che, agli occhi degli occidentali, apparivano poveri e sottosviluppati, anticipando di quasi un quarto di secolo il movimento dei paesi non allineati da cui sarebbe nato il termine “terzo mondo”

In secondo luogo, ma non meno importante, la lega Araba si poneva come un obbiettivo primario, la Decolonizzazione, ovvero la restituzione delle terre mediorientali e nordafricane, occupate dagli occidentali, alle popolazioni indigene, in modo che queste potessero scegliere liberamente la propria strada da seguire, in un mondo che non fosse necessariamente filo-occidentale o filo-sovietico (anticipando, anche in questo caso, quello che sarebbe stato il tema portante del movimento dei paesi non allineati).

Per i fondatori della Lega Araba, la lotta per la decolonizzazione, in linea con quelli che in seguito sarebbero stati i principi dell’organizzazione delle Nazioni Unite, in particolare il principio di Autodeterminazione dei popoli, già presente nello statuto della società delle nazioni (e tradito dalla società delle nazioni con il colonialismo francese e britannico). Il tema della decolonizzazione e della lotta per l’indipendenza e autonomia, venne proiettato negli anni avvenire nel dibattito interno alle nazioni unite, inserendo, agli occhi della lega araba e dell’ONU, questo principio tra i valori portanti della teoria della “guerra giusta” (dove, citando Norberto Bobbio, “almeno da Aristotele in poi Giusto è inteso in senso di Conforme a Legge, e non in termini morali).

L’ONU però, quando venne istituita la Lega Araba non esisteva ancora, tuttavia, la Lega Araba, all’Articolo 3 della propria carta istitutiva, fa riferimento alla possibile futura creazione di enti internazionali che abbiano come fine ultimo il mantenimento della pace, della sicurezza e il perseguimento di relazioni socio-economiche fra stati, prefigurando e auspicando una reciproca collaborazione con questi. Detto più semplicemente, i fondatori della Lega Araba, ipotizzando la nascita di future organizzazioni sul modello della società delle nazioni, lasciarono aperta la porta affinché potessero collaborare reciprocamente ed entrarne a fare parte.

Tutti i paesi della lega araba sono oggi membri dell’ONU e la Lega Stessa è dal 1 novembre 1950, un membro osservatore dell’ONU e dal 1954 ha una propria sede che garantisce una presenza permanente all’ONU nella sede di New York (dal 56 anche presso la sede di Ginevra).

Come detto all’inizio, del mondo arabo e dei paesi che affacciano sul golfo persico, l’Iran è l’unico paese non membro della Lega Araba. Diversamente da quello che in molti credono, il motivo non è di carattere religioso, la lega araba non è la lega dei paesi Sunniti, molti paesi di confessione sunnita non sono membri della Lega, e nella stessa organizzazione vi sono paesi come il libano, a maggioranza cristiana o l’Iraq che, durante gli anni 80 e i primi anni 90 (dal 79 al 2003), ebbe come seconda carica dello stato dopo Saddam Hussein, Tareq Aziz, di fede cristiana, de facto l’uomo più potente dell’Iraq dopo Saddam Hussein era cristiano.

Il motivo per cui l’Iran non fa parte della lega e legato alle origini stesse della lega araba e le posizioni assunte dall’allora primo ministro iraniano.

La Lega Araba, come scritto in precedenza era nata dall’azione egiziana, che formalmente si impegnava nella lotta alle politiche coloniali per favorire la decolonizzazione dei paesi di lingua araba, tuttavia, quel paese e quel capo di stato, erano, agli occhi di Mohammad Mossadeq, dei burattini della corona Britannica, corona britannica con cui l’Iran aveva ottimi rapporti di amicizia e collaborazione, amicizia che avrebbe portato, nel 1943 “i leader del mondo” Churchill, Roosvelet e Stalin, ad incontrarsi per la prima volta, proprio in Iran, durante la conferenza di Teheran, per discutere e accordarsi sulla strategia comune da adottare contro le forze dell’Asse.

