Perché non festeggiamo il 20 settembre?

Il 20 settembre 1870 inizio, con la breccia di porta pia, l’ultima delle guerre di indipendenza del regno d’italia, che portò alla presa di roma e alla caduta dello stato pontificio.
Il 20 Settembre è il giorno in cui il regno d’Italia compie l’ultimo passo verso l’unificazione definitiva. Una volta presa roma mancheranno soltanto alcuni territori al confine con i balcani, per lungo tempo controllati da venezia, e ancora parte integrante dell’impero asburgico che l’italia avrebbe rivendicato durante e dopo la Prima guerra mondiale, ma questa è un altra storia.

Il 20 settembre è una giornata importantissima per la storia italiana, è il giorno in cui, nel 1870 ebbe compimento il processo unitario con la presa di Roma, all’epoca ancora autonoma e indipendente, nonché capitale dello stato pontificio nato in seguito al congresso di Vienna del 1814.

Il 20 settembre, con la breccia di Porta Pia ebbe inizio l’ultima delle battaglie delle guerre di indipendenza italiane avvenute nel XIX secolo e prima della partecipazione alla grande guerra nel 1915, e pure, per qualche ragione, una data così importante, così centrale nella nostra storia, nella storia del regno d’italia, nella storia dell’italia unitaria, non è celebrata come festa nazionale ed è ricordata solo indirettamente attraverso il nome di alcune strade presenti in quasi tutte le grandi città italiane.

Ma perché il 20 settembre, il giorno in cui l’Italia raggiunse la sua forma definitiva, il giorno in cui terminò l’esperienza politica e temporale dello stato pontificio, non è una festività laica del nostro paese? Perché il 20 settembre non è un giorno di festa nazionale?

La risposta a questi interrogativi è più semplice di quello che si possa immaginare, non vi è alcuna dietrologia, non vi è alcuna cospirazione massonica e di sicuro non vi è nascosta dietro la volontà di cancellare una fetta della nostra storia. Semplicemente, agli albori della repubblica, una repubblica che ricordiamo era nata dal famoso referendum del 2 giugno 1946 che mise fine al Regno d’Italia, una repubblica nata all’indomani di una dolorosissima guerra civile che aveva visto italiani combattere, uccidere e morire, contro e per mano di altri italiani, una guerra civile che aveva accompagnato gli ultimi anni del regno d’Italia e che da molti era percepita come una conseguenza diretta del fallimento politico e culturale del regno d’Italia, e in questo clima, non c’era spazio per celebrazioni canoniche troppo legate all’esperienza del regno d’Italia.

La nuova Italia che nasceva nel dopoguerra aveva deciso di cambiare volto e lasciarsi il passato alle spalle, un passato in cui alcuni capitoli erano stati particolarmente cupi e dei quali gli italiani non andavano particolarmente fieri, in particolare l’ultimo ventennio era un qualcosa che gli italiani avevano fretta di lasciarsi alle spalle e di dimenticare pur non dimenticando ciò che era stato, e allora, in questo clima di profondo cambiamento e di rinnovamento delle tradizioni l’italia, spinta soprattutto da alcune correnti politiche più vicine alle classi operaie, come il PCI, puntarono alla costruzione di una nuova tradizione popolare volta a rinnovare quel sentimento di unità nazionale che la guerra civile aveva cancellato.
Si punta quindi la lente sulle date fondamentali della nuova italia repubblicana, si celebrano gli eroi e le battaglie decisive di quella guerra “di liberazione”, si celebra la riunificazione dell’italia e la sua liberazione dall’occupazione nazi-fascista, si cerca insomma di mettere da parte il risentimento legato alla guerra, si cercava di rimettere in piedi l’italia e di farla ripartire senza che gli italiani odiassero altri italiani per quello che era stato e in questa voglia di pace, espressa da tutte le forze politiche del paese (sia dalla Democrazia Cristiana che dal Partito Comunista), si venne a creare quello che alcuni storici italiani, molti anni dopo, avrebbero definito come un enorme equivoco storico.
La volontà politica di lasciarsi alle spalle la seconda guerra mondiale, il fascismo e i loro orrori, ebbe un effetto alienante sulla popolazione italiana, portando in alcuni casi a depenalizzare e dimenticare, troppo rapidamente quanto era accaduto, si finì quindi per indicare come unici responsabili delle sofferenze dell’italia e degli italiani gli occupanti tedeschi e che gli italiani, anche quelli che avevano continuato a seguire Mussolini nella “repubblica di Salò“, erano stati vittime innocenti del nazismo, dimenticando forse troppo presto  che moltissimi italiani si arruolarono volontari tra le fila della RSI.

Tornando al discorso sul 20 settembre e sul perché questa giornata, con la fine del regno d’Italia, smise di essere celebrata, va detto che non è l’unica festività laica appartenente al regno d’italia che fu cancellata in favore di nuove festività laiche legate alla nascita della repubblica.

Il 20 settembre, all’indomani del 2 giugno 1946, lasciò il passo al 25 aprile, il giorno della “presa di roma” che sanciva la fine delle guerre di indipendenza e la definitiva unificazione italiana, lasciava il passo al giorno simbolo della liberazione italiana dall’occupazione straniera e la riunificazione del paese sotto un unico simbolo, quello della nascente repubblica italiana.
Allo stesso modo, anche il 17 marzo, venne sostituito da nuove celebrazioni, il 17 marzo era una giornata importantissima nella storia del regno d’italia, celebrata ogni anno fin dal 1861 quando, proprio il 17 marzo, fu istituito il “parlamento italiano” la cui nascita sancì la nascita ufficiale del Regno d’Italia, ma dopo la fine del regno d’Italia, quando ormai l’Italia non era più un regno ma una repubblica, celebrare il giorno in cui Vittorio Emanuele II era stato incoronato come primo Re d’Italia, non aveva più alcun senso, anche perché in quella data si celebrava la nascita di una dinastia reale che dopo il 2 giugno 1946 non era più la benvenuta in italia, e allora il 17 marzo lasciò il passo al 2 giugno, giorno in cui nasceva ufficialmente la repubblica Italiana dalle ceneri del regno d’Italia bruciato e devastato dalla guerra.

Il motivo per cui giornate come il 20 settembre o il 17 marzo non sono più celebrate come festività nazionali è dunque molto semplice da capire, sono date importantissime per la storia italiana, ma sono date legate ad un passato che l’Italia si è lasciata alle spalle, sono date in cui si ricorda un passato che non esiste più e che se bene appartenga alla nostra storia, non appartiene alle nostre vite. L’Italia, come nazione, è in continua evoluzione, è in continuo mutamento e con essa muta il suo popolo, mutano le sue tradizioni ed ha la necessità fisiologica di un continuo rinnovamento delle proprie tradizione e della propria cultura.

Quando parlo di rinnovamento culturale, a scanso di equivoci, non dico che che bisogna dimenticare o cancellare il passato, assolutamente no, non sto dicendo questo, sto invece dicendo che, semplicemente, arriva un momento in cui il passato deve essere consegnato alla storia per permettere al presente di evolvere e la storia ci insegna che, vivere fuori dal tempo, rievocando un passato mitico, è sintomatico di una civiltà in decadenza prossima al collasso ponendo i popoli e le nazioni di fronte ad una scelta, evolvere o morire.

 

La legittimità del Potere secondo Weber

 

Gli dei di una volta, perso l’incanto e assunte le sembianze di potenze impersonali, escono dai loro sepolcri, aspirano a dominare sulla nostra vita e riprendono la loro lotta eterna.
                                                                                                                                       -Max Weber

Per Max Weber, un sociologo molto caro a noi storici dell’età moderna, esistono tre tipi di legittimazione del potere.

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Ecco perché tutti dovrebbero guardare Peaky Blinders | Recensione (Serie TV)

Buongiorno a tutti, ho da poco terminato la terza stagione della serie Peaky Blinders, prodotta dalla BBC e disponibile su Netflix e volevo condividere con voi alcune osservazioni e pensieri di carattere storico riguardante questa fantastica serie tv.

Ci tengo a sottolineare, a scanso di equivoci, che Peaky Blinders non è una docu-serie, non non racconta avvenimenti reali e non prende spunto dalla realtà storica se bene la narrazione sia collocata all’interno di un contesto storico ben preciso (l’Inghilterra dei primi anni 20) e se bene abbia come protagonista un gruppo di banditi, una “banda”, realmente esistiti, va specificato che i protagonisti della serie, che occasionalmente interagiscono con personaggi storici concreti come ad esempio Winston Churchill, in realtà, non sono personaggi storici reali e della loro esistenza non vi è alcuna traccia storica.

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Chi attacca la Magistratura è con le Mafie!

Il Maxiprocesso contro Cosa Nostra (spesso identificato solo con il processo di primo grado) fu un operazione epocale per la giustizia italiana, sia per il numero di imputati (inizialmente 475 poi ridotti a 460 durante il processo) ed avvocati presenti (furono schierati circa 200 avvocati difensori, oltre ai numerosi magistrati), sia per le tempistiche, il processo infatti durò 8 anni, ebbe inizio il 10 febbraio 1986 (giorno di inizio del processo di primo grado) per terminare soltanto il 30 gennaio 1992 (giorno della sentenza finale, il terzo grado di giudizio, della Corte di Cassazione) il cui epilogo fu l’emissione in termini di condanne portò a 19 ergastoli e pene detentive per un totale di circa 2665 anni di reclusione.

Il duro colpo inflitto a Cosa Nostra portò ad una vera e propria guerra tra lo Stato e la “mafia” che, fino a quel momento, secondo le dichiarazioni di Tommaso Buscetta (noto come il Boss dei due mondi, per i suoi legami oltreoceano, in particolare con i Narcos di Messico e Colombia e con la criminalità organizzata negli USA), avevano “collaborato“, fin dalla seconda guerra mondiale (ricordando il ruolo di Lucky Luciano nell’organizzazione dello sbarco in Sicilia) in diverse occasioni.

Le dichiarazioni/confessioni di Buscetta non avvennero immediatamente dopo il processo, ma arrivarono circa 10 anni più tardi (Buscetta confessò nei primi anni 2000), nel frattempo però, la guerra tra stato e mafia portò ad una serie di violenti attacchi da parte di Cosa Nostra alle istituzioni e alla magistratura, attentati che costarono la vita a gran parte del pool antimafia che aveva combattuto cosa nostra, portando alla morte, tra gli altri, uomini come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e contribuirono a segnare la “fine” dell’esperienza politica della Democrazia Cristiana, la cui leadership fu ritenuta responsabile da un lato dei passati accordi tra stato e mafia e dall’altro del “tradimento” dello Stato Italiano ai danni di Cosa Nostra che aveva permesso l’attuazione del Maxiprocesso.

Tra i motivi che permisero a Cosa Nostra di iniziare una vera e propria guerra allo stato fu il precedente storico degli anni di piombo, una parentesi oscura della nostra storia in cui le Brigate Rosse avevano messo in evidenza l’incapacità dello stato Italiano di proteggere i propri cittadini e soprattutto di poter combattere efficacemente contro le organizzazioni terroristiche, inoltre, stando alle dichiarazioni di Buscetta, proprio durante gli anni di piombo, in diverse occasioni lo stato ricorse alla collaborazione con la criminalità organizzata nel tentativo di arginare il terrorismo e fu proprio questa “presunta” collaborazione a fornire alle Mafie la capacità, le informazioni e la consapevolezza di poter iniziare in tutta sicurezza una guerra contro lo stato.  Molti sostengono addirittura un coinvolgimento della criminalità organizzata romana durante le prima fasi di ricerca dopo il sequestro di Aldo Moro nel 1978.

In risposta ai violenti attacchi delle Mafie ai danni della Magistratura, e in seguito alla grande popolarità ottenuta da alcuni magistrati in seguito alla vicenda Tangentopoli, molti magistrati, sentendosi “abbandonati” dallo stato e dalla nuova politica degli anni 90, decisero di scendere nelle piazze, abbandonando la toga e iniziando a fare politica guadagnandosi l’appellativo (negativo) di “toghe rosse”, con cui un’importante fetta politica e dell’imprenditoria italiana ha iniziato ad attaccare la magistratura e gli ex magistrati passati alla politica.

Flussi Migratori, un fenomeno globale che non è facile arrestare.

Viviamo in un momento storico al limite del paradosso, in cui, chi cerca di assecondare il cambiamento è visto/percepito come “conservatore” che vuole mantenere lo status quo, e chi invece vuole porre fine al cambiamento globale, è percepito come promotore di un cambiamento che non è altro che un ritorno ad equilibri “arcaici” per non dire obsoleti.

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Italiani Ubriachi di libertà, con a capo dei Coppieri che gliene versano quanta ne vuole.

“Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.”

Queste parole possono sembrare scritte “ieri” e pure sono vecchie di oltre duemila anni, a scriverle non è stato un capo politico, un giornalista, un “buonista”, non sono le parole di un qualche politico del Partito Democratico, di Liberi e Uguali o di + Europa, per criticare le scelte e la politica del governo Lega-M5S, ma sono state scritte da Platone nel libro VIII della Repubblica, e per quanto “vecchie”, sono parole estremamente attuali, sono riflessioni ancora oggi estremamente valide e veritiere che dipingono alla perfezione la realtà politica del nostro paese in questo preciso momento storico.

La prima volta che ho letto, o meglio, che ho ascoltato queste parole è stato ai tempi della scuola, io sono un perito informatico e nella mia scuola non c’era l’ora di filosofia, ma avevo un insegnante, Lucio di Costanzo, professore di Elettronica che era profondamente convinto che il compito della scuola non fosse solo quello di insegnarci nozioni, ma che dovesse prepararci alla vita, per lui la scuola era soprattutto scuola di vita e nelle sue ore, almeno una volta all’anno ci faceva leggere questo passaggio della Repubblica di Platone spingendoci a riflettere sul suo contenuto. All’epoca non ne comprendevo a pieno il significato, la politica non mi interessava, la prima volta che ho votato ho annullato la scheda perché mi era indifferente scegliere e preferire l’uno o l’altro partito, e quelle ore passate a leggere Platone e chiacchierare di attualità per me erano solo un ottima scusa per non studiare resistenze, condensatori, transistor e circuiti elettronici, e pure, oggi, quelle ore sono forse il ricordo più vivo e importante degli anni della scuola. A distanza di oltre dieci anni ne comprendo il valore, ne comprendo il significato e soprattutto ne comprendo l’importanza.
Se oggi ho una coscienza politica, se oggi sono uno “studioso di storia” e mi interesso di attualità e alla realtà politica è anche grazie a lui, ma non voglio annoiarvi con i miei racconti della scuola, voglio invece, con questo post, riproporre a voi alcune riflessioni sul testo di Platone, e mi scuso con eventuali puristi che si sentiranno infastiditi dal fatto che non ho riportato il testo in Greco Antico e si sentiranno offesi dal fatto che parlo di Platone senza mai aver letto o tradotto i suoi libri, ma basandomi solo su traduzioni altrui, ma come vi dicevo, sono un perito informatico, non ho mai studiato greco antico, ne filosofia antica.

Indipendentemente dalla mia superficiale conoscenza dell’opera di Platone, questo passaggio del libro ottavo della repubblica resta estremamente chiaro ed eloquente.
Oggi viviamo in un epoca di estrema libertà, una libertà tale da permettere a chiunque di esprimere la propria opinione e questo, grazie anche agli strumenti offerti dal web, come forum, blog e social network. Viviamo in un epoca talmente libera che una persona con la terza elementare può sentirsi in diritto di criticare le scelte del governo (un diritto sacrosanto, sia chiaro) e di mettere becco in questioni di cui non ha la minima conoscenza e competenza, viviamo in un epoca in cui consiglieri regionali di taluni partiti politici mettono in discussione i progressi della scienza moderna e della medicina, con campagne politiche contro i vaccini, responsabili nella loro visione, di chissà quale malattia e pure basta fare qualche rapida ricerca sul web, o in biblioteca, per scoprire che grazie alla medicina moderna l’età media della vita, nel mondo “civilizzato” si è alzata esponenzialmente nell’ultimo secolo e mezzo. Prima dell’Unità d’Italia, nel nostro paese c’era un elevatissimo tasso di mortalità infantile e l’età media si aggirava intorno ai 60 anni. A distanza di un secolo e mezzo una persona di sessant’anni è considerata ancora abile al lavoro, e ben lontana dalla possibilità di un pensionamento. Certo, anche centocinquanta anni fa a sessant’anni una persona lavorava ancora, ma parliamo di un epoca in cui si lavorava da quando si era in grado di mantenere una pala in mano e trasportare un cesto pieno, fino alla morte, non c’era pensione, non c’era riposo, c’era solo duro lavoro e tanta fame.
Oggi le cose sono profondamente diverse, nell’ultimo secolo e mezzo, il succedersi al governo e al potere, in Italia (e più in generale in Europa e nel mondo) le varie forze politiche, siano esse di destra, di centro o di sinistra, hanno ottenuto importanti conquiste volte a migliorare progressivamente le condizioni di vita e di lavoro. Non sono ovviamente mancati errori e passi indietro, né sono mancate manovre che hanno limitato le possibilità lavorative delle persone, ma nel complesso, rispetto al 1861, anno dell’unità d’Italia, ma anche solo rispetto ad un secolo fa e ancora, rispetto a 50, 30, 20 anni fa, è innegabile che le condizioni di vita e di lavoro (legali) delle persone in Italia siano migliorate. Oggi le persone dispongono di giornate più “lunghe” grazie al miglioramento dei trasporti, dispongono di una vita più lunga, grazie a medicinali e assistenza sanitaria, e qualcuno di più fortunato, se riesce ad andare in pensione dopo quarant’anni di lavoro, può finalmente godersi un po’ di meritato riposo.
Sia chiaro, è estremamente legittimo criticare quelle manovre e decisioni dei governi passati e presenti che sono andate e vanno a “limitare” tutte queste conquiste, sociali e civili, è più che legittimo criticare quelle riforme che hanno limitato le possibilità di lavoro ed impedito l’accesso alla pensione a milioni di italiani, così come è legittimo criticare quelle decisioni volte a limitare i diritti conquistati in questi anni. Penso al diritto allo studio, penso al diritto alla vita, penso al diritto di poter condividere la vita con la persona che si ama, indipendentemente dal proprio sesso ed orientamento sessuale, indipendentemente dalla propria etnia.
Ma in questo clima di liberà senza precedenti, in cui è possibile parlare di terra-piatta, di scie chimiche e di cospirazioni globali per la sostituzione etnica dell’Europa, senza però dare una concreta spiegazione delle ragioni per cui ci sarebbero queste cospirazioni, in questo clima in cui ognuno può esprimere la propria opinione, come è giusto che sia, la sete di liberà di un popolo comincia a crescere, cresce sempre di più, ed è una sete che non può essere arrestata. Con l’aumento della sete di libertà si rivendicano diritti biechi e incompatibili con quelli già riconosciuti, si rivendica il diritto al razzismo, si rivendica il diritto alla violenza, si rivendica il diritto alla libertà di parola per insultare e minacciare chi la pensa diversamente condannando il libero pensiero che per assurdo viene indicato come pensiero unico e si rivendica il pensiero unico, forzando chi la pensa diversamente a rinunciare alla propria libertà di pensiero e di espressione per sottomettersi ad un reale pensiero unico.
In questo clima di libertà senza precedenti, un giornalista che critica il governo, le decisioni e dichiarazioni di un ministro, viene querelato e minacciato dal suddetto ministro, un ministro che, come scriveva Platone qualche millennio fa, è un coppiere pronto a riempire il calice dei propri clienti, versandogli apparentemente in maniera gratuita, tutto il vino che desidera fino ad ubriacarlo e alla fine si ritrova ad avere una locanda piena di gente ubriaca che si lascia andare a pensieri e riflessioni deliranti e irrazionali, tra un conato di vomito ed una scoreggia.
In questo clima di ubriachezza, voluta dal coppiere, il coppiere diventa un benefattore, e chi invece proverà a dirgli “smettila di bere”, si trasformerà in un nemico, qualcuno che non vuole di troppo severo e ligio al dovere che vuole limitare la nostra libertà di bere e ubriacarci.
Il bevitore però non sa che alla fine lui o i suoi figli dovranno comunque pagare il conto e sarà un conto estremamente salato, fino a quel momento lui continuerà a bere ed abbuffarsi, nel solo interesse del coppiere e del proprietario della taverna/locanda. Una locanda che alla fine sarà sporca di vomito e puzzerà da far schifo, una locanda in cui magari ci sarà anche qualche rissa, qualcuna finirà presto, qualcun’altra finirà male, e l’amico, io genitore, il figlio che proverà a far smettere qualcuno di bere, probabilmente tornerà a casa con un occhio nero.

In questo clima di estrema libertà dovremmo avere al capo dei governi non dei coppieri, ma dei genitori che contro la nostra volontà ci facciano smettere di bere, per non vederci stare male, e in questa immagine il popolo appare come un figlio giovane e assetato di libertà e di vino, un giovane che non sempre riuscirà a comprendere le decisioni dei propri genitori, non subito almeno, e finché avrà chi gli versa da bere, preferirà comunque bere e allora, come scriveva Platone, “il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi (vedi reddito di cittadinanza – M5S), e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani (vedi reddito di inclusione – PD).

In questo clima di libertà senza precedenti, ancora una volta come scriveva Platone “nel nome della medesima libertà, non vi è più riguardo per nessuno” e “In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia”.

Sono passati più di duemila anni da quanto Platone ha scritto queste parole, sono passati più di duemila anni da quando queste riflessioni descrivevano la decadenza dell’antica e gloriosa civiltà ateniese che di lì a qualche anno sarebbe sprofondata inglobata, insieme a tutta la Grecia, nell’impero di Alessandro Magno prima e in quello romano poi.

Mi auguro che nella nostra epoca gli Italiani siano più razionali e responsabili degli antichi ateniesi, mi auguro che ci sia un risveglio delle coscienze degli italiani e che questi smettano di bere prima che sia troppo tardi, mi auguro che gli italiani ritornino presto a pensare con lucidità e buon senso e mi auguro che questo risveglio delle coscienze avvenga prima che la pianta della tirannia possa radicarsi troppo nel profondo nella nostra civiltà e dare i propri nocivi frutti che se mangiati avveleneranno definitivamente i cuori degli italiani, condannandoli nuovamente ad un terribile oblio che metterà a ferro e fuoco la nostra civiltà.

Aboliremo le domeniche gratis al museo, un danno alla cultura e all’economia nazionale.

Il Ministro della Cultura Alberto Bonisoli ha recentemente annunciato che, dopo l’estate, è sua intenzione abolire le domeniche gratuite ai musei, dichiarando che è stata un ottima trovata promozionale ma che se prolungata porterebbe in una direzione che non piace a nessuno.

Non so di preciso a chi si riferisca dicendo che questa direzione “non piace a nessuno”, sicuramente non si riferisce ai turisti (italiani e non) che approfittando dell’ingresso gratuito hanno avuto modo di visitare musei che altrimenti, molto probabilmente, non avrebbero visitato, preferendo fare altro, sicuramente non si riferisce ai direttori dei suddetti musei, che in quelle giornate vedono il numero di ingressi al museo decuplicarsi (per non dire centuplicarsi) rispetto ad altre domeniche in cui, banalmente, il biglietto si paga, sicuramente non si riferisce neanche ai commercianti delle città d’arte, o che comunque ospitano musei, che, proprio grazie alle giornate gratuite al museo, vedono un afflusso di turisti maggiore rispetto ad altre domeniche dell’anno, e più turisti significa più souvenir venduti, ma anche più caffè, patatine, bibite, gelati ecc ecc ecc.

La domenica gratuita al museo, e precisiamo che le domeniche gratuite al museo sono soltanto dodici in tutto l’anno, ovvero la prima domenica di ogni mese, sono una delle tante politiche di promozione del patrimonio storico, artistico e culturale di un paese, come l’italia, estremamente ricco di storia e di arte, ed è un patrimonio sommerso/nascosto, poiché molti italiani sono restii a “pagare” per vedere “del vecchiume” (parlando di parchi archeologici) o statue e dipinti che possono vedere “gratuitamente” su internet, ed il compito del Ministro della Cultura, il motivo per cui esiste il ministero della cultura, è quello di valorizzare e promuovere il nostro patrimonio storico e artistico.

Apro una parentesi, l’Italia è il paese al mondo con il maggior numero di siti classificati come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, ne ospita ben 54, dopo l’Italia, con 53 siti classificati come patrimonio dell’Umanità c’è la Cina, e se facciamo un leggero sforzo di memoria e confrontiamo le dimensioni dell’italia con quelle della cina, possiamo renderci conto dell’enorme divario esistente tra i due paesi. Solo per completezza, Italia e Cina sono gli unici paesi al mondo ad avere più di 50 siti patrimonio dell’umanità. Chiusa la parentesi.

Torniamo alla questione delle domeniche gratuite e del loro valore. Queste giornate è indubbio che costino ai musei, perché quell’afflusso di turisti non paganti si traduce in mancate entrate derivate dalla vendita dei biglietti, tuttavia, va considerato che nelle domeniche in cui il biglietto si paga, l’afflusso di turisti è nettamente inferiore. Possiamo dire, con una leggera esagerazione, ma senza timore, che, in sole 12 domeniche all’anno, i musei italiani registrano più ingressi rispetto a tutto il resto dell’anno, e come dicevamo, questi ingressi se da un lato sono gratuiti e quindi non vi è un ritorno economico da parte dei musei per la vendita dei biglietti, è anche vero che, proprio come gli ingressi, anche la vendita di souvenir è nettamente superiore rispetto al resto dell’anno, compensando in un certo senso alle mancate entrate derivate dai biglietti. Diciamo pure che, in una domenica gratuita, le entrate del museo, derivate dalla vendita dei souvenir, superano abbondantemente le entrate del museo, derivate dalla vendita di biglietti, in una qualsiasi altra giornata.

Voler abolire questa importane iniziativa volta alla valorizzazione e alla promozione del nostro patrimonio culturale, per recuperare qualche spicciolo dalla vendita di qualche centinaio di biglietti in più.

Va detto che le domeniche gratuite al museo non sono tutte rose e fiori, l’enorme afflusso di turisti, non particolarmente interessati alle meraviglie offerte dal museo, che si ritrovano lì, solo perché non si pagava il biglietto, si traduce molto spesso in disagio per chi invece quei musei li avrebbe visitati anche a pagamento, non sono poche le lamentele di operatori e turisti per via del caos, delle persone disorientate, dei turisti maleducati ecc, ed il motivo di tutto ciò è che molti turisti (italiani e non) non sono abituati a frequentare musei, non sono abituati ad apprezzare l’arte e la storia in luoghi che le raccolgono e le conservano per futura memoria, e il problema vero, per quanto mi riguarda, non è l’ingresso gratuito, ma la mancanza di una buona educazione artistica e culturale di molti turisti, e molto spesso, il pagamento del biglietto rappresenta una barriera volta a selezionare gli utenti in ingresso.

Diciamo pure che, nelle giornate in cui si paga il biglietto, nei musei entra solo chi è realmente e fortemente interessato a visitare quel museo, nelle giornate in cui l’ingresso è gratuito entrano letteralmente cani e porci, ma questo è un problema statistico, è inevitabile che portando al museo chi non è realmente interessato al museo, possa esserci qualcuno di maleducato. Certamente il pagamento del biglietto generalmente va a scremare l’utenza, paga chi è realmente interessato e resta fuori chi non ha interesse, in questo senso però il problema non è l’ingresso gratuito ma la maleducazione e l’ignoranza delle persone, e la mancanza di una cultura, l’incapacità di molti di apprezzare l’arte, la storia e la cultura racchiuse in un museo.

Ed è per questo che reputo importantissime queste giornate, perché è vero, l’ho già detto mille volte e lo ripeto ancora, in quei giorni nei musei ci entrano cani e porci, ma il fatto che quelle persone non siano in grado di apprezzare l’arte e la storia contenuta nei musei, per innumerevoli ragioni, non deve significare “escluderli” dalla cultura, ma anzi, per me i musei devono avvicinare il più possibile alla cultura, anche e soprattutto chi non è in grado di apprezzarla.

Magari al frequentatore abituale il turista occasionale e rumoroso da fastidio, magari al frequentatore abituale da anche fastidioso vedere il visitatore occasionale farsi un selfie con una scultura o di fronte ad un dipinto, ma, visitatori abituali e schizzinosi a parte, stiamo perdendo di vista l’obbiettivo dell’iniziativa, che è proprio quella di portare al Museo chi normalmente non ci andrebbe, e se questo qualcuno è maleducato allora va educato, non va allontanato dal museo, perché il patrimonio artistico e storico dei musei non può essere qualcosa di “elitario” (come nei musei vaticani), ma deve essere accessibile a chiunque, ed è importante invogliare a frequentare i musei anche chi non è ancora in grado di apprezzarli a pieno.

I musei devono essere aperti a tutti e se una volta al mese nel museo entra qualcuno che non è ancora in grado di apprezzarne il valore, beh, io guardo il lato positivo e spero che, iniziando a frequentare i musei (quando c’è l’ingresso gratuito) col tempo queste persone possano iniziare ad apprezzare sempre di più il loro contenuto e chissà, magari in futuro diventeranno frequentatori abituali che magari pagheranno anche il biglietto.

Piccola nota personale, conosco di persona alcune persone che per anni non sono mai state in nessun museo, era di quella gente che “ma figurati se pago per vedere un po’ di vecchiume”, ma da qualche anno, da quanto sono state introdotte le domeniche gratuite, quasi ogni domenica vanno al museo con la famiglia, hanno iniziato appunto con le domeniche gratuite la prima domenica del mese ed ora invece, non si fanno problemi a pagare il biglietto, incentivati dai loro figli, che da piccoli sono stati abituati a frequentare i musei e col tempo anche i genitori hanno iniziato ad apprezzarne il valore. Oggi sono visitatori modello, non si fanno più selfie con le statue, ma restano per ore ad ammirarle.

Ci tengo a sottolineare che sono totalmente d’accordo con chi dice di voler ripensare questo strumento, personalmente preