Quando si parla di Democrazia, generalmente si intende un sistema di governo fondato sull’uguaglianza delle opportunità e sulla partecipazione collettiva, tale interpretazione politica si contrappone nettamente ai regimi autarchici, nei quali invece, il potere è concentrato in poche mani o in una singola persona.
Tuttavia, non sempre la democrazia è interpretata in questo modo, e spesso anche in democrazia si rischia di virare verso posizioni autoritarie, superando e denigrando uno dei principi portanti della democrazia stessa, il “compromesso politico” in favore di sistemi maggioritari e più “forti”, basati sul principio che chi “chi ha la maggioranza decide”.
Ma la democrazia non funziona così, o meglio, per come è stata concepita e definita nel corso dei secoli, non dovrebbe, e anzi, per millenni la filosofia ci ha ampiamente messo in guardia dalle ombre che aleggiano e minacciano la democrazia, ombre che periodicamente, e seguendo un copione ben definito, hanno prevalso sulla democrazia, portando alla nascita di sistemi autoritari, sempre più pericolosi.
In questo articolo cercheremo di esplora il concetto di democrazia, le sue origini, le sue criticità, e di identificare le maggiori e più note e facilmente riconoscibili minacce alla democrazia di cui abbiamo conoscenza storica.
Etimologia e significato del termine “democrazia”
Cominciamo con l’etimologia della parola, poiché tutto parte da essa. Il termine “democrazia” deriva dal greco, più precisamente dalla composizione di due parole, demos (popolo) e kratos (potere), e la traduzione letterale dell’unione di queste due parole è “potere del popolo“, ne consegue che tale significato persista e definisca anche (e soprattutto) il termine che deriva dall’unione di queste due parole, ovvero Democrazia.
Democrazia però non è solo il potere del popolo, ma è anche il modo in cui e con cui, il popolo esercita tale potere, ed è usato generalmente per rappresentare diverse forme di governo caratterizzate da una serie di elementi comuni suggerendo l’idea che i governi “democratici” siano in sostanza espressione della volontà del popolo, della collettiva, e non di singoli individui o gruppi ristretti, come potrebbe invece essere in sistemi autocratici o oligarchici dove invece a governare sono rispettivamente un solo individuo o un gruppo elitario.
Se l’idea tali governi siano espressione della volontà colletta, è un qualcosa di solido e persistente nelle varie declinazioni di democrazia, la misura e la dimensione di quella volontà è un qualcosa di più volatie e mutevole, che in sistemi democratici differenti, può assumere forme differenti. Si pensi alle democrazie dirette, alle democrazie presidenziali, alle democrazie parlamentari, ecc.
In queste varie declinazioni, ognuna delle quali interpreta in maniera differente la volontà della collettività, si celano alcune insidie della democrazia, che espongono le varie forme di democrazie a contaminazioni più o meno pericolose. La maggior parte di queste minacce sono sintetizzabili nel rischio che la democrazia possa in qualche modo confluire in sistemi autoritari, in cui si possa prediligere una parte della collettività a scapito della sua interezza, e solo una parte del popolo, della collettività, degli elettori, la “maggioranza”, risulta essere fonte e di legittimazione del potere, con l’effetto di una forte polarizzazione politica, che rende impossibile o quasi, ogni forma di compromesso e confronto politico.
Questa distorsione della democrazia, si radica nell’idea distorta per cui ci sia una parte che ha il compito di governare, e una parte, che deve rimanere in panchina. Come vedremo nella prossima sezione, questa visione non ha nulla a che vedere con la democrazia, e anzi, rappresenta la sua morte.
La filosofia della democrazia
Fin ora abbiamo ragionato sull’etimologia della parola democrazia, visto le sue possibili declinazioni e accennato in via puramente teorica alle sue insidie. Da qui in avanti ripercorreremo la storia filosofica della democrazia, dall’antichità greca ad oggi, nel tentativo di capire che cos’è la democrazia oggi.
Tra i primi filosofi che si sono occupati del concetto di Democrazia, incontriamo, come già successo per il concetto di politica, Platone, e la sua La Repubblica, opera in cui il filosofo greco, narrando un dialogo con il proprio maestro Socrate, si ritrova ad esprimere le proprie idee di governo ideale, e nel fare ciò, dedicherà importanti sezioni dell’opera alla critica dei governi noti, tra cui anche la democrazia ateniese, una forma di governo che per Platone è incline al disordine e alla tirannide. Come vedremo, le critiche che il filosofo greco muove alla democrazia hanno un sapore quasi profetico e ci mostrano con qualche millennio di anticipo e straordinaria lucidità, le problematiche che nel mondo contemporaneo abbiamo riscontrato in modo diversi, in diversi sistemi politici, tra cui l’Unione Sovietica o gli Stati Uniti d’America.