Dopo la guerra e fino alla metà degli anni 50, l’influenza britannica nel paese venne progressivamente sostituita da quella statunitense, che accompagnò il paese (almeno fino al 1953) in un processo di ricostruzione e ammodernamento. Gli ingenti investimenti degli USA, vennero utilizzati per aumentare l’influenza americana nel paese, che, grazie ad amicizie e legami costruiti in quegli anni, alla fine provò a stimolare una “transizione politica” volta a deporre il primo ministro Mohammad Mossadeq, impegnato a riformare il paese per renderlo una monarchia costituzionale. Senza troppi giri di parole, l’operazione operazione Ajax, firmata CIA e SIS, fu un tentato colpo di stato per portare alla guida del paese un primo ministro più “accomodante” ed incline ad appoggiare e favorire gli interessi occidentali nell’area del golfo. L’operazione fallì e l’Iran, che in quegli anni stava osservando l’azione della Lega Araba, ripiegò su un progressivo isolamento, che avrebbe portato non troppo tempo dopo alla Rivoluzione Islamica, ma questa è un altra storia.

Il fallito colpo di stato in Iran, spinse il paese su posizioni sempre più isolazioniste, alimentando una crescente diffidenza nel mondo occidentale, che con una mano prometteva democrazia e con l’altra appoggiava colpi di stato, e nella lega araba, percepita sempre di più, come una costola del mondo occidentale impiantata nel mondo arabo.

Gli USA negli anni 50 avevano puntato sull’Iran, quale proprio alleato di punta in medio oriente, ma una volta cambiate le carte in tavola e, con l’avvento della rivoluzione islamica, furono costretti a ripiegare sul meno affidabile, se bene altrettanto strategico Iraq, ma anche questa è un altra storia.

Ad oggi l’Iran non è un membro della Lega Araba e rivendica il proprio status di unico paese di lingua araba, totalmente libero dalle influenze e interferenze occidentali, de facto, riconoscendosi come unico paese arabo ad aver compiuto quella che era la missione originale della Lega dei paesi arabi.

Iran: Trump usa i toni moderati di un leone in gabbia

Ecco la mia “analisi” a caldo dell’intervento di Trump di mercoledì 8 ottobre 2020.

A pochi minuti dalla fine dell’intervento, scorrendo rapidamente google news, non ho potuto non notare i titoli di alcuni giornali in cui si parlava di “toni moderati” e “Trump travestito da colomba in cerca di pace”.

Diciamo di si, dai, i toni erano decisamente moderati, i toni però, non lui, Trump era tutt’altro che moderato, sembrava un leone in gabbia, feroce, scalpitante, ma trattenuto, tenuto al guinzaglio.

Durante tutto l’intervento, molto interessante e vorrei dire “molto appassionato”, non ho potuto evitare di soffermarmi più e più volte sul ghigno soddisfatto dell’uomo con gli occhialini alla destra del presidente, la sua espressione era spesso compiaciuta, quasi a dire “bello eh, è una mia idea”, contemporaneamente i generali alle spalle di Trump, soprattutto quello alla sua sinistra (quello più bassino e robusto) seguiva il discorso in maniera estremamente attenta, anche lì, quasi come se fosse una sua creazione, ed era attento che Trump non deviasse dal sentiero tracciato, era attento e ad ogni pausa, ad ogni sospiro del presidente, passava da uno stato di attenzione ad uno di allerta, quasi come se temesse qualche improvvisa variazione sul tema.
Il video dell’intervento, le reazioni dei presenti, ci dice molto, molto più di quanto non ci dica l’intervento stesso.

Ci dice, o meglio, ci lascia supporre, che la mano di Donny Boy sia stata in qualche modo guidata durante la scrittura dell’intervento, con chissà quali strumenti di pressione interna.

Purtroppo cosa è successo e cosa è stato detto all’interno della sala ovale, durante la lunga e certamente accesa riunione che ha preceduto l’intervento, è e rimarrà un segreto, noto solo a chi era in quella sala in quel momento. Ma una mezza idea della direzione che è stata presa in quelle ore di attesa per il mondo, possiamo intuirla, ed è una direzione in un certo senso positiva, in cui, appellandosi ai membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’ONU, più la Germania che in questo momento ricopre un seggio non permanente del consiglio di sicurezza, riporta un po’ tutti con i piedi per terra, aprendo la porta (e anche qualche finestra) alla diplomazia e strumenti quali sanzioni e interrogazioni di fronte alle Nazioni Unite.

L’aggressione USA all’Iran è un atto criminale e illegittimo.

Ecco perché l’Intervento USA in Iran non solo “non è Giusto”, ma è anche “non necessario” ed è da considerarsi oltre che illegale e illegittimo, anche immorale.

Si dibatte da secoli per non dire millenni, visto che se ne discute da Aristotele in poi, sul tema della guerra giusta o ingiusta e dal punto di vista di chi la fa, ogni guerra è una guerra giusta, e tutte le altre sono ingiuste.

Circa 4 secoli fa, era circa il 1648, durante la pace di Westfalia, dopo la guerra dei 30 anni, è successo qualcosa, è successo che gli stati europei sono arrivati alla conclusione che i rapporti tra le nazioni dovessero essere riconosciuti reciprocamente, e la giurisdizione di una nazione era valida solo ed esclusivamente entro i confini di quella nazione.

Questo significa che negli USA ha valore la legge statunitense e in Iran la legge Iraniana, e che gli USA, non hanno giurisdizione sull’Iran, o Iraq, ciò significa che uccidere qualcuno, chiunque esso sia, in un paese straniero, è un omicidio, e di perse questo basta a definire illegale l’azione USA.

So che può sembrare strano, ma il diritto internazionale non prevede il delitto d’onore, la vendetta o la giustizia privata.

Questo principio, codificato per la prima volta a Westfalia è stato ripreso totalmente dall’ONU (di cui fanno parte sia USA che Iran) e ciò significa che i rapporti tra le due nazioni sono e devono essere regolati (dall’ONU) e disciplinati dal diritto internazionale e dalla carta delle nazioni.

Per il diritto internazionale, la guerra è sempre ingiusta, dove per giusto e ingiusto si intende in termini prettamente giuridici e quindi legale, ma, va precisato, esistono delle eccezioni per l’uso autorizzato della forza. Queste eccezioni si manifestano solo al culmine di un lungo iter diplomatico, nel quale sono state varate una serie di azioni (tutte autorizzate e monitorate dall’ONU), e, in assenza di un risultato visibile, l’ONU e solo l’ONU ha l’autorità giuridica internazionale per autorizzare un qualche tipo di intervento militare, che quindi può essere considerato giusto, ovvero legale, lecito. Qualsiasi altro intervento è da considerarsi illecito/illegale e quindi ingiusto.

La questione della guerra Giusta come guerra legale è stata ampiamente esplicata da Norberto Bobbio nel saggio "Una Guerra giusta, sul conflitto del Golfo" nel 1991, un saggio di estrema attualità che vi invito a recuperare quanto prima.
E in modo molto più ampio da Michael Walzer, nel saggio del 1977 "Guerre giuste e ingiuste. Un discorso morale con esemplificazioni storiche", anche questo, vi invito a recuperare se possibile.
Vi segnalo inoltre, i numeri di Micromega pubblicati tra l'agosto del 1990 e il marzo 1991, e tra gennaio 1998 e dicembre 1999, in cui sono stati riproposti una serie di interventi legati alla natura della guerra, sul piano giuridico, morale, economico, strategico, in occasione della prima guerra del golfo e del conflitto nei balcani, di cui mi sono occupato nella mia tesi di laurea magistrale e che potete recuperare in digitale, sul portale della biblioteca dell'università di Pisa.

L’intervento USA ai danni dell’Iran non ha rispettato l’iter previsto dall’ONU, di conseguenza è giuridicamente illecito, ingiusto, illegale e, come ho scritto in precedenza, a parti invertite (quindi, se l’Iran avesse ordinato l’assassinio di un generale USA), l’ONU avrebbe “condannato” repentinamente l’azione iraniana, procedendo, come previsto dallo statuto, con un embargo totale nei confronti del paese, attivando un blocco navale, congelamento dei conti esteri del paese e con una serie di sanzioni punitive, volte ad ottenere un qualche risarcimento dall’Iran, comprensivo dell’incriminazione ufficiale di chi ha dato l’ordine, presso la corte di Giustizia Internazionale.

Questa cosa non è avvenuta agli USA, l'ONU non ha sanzionato il paese, qualcuno si è limitato ad ammonirlo, e Trump non è stato convocato di fronte la corte di giustizia, solo ed esclusivamente perché gli USA hanno diritto di veto, in pratica se l'ONU sanzionasse gli USA, gli USA ponendo il veto, renderebbero nulle le sanzioni.

Per l’ONU e il diritto internazionale, non esiste alcun tipo di episodio che possa giustificare un intervento armato e l’uso della forza, al di fuori dell’iter previsto dagli articoli 40,41 e 42 della carta delle nazioni.

Per intenderci, nel caso ipotetico in cui l’Iran avesse ordinato l’omicidio del presidente degli stati uniti d’america e, dopo l’omicidio, avesse dichiarato al mondo di essere responsabile della morte del leader statunitense, anche in quel caso, gli USA non sarebbero comunque legittimati, sul piano giuridico, ad intervenire militarmente contro l’Iran. Stiamo parliamo di un caso ipotetico in cui tutte le prove del coinvolgimento iraniano nell’assassinio sono pubbliche e palesi e ci sono dichiarazioni e rivendicazioni ufficiali, da parte del governo iraniano del proprio coinvolgimento.

Nel caso reale però, non c’è nulla di tutto questo, alcuna prova, non c’è alcun documento, non c’è nulla di nulla, L’unica cosa che c’è, sono una serie di “giustificazioni” tra l’altro molto vaghe, e non supportate da alcuna prova, di un qualche ipotetico coinvolgimento iraniano in alcuni attentati nei pressi di un ambasciata USA, in un paese che non è proprio in ottimi rapporti ne con l’Iran, ne con gli USA che considera ancora come degli invasori stranieri.

Che è un po’ come bombardare l’Italia perché nei pressi del consolato USA a Napoli, sono esplose delle bombe carta la notte di capodanno e dire che il ministro degli esteri Di Maio, che in quel periodo era a Napoli dai parenti, è coinvolto nell’attentato.

L’azione USA ai danni dell’Iran, riporta la mente di chiunque conosca un minimo la storia del golfo al 1980, quando, nel tentativo di arginare la rivoluzione islamica in Iran, che minacciava di estendersi a tutto il golfo persico, oltre che nel medio e vicino oriente, gli USA e l’URSS decisero di finanziare, addestrare e armare l’esercito Iracheno contro l’Iran, che con il pretesto di una disputa territoriale, sarebbero stati coinvolti in guerra per oltre otto anni, fino all’agosto del 1988. Con la differenza che, rispetto ad allora, gli USA sono parte attiva nel conflitto, intenti a riconquistare una propria posizione di dominio in una regione del mondo, la cui instabilità è nota da decenni, ed è sempre più vicina all’influenza Russa, a discapito di quella “americana”.

L’azione USA che molti critici hanno letto come una guerra elettorale, credo vada letta in un quadro più ampio, in cui è in gioco il ruolo degli USA nel mondo, un mondo di cui negli ultimi vent’anni l’unica superpotenza sopravvissuta alla guerra fredda ha giocato, prendendo le battute da Robert Kagan in “Paradiso e Potere”, il ruolo dello Sceriffo che si è appuntato da solo la spilla sul petto, e mentre l’Europa continua a coprire il ruolo del gestore del saloon, in città è arrivato il capo dei banditi, che accusa lo sceriffo di essere un uomo della ferrovia e che fa gli interessi non della città ma della ferrovia, e dunque, lo sfida a duello, per diventare il nuovo sceriffo.

In conclusione, in modo molto provocatorio, mi permetto di dire che l’azione USA in medio oriente è un atto di aggressione illegale e illegittimo e chi sostiene il contrario, sta anteponendo ragioni e interessi politici alla più nuda e cruda realtà empirica dei fatti.

L’aggressione USA all’Iran è un atto di guerra illegale

E dopo una lunga campagna elettorale contro la guerra in medio oriente, propagandando il ritiro delle truppe USA dal mondo, ecco che Donald Trump, inaugura gli anni 20 del 2000, con quella che promette essere una nuova guerra del Golfo, questa volta con protagonista l’Iran e non più l’Iraq, come nei precedenti capitoli, anche perché l’Iraq ormai, non esiste più, è più che uno stato, è ridotto ad un agglomerato di tribù e milizie in guerra tra loro.

La nuova azione USA in Iraq o se preferite è, senza troppi giri di parole, un atto di guerra illegale, perché si configura come un aggressione unilaterale di uno stato sovrano (gli USA) ai danni di un altro stato sovrano (l’Iran). Chi parla di rappresaglia, chi parla di terrorismo internazionale, chi parla di qualsiasi altra cosa, sta semplicemente girando attorno alla questione.

A ruoli invertiti gli USA (e parte dell’europa) avrebbe parlato di Terrorismo internazionale, e una certa parte politica, avrebbe parlato di terrorismo islamico.

Questa aggressione è totalmente illegale, così come lo erano le azioni russe in Ucraina e quelle Turche in Siria … E come loro, subirà la stessa sorte …
Verrà ignorata dal diritto internazionale e cadrà nel dimenticatoio, non vedrà invece l’istituzione di un processo di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia, poiché l’aggressione di uno stato sovrano è, secondo lo statuto della Corte, un crimine di guerra, e in questa circostanza gli USA hanno aggredito uno stato sovrano senza alcuna reale motivazione (e no, un attentato terroristico, di matrice non governativa, all’ambasciata USA non è una motivazione legittima)…
Forse, con un po’ di fortuna, qualcuno presenterà un esposto alla corte penale internazionale, anch’essa all’Aia, ma questa seconda corte, non è un organo istituzionale delle Nazioni Unite, e la sua autorità non è riconosciuta dal governo americano, che è un po’ come dire che l’assemblea condominiale di via madama 19 a Poggibonsi, ha incriminato il presidente USA per aver compiuto un atto di guerra in Iran.

Il motivo per cui questo atto di guerra, se bene sia illegale, non avrà ripercussioni, se non di carattere puramente propagandistico, risiede nel ruolo che gli USA occupano nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, gli USA infatti sono un membro permanente di tale consiglio e come tale, hanno diritto di veto, il che significa che hanno il potere di decidere quando l’ONU non deve intervenire, analogamente a quanto fatto dalla Russia di Putin negli ultimi anni, giocando la carta del veto per difendere (e impedire sanzioni) a tutti i suoi amichetti del cuore.

Gli USA, come la Russia, purtroppo, hanno il diritto e il potere di ricorrere al veto e fermare l’iniziativa dell’ONU, ragion per cui, è estremamente improbabile che l’ONU condannerà gli USA.

Una condanna e qualche sanzione, tuttavia, potrebbe arrivare dall’Europa, e paradossalmente dalla Russia e da tutti i suoi alleati che, negli ultimi anni (e mesi) si sono nascosti proprio dietro il veto russo.

La Russia in questi anni , grazie a simpatizzanti privi di qualsiasi capacità cognitiva, ha costruito un imponente cattedrale di ipocrisia e specchi, che, come ho già detto innumerevoli volte, mina l’integrità dell’ONU e rende più superfluo che mai l’organizzazione che in teoria dovrebbe essere l’unico garante della pace e sicurezza globale, e pone a sostituirsi ad essa nel ruolo di garante della sicurezza globale, ruolo che fino a non molto tempo fa, è stato ricoperto abusivamente dagli USA.

La Russia, ha più volte condannato le politiche imperialiste americane, giocando però allo stesso modo e con le stesse regole, una propria politica imperialista, il caso più eclatante è l’aggressione alla Crimea da parte Russa, che è stata strappata illegalmente ad uno stato sovrano (Ucraina) per poi correre ai ripari con la carta del diritto di Veto.

L’aggressione statunitense all’Iran, se bene nella forma e nella sostanza presenti molte differenze rispetto all’aggressione russa della Crimea, sulla carta (la carta delle nazioni unite) è la medesima cosa, un atto di aggressione illegale ad uno stato sovrano, l’ennesimo, questa volta da parte degli USA, a cui seguiranno accuse di imperialismo da parte della Russia e, nel complesso, verrà dato l’ennesimo colpo all’ONU e al suo ruolo nel mondo, sempre più precario e meno stabile.

Gli anni 20 del 2000 si aprono con un atto di guerra vecchio stile, ed entro la fine di questo decennio credo dovremmo aspettarci una di queste due trasformazioni negli equilibri mondiali, da un lato quella che auspico, ovvero la riorganizzazione dell’ONU, e il superamento del diritto di veto da parte dei vincitori della Seconda Guerra mondiale, dall’altro quello che temo, la progressiva disgregazione dell’ONU e di altre istituzioni internazionali, sovranazionali, segno inevitabile di una progressiva disgregazione che condurrà ad una potenziale guerra su vasta scala.

Mussolini, il protettore dell’Islam

Tra il 1934 ed il 1937 Mussolini fu promotore di una politica di incoraggiamento della Fede Islamica che lo avrebbe portato ad essere riconosciuto, nel mondo islamico, come Protettore dell’Islam, riconoscimento di grande valore che sarebbe stato consacrato con la consegna, da parte di un capo berbero, dell’antica e leggendaria Spada dell’Islam.

Era il 20 Marzo 1937 quando Benito Mussolini, incontrò, nei pressi di Tripoli, nella Libia Italiana, Yusef Kerbisc, un capo berbero vicino al regime Fascista da cui avrebbe ricevuto in dono l’antica e leggendaria spada dell’Islam, appositamente forgiata per l’occasione, suggellando così l’amicizia tra Mussolini ed il popolo islamico, che Mussolini si impegnava a proteggere da uomo laico.

Mussolini in posa, mentre impugna la spada dell’islam, dopo essere stato proclamato protettore sacro dell’islam.

Questo evento è l’atto culminante di una strategia politica di pacificazione avviata dal duce, in seguito alla conquista della “Libia Italiana” nel 1934.

Mussolini non voleva essere percepito come un invasore o conquistatore straniero, poiché la campagna in Libia era stata raccontata in patria come una campagna di ricongiungimento con i cugini libici.

Mussolini non voleva che la Libia Italica venisse percepita, in Libia, in Italia e all’Estero come un territorio Coloniale, e, diversamente dal corno d’africa, voleva che la Libia fosse percepita come parte integrante del territorio Italico, e di conseguenza fu avviata, già dal 1934, la possente macchina della propaganda che, in Libia si tradusse in una vera e propria politica di “incoraggiamento” della fede islamica.

Mussolini sapeva perfettamente che la fede è un arma potente era un arma potente e che, controllando la fede, avrebbe potuto facilmente controllare il popolo, aveva già sperimentato in Italia, con ottimi risultati, questa linea politica che, attraverso i Patti Lateranensi, gli aveva permesso di mettere le mani sul consenso dei cattolici.

Analogamente a quanto fatto in Italia dunque, Mussolini cercò il consenso dei musulmani e iniziò a definire le popolazioni locali come “musulmani italiani della quarta sponda d’Italia”, la Libia italiana era la quarta sponda d’Italia e i suoi abitanti erano, per la propaganda del regime, italiani a tutti gli effetti, tuttavia, diversamente dagli italiani della penisola, gli italiani della quarta sponda non erano cristiani, e dunque, per loro, nel “rispetto” della loro fede, fece restaurare le antiche moschee danneggiate dalla guerra e ne fece costruire di nuove, fece costruire scuole coraniche, e, a Tripoli, fece inaugurare la Scuola Superiore di Cultura Islamica, fece inoltre istituite numerose strutture di assistenza per i pellegrini diretti alla Mecca.

Per il popolo libico Mussolini “aveva fatto tante cose buone”, e anche se per ragioni puramente politiche, si era indirettamente fatto promotore di una politica di convivenza civile e pacifica tra cristiani e musulmani, spianando la strada all’idea di uno stato laico in cui la fede è un qualcosa di intimo e personale e che non influisce minimamente sulla condizione sociale… o almeno, sulla carta era così.

Questa linea politica, di estrema apertura al mondo islamico, aveva ridotto al minimo le resistenze al dominio italico, ed aveva procurato a Mussolini il favore delle masse popolari, limitando gli oppositori ai soli a pochi esponenti della vecchia elite ottomana. Tuttavia, Mussolini non era soddisfatto, e rivendicava per se, qualcosa di più del semplice consenso.

Mussolini era un uomo ambizioso, ed era stanco di vivere all’ombra del Re che, pur non facendo nulla, continuava ad essere il Re, continuava ad essere colui a cui bisognava giurare fedeltà, continuava ad essere l’uomo più potente dello stato italiano, e in libia, nel 1937, assistiamo al primo duro colpo inflitto da Mussolini all’autorità del Re, rivendicando per se il titolo di successore del califfo, che, in teoria, sarebbe spettato al Re d’Italia.

Yusef Kerbisc, esibisce la spada sacra del’islam prima di donarla a mussolini

Il consenso di Mussolini in Libia era per certi versi superiore a quello che aveva in Italia, tuttavia, per assumere i pieni poteri e godere della lealtà e fedeltà dei “musulmani italiani della quarta sponda” doveva trovare un modo per riequilibrare la propria posizione spirituale, Mussolini era pur sempre l’uomo che aveva fatto firmare i Patti Lateranensi, che de facto sbilanciavano lo stato italico verso il mondo cattolico, e per riportare equilibrio nella spiritualità italica, Mussolini doveva necessariamente trovare il modo di legarsi al mondo islamico, senza però minare i legami con il mondo cristiano, era dunque da escludersi a priori la “conversione all’Islam“.

La soluzione non tardò ad arrivare, Mussolini, già dal 1934 aveva rivendicato per se il ruolo di successore del califfo, e per creare quel legame con il mondo islamico, non doveva far altro che sancire in maniera bilaterale quella rivendicazione. Fece dunque quello che ogni Leader Italico avrebbe fatto…

Mise un piede in due scarpe, e da abile doppiogiochista qual’era, rivendicando per se la successione italica al califfo Ottomano, si fece proclamare, da Yusef Kerbisc, un capo berbero vicino al regime, Protettore dell’Islam e per suggellare questa nomina, ricevette in dono la spada dell’islam e dovette giurare di garantire al popolo libico, “pace, giustizia, benessere e rispetto delle leggi del Profeta”.

E.Ertola, Terra d’Africa, gli italiani che colonizzarono l’impero
N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana
A. Randazzo, L’Africa del Duce. I crimini fascisti in Africa.
A.Del Boca, Da Mussolini a Gheddafi. Quaranta incontri.

Il Natale è una festa Pagana, ecco chi ha inventato il natale.

Il natale è un culto pagano, nato nel sangue e dalla necessità di creare unità e avvicinare popoli e culture diverse, partendo da una mitologia arcaica comune o comunque molto simile.

Il natale è un culto pagano, introdotto nella tradizione cristiana intorno alla metà del IV secolo d.c, ed è un culto nato nel sangue e dalla necessità di creare unità e avvicinare popoli e culture diverse, che partendo da una mitologia arcaica comune o comunque molto simile, potevano più facilmente essere convertite al cristianesimo.

Sono passati quasi XVIII secoli da quando, nel 274, l’Imperatore romano Aureliano, estimatore dei culti orientali, introdusse ufficialmente nella religione romana, e nei suoi rituali, la celebrazione del “Dies Natalis Solis Invicti” da cui, intorno all’IV secolo, Epifanio di Salamina, un vescovo e scrittore greco, vissuto prima dello scisma tra Cattolicesimo Romano e chiesa Copta/Ortodossa, avrebbe osservato che, in alcune città d’oriente, era molto diffuso il culto “pagano” del Solis Invictus, e che questi, nella propria mitologia di fondo, presentava numerose analogie con il mito della nascita del cristo, in quanto la celebrazione del Solis Invictus, ruotava attorno al trionfo della luce sulle tenebre, e alla nascita del dio Aîon, generato dalla vergine Koree.

Epifanio è considerato uno dei padri putativi dell’odierno Natale, e per certi aspetti è effettivamente l’uomo che ha codificato la celebrazione del Natale.

Lo scopo di Epifanio era quello di convertire i pagani al cattolicesimo, e la celebrazione del Solis Invicti era il perfetto cavallo di troia per irrompere nei culti pagani e con questi far lentamente passare i fedeli al culto cristiano. Per almeno tre secoli, sappiamo che i due culti, quello del Natale cristiano e quello pagano, coesistettero.

Dalla testimonianza di Cosma di Gerusalemme, un religioso bizantino, fratello adottivo del più celebre e importante Giovanni Damasceno,(teologo cristiano di famiglia araba che fu un alto funzionario del governo omayyade del califfo Mu‘āwiya b), sappiamo che, nel VII secolo dopo cristo, il culto del Solis Invicti era ancora molto diffuso, e sappiamo che anche che il culto era celebrato sopratutto nella notte, in clandestinità, tra il 24 ed il 25 dicembre.

Ad accorciare le distanze tra il culto pagano e la nascente tradizione cristiana, fu l’imperatore Costantino, che, con un decreto imperiale datato 7 marzo 321, stabiliva che il primo giorno della settimana, dovesse essere di assoluto riposo e che quel giorno venisse dedicato al sole invitto. Secondo la tradizione Cristiana, lo steso Costantino, successivamente si sarebbe convertito al cattolicesimo.

Imperator Constantinus.Omnes iudices urbanaeque plebes et artium officia cunctarum venerabili die solis quiescant. ruri tamen positi agrorum culturae libere licenterque inserviant, quoniam frequenter evenit, ut non alio aptius die frumenta sulcis aut vineae scrobibus commendentur, ne occasione momenti pereat commoditas caelesti provisione concessa.

Codice Giustinianeo 3.12.2

Con questo decreto imperiale Costantino istituiva il giorno del sole, “dies solis”, ovvero quella che è la nostra domenica, questo retaggio è ancora molto evidente nel mondo anglofono in cui, la settimana inizia dalla Domenica e non dal Lunedì, e, il nome del primo giorno della settimana è ancora giorno del sole, “sun day”.

L’introduzione di un giorno di assoluto riposo settimanale, richiamava il giorno di riposo che il signore si prese dopo aver creato l’universo e tutte le creature, giorno di riposo che per i primi cristiani coincideva con il Sabato, il giorno del Signore, ereditato dalla tradizione ebraica ed era posto, secondo il mito, in chiusura della giornata.

Nei secoli successivi i due giorni di riposo si sarebbero sovrapposti, il giorno del signore e il giorno del sole divennero un unica cosa, e il signore divenne il sole, di conseguenza, il giorno della nascita del Sole Invitto, era per derivazione il giorno della nascita del signore Dio ed il Natale del Signore si sovrappose completamente al Natale del sole invitto, che venne quindi totalmente inglobato nella tradizione cristiana.

Quello che noi oggi celebriamo come Natale, è uno esempio eccellente di intreccio culturale, che vede coinvolta la mitologia ebraica, la mitologia cristiana, e la mitologia islamica, oltre alla ritualità pagana romana ed egiziana, insomma, culti, usanze, tradizioni di innumerevoli popoli e culture, che confluiscono insieme, in un solo momento, in cui si celebra un principio comune, il trionfo della luce sulle tenebre, del bene contro il male, ed è importante precisare che tutto ciò, è avvenuto principalmente per ragioni politiche.

Il culto del sole nascente, è un culto primordiale, un culto elementare, presente in qualsiasi mitologia, poiché il sole, nelle civiltà primitive, è visto come fonte di calore, di luce, dove c’è il sole la vita prospera e si tinge di mille colori, nell’oscurità delle caverne la vita è poco, spesso feroce, e priva di colore.

La natura universale di questo culto primordiale è ciò che ha permesso alle varie culture di assorbirle culti analoghi da altre culture e farli propri, permettendo, come aveva intuito Epifanio di Salamina, di trasportare fedeli da una culto all’altro.

Nel mondo romano il culto del Sole Nascente, venne ufficializzato dall’imperatore a Aureliano, ma già in precedenza aveva conosciuto una propria diffusione entro i confini dell’impero in quanto legato al Mitraismo, il culto orientale di Mitra, che sappiamo essersi diffuso a Roma tra il I ed il III secolo, sappiamo inoltre che, nel all’inizio del III secolo, l’imperatore romano Eliogabalo, aveva cercato, senza successo, di imporre il culto di Elagabalus Sol Invictus, identificando quindi, sul modello orientale, la propria figura imperiale, a quella del Dio-Bolide solare di Emesa, in Siria, città natale dell’imperatore. Questo ardito e, col senno di poi, potremmo dire prematuro, tentativo di proclamarsi divinità imperiale, e imporre il culto del sole nascente a roma, ebbe come effetto, una congiura che sarebbe costata la vita ad Eliogabalo, dopo soli 4 anni di impero, nel 222. La morte violenta dell’imperatore, provocò un improvvisa battuta d’arresto per il culto del Solis Invictus, almeno fino all’avvento di Aureliano.

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