Gli unicorni sono esistiti davvero?

Oggi gli unicorni sono considerati creature leggendarie, appartenenti al mito, ma non è sempre stato così, nel mondo antico gli unicorni appartenevano al mondo naturale, proprio come uomini, capre, cani e cavalli.

Oggi gli unicorni sono considerati creature leggendarie, appartenenti al mito, ma non è sempre stato così, nel mondo antico diversamente da creature come pegaso, minotauri, centauri e fauni, che appartenevano al mondo del mito, gli unicorni appartenevano al mondo naturale, proprio come uomini, capre, cani e cavalli.

Questo significa forse che gli unicorni potrebbero essere realmente esistiti?

Nell’immaginario comune l’unicorno è una creatura dalle sembianze di un cavallo dotato di un corno al centro della fronte. Questa creatura leggendaria è stata citata innumerevoli volte nelle varie epoche storiche, da autori differenti e in opere molto distanti tra loro. Lo incontriamo come elemento mitico nella letteratura cavalleresca, ma anche nei salmi, in diversi bestiari del mondo antico e medievale e in fine, ma non meno importante, nell’iconografia cristiana e nella simbologia araldica medievale.

Nella simbologia araldica e nell’iconografia cristiana l’unicorno è un simbolo di simbolo di castità, purezza, verginità, che per lungo tempo fu eletto a sigillo di molti notabili europei, tra i più illustri vanno citati sicuramente Borso della casa d’Este, ma è anche uno dei simboli della Scozia ed appare negli stemmi del Regno Unito, della Nuova Scozia in Canada, del Canada e, in misura minore, come supporto nello stemma della Lituania.

Nel medioevo l’unicorno (o liocorno) era una figura mitologica, appartenente al mondo del mito, ma non è nel medioevo che l’immagine dell’unicorno fa la sua apparizione, queste creature leggendarie erano già note, ed erano state ampiamente descritte, in numerose opere della tradizione scritta e orale del mondo antico, c’è però una differenza tra gli unicorni araldici del medioevo e quelli del mondo antico, e questa differenza sta nel mondo in cui queste creature dimoravano, per dirla semplicemente, nel medioevo gli unicorni appartenevano esclusivamente al mito e alla mitologia, ma nel mondo antico le cose stavano diversamente, e per capire cosa intendo bisogna aprire una breve parentesi sulla mitologia.

Nel mondo antico la mitologia era uno strumento fondamentale per la comprensione del mondo, grazie alle sue storie e le vicende di dei ed eroi, permetteva agli uomini del mondo antico di orientarsi nel mondo di vivere senza essere intimoriti dalla natura misteriosa delle cose.

Il mito era uno strumento potentissimo per spiegare ciò che per gli strumenti di osservazione del tempo, non poteva essere spiegato, e se bene il mondo mitologico e quello reale spesso entrassero in contatto e vi fossero delle interferenze, in particolar modo nel mondo greco, vi era una netta distinzione tra quelle creature appartenenti al mondo “naturale” e quelle creature appartenenti invece al mito e gli uomini del mondo antico erano perfettamente consapevoli di questa distinzione. Sapevano che nel tragitto tra due polis greche era estremamente improbabile (per non dire impossibile) che qualcuno potesse imbattersi in un Idra, in un Cerbero, in un Pegaso o un Minotauro, e anche quando qualcuno raccontava di un incontro con una creatura mitica, la maggior parte degli ascoltatori era tendenzialmente scettica.

Tuttavia, nonostante la distinzione tra il mondo del mito ed il mondo naturale, dove invece le creature erano ben note a tutti ed era facile credere a qualche mercante vagabondo che raccontava di essere stato aggredito da un branco di lupi, vi è una creatura, mitologica che però figura tra i bestiari del mondo naturale e questa creatura è proprio l’Unicorno.

Nel mondo contemporaneo, nell’era di internet, l’unicorno è una creatura mitologica, senza se e senza ma, si tratta di una creatura estremamente iconiche, estremamente versatile ed affascinante, ma che, tutti collocano nel mondo del Mito, e anche se molti (me compreso) vorrebbero un unicorno, purtroppo siamo costretti ad accettare la realtà che questa creatura straordinaria non appartenga al nostro mondo. Ma nel mondo antico, per motivi ancora ignoti, non era così.

Nel mondo greco, l’unicorno, se bene fosse una creatura mitologica, che appariva esclusivamente nei miti e nelle leggende, che nessuno aveva mai realmente visto e toccato, era considerato come una creatura del mondo naturale, e tra i vari autori che ne hanno fatto menzione nelle proprie opere, il riferimento più importante e in questo senso più interessante ci arriva da Ctesias, che, nel suo lavoro Indika, una sorta di bestiario di quelle che erano le creature note all’epoca, inserisce la descrizione di un animale, proveniente dal medio oriente (secondo alcune ipotesi dall’area dell’odierno Iran), che sembrava un grosso asino selvatico dotato di un corno. 

Ma Ctesias non è il solo autore “scientifico” (passatemi il termine) a parlare di unicorni, nel mondo romano, intorno al primo secolo dopo cristo, Plinio il vecchio, un altro autore più celebre e autorevole di Ctesias, descrive una creatura che chiama “monoceros”, che si presenta come un incrocio tra un grosso cervo, un elefante, un cinghiale ed un cavallo, più precisamente un aspetto simile ad un cavallo, la stazza di un grosso cinghiale, e la presenza di un corno, simile a quello degli elefanti, posto però sul capo come un cervo.

Nell’Europa medievale, l’unicorno era una creatura molto popolare, resa celebre dai poemi cavallereschi e descritto nella forma di una creatura simile ad un cavallo dotato di un corno sul capo e proprio sul finire del medioevo, nel XIII secolo, Marco Polo, nella sua opera Il Milione, racconta di aver incontrato, nell’area dell’odierno Iran, proprio un unicorno, descritto con qualche lieve differenza dalla sua immagine classica di cavallo con un corno. Per essere più precisi, l’unicorno incontrato da Marco Polo, non assomiglia tantissimo ad un cavallo, assomiglia di più ad un grosso, enorme, cinghiale quasi del tutto glabro e con un singolo corno sulla testa.

La descrizione dell’unicorno di Marco polo richiama molto la descrizione di Plinio, e se si considera che è molto improbabile che un mercante, che non sapeva leggere e scrivere, avesse letto le opere di Plinio, le due descrizioni diventano molto interessanti.

Secondo molte ipotesi, la creatura che molti autori occidentali nel corso dei secoli hanno descritto e associato all’immagine di un unicorno, potrebbe essere un rinocerontide, noto con il nome di Elasmotherium, che si ipotizza essersi estinto durante il medio Pleistocene medio (circa 700.000 -120.000 anni fa), le cui fattezze ricordano moltissimo la creatura descritta soprattutto da Plinio.
Vi lascio di seguito alcune illustrazioni della creatura.

Le probabilità che la descrizione di Plinio il vecchio si basi su un reale incontro con un esemplare vivente di Elasmotherium, sono molto basse, per non dire quasi inesistenti visto che questa creatura si ritiene essersi estinta oltre 120.000 anni prima della descrizione fornita da Plinio. è molto più probabile che la sua descrizione si sia basata su una ricostruzione effettuata sulla base di ritrovamenti ossei, e in questo caso sarebbe un eccellente ricostruzione, sicuramente migliore di quelle ricostruzioni che, partendo da ritrovamenti ossei di dinosauri, hanno portato ad ipotizzare l’esistenza di giganti.

Per quanto riguarda invece la descrizione di Ctesias e ancora di più quella fornita da Marco Polo, questa potrebbe essersi basata sui racconti locali degli indigeni dell’area del medio oriente, e su eventuali raffigurazioni di questa antica creatura.

Quale sia la verità sulle origini dell’unicorno è ancora un mistero, una cosa è certa, per gli uomini e le donne del mondo antico, questa creatura era reale tanto quanto un cavallo, un mulo, un elefante o un cinghiale, e anche se nessuno ne aveva mai incontrato uno vivo, si aveva l’assoluta convinzione che almeno in passato quella creatura fosse appartenuta al mondo naturale piuttosto che a quello del mito.

I problemi della Guerra Civile italiana

Tra l’estate del 1943 alla primavera del 45 l’Italia è stata attraversata da una lunga guerra civile, che avrebbe fatto da contenitore per innumerevoli altri conflitti interni all’Italia del tempo. Dalla lotta politica a quella sociale, dalla guerra di liberazione a quella di resistenza, dalla guerra civile a quella contro gli invasori stranieri

Sono passati circa 30 anni da quando Claudio Pavone ha sdoganato la questione della guerra civile italiana nel 1943-1945, utilizzando per la prima volta il termine guerra civile invece che i tradizionali guerra di liberazione o guerra di resistenza, e osservando che, in quel conflitto made in italy, al di la delle varie interpretazioni politico filosofiche che si potessero dare al conflitto, alla fine, a combattere erano semplicemente italiani contro altri italiani, riproponendo le dinamiche e le meccaniche di una guerra civile, senza se e senza ma.

Questo conflitto interno all’Italia e allo stesso tempo inserito nel più ampio contesto della seconda guerra mondiale, si porta dietro non poche complicazioni che, per decenni, l’utilizzo di termini come guerra di resistenza e di liberazione, avevano in qualche modo messo a tacere, deviando l’attenzione su una più generale dinamica di contrapposizione tra italiani buoni e stranieri cattivi. E in questo paradigma in cui gli italiani, tutti gli italiani, siano essi dalla parte del Re o della RSI, combattevano contro delle potenze straniere e resistevano all’invasione e l’occupazione straniera dell’italia, gli italiani che si trovavano “dall’altra parte”, “dalla parte sbagliata” erano semplicemente delle vittime, innocenti, delle politiche di occupazione straniera, e questo, all’indomani della fine del conflitto, permetteva una più moderata riappacificazione delle due parti, dando così, agli italiani che avevano combattuto per la RSI e quelli che avevano combattuto per il CLN, di tornare ad essere buoni amici, in alcuni casi ricongiungendo famiglie che la guerra aveva tenuto lontane.

Guarda anche il Video di approfondimento 

Questo precario equilibri però, si fondava su un drammatico equivoco storico, un equivoco voluto per ragioni politiche e alimentato da un errata percezione popolare della storia e delle vicende storiche che in esso confluivano, impedendo, per decenni, di analizzare in maniera chiara e completa, le dinamiche del conflitto intercorso in italia tra l’estate del 43 e la primavera del 45. Si tratta di un periodo apparentemente breve e pure estremamente lungo, in cui l’italia, e soprattutto gli italiani, hanno dovuto fare i conti con loro stessi e con il proprio passato, si tratta di un periodo in cui, il conflitto bellico dava spazio a pregressi conflitti interni all’Italia stessa che il paese si portava dietro fin dalla sua nascita, fin dalla propria unificazione avvenuta quasi un secolo prima e che, nonostante il grande potere unificatore del ventennio fascista, non erano mai stati completamente debellati. Nel 1943 non esisteva una sola Italia, ma neanche due o tre Italie, esistevano in realtà decine di italie differenti, ognuna con le proprie ragioni e le proprie necessità, ognuna con i propri interessi e la propria voglia di esprimersi ed espandersi al resto del paese.

Vi era l’italia dei fascisti legata a Mussolini e incarnata nella RSI, ben radicata nell’area più settentrionale del paese, appoggiata e supportata dal tradizionale alleato italico, la Germania del terzo Reich, al cui fianco l’Italia aveva iniziato la guerra, vi era poi l’italia tradizionale, l’italia monarchica ancora fedele al Re, ben radicata nell’area più meridionale del paese, appoggiata e supportata dai nuovi alleati anglo americani, dopo l’armistizio del settembre del 1943, vi era poi l’italia degli “ignavi”, quell’Italia che semplicemente lasciava che le cose accadessero, senza prendere parte alle vicende storiche in corso, senza scegliere se stare con il re o con il duce, insomma, quell’Italia che non sapeva da che parte stare e banalmente aspettava la fine del conflitto per esultare alla vittoria, indipendentemente dalle sorti della guerra e da chi fossero stati i vincitori. Vi era poi l’italia del CLN, che si contrapponeva alla RSI e combatteva contro la RSI, rivendicando la necessità di creare una nuova italia lontana dal Re e lontana dal Fascismo e nel disegnare una nuova italia di divideva tra chi inseguiva sogni ed orizzonti liberali guardando ad occidente, guardando all’America e chi invece guardava dall’altra parte, chi guardava ad Est, sognando la Russia e l’Unione Sovietica.

Tutte queste realtà sono solo la punta dell’Iceberg, e scavando più a fondo incontriamo sempre maggiori differenze tra gli italiani, oltre al conflitto politico sopra descritto, incontriamo anche un conflitto sociale, anzi, incontriamo diversi conflitti sociali, conflitti che contrapponevano le masse popolari all’alta borghesia e all’aristocrazia e in questa contrapposizione il modello Nazifascista da una parte, il modello Americano da un altra parte e quello Sovietico da un altra parte ancora, si manifestavano come tre possibili vie da seguire e da inseguire, tre possibili realtà per cui valeva la pena combattere e questo solo per quanto riguarda le fasce popolari della popolazione italiana, perché poi anche aristocratici e borghesi avevano i propri interessi e combattevano per i propri interessi.

Vi erano gli aristocratici, grandi proprietari terrieri vicini sia al Re che al regime, vi erano gli imprenditori e l’alta borghesia vicina soprattutto al regime (e non perché tutta la borghesia italiana fosse fascista ma perché, semplicemente, la sola borghesia sopravvissuta al ventennio era quella vicina al fascismo), vi erano poi gli operai e i lavoratori dipendenti, che si riavvicinavano al partito comunista, e poi c’erano i contadini, affittuari e mezzadri del mezzogiorno che, soprattutto nelle campagne più remote della penisola, vivevano in realtà fuori dal tempo e dalla storia, totalmente immersi in un mondo alieno al tempo in cui vivevano e in cui cristo, inteso come la modernità, per citare Carlo Levi, non era mai giunto, si tratta di realtà arcaiche immerse in dinamiche quasi feudali e culturalmente in uno stadio molto primitivo di civiltà.

Ognuna di queste realtà ha degli interessi, dei desideri, delle ambizioni da seguire, ognuna di queste realtà storiche, politiche, sociali e culturali, aveva degli obbiettivi da raggiungere e un modo di vivere da difendere, ognuna di queste realtà aveva una ragione per combattere in quella guerra civile e a seconda dei casi, scegliere da che parte stare.

Chi rivendicava l’ideologia e i valori del fascismo, chi credeva in Mussolini e vedeva negli anglo americani degli stranieri che stavano penetrando e occupando militarmente l’Italia, chi rivendicava un primato nella tradizione e nella cultura italica e reclamava un ruolo egemone dell’italia nel Mediterraneo e nel mondo, combatteva contro gli alleati.

Chi rivendicava i valori della tradizione, chi credeva nel Re e vedeva nelle forze del Reich presenti in Italia una presenza straniera che stava occupando militarmente il paese, chi desiderava una rivoluzione sociale e temeva la deriva nazifascista, chi desiderava la nascita di una nuova italia libera e democratica, combatteva contro la RSI.

La guerra civile italiana del 1943-1945 si configura quindi con un grande, enorme calderone, al cui interno sono confluiti innumerevoli conflitti differenti, nati in momenti diversi e per ragioni diverse ed esplosi in un momento di grande fermento e caos e limitare il conflitto ad una soltanto delle sue componenti, guerra di liberazione dagli angloamericani o dal reich, guerra di resistenza all’avanzata degli angloamericani o del reich, guerra sociale, guerra di classe tra masse popolari e aristocratici, tra contadini e proprietari terrieri, tra operai e imprenditori, o più generalmente tra servi e padroni, tra atei o laici e cristiani, tra italiani e stranieri, ecc ecc , sarebbe estremamente riduttivo, e se oggi si predilige l’utilizzo di guerra civile è perché, al di la di tutte le componenti del conflitto, di tutte le ragioni e di tutte le possibili implicazioni e le diverse interpretazioni, alla fine, a combattere da una parte e dall’altra c’erano semplicemente degli italiani, e se a combattere erano due parti dello stesso popolo, della stessa nazione, allora non c’è chiave interpretativa che tenga, si tratta semplicemente di una guerra civile.

Fonti

C.Pavone, Una guerra Civile, https://amzn.to/2S0Tb19
M.Battini, Peccati di memoria, https://amzn.to/2CbSV9N
L.Paggi, Il popolo dei morti, https://amzn.to/2zWiMBm
C.Levi, Cristo si è fermato ad Eboli, https://amzn.to/2zSmjAz
E.De Martino, Sud e magia, https://amzn.to/2BthKgb

La vendita dell’Alaska agli USA

L’acquisto dell’Alaska costò agli USA 7,2 milioni di dollari all’indomani della guerra di secessione, ma quell’acquisizione 30 anni dopo, fece guadagnare agli americani, più di 14 miliardi di dollari, grazie all’oro del Klondike

Nel 1867 l’Impero Russo vendette l’Alaska agli USA per 7.2 milioni di Dollari americani dell’epoca, che, calcolando l’inflazione, equivalevano a circa 121 milioni di dollari odierni.

Verso la metà del XIX secolo l’Alaska non era particolarmente popolata, si stima che ospitasse poco più di 90000 abitanti, di cui circa soltanto 2500 russi e circa 8000 aborigeni legati alla compagnia russa d’america.

L’Impero Zarista di Alessandro II esercitava un controllo soprattutto militare sui territori dell’Alaska, ma, le difficoltà economiche (la corte russa non navigava in buone acque) e la presenza dell’ingombrante vicino britannico, destavano non poche preoccupazioni, Alessandro II temeva che presto o tardi sarebbe stato costretto a cedere territori ai britannici che già controllavano il Canada.

Di fronte alla prospettiva di pagare a caro prezzo il controllo dei territori dell’Alaska, lo Zar Alessandro II optò per quella che all’epoca gli sembrò la migliore delle idee possibili, cedere l’Alaska agli USA, creando così un cuscinetto tra la Russia e i territori Britannici del Canada e ricavarci anche qualcosa.

Quello che Alessandro II non sapeva era che quel “mondo selvaggio e ghiacciato”, così simile alla Siberia, custodiva in realtà un ricco e dorato segreto e quando neanche 30 anni dopo la vendita, nel 1896 in Alaska furono scoperti i primi giacimenti d’Oro.

Il Senato degli Stati Uniti ratificò l’acquisto (approvando quindi la spesa di 7,2 milioni di dollari) il 9 aprile 1867, ottenendo 37 voti a favore e 2 voti contrari, tuttavia, perché il governo statunitense potesse effettivamente rogare quella cifra all’impero zarista era necessaria anche l’approvazione alla camera dei rappresentati, dove il programma di acquisizione dell’Alaska venne temporaneamente bloccando, causando lo il blocco dei fondi fino al 1868, quando alla fine anche la camera acconsentì all’acquisizione con 113 voti a favore e 48 contrari.

Il motivo principale per cui la camera si oppose all’acquisizione era legato alle dinamiche interne degli USA, la guerra di secessione si era conclusa da pochi anni e l’economia statunitense era tutt’altro che florida, impelagata in enormi spese dovute alla ricostruzione post bellica, in questo contesto una fuoriuscita di capitali di questa entità sembrava rischiosa, soprattutto per quegli stati in cui la guerra era stata effettivamente combattuta ed avevano molto lavoro da fare per riorganizzare lo stato e le economie locali dopo l’abolizione della schiavitù.

Alla fine comunque la situazione economica venne sbloccata e il pagamento venne erogato, anche perché già nell’ottobre del 1867 era avvenuta la cerimonia di passaggio dei poteri, con la cessione ufficiale dei territori dell’Alaska alle autorità statunitensi, in sostanza nel luglio del 1868 (quando il congresso approvò la spesa) gli USA avevano già ottenuto il controllo dell’Alaska ma non avevano ancora pagato la Russia.
Durante la cerimonia di passaggio, una delle pochissime volte nella storia in cui un territorio cambiava “bandiera” in maniera pacifica, in cui l’Alaska de facto era passata dall’essere Russia all’essere parte degli Stati Uniti d’America, si tenne una piccola parata militare che vide alcuni militari Russi e Americani, sfilare fuori dalla residenza del governatore, in seguito, la bandiera zarista svettante sull’edificio venne ammainata e quella statunitense fu issata.

Era il 18 ottobre 1867 quando i militari russi lasciarono ufficialmente l’Alaska e vi si insediavano i soldati Statunitensi, il generale Jefferson Columbus Davis si insediò nella residenza del governatore, diventando, tra il 1867 ed il 1870, il primo governatore dello stato dell’Alaska, e, a scanso di equivoci, Jefferson C.Davis, non il Jefferson Davis protagonista della secessione degli stati Confederati dall’Unione americana durante la guerra di secessione, se bene i due abbiano effettivamente nomi molto simili, si tratta di due persone diverse.

Dopo l’insediamento di Davis, la maggior parte dei coloni russi (ma non tutti) presenti in Alaska lasciarono il paese facendo ritorno in Russia, alcuni piccoli commercianti o proprietari terrieri che avevano costruito in quelle selvagge terre del nord la propria nuova vita, scelsero di rimanere, diventando in pochi anni cittadini statunitensi e tagliando quasi completamente ogni ponte e legame con la vecchia madre Russia.

Colonialismo Italiano – Politiche coloniali nel Regno d’Italia.

Oggi è uscito il secondo video sulla storia dell’italia contemporanea, e il tema di questo video è il “colonialismo nel regno d’italia” parliamo quindi della Campagna d’etiopia del 1895, Campagna di libia o guerra italo turca del 1911, campagna di etiopia del 1935 e occupazione italiana dei Balcani durante la seconda guerra mondiale.

Sulla campagna di Etipoia del 35 e l’italia nei Balcani torneremo nei prossimi video.

Faccio una precisazione, nel video, quando parlo della guerra in Libia dico che “è percepita come un successo”, questo non significa che la guerra in libia del 1011 sia stata un successo, ma significa che, la guerra in Libia del 1911, che era stata comunicata come una guerra di civilizzazione, una volta conclusa anche se l’Italia non aveva assunto il controllo territoriale e politico della Libia, e quindi dal punto di vista prettamente militare fu un fallimento (se vai a conquistare qualcosa e non riesci a conquistare nulla, è un fallimento), poiché la guerra aveva assunto, fin dalle prime istanze, una vocazione civilizzatrice e di emancipazione del popolo libico, la guerra fu percepita dalla popolazione italiana come un successo, perché almeno ufficialmente, l’intento primario della guerra in libia, non era tanto quello di conquistare (cioè, si, l’italia era andata lì per conquistare), ma piuttosto quello di portare la civiltà (vi ricorda qualcosa? a me sì) in quei luoghi primitivi e arretrati, e di conseguenza, anche se non avevano conquistato la libia, per molti fu un successo.

Ma vabbè, parliamo di italia e italiani nel primo novecento, è la stessa gente che percepì come un successo la prima guerra mondiale LoL

Video sul colonialismo del regno d’italia, Campagna di Etiopia !895, Libia 1911, Etiopia 1935. Libia 2 e politiche di occupazione fascista del mediterraneo durante la seconda guerra mondiale.

Civiltà Dorica – Chi erano i Dori?

Chi erano i Dori, il misterioso popolo che si insediò in Grecia in secoli arcaici?
I dori erano popoli di origine europea o orientale? e giunsero in Grecia prima o dopo la caduta dell’impero Miceneo?

Sono molti gli interrogativi sul popolo dorico che ancora oggi non hanno una risposta, a partire dalla domanda fondamentale “Chi erano i Dori?” di loro sappiamo solo che si tratta di un popolo misterioso che in un momento non meglio specificato, si insediò in Grecia, e l’alone di mistero che ruota attorno a questo popolo ha suscitato non poche domande collaterali.

I dori erano di origine europea o orientale?
Giunsero in Grecia prima o dopo la caduta dell’impero Miceneo?

I Dori, così come Achei, Eoli e Ioni erano una delle grandi etnie che nell’antichità si insediarono nella penisola greca dando vita, attraverso un lungo periodo di trasformazione e riorganizzazione delle loro civiltà, villaggi, città, in quelle che noi oggi conosciamo come le Polis Greche. Di questi popoli abbiamo molte informazioni relative alla loro presenza in Grecia, conosciamo la loro cultura, le loro tradizioni, conosciamo la loro storia successiva all’VIII secolo, ma ciò che precede i secoli bui, è ancora oggi avvolto dal mistero e domande essenziali come chi erano esattamente i Dori, da dove venivano e quando giunsero in Grecia? sono ancora oggi senza una risposta certa.

In passato, qui su Historicaleye ci siamo già occupati delle origini della civiltà greca, affrontando la questione in un discorso di carattere generale molto ampio, senza però entrare nel merito delle singole popolazioni e della loro storia e in questo post voglio andare la superficie, scavare più affondo ed ad approfondire il discorso con un focus mirato sul popolo dei Dori, una per ognuna delle quattro grandi etnie del mondo greco.

I dori nella tradizione.

Secondo la tradizione, le origini mitiche del popolo dorico risalirebbero al tempo degli Dei e sarebbero discendenti di Doro, eroe mitico della tradizione arcaica che secondo Apollodoro di Atene, era il figlio primogenito di Elleno, re di Fria una città della Tessaglia, e della ninfa Orseide, fratello maggiore degli dei Eolo e Suto, e padre di Tettamo, Santippe e di tutto il popolo Dorico. Secondo il drammaturgo Euripide invece, Doro era figlio di Suto, a sua volta figlio di Apollo, e fratello di Acheo, il mitico capostipite del popolo degli Achei.

Dal punto di vista storico sappiamo poco sul periodo in cui Doro, o chi per lui, si stabilì in Grecia, poiché l’arrivo del popolo dorico coincide con i secoli bui del medioevo ellenico. Sappiamo che prima di questa fase oscura la civiltà micenea controllava gran parte della penisola finché in seguito alle scorrerie di alcuni popoli orientali noti come i popoli del mare, la civiltà micenea scomparve, le città furono abbandonate e per tre secoli non si seppe più nulla, poi, il sole tornò ad albeggiare sulla Grecia arcaica, i villaggi ricominciarono a prosperare e commerciare tra loro, ritornò in uso la lavorazione del ferro e le produzioni di vasellame, si ricominciò a costruire templi, palazzi e città, dando nuova vita alla Grecia.

Ma chi erano realmente i Dori? Da dove venivano e quando giunsero effettivamente in Grecia?

Vi sono due possibili teorie storiografiche riguardanti le origini della civiltà dorica, da un lato vi è la teoria migrazionista che ipotizza l’insediamento in Grecia di un popolo (quello dorico) proveniente da oriente, e dall’altro la teoria anti-migrazionista che fondamentalmente esclude l’ipotesi di una migrazione di popoli e teorizza la presenza dorica in Grecia già dai temi della civiltà micenea, ma andiamo con ordine.

Secondo la teoria delle grandi migrazioni, quella dorica era una civiltà mista greco-illirica, proveniente dall’area balcanica, più precisamente dalle regioni del medio Danubio, contribuendo alla distruzione della civiltà micenea, per poi espandersi nel Peloponneso e a Creta.


Secondo questa teoria, il popolo dorico era un popolo guerriero, molto primitivo, seguace del culto dei tumuli, dei veri e propri barbari selvaggi, senza storia ne cultura, se paragonati alla più avanzata civiltà micenea, e la loro penetrazione in Grecia rappresentò, secondo questa teoria, l’ultima grande ondata migratoria di tribù selvagge provenienti da nord e da est, che si insediarono nella penisola e nelle isole greche. Questa teoria delle “invasioni barbariche del mondo greco” parte dalla leggenda del ritorno degli Eraclidi, i mitici figli di Eracle.

Questa teoria fu formulata per la prima volta nel XIX secolo, ma per lo storico Martin Bernal, ha un carattere puramente ideologico ed è un tentativo di vincolare la civiltà greca ad una tradizione europea, sostenendo, dal canto suo, che le origini della civiltà Greca andrebbero ricercate in oriente, e nei secoli bui, la Grecia fu colonizzata dagli Egiziani.
Questa teoria molto controversa è stata avanzata per la prima volta nel libro atene nera, le radici afroasiatiche della civiltà classica.

Il punto di partenza della teoria di Bernal sono i numerosi contatti, noti e documentati, della civiltà Micenea con il mondo Egizio da cui, si ipotizza, i Micenei abbiano appreso le prime forme di scrittura e le tecniche di lavorazione del metallo e della ceramica. Dall’altra parte Bernal critica la teoria che vedrebbe i Dori provenire dal cuore dell’europa, perché questa teoria ha un carattere puramente ideologico, e nacque in un contesto storico in cui era in corso un processo di epurazione ed espulsione dalla civiltà greca di ogni riferimento e connessione alle civiltà anatoliche, medio-orientali, fenicio-semite ed egizie, il cui fine era quello di rendere la civiltà greca qualcosa di tipicamente ed esclusivamente europeo, e quindi connessa alla teoria razziale che vedrebbe una connessione diretta tra i popoli del nord europa e il mondo greco. Insomma, una teoria volta ad includere il popolo ariano nella genesi della civiltà greca più che una teoria volta a comprendere realmente le origini della civiltà greca.

Per Bernal questa teoria definita come un “modello ariano” era una teoria astorica, derivata da teorie pseudoscentifiche di carattere razzista, di grande moda tra il XIX e il XX secolo nel mondo accademico.

Ovviamente per mettere in discussione una teoria non è sufficiente criticarla ma è necessario proporre una teoria alternativa, supportata da  prove empiriche e fonti, nel caso di Bernal, lo studioso osservando che la stessa mitologia greca era ricca di riferimenti a fondatori arcaici provenienti da oriente, dalla Fenicia e dall’Egitto, propose una teoria che partiva dal recupero del modello antico, comparando i dati provenienti dalla mitologia ad altre fonti storiche, archeologiche e linguistiche, per tracciare una storia delle origini dei Dori, nelle sue mire Bernal puntava ad escludendo ogni possibile preconcetto di matrice arianocentrica, per dare alla ricerca una reale impronta scientifica. La sua proposta fu accolta dal mondo accademico con non poche riserve e perplessità, e va detto che ancora oggi è fonte di un acceso dibattito storiografico.

Lo studio di Bernal portò alla formulazione di una teoria secondo cui i greci ritenevano che i re Dori fossero di origine micenea e straniera, probabilmente discendenti di matrimoni politici tra notabili micenei e stranieri volti a costruire alleanze politiche e militari, mentre il popolo dorico, volendo accettare l’ipotesi di una origine nordica, provenivano non dall’Europa centrale ma, più probabilmente, dalle regioni a nord-ovest della Grecia, più precisamente da una regione nota come Doride, situata tra l’Etolia e la Locride. A sostegno di questa ipotesi il fatto che, in epoca classica, proprio in questa regione vi erano diverse città doriche (Erineo, Bois, Citinio, Akyptias).

Uno dei punti di forza della teoria di Bernal è che in un certo senso rappresenta un punto di convergenza tra la teoria migrazionista e la teoria ant-migrazionista.

Bibliografia e fonti :

M.Bernal, Atene nera, le radici afroasiatiche della civiltà classicahttps://amzn.to/2OUiwfm
C.Orrieux, P. Schmitt Pantel, Storia Greca, https://amzn.to/2PoAqq7
C.Mossé, A Schnapp Gourbeillon, Storia dei Greci, dalle origini alla conquista romana, https://amzn.to/2z2Ud48

Cos’è la Corte Europea dei diritti dell’uomo, e perché non ha nulla a che vedere con la Comunità Europea?

La corte Europea dei diritti dell’uomo è una corte internazionale con sede a Strasburgo, nata in seno al consiglio d’europa e che non ha alcun legame con la comunità europea.

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, spesso abbreviata in CEDU o Corte EDU, è un corte internazionale indipendente, scollegata sia dalla Comunità Europea che dalle Nazioni Unite. Questa corte internazionale è stata istituita nel 19

Volendo essere meticolosi, tre date in particolare segnano la nascita della CEDU, queste sono il 21 gennaio, il 23 febbraio ed il 20 aprile del 1959.
Il 21 gennaio 1959 è il giorno in cui avvenne l’elezione dei membri della CEDU, il 23 febbraio 1959 vide l’inizio della prima seduta, che sarebbe durata 5 giorni, fino al 27 febbraio, ed il 20 aprile 1959 è il giorno in cui fu tenuto ufficialmente il discorso inaugurale dell’istituzione. Vi è una quarta data da menzionare nella genesi dell’istituzione, ed è il l 14 novembre 1960, in questa data fu emessa la prima sentenza della corte, nel caso Lawless contro l’Irlanda. Citare questa prima sentenza che vede il coinvolgimento dell’Irlanda nel 1960 è molto importante per rimarcare che non vi è alcun legame tra la Corte Europea e la comunità Europea, in quanto nel 1960 l’Irlanda non era parte di nessuna delle istituzioni comunitarie europee che costituiscono la base dell’Unione Europea. L’Irlanda infatti sarebbe entrata nella comunità europea soltanto tredici anni più tardi, nel 1973, insieme alla Danimarca e al Regno Unito, e va sottolineato che, proprio nel 1960 l’Irlanda, insieme al Regno Unito, Danimarca, Portogallo, Austria, Svezia, Norvegia e Svizzera, avevano fondato l’EFTA, European Free Trade Association, in italiano ,l’Associazione Europea per il libero scambio, un organizzazione internazionale, sovranazionale concorrenziale alla comunità europea, che raccoglieva e raggruppava tutti quei paesi che all’epoca non volevano far parte della comunità europea.

Ne consegue che, la prima sentenza emessa dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo, non coinvolge un membro della comunità Europea ma un membro dell’EFTA e che quindi, la Corte Europea non ha nessun legame effettivo con la Comunità Europea.

Il motivo per cui la Corte Europea non è un organo comunitario risiede nella sua istituzione.

Essa nasce in seno ad una convenzione internazionale tra stati europei, più precisamente la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma, in Italia, il 4 novembre 1950 dagli allora 12 membri del Consiglio d’Europa (Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Turchia), ed è entrata in vigore il 3 settembre 1953, e la Corte Europea per i diritti dell’uomo è stata istituita, successivamente, per garantire e assicurare l’applicazione ed il rispetto dei tre titoli e 59 articoli che compongono la Convenzione. Attualmente la Corte Europea per i diritti dell’uomo conta 47 membri, ovvero tutti i membri del Consiglio d’Europa, che, proprio come la corte europea, non va confuso con la comunità europea, poiché non è un organo comunitario, basti considerare che, tra i membri del consiglio d’Europa vi sono, oltre a tutti i membri della comunità europea, anche la Russia, la Turchia, la Svizzera, la Norvegia, l’Islanda e molti altri paesi europei e non, mentre ad altri paesi non europei come Israele e il Giappone, è riconosciuto lo status di osservatori del consiglio d’europa.

Sul piano internazionale la Convenzione CEDU è considerata un testo centrale in materia di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo, per certi aspetti superiore alla Convenzione di Ginevra, nonostante sia stata ratificata da un numero minore di nazioni, poiché, a differenza della convenzione di Ginevra, la convenzione Europea per i diritti dell’uomo, è  perché è l’unica convenzione internazionale, dotata di un proprio meccanismo giurisdizionale permanente, e che, di conseguenza, consente ad ogni individuo di richiedere la tutela dei diritti di cui questa convenzione è garante, senza che debba esservi una mediazione politica e istituzionale che coinvolga. Questo significa, all’atto pratico che attraverso il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, un singolo uomo, di una qualsiasi nazione del mondo, indipendentemente dal fatto che questa nazione abbia sottoscritto o meno la convenzione, può recarsi a Strasburgo, o delegare qualcuno perché lo faccia, e segnalare una violazione dei diritti umani riconosciuti dalla convenzione e se accolta la sua richiesta, la corte ha il potere di sanzionare e punire, persino colossi intoccabili dalle Nazioni Unite come gli Stati Uniti, la Russia e gli altri membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’ONU.

Histori Fact:

L’Italia è stato uno dei paesi promotori della nascita della CEDU ed ha ospitato la sua ratifica, avvenuta a Roma nel 1953, tuttavia, se bene l’Italia facesse effettivamente parte della convenzione fin dalla sua istituzione, il testo è entrato in vigore in Italia soltanto due anni più tardi, il 10 ottobre 1955. Il ritardo nell’approvazione del testo e del suo inserimento nell’ordinamento giuridico nazionale è dovuto ad una lunga elaborazione giurisprudenziale.

Il testo integrale della convenzione europea dei diritti dell’uomo è disponibile, in inglese e francese sul portale ufficiale del consiglio d’europa.

Fonti:

https://www.coe.int/en/web/conventions/
http://www.studiperlapace.it/documentazione/europconv.html

Il mostro pollo senza testa

Fotografato sul fondale dell’oceano Antartico e nel golfo del Messico, il pesce pollo senza testa, è una creatura marina appartenente alla famiglia degli Enypniastes eximia, noti anche come cetrioli di mare.

I fondali oceanici sono qualcosa di oscuro e misterioso, apparentemente vicini e pure, a volte più lontani ed irraggiungibili dello spazio profondo, e può sembrare paradossale ma abbiamo realmente più occhi puntati verso le stelle che vero i fondali oceanici, disponiamo di immensi database contenenti informazioni su milioni di pianeti, stelle, conosciamo innumerevoli sistemi solari al di fuori del nostro e pure, ancora ci sorprendiamo delle bizzarre creature che dimorano nei fondali oceanici , e ancora ci sorprendiamo di scoprire nuove specie animali che dimorano nelle oscure profondità del mare.

Il pesce noto come “mostro pollo senza testa” non è nulla di realmente mostruoso e non è una creatura sconosciuta, è semplicemente una creatura molto rara di cui si sa ben poco, ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire cosa sappiamo di questo mostriciattolo marino e perché è chiamato così.

Cominciamo col dire che appartiene alla specie Enypniastes eximia facente parte della classe di echinodermi noti comunemente come cetrioli di mare, specie comune anche nei nostri mari, questa variante in particolare è nota con il nome di pesce pollo senza testa o ballerina spagnola, ed il perché di questo nomignolo è facilmente intuibile.

Proprio come il cetriolo di mare, anche il pesce pollo senza testa ricorda ciò che il suo nome evoca, le sue fattezze sono quelle di un pollo arrosto, quindi decapitato e spennato, che però, invece di ruotare su di uno spiedo accanto al fuoco, vaga tra i fondali oceanici, e da quel po’ che sappiamo di questa creatura, vaga anche tanto, o meglio, è una creatura molto diffusa negli oceani di tutto il mondo e se bene non se ne abbia alcuna stima del numero di esemplari, sappiamo che è possibile incontrarli sia tra le acque del Golfo del Messico, dove nel 2017 è stato filmato per la prima volta, sia al largo della costa australiana nell’oceano Antartico, dove è stato fotografato nell’estate del 2018.

Tra i principali motivi per cui questa creatura dall’aspetto appetitoso ed inquietante, è stata fotografata e filmata per la prima volta soltanto nel 2017, nonostante si sappia della sua esistenza da oltre un secolo, è perché vive solitamente ad una profondità di circa 3000 metri e le sue dimensioni variano tra i 10 ed i 25 centimetri, analogamente al cetriolo di mare, suo cugino più comune poiché vive in acque meno profonde ed è facile da incontrare anche a riva.

Il primo avvistamento documentato del pesce pollo senza testa, che gli è valso questo simpatico soprannome, risale al finire del XIX secolo, anche se è molto probabile che vi siano avvistamenti precedenti che però sono rimasti ancorati alle storie di mare e marinai che hanno alimentato miti e leggende di mostri marini… chissà che il pesce pollo senza testa non sia una delle creature che hanno ispirato i miti di Cthulhu e degli altri antichi, anche se, trattandosi di una creatura mite ed innocua, è molto probabile che non sia proprio un parente diretto del possente Cthulhu, forse un lontano cugino da parte di padre.

Tornando al pesce pollo senza testa, diversamente dai suoi cugini più comuni, il pesce pollo è dotato di piccoli tentacoli che usa per muoversi sul fondale oceanico ed una sorta di velo che gli permette di sfruttare le correnti oceaniche per muoversi molto rapidamente in acqua in caso di necessità, ad esempio per sfuggire ai predatori. 

Vascello greco di 2400 anni ritrovato in perfette condizioni sul fondo del Mar Nero

Il relitto più antico del mondo è stato ritrovato nel Mar Nero al largo della Bulgaria, si tratta di un vascello greco di oltre 20 metri inabissatosi nel V secolo A.C.

Il relitto più antico del mondo ben conservato, è stato ritrovato nel Mar Nero al largo della Bulgaria, si tratta di un vascello greco di oltre 20 metri inabissatosi nel V secolo A.C.

Tra i tanti ambienti del nostro pianeta, il mare è forse uno dei più ostili, almeno per quanto riguarda la preservazione di manufatti, reperti e vascelli, questo perché gli alti livelli di salinità e la presenza di microorganismi e batteri, nel tempo tendono a distruggere tutto ciò che non appartiene al mare, e nel caso di vascelli in legno affondati migliaia di anni fa, spesso ciò che arriva a noi è qualche ceramica, del vasellame e con un po’ di fortuna qualche moneta d’oro, mentre oggetti in metallo ricchi di ferro e tutto ciò che è in qualche modo organico, quindi legname, vele, corde ecc viene distrutto, o meglio, viene divorato dal mare.

Vi sono però condizioni particolari in cui anche reperti possono sopravvivere all’insaziabile fame del mare, e il Mar Nero rappresenta uno di questi rari casi in cui il mare non è poi così famelico.

Una delle particolarità che rende unico il Mar Nero è la sua composizione chimica, con bassi livelli di ossigeno nell’acqua, queste condizioni non sono proprio l’ideale per il proliferare della vita subacquea e questo va a tutto vantaggio della ricerca archeologica sottomarina.

Basse quantità di ossigeno nell’acqua significano infatti bassi livelli di fauna e flora marina, pochi batteri e microorganismi, rendendo il Mar Nero un ambiente poco ostile per i manufatti umani e quindi particolarmente adatto alla preservazione di relitti risalenti a secoli o addirittura migliaia di anni fa.

A differenza di mari o oceani più ossigenati, come ad esempio il mare dei Caraibi, nel Mar Nero un vascello può sopravvivere quasi intatto per secoli o addirittura millenni. Nel Mar Nero, per fare un esempio concreto, un relitto di un imbarcazione risalente al 400 a.c. può essere ritrovato nel 2018 in condizioni nettamente migliori, rispetto a quelle di un relitto di un vascello spagnolo del XVI o XVII secolo, inabissatosi nel mare dei Caraibi.

Questo esempio non è totalmente frutto della mia immaginazione, ma parte proprio da un recente ritrovamento, fatto nel Mar Mero. Quello che vedete di seguito è infatti il relitto più antico mai ritrovato.

Si tratta del relitto di un mercantile Greco, lungo oltre 20 metri, ritrovato al largo della costa delle a Bulgara, proprio nel Mar Nero e secondo le prime stime sulla datazione del relitto, sembrerebbe risalire almeno al 400.a.c.

Risalenti a quell’epoca sono stati trovati alcuni relitti in passato, ma mai conservati così bene, generalmente relitti di oltre 2000 anni si presentano come una serie di chiodi immersi nella fanghiglia e qualche frammento di legname, non come un intera imbarcazione perfettamente conservata.

Stando ai primi rilevamenti, sembra che il mercantile in questione si sia inabissato circa 2400 anni fa e in condizioni “normali” di un simile naufragio probabilmente non sarebbe rimasto quasi nulla, tuttavia questo mercantile si è inabissato nel Mar Nero, non nel Mediterraneo, e la bassa quantità di ossigeno presente nell’acqua, ha permesso al relitto di deteriorarsi molto lentamente, rimanendo quasi del tutto intatto in fondo al Mare per più di 2400 anni.

Questa imbarcazione è stata scoperta dai ricercatori del Black Sea Maritime Archaeology Project, si tratta di un progetto di ricerca di 3 anni che ha il compito di cercare relitti sul fondo del Mar Nero.
Fino ad oggi sono stati ritrovati circa 60 vascelli che vanno dal 400 a.c. al 1600 d.c.

Per qualsiasi altra informazione potete recarvi sul portale Bleackseamap, che fa capo al progetto Black Sea Maritime Archaeology.

Il mondo della ricerca archeologica non è proprio il mio forte, oggi ve ne sto parlando perché questa scoperta mi ha entusiasmato tantissimo, ma se volete seguire ricerche archeologiche in corso e avere maggiori dettagli su questo o altri progetti di ricerca, vi consiglio di seguire Lost Archeology

Uomini contro Macchine : i Robot ci rubano il lavoro ?

È una sfida antichissima quella che vede gli uomini schierati contro le “macchine”, senza che questi si rendano conto che la macchia, altro non è, che uno strumento tecnologico al suo servizio e non un nemico contro cui combattere. Ma del resto, se provassimo a scavare appena un po più affondo, potremmo notare senza troppa fatica che, questo rapporto di ostilità tra l’uomo e la macchina, altro non è che la “naturale evoluzione” di uno scontro molto più ancora, tra l’uomo e qualsiasi strumento volto a stravolgere il suo modo di lavorare.

Sembra quasi che all’ essere umano lavoratore, piaccia particolarmente stancarsi e affaticarsi più del dovuto, ma allo stesso tempo esso non vede di buon occhio la possibilità di lavorare a se stesso e per se stesso, allo scopo di miglioramento delle proprie possibilità, insomma, all’ uomo piace stancarsi inutilmente, ma quando c’è da rimboccarsi le maniche seriamente è sempre pronto a defilarsi in cerca di una soluzione più semplice, che precluda il cambiamento, radicandosi in un profondo rifiuto al cambiamento e preferendo il lavoro “tradizionale”, ormai obsoleto e inutilmente più faticoso e costoso in termini sia economici che energetici.

Per avere un quadro più completo di questo scontro tra l’uomo e la macchina, dove però la macchina non combatte realmente, possiamo guardare ad alcuni degli innumerevoli esempi storici, costituiti dalle innumerevoli “rivoluzioni tecnologiche”, e che di fatto, ci forniscono un immensa rosa do possibili esempi, tra cui, più di tutti, spiccano le varie rivoluzioni industriali, l’ultima delle quali sta compiendosi proprio nella nostra epoca.
La nostra rivoluzione industriale più di qualunque altra rivoluzione tecnologica del passato, si fonda su di un radicale cambio nel modo di concepire sia la produzione che le tecniche di produzione, ormai sempre più automatizzate, ed è proprio questo fattore che sta alimentando e nutrendo l’antichissima paura per una potenziale “perdita di occupazione” da parte dei lavoratori meno qualificati. Questa paura non è certamente una peculiarità della nostra epoca e della rivoluzione robotica/informatica, ma anzi, si è già presentata nella storia in innumerevoli altre occasioni.

Il caso storico del movimento luddista, nato sul finire del secolo XVIII ed esploso nei primi anni del secolo XIX è una chiara manifestazione dei questa medesima paura, espressa da parte dei lavoratori, più o meno qualificati, per la presenza e l’introduzione nei sistemi produttivi di strumenti e tecnologie che, nell’ atto pratico, riducevano notevolmente i tempi del lavoro, aumentandone quindi l’intensità, e sul lungo periodo, a parità di prodotto finito, i costi necessari alla realizzazione di un dato prodotto sarebbero andati diminuendo, permettendo quindi la nascita di quella che oggi siamo soliti chiamare “società di massa” o “del consumo”.

Allontanando leggermente la lente dal movimento luddista e guardando all’ intero scenario planetario, dipanatosi nel corso del secolo successivo, possiamo osservare come le paure dei luddisti fossero sostanzialmente inesatte poiché essi si soffermarono soltanto su una parte del problema, proiettando i vecchi canoni ed i vecchi modelli di lavoro, in un sistema con il quale non erano più compatibili al cento per cento. Di fatto la “prima rivoluzione industriale” con le sue molteplici innovazioni ebbe sì, gli effetti negativi, preventivati dai luddisti, ovvero la riduzione e in alcuni casi la sparizione di numerose figure professionali, ma, allo stesso tempo se ne crearono di nuove, che poterono godere a pieno della riduzione dei costi di produzione, potendo quindi acquistare beni e proprietà fino a quel momento a loro esclusi, perché “troppo costosi” ed etichettati come “superflui”.
Secondo la teoria economica “classica” precedente Marx, incarnata nella visione di Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, la riduzione dei costi di produzione, dava sia ai lavoratori, sia ai nuovi imprenditori, le stesse possibilità d’acquisto, di conseguenza, per diversificare il proprio “status economico”, i più ricchi avrebbero concentrato le proprie risorse, non più nell’ accumulo di ricchezze, ma anche e soprattutto nell’ acquisizione di prodotti “di lusso”, derivati non dal lavoro industriale ma da quello artigianale, più elaborato, rifinito e raffinato. Andando quindi ad alimentare e nutrire una nuova tipologia di lavoratori e artigiani specializzati, in grado di rispondere alla nascente .

Questa teoria economica nasce e si sviluppa negli anni di crescita, o per dirla in termini più moderni, negli anni del boom economico legato alla prima rivoluzione industriale, anni che però non sarebbero durati in eterno a causa della poca lungimiranza dei primi imprenditori industriali che, non tenendo in considerazione la possibilità di una saturazione del mercato, finirono di fatto nell’ arenarsi nelle proprie produzioni intensive, provocando soprattutto nell’ ultimo quarto dell’ottocento, una profonda crisi economica come mai ne erano state viste in precedenza, ma di cui alcuni teorici dell’economia avevano prospettato l’inizio.
Karl Marx e Friedrich Engels scrivevano nel capitolo primo del manifesto del partito comunista :

“Nelle crisi scoppia un epidemia sociale che in tutte le altre epoche sarebbe stata considerata un controsenso: l’epidemia della sovrapproduzione.
La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie:
una carestia, una guerra di annientamento totale sembrano sottrarle ogni mezzo di sussistenza:
l’industria, il commercio appaiono distrutti, e perché ? Perché la società ha incorporato troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio.”

Detto più semplicemente, la riduzione dei costi di produzione e di conseguenza dei prodotti e un miglioramento delle condizioni economiche delle delle masse, fa si che l’offerta, ovvero la presenza sul mercato di un determinato prodotto, superi la domanda, provocando un abbattimento ulteriore del valore delle merci e dei prodotti, e se questo, in una prima fase si traduce in una intensificazione degli scambi, in fasi più avanzate e incontrollate, rischia di saturare il mercato poiché la domanda non è più in grado di assorbire l’eccesso dell’offerta. In questa situazione al limite, l’intero sistema di produzione e di scambi collassa su se stesso perché le produzioni si fermano, i lavoratori perdono il lavoro e non sono più in grado di acquistare beni.

 

Nell’ ultimo quarto dell’ottocento, in seguito alla diffusione su larga scala, in tutta europa e oltre oceano, delle tecnologie introdotte con la prima rivoluzione industriale, si verifica esattamente questo scenario, il mercato non è più in grado di assorbire tutta la ricchezza prodotta e quindi entra in crisi. Quella che si verifica è la prima crisi economica di sovrapproduzione, una novità assoluta rispetto al passato dove, le crisi erano state caratterizzate dall’ elemento della sottoproduzione, ovvero, crisi dovute alla carenza di merci che quindi non erano più sufficienti per soddisfare la domanda dell’intera popolazione.
Questo tipo di crisi sono impossibili da controllare, poiché provocate da diversi fattori esterni, su cui l’uomo, non è in grado di intervenire. Queste crisi possono nascere in seguito ad una carestia, un epidemia, una guerra, un alluvione o una qualsiasi altra calamità naturale, insomma, in seguito ad un qualsiasi evento capace di rendere impossibile l’utilizzo di una fetta considerevole delle produzioni, ed ovviamente situazioni di questo tipo erano più frequenti in passato, rispetto ad oggi.
È tuttavia interessante osservare come, l’effetto negativo più significativo della prima rivoluzione industriale, non sia un collasso del sistema di produzione dovuto all’ eccessivo numero di ex lavoratori inoccupati, ma anzi, l’esatto contrario, ovvero, un collasso del sistema economico, prima locale e poi internazionale, legato all’ eccessiva produzione, che rendendo semplicemente più bassi i costi di produzione, ha permesso un aumento esponenziale della domanda che a sua volta ha aumentato l’offerta, in un circolo vizioso dove, alla fine, il valore dei prodotti finiti è diventato più basso del suo effettivo valore materiale, inteso per dirla alla Marx come la sommatoria del valore delle merci più il valore del lavoro e il surplus che va a costituire il profitto dell’imprenditore.

 

Dinamiche analoghe, anche se attenuate dal volume notevolmente più basso delle produzioni, e quindi non in grado di provocare la catastrofica “sovrapproduzione” sono presenti in tutte le precedenti rivoluzioni tecnologiche e sociali, fin dall’ invenzione dell’aratro a buoi che permise ad un singolo uomo, in una sola giornata, di compiere, senza troppa fatica, quello che prima era il lavoro di più uomini, e questi elementi sono presenti anche nella nostra rivoluzione industriale.
Diversamente dalla prima rivoluzione industriale però, la possibilità della sovrapproduzione rappresenta oggi, una minaccia ben nota, contro cui prendere i dovuti provvedimenti e le dovute precauzioni, consapevoli del fatto che essa rappresenta un difetto fondativo del sistema economico capitalista, un errore di fondo al quale probabilmente non esiste una soluzione definitiva, ma solo varie ed eventuali correzioni ed accorgimenti in corso d’opera.

In conclusione, la tendenza all’ informatizzazione e alla robotizzazione del nostro tempo, analogamente alla tendenza ottocentesca alla meccanizzazione dei sistemi di produzione non si configura come l’inizio della fine del lavoro umano, ma anzi, spalanca una porta su innumerevoli possibilità, possibili ad un unica condizione, un progressivo avanzamento delle conoscenze, delle capacità e delle competenze dei lavoratori non specializzati, che viaggi parallelamente all’ avanzamento tecnologico. Questo avanzamento avrà come effetto il sacrificio e la perdita di determinati saperi e conoscenze, oggi fondamentali per alcuni lavori manuali, in favore di nuove conoscenze e nuovi saperi, oggi considerati “avanzati” e destinati a diventare “basilari”.
Così come i primi agricoltori hanno smesso di arare a mano il proprio campo, per imparare a controllare aratri e buoi, così come i tessitori ottocenteschi hanno smesso di filare a mano i propri tessuti per imparare ad utilizzare la spoletta volante, così come gli operai del primo novecento hanno perso la visione generale del manufatto a cui lavoravano, per diventare parte di una più ampia e complessa catena di montaggio, così i lavoratori non qualificati del ventunesimo secolo, dovranno rinunciare ad alcuni saperi per acquisirne di nuovi, legati al mondo informatico e l’utilizzo dei computer e della robotica.

Giorgia Meloni attacca di nuovo la Costituzione

Nuova proposta di riforma costituzionale proposta da Giorgia Meloni, dopo aver proposto una modifica della struttura parlamentare ed una modifica dell’intero ecosistema istituzionale, questa volta sono sotto attacco le relazioni internazionali.

Quasi con regolarità svizzera, Giorgia Meloni, leader del partito Fratelli d’Italia, ha proposto l’ennesima modifica della costituzione Italiana, questa volta scagliandosi contro gli articoli che regolamentano i rapporti dell’Italia con l’Unione Europea e per essere più precisi, si tratta degli articoli 97 – 117 e 119.

Questi articoli, oggi sotto attacco, vanno ad aggiungersi alla già lunga lista di articoli e parti della costituzione che la Meloni vorrebbe modificare e in questa lista, oltre ad alcuni articoli immodificabili facenti parte dei principi fondamentali, 2 – 3 – 11, vi sono almeno altri venti articoli, che vanno dall’articolo 21, l’articolo che sancisce la libertà di espressione e di opinione, all’articolo 135 che riguarda le attività della corte costituzionale, nel mezzo vi sono tutto il Titolo secondo della seconda parte della costituzione, in cui sono regolamentati i poteri ed i doveri del Presidente della Repubblica, articoli dall’83 al 91, e in fine, ma non meno importante, vi è una serie molto lunga di articoli in ordine sparso riguardanti il reato di tradimento, le funzioni del parlamento, delle istituzioni ed il riconoscimento di alcuni diritti civili, più precisamente gli articoli art. 68, art. 69, art. 70, art. 73, art. 76, art. 103, art. 122, art. 123, art. 135.

Va fatta una precisazione, Giorgia Meloni non ha mai detto di voler effettivamente modificare tutti questi articoli, e soprattutto non ha mai detto di voler modificare articoli della prima parte della costituzione, anche perché i principi fondamentali non possono essere modificati, tuttavia gli articoli citati, verrebbero modificati indirette come conseguenza della modifica di dei pochi articoli ha dichiarato di voler modificare. Cerco di spiegarmi nella maniera più semplice possibile, più in questi anni volte Giorgia Meloni (e non solo lei) ha richiesto o meglio, ha dichiarato di voler apportare alcune modifiche nella procedura di elezione del presidente della Repubblica, invocando l’elezione diretta del presidente della repubblica con conseguente trasformazione dell’Italia da Repubblica Parlamentare a Repubblica Presidenziale. Perché questa trasformazione possa avvenire è necessario modificare quella parte della costituzione (titolo II della sezione II ) in cui vengono definite le modalità di elezione del presidente della repubblica e conseguentemente tutti gli articoli, ordinamenti e regolamenti, che ne definiscono i poteri e, al fine di evitare un dualismo istituzionale in cui cariche diverse assolvono alle stesse funzioni, è necessario ridefinire i ruoli, i poteri e di conseguenza le modalità di nomina ed elezione di tutti gli organi repubblicani, dal parlamento al presidente del consiglio al consiglio dei ministri, e nel fare questo bisogna toccare una quantità spropositata di articoli della costituzione, tuttavia questo non è possibile in quanto vi sono articoli della costituzione posti come clausola di salvaguardia dello stato e delle istituzioni che impediscono la modifica di una parte così ampia della costituzione.

Il problema può essere in parte superato modificando, uno per volta, gli articoli che vincolano e limitano le possibilità di modificare e manipolare la costituzione, oltre agli articoli che regolamentano gli organi di vigilanza sulle modifiche costituzionali, incastrandoli in un complesso sistema di scatole cinesi in cui vari organi, articoli e cariche istituzionali, si intrecciano e si incastrano tra loro, rendendo quasi impossibile una modifica della struttura repubblicana creata nel dopoguerra, e non è un caso che sia così.

Questo complicato sistema di incastri è stato costruito proprio sulla base della precedente esperienza costituzionale italiana in cui, sotto lo sguardo assente del Re, il primo ministro Benito Mussolini aveva svuotato dall’interno, manipolando, riformando ed aggiornando l’allora costituzione italiana nota come Statuto Albertino. Lo statuto Albertino era privo di qualsivoglia clausola di sicurezza e in pochissimi anni, tra il 1924 ed il 1929 Mussolini riuscì a modificarla in maniera così radicale da riuscire impadronire dello stato italiano senza che questo violasse la costituzione e nel 1945 l’assemblea costituente prese tutte le precauzioni necessarie affinché nella nuova Repubblica Italiana, non fosse possibile svuotare la costituzione, ed è importante ricordare che, l’assemblea costituente fu  presieduta da Enrico de Nicola, il quale, nel 1924 aveva assistito in prima persona alla distruzione dello stato italiano iniziata con la legge Acerbo, poiché lo stesso de Nicola era stato nel 1924 presidente della commissione parlamentare che aveva lavorato proprio alla legge Acerbo, ed è stato merito di de Nicola se la legge acerbo si era limitata ad assegnare un premio di maggioranza del 60% al primo partito italiano invece che dell’80 come inizialmente proposto.

Chiusa la parentesi storica, che non può mancare qui nell’osservatorio di Historicaleye, mi rendo conto che commentare tutti gli articoli della costituzione che direttamente o indirettamente alcune forze politiche vorrebbe vorrebbe modificati, richiederebbe uno sforzo troppo grande, ed è per questo che mi limiterò a fare un unico commento per commentarli tutti.

Questi articoli, dal primo all’ultimo, garantiscono i diritti degli italiani, limitano il potere politico dei singoli individui e dei singoli partiti e garantiscono che l’attività politica nel nostro paese sia vincolata a regole democratiche in cui le forze di maggioranza non possono ignorare o calpestare le minoranze, poiché entrambe le parti rappresentano gli italiani ed è loro dovere servire gli italiani, questi articoli vincolando le decisioni politiche al rispetto della legalità e della costituzione ed inseriscono la vita politica in un contesto quadrato, estremamente rigido, fatto di regole e norme che devono essere rispettate, fatto di procedure che devono essere seguite, così che i diritti ed i doveri di tutti i cittadini italiani, siano garantiti e rispettati, senza alcuna distinzione.

Modificare anche un solo articolo è qualcosa che dovrebbe essere evitato, o comunque fatto molto raramente e solo per aggiornare la costituzione, se questa dovesse rivelarsi troppo arretrata/obsoleta, la costituzione non è il regolamento di un gioco da tavolo che ogni giocatore può modificare prima di una partita perché gli va, la costituzione è il documento più importante dello stato, il pilastro fondamentale della repubblica, e da essa dipendono i diritti ed i doveri di tutti, non è un qualcosa che può essere modificata con leggerezza, non si può richiedere e proporre modifiche costituzionali ogni volta che se ne ha voglia e in italia, Giorgia Meloni, ma come lei anche Matteo Salvini e Luigi di Maio, parlano di modificare la costituzione con la stessa frequenza con cui parlano di modificare gli ingredienti sulla pizza al sabato sera.

Ripeto, non sto dicendo che la costituzione è intoccabile, la costituzione, lo ripeto, può essere modificata, ma con parsimonia e cautela e la stessa costituzione ci dice come procedere per modificarla affinché le modifiche effettuate vadano a migliorare la costituzione, ed è l’unico motivo per cui la si può modificare, per migliorarla non per asservirla ai propri intenti politici. Migliorare la costituzione significa potenziarla non limitarla e visto che il compito primario della costituzione è quello di definire i diritti ed i doveri dei cittadini, modificarla significa ampliare i diritti e i doveri dei cittadini, non limitarli. Ma non è questo l’intento della Meloni, poiché gli articoli che vuole modificare, e che in questo caso specifico sono gli articoli 97 – 117 – 119, sono articoli che regolamentano i doveri dello stato italiano, detto molto semplicemente, ciò che vuole fare la Meloni è ridurre i doveri internazionali dello stato italiano, senza però considerare che dal rispetto di quei doveri istituzionali e internazionali dipendono alcuni diritti fondamentali e quindi, limitare i doveri si traduce, inevitabilmente in una limitazione dei diritti e delle libertà per gli italiani, per tutti gli italiani, ma soprattutto quelli più poveri che magari non sono nati in italia o sono figli di almeno un genitore italiano.

Mi sono dilungato anche troppo, quindi concludo lasciandovi di seguito il testo degli articoli 97 – 117 e 119. Per tutti gli altri, potete leggere il testo integrale della costituzione sul portale istituzionale del Senato.

Articolo 97

Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge [95 c.3], in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari [28].Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge [51 c.1].

Articolo 117

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;b) immigrazione;c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;n) norme generali sull’istruzione;o) previdenza sociale;p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni.
La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive [3].
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

Articolo 119 


I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione [53 c.2] e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato.
Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.

La costituzione – https://www.senato.it/1024

Fonti

https://www.ilfoglio.it/politica/2018/10/22/news/via-l-ue-dalla-costituzione-ecco-l-italexit-targata-meloni-220337/
https://storia.camera.it/legislature/sistema-premio-maggioranza-1924

Le liste di Proscrizione varate dal Parlamento europeo #saveyourinternet

il 24 novembre il Parlamento Europeo voterà la nuova normativa sul Copyright, una normativa scellerata che non tutela il copyright, ma asservisce il web agli interessi privati di pochi gruppi di influenza, rischiando di uccidere il web così come lo conosciamo.
Ma noi creativi del web non ci stiamo e diciamo #saveyourinternet

Non molto tempo fa ho pubblicato un articolo di approfondimento sulle liste di proscrizione rese pubbliche da Lucio Cornelio Silla nell’82 a.c. e in quel momento non mi rendevo conto dell’enorme attualità del tema trattato, ho deciso così di riprendere in mano quell’argomento, strapparlo alla storia e utilizzarlo come pretesto per parlare della nuova normativa sul Copyright della comunità europea che, da qualche mese, sta dilaniando Internet.

Sul canale youtube Chiccheinformatiche ho già parlato, in termini generali, di questa normativa, dopo l’allarme lanciato dalla piattaforma Wikipedia Italia che lo scorso e luglio, in segno di protesta, aveva deciso di oscurare le proprie pagine.


Gli utenti di Wikipedia italia, l’enciclopedia online a partecipazione libera, si sono svegliati stamattina, martedì 3 luglio 2018, con una sorpresa: le pagine italiane del sito sono oscurate, si legge, in protesta contro le violazioni della «libertà di Internet».

La protesta di Wikipedia e di altri creatori di contenuti del web ha avuto come effetto soltanto un rinvio della questione, ma ad oggi la nuova normativa sul Copyright è rimasta immutata e il prossimo 24 novembre, giorno in cui verrà votata dal parlamento, questa normativa che in apparenza ha il compito di tutelare i creatori di contenuti del web, potrebbe uccidere la creatività stessa.

La nuova normativa sul Copyright, detto molto semplicemente, prende tutte le precedenti normative sul Copyright e le inasprisce, stringendo le maglie del web fino a renderle come un filtro talmente spesso da non far passare più nulla, o quasi.

Secondo la nuova normativa, che andrà a colpire principalmente le grandi piattaforme che ospitano contenuti (e in maniera marginale anche i piccoli blog), le piattaforme saranno responsabili di tutto ciò che viene caricato su di esse, e di conseguenza, eventuali violazioni del copyright, tuttavia, per violazione del copyright, non si intende l’upload o l’utilizzo, integrale o in parte, di materiale protetto, ma anche una semplice citazione costituirà violazione di Copyright, ma facciamo un esempio pratico, l’immagine che segue, potrebbe sembrare una creazione originale e innocente e pure, per la nuova normativa sul copyright questa immagine che vede Sergio Mattarella e il simbolo della repubblica italiana, costituisce una violazione di Copyright.

Vi lascio qualche secondo per osservarla attentamente e pensarci…

Ora che avete analizzato nel dettagli l’immagine vi spiegherò perché questa immagine, per la nuova normativa sul Copyright, costituisce una violazione.

Patiamo dal background, una foto dell’italia vista dallo spazio, questa foto è stata scattata dalla stazione spaziale internazionale ed è stata divulgata pubblicamente, tuttavia, numerose testate e blog, nel caricarla nei propri articoli, non l’hanno contrassegnata come immagine libera per l’utilizzo, e se bene questa immagine sia di pubblico dominio, per la nuova normativa sul Copyright, non può essere utilizzata in alcun modo, ne ripubblicata, ne utilizzata in parte, come in questo caso.

Il fatto che lo sfondo, fuori fuoco, e totalmente irriconoscibile, sia un immagine potenzialmente protetta da copyright, costituisce una violazione di copyright.

Nell’immagine è presente una fotografia di Sergio Mattarella, che in realtà non è una fotografia, si tratta di un frame estrapolato da un video in cui il presidente Mattarella parlava in un telegiornale, aver estrapolato quel fotogramma, costituisce, per la nuova normativa, una violazione di copyright, in quanto il filmato da cui è stato estratto il fotogramma che successivamente è stato ritagliata la sagoma di Mattarella, è protetto da copyright, ma non è tutto perché sarebbe violazione di Copyright anche se avessi ritagliato, da quel fotogramma di quel video, soltanto la testa di Mattarella incece dell’intero busto.

Il pattern che si sovrappone alla fotografia dello spazio e che riempie lo spazio dell’immagine non occupato da Mattarella o dal simbolo della repubblica italiana è un ulteriore violazione di copyright, poiché si tratta di un modello grafico copiato da una locandina promozionale del film Star Wars VIII – the Last Jedi, in cui, al posto di Mattarella ci era un eroe della ribellione e al posto del simbolo della repubblica vi era il logo della ribellione.

Anche il simbolo della repubblica italiana è, contro ogni logica, una violazione di copyright, perché non ho utilizzato il simbolo preso dai portali istituzionali, ma ne ho utilizzato uno, preso da google immagini, realizzato da un illustratore che lo ha pubblicato sul web e ad oggi, quest’ultima, forse sarebbe l’unica reale violazione di copyright, poiché ho effettivamente utilizzato un qualcosa che è stato realizzato da qualcun’altro. 

Gli effetti di questa nuova normativa sulla produzione di contenuti originali e la pubblicazione dei suddetti contenuti sul web è devastante poiché mette in serio pericolo la libertà di espressione di artisti e creatori di contenuti che ogni giorno realizzano opere originali e divertenti per il web.

Questi contenuti non violano il diritto d’autore, non sfruttano il lavoro artistico e creativo di altri in maniera illecita e illegale, e non è possibile che, utilizzare un frammento di un fotogramma di un film di 4 ore, sia, per la nuova normativa sul copyright equivalente al ricaricare l’intero film rendendolo disponibile per lo streaming pirata.

Questa normativa, crea de facto delle liste di proscrizione volte a distruggere la creatività sul web, una creatività che ha permesso la nascita di nuove opportunità lavorative per migliaia di persone in tutta europa, e tutti questi lavori andranno perduti, come lacrime nella pioggia, e la cosa assurda è che anche questa citazione testuale al film Blade Runner è una violazione di Copyright.

Queste liste di proscrizione colpiscono i tanti piccoli creativi del web, per tutelare poche grandi realtà imprenditoriali, che non hanno mai compreso il web e che, non riuscendo a mantenere il passo con l’innovazione digitale, invece di sfruttare il web, cercano di controllarlo e limitarlo.

Questa normativa è stata descritta da molti come una forma di censura, ed è vero, è una forma di censura non dissimile da quelle operate in realtà meno libere dell’Europa, (tipo la Russia, la Cina, la Turchia e la Corea del nord e l’Iran) e che, proprio in quelle realtà ha prodotto una fuga delle grandi piattaforme.

In Cina ufficialmente non esiste Youtube, in Russia l’accesso a Facebook è molto limitato in favore del social network VKontakte, più o meno indirettamente controllato dal governo.

Con questo articolo mi unisco alla lunga schiera di creatori di contenuti del web che si stanno mobilitando contro la normativa sul copyright, informandovi dei rischi per la libertà di espressione e di parola che questa normativa rappresenta. Internet così come lo conosciamo potrebbe smettere di esistere, almeno in europa, a meno di non utilizzare alcuni stratagemmi come in Russia, Cina, Turchia, Corea del nord e Iran), questa normativa potrebbe mettere in fuga aziende come Facebook, Google, google in particolare è stata già costretta a chiudere alcune delle sue divisioni in diversi paesi europei, una su tutte la divisione google news, che non è altro che un feed di notizie provenienti dai vari quotidiani, e che in Germania ha già chiuso i battenti, anticipando quello che potrebbe succedere nel resto d’europa non solo a Google News, ma alla stessa Google, in particolare alle piattaforme Youtube e Blogger, per non parlare di Facebook, Instagram, Twitter, Tumblr e qualsiasi altra grande piattaforma che permette agli utenti di caricare liberamente contenuti originali come immagini, fotografie, video ed articoli come questo.

Le abitudini alimentari dell’uomo e il loro impatto sull’evoluzione.

Come sono cambiate le abitudini alimentari dell’uomo, dal neanderthal all’homo sapiens?
Queste abitudini hanno influenzato la sua evoluzione oppure la sua evoluzione ha influenzato questi cambiamenti?

Come sono cambiate le abitudini alimentari dell’uomo, dal neanderthal all’homo sapiens?
Queste abitudini hanno influenzato la sua evoluzione oppure la sua evoluzione ha influenzato questi cambiamenti?

Stavo guardando un video di Dario Bressarini intitolato “la dieta dei gruppi sanguini” in cui Dario, partendo da una teoria stravagante sui gruppi sanguini ed il loro rapporto con l’alimentazione, ci spiega che fondamentalmente questa teoria è pura follia, ma andiamo con ordine.

Nel suo video Dario contesta, supportato da una folta letteratura scientifica e dalla consulenza di alcuni autorevoli genetisti, una teoria secondo cui i vari gruppi sanguini 0, A,B, AB, sarebbero frutto di un evoluzione alimentare, in particolare il gruppo 0 sarebbe i gruppo più antico, una sorta di gruppo ancestrale risalente alle primissime fasi della nostra storia evolutiva, quando fondamentalmente l’uomo era prevalentemente un cacciatore e si nutriva per lo più di carne, fa seguito il gruppo A, risalente ai tempi dell’agricoltura ed il gruppo B legato al mondo nomade e al consumo di latticini, in fine, il gruppo AB sembra essere il più recente, frutto della combinazione dei precedenti gruppi.

Dal punto di vista chimico e genetico non mi dilungherò più di tanto e vi rimando al video di Dario in cui il tutto è spiegato in maniera magistrale, qui mi limiterò a riportare alcune informazioni acquisite proprio dal video di Dario.

Il sangue di tipo 0 è un tipo di sangue in cui, sulla superficie dei globuli rossi, non si lega nessuna proteina, da qui il nome 0. Diversamente, nel sangue di tipo A ed analogamente il sangue di tipo B, alla superficie dei globuli rossi, si legano specifiche proteine, che chiameremo A e B a seconda del tipo di sangue, detto molto semplicemente, al sangue di tipo A si legano le proteine di tipo A e al sangue di tipo B si legano le proteine di tipo B. In fine, al sangue di tipo AB, come possiamo immaginare, si legano entrambe le proteine.

Nel suo video Dario ci spiega anche che dal punto di vista genetico, il sangue di tipo 0, diversamente da quanto sostenuto nella teoria che lo vedrebbe come il più antico, è in realtà il più recente e si tratta sostanzialmente di una mutazione genetica apparsa molto prima dell’apparizione stessa dell’uomo. In breve, tutti i tipi di sangue noti sono precedenti all’uomo e non dipendono dall’alimentazione dei nostri antenati in quanto ci sono creature erbivore dotate di sangue di tipo 0, che secondo la teoria è il tipo di sangue legato al consumo di carne, e carnivori dotati di sangue di topo A che secondo la teoria è il tipo di sangue legato al consumo dei vegetali.

Dario nel suo video ha dimostrato come, dal punto di vista chimico e genetico questa teoria sia totalmente priva di fondamento, e in questo articolo voglio andare oltre, spiegando perché questa teoria del sangue è incompatibile con la nostra evoluzione storica.

Supponendo per un attimo che sia vero e che quindi il nostro sangue è mutato al mutare della nostra alimentazione, possiamo osserva come la suddivisione “carne – vegetali – latticini – tutto” sia in realtà estremamente limitate e non coincida affatto con l’evoluzione della nostra storia alimentare.

Prima di iniziare è opportuno fare una premessa, al fine di evitare ogni possibile fraintendimento. Quando dico “uomo” non mi riferisco nella fattispeccie all'”homo sapiens” ma a tutta la linea evolutiva della nostra specie, per essere più precisi, gran parte dell’evoluzione alimentare che seguirà, precede l’avvento effettivo dell’Homo Sapien, in quanto, già l’Homo Erectus aveva conosciuto, se pur in maniera limitata e primitiva, la vita sedentaria e l’agricoltura, e seguiva una dieta molto variegata che integrava verdure, frutta fresca e secca, noci, radici, cereali, carne e pesce, e anzi, recenti studi hanno mostrato come la quantità di carne assunta dall’homo erectus fosse molto più limitata rispetto a quanto si pensasse. Nell’immaginario collettivo infatti la dieta dell’homo erectus e di qualsiasi altra specie umanoide precedente il sapiens, era fortemente sbilanciata verso l’assunzione di proteine, tuttavia non è così, le proteine e quindi la carne erano un elemento certamente presente, ma non centrale, nella dieta dell’erectus.

Fatta questa premessa, dobbiamo specificare che l’uomo non nasce come carnivoro ma nasce come raccoglitore, e nella prima fase della storia alimentare dell’uomo e dei suoi predecessori, l’uomo si è nutrito prevalentemente di bacche, radici, insetti e carcasse di animali, raccogliendo e ingerendo più o meno tutto ciò che riusciva a trovare e ingerire.
Questo tipo di alimentazione secondo la teoria dell’evoluzione del sangue in funzione dell’alimentazione, dovrebbe identificare il vero sangue ancestrale, il più antico, il sangue di tipo 0, visto che questa è stata l’alimentazione della nostra specie per centinaia di migliaia di anni.

A questa fase primitiva segue la caccia e talvolta la pesca, imprimendo quindi una forte mutazione nella vita e nelle abitudini dell’uomo. Come nella fase precedente l’uomo è un nomade, si sposta, migra, si muoveva alla ricerca di nuove piante e continua a muoversi inseguendo le proprie prede e seguendo la teoria dell’evoluzione del sangue, a questa fase, importantissima della nostra storia alimentare faremo coincidere un nuovo tipo di sangue, un sangue di tipo A, e già qui, la teoria del sangue di tipo 0 come sangue ancestrale e legato al consumo di carne, viene meno, ma noi continuiamo imperterriti nella nostra evoluzione perché le cose più interessanti stanno per arrivare.

Con la caccia le tribù iniziano a crescere molto rapidamente, e si arriva al punto in cui la sola caccia non è più sufficiente a garantire la piena sussistenza, l’uomo ha necessità quindi di trovare nuove fonti di cibo e queste fonti arrivano dalla terra, l’uomo inizia a coltivare la terra, ma non coltiva principalmente verdure e ortaggi, principalmente perché in origine ortaggi e verdure non erano proprio così come li conosciamo, erano piante selvatiche che l’uomo nel tempo ha addomesticato selezionando geneticamente le specie migliori da tramandare alle generazioni future (Dario Bressarini ne ha parlato abbondantemente in un innumerevoli altri video), inoltre, questi ortaggi e verdure primordiali erano abbastanza difficili da coltivare, richiedevano un enorme quantitativo di acqua e rendevano pochissimo, una singola pianta dava pochi frutti al costo di un irrigazione costante che spesso durava settimane o mesi. Diversamente i cereali erano molto più semplici da coltivare, richiedevano molte meno attenzioni e soprattutto rendevano molto di più in tempi molto più brevi.

L’uomo contadino quindi consuma prevalentemente cereali, non verdure, non frutta, non ortaggi, ma cereali, quindi, nella nostra evoluzione dei tipi di sangue, sono i cereali a dover identificare il nuovo tipo di sangue, il tipo B.

Al fianco dell’agricoltura l’uomo comincia anche ad allevare animali e produrre prodotti caseari, prodotti derivati del latte, ipotizzando che questo nuovo tipo di alimentazione, parallela e in parte integrativa dell’agricoltura dà vita ad un nuovo tipo, il tipo C e parallelamente anche al tipo integrativo BC e ABC identificativi delle alimentazioni miste di agricoltori e allevatori.

Possiamo osservare come i tipi di sangue legati all’alimentazione siano molti di più dei tipi di sangue effettivamente noti. Abbiamo almeno sette tipi di sangue 0, A, B, C, AB, BC e ABC, ma in realtà esistono soltanto quattro tipi, 0, A, B, AB, questo senza considerare poi la classificazione Rh+ e Rh- che fondamentalmente va a raddoppiare i tipi di sangue portando i gruppi noti ad otto e quelli ipotizzati dalla teoria dell’evoluzione alimentare a quattordici.

Al netto di tutte queste informazioni possiamo provare a rispondere alla domanda, le abitudini hanno influenzato l’evoluzione dell’uomo oppure è stata l’evoluzione ad influenzato le sue abitudini alimentari?

Sappiamo che, sul piano genetico non vi è alcuna relazione tra le abitudini alimentari ed i gruppi sanguigni, ma in un discorso più ampio di carattere evolutivo, possiamo dire che vi è un rapporto di influenza reciproca tra le abitudini dell’uomo, il modo in cui vive e la natura in cui vive. Al variare dell’ambiente variano le abitudini alimentari e con esse cambia il modo di vivere degli uomini, ma cambiando il modo di vivere cambiano anche le abitudini alimentari, innescando così un circolo di influenza reciproca che spinge verso l’evoluzione continua delle società umane verso un modello che sia il più performante e duraturo possibile e che possa permettere all’uomo di sopravvivere il più a lungo possibile compiendo il minimo sforzo necessario. 

Qualche approfondimento:

Storia dell’alimentazione: 1 Copertina rigida – 31 ott 2007
di J. L. Flandrin (a cura di), M. Montanari (a cura di), https://amzn.to/2En1yS6

Storia delle abitudini alimentari. Dalla preistoria ai fast food Copertina flessibile – 18 feb 2010, di Giancarlo Signore (Autore), https://amzn.to/2PDcA73 

Cambio di dieta ed evoluzione di Homo erectus,  http://www.lescienze.it/news/2016/03/10/news/dieta_evoluzione_homo_erectus-3010332/

Impact of meat and Lower Palaeolithic food processing techniques on chewing in humans, Katherine D.Zink, Daniel E.Liberman | Published online: 24 Mar 2016, https://www.nature.com/articles/nature16990

Neandertals revised, W. Roebroeks, M. Soressi,|Published online: 6 Giu 2016, https://doi.org/10.1073/pnas.1521269113  

Food globalization in prehistory, Martin Jones , Harriet Hunt , Emma Lightfoot , Diane Lister , Xinyi Liu & Giedre Motuzaite-Matuzeviciute, Pages 665-675 | Published online: 05 Dec 2011, https://doi.org/10.1080/00438243.2011.624764

The genesis of pastoralism in European prehistory, Andrew Fleming, Pages 179-191 | Published online: 15 Jul 2010,  https://doi.org/10.1080/00438243.1972.9979531

 

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