Per Platone la democrazia diretta ateniese è una sorta di regime in cui il popolo detiene il potere senza alcuna qualificazione o competenza specifica per governare, e alla base di questa democrazia diretta vi è un principio di uguaglianza formale che non tiene conto delle differenze qualitative tra gli individui. senza troppi giri di parole, per Platone non tutti hanno la capacità non solo di governare, ma anche di scegliere i governanti, di conseguenza, in un sistema in cui tutti i cittadini hanno lo stesso diritto di partecipare alla vita politica, indipendentemente dalle proprie capacità o virtù, si inibisce la capacità e la possibilità di un buon governo e si favorisce l’ascesa di demagoghi, ovvero di leader populisti in grado di manipolare le passioni, le paure e le opinioni della massa, al fine di ottenere maggiori consensi. Questo fenomeno, conduce inevitabilmente alla tirannide, poiché i demagoghi una volta al potere tendono a consolidare il loro controllo eliminando ogni forma di opposizione.
Altra enorme criticità delle democrazie dirette, secondo Platone, sta nella loro instabilità, poiché esse lasciano ampio all’anarchia delle opinioni e dei desideri individuali, elementi di disturbo che tendono a prevalere sul bene comune. In altri termini, per Platone la democrazia è un regime in cui “ognuno fa ciò che vuole“, dando luogo a una società frammentata e priva di coesione, che tenderà a scegliere come guida chi gli permette di fare ciò che vuole, e allontanerà chi invece punterà al bene comune.
A tale proposito il brano “La sete di libertà” del libro quarto della repubblica, offre un immagine estremamente vivida e profetica.
“Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a sazietà,
fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati despoti.
E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani.
In questo clima di libertà, nel nome della libertà, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.”
Esempi storici di questo tipo, che avverano la profezia di Platone, ne potremmo fare all’infinito, da Cesare ed Augusto, passando per Napoleone ed i dittatori del novecento, fino arrivare ai grandi populisti contemporanei, la storia dell’umanità ha visto l’ascesa di innumerevoli “coppieri“.
Lasciandoci Platone alle e avanzando di una generazione anche Aristotele, maestro di Alessandro Magno e allievo di Platone, si occuperà di definire il concetto di democrazia e le forme di governo democratico. Aristotele ne parla nel libro Politica, dove descrive la democrazia come una forma di governo mista, capace di integrare elementi di monarchia, aristocrazia e politica e come il proprio maestro, anche Aristotele non è esente dal sottolineare alcune criticità e insidie della democrazia, mettendo in guardia soprattutto dal rischio di oclocrazia, ovvero il dominio della folla irrazionale e priva di virtù.
L’etimologia di questo termine è simile a quella di democrazia, il suffisso cratos è lo stesso, ma cambia la radice, da demos (popolo) a oclos (folla), ed indica appunto un regime in cui le decisioni sono prese in modo impulsivo e passionale, senza alcun riguardo per la legge o il bene comune, da quella che sostanzialmente considera una folla irrazionale.
Aristotele critica aspramente questa forma di governo, poiché ritiene che essa sia particolarmente priva di moderazione e di equilibrio tra le classi sociali, elementi che ritiene fondamentali affinché si possa esercitare il potere in maniera giusta.
Per Aristotele quindi, l’oclocrazia è quindi una distorsione della democrazia che e si manifesta quando i cittadini meno virtuosi prendono il sopravvento e corrompono la democrazia, quasi ne abusano.
Tornando ad Aristotele, il filosofo greco ritiene che la deriva della democrazia in oclocrazia possa essere evitato attraverso la politeia (politica), attraverso l’attuazione di forme di governo miste che combina elementi democratici e oligarchici, garantendo così una maggiore stabilità e giustizia sociale. È quasi come se ci stesse dicendo che l’oclocrazia nasce dall’eccesso di democrazia e di libertà, visione ereditata dal proprio maestro.
La storia, soprattutto recente, è ricca di esempi di democrazie evolute in oclocrazie, alcune delle quali hanno permesso l’ascesa di vere e proprie dittature, non solo in Europa e non solo nel novecento.
Tornando al concetto di democrazia, ha accompagnato la nostra storia solo per brevi tratti e nella maggior parte dei casi, l’umanità ha preferito altre forme di governo. Se l’Europa classica ha conosciuto varie forme di democrazia, in particolare quella di alcune polis greche e la repubblica romana, a partire dal primo secolo a.c., in particolare da Cesare in avanti, le democrazie classiche sono sparite, lasciando il passo a nuove forme di governo, come l’Impero e le monarchie, tutt’altro che democratiche.
Eccezion fatta per la breve esperienza dei comuni dell’Italia medioevale, la democrazia è tornata ad affacciarsi sull’Europa solo di recente. Più precisamente torna a far parte del dibattito politico e filosofico a partire dal XVII secolo, soprattutto con autori come John Locke e Jean-Jacques Rousseau, che nei propri scritti hanno ridefinito il concetto di democrazia, gettando le basi per le democrazie moderne, che all’atto pratico sono un esperienza politica totalmente nuova e profondamente diversa dalle democrazie “classiche”.
Le democrazie moderne pongono l’accento sul ruolo dei diritti individuali e della volontà generale, con alcune differenze tra i vari filosofi che si sono susseguiti nel tempo. Per Locke ad esempio, l’esercizio del potere doveva basarsi sul consenso dei governati, mentre per Rousseau, la democrazia diretta rappresentava l’unica forma legittima di governo, poiché solo in questo modo era possibile avere un espressione autentica della volontà collettiva. Di tutt’altro avviso invece è Hobbes che critica la democrazia ritenendola instabile e preferendo un sovrano assoluto per garantire ordine e sicurezza.
Kant vede la democrazia come una repubblica razionale e giuridica, ponendo tutta l’attenzione sul diritto e le regole, poiché solo il diritto, metodico e rigoroso è in grado di produrre un sistema politico che possa garantire pace e libertà. E se per Kant, alla base della democrazia c’è il diritto, per Marx, la democrazia è altro, non è infatti solo una forma di governo, ma una “fonte di governo” che sposta la costruzione istituzionale dal basso, immaginando una società autogestita. C’è quindi una sorta di ritorno alla democrazia diretta.
Come per Platone e Aristotele anche gli altri autori, citati e non, che si sono occupati del concetto di democrazia, ne hanno intravisto possibili criticità, rendendo evidente un principio, la democrazia non è perfetta perché riguarda gli esseri umani, e il rischio più comune, evidenziato in tutte le declinazioni della democrazia, vede la maggioranza assumere posizioni autoritarie, per imporre decisioni.
Compromesso politico vs. dittatura della maggioranza
In sostanza, la democrazia è una questione da gentiluomini, richiede un certo rispetto reciproco, l’ammissione e il riconoscimento reciproco dei propri limiti e il ricorso al compromesso politico, inteso come la capacità di mediare tra interessi diversi per raggiungere soluzioni condivise. In teoria, nei sistemi democratici, il compromesso è essenziale per garantire stabilità e inclusività ed evitare che le decisioni siano dettate unilateralmente dalla parte vincente. Qualunque essa sia. Poiché, in caso contrario, avremmo a che fare con una tirannia, una dittatura della maggioranza.
Tale principio fondante, non è tuttavia implicito e spesso viene oscurato dal principio deviante e deviato per cui “chi vince decide“, e in quei casi si rischia di trasformare la democrazia in una vera e propria “dittatura della maggioranza“, un sistema politico in cui, a seconda della maggioranza, le minoranze vengono marginalizzate e i loro diritti e le loro istanze quasi del tutto ignorate. Tale dinamica si contrappone in maniera netta e radicale ai principi fondanti della democrazia, e riflette in vero quel rischio da cui giuristi e filosofi ci hanno messo in guardia per secoli.
La dittatura della maggioranza non è solo un sintomo della tirannia e dell’oclocrazia, ma è anche causa ed effetto di alti fenomeni, tra cui, la polarizzazione politica, che rendono estremamente difficile, se non del tutto impossibile, il dialogo tra schieramenti diversi e contrapposti, alimentando tensioni sociali.
Ma la natura pluralistica degli schieramenti politici non dovrebbe essere fonte di divisione, ma un punto cardine per la ricerca di un compromesso che però, in alcuni casi viene visto come una rinuncia ai propri valori e principi, un “inciucio” che non fa bene alla propria parte, poiché non fa l’interesse esclusivo della propria parte, puntando invece agli interessi comuni di tutte le parti. E così, il bene comune, che per Aristotele era il punto d’arrivo della politica, diventa il suo principale ostacolo. Qualcosa da scardinare e superare.
Nei sistemi autarchici tuttavia, il compromesso politico è praticamente assente, il potere è centralizzato e le decisioni sono imposte dall’alto senza alcuna reale consultazione pubblica. Questo perché fondamentalmente non serve, perché il governante è stato eletto dal popolo e in quel momento il popolo ha esercitato ed esaurito il proprio potere, può quindi tornare ad essere spettatore fino alle prossime elezioni, se mai ci saranno prossime elezioni.
In questi contesti, o nei contesti che tendono in questa direzione, il concetto stesso di compromesso diventa irrilevante, poiché non esiste un reale spazio comune per il confronto tra diverse visioni del mondo. El più esiste un luogo in cui le forze politiche possono accusarsi a vicenda, in quelle che risultano essere sterili e inutili dibattitti polarizzati. Ma che dovrebbero invece essere luoghi di confronto finalizzati al compromesso.
Se hai letto e apprezzato l’articolo e vuoi supportare il nostro progetto di divulgazione, ti invito a condividere l’articolo e seguirci sui nostri social.
Per te non cambia nulla, ma per noi ogni singolo follower e condivisione può fare la differenza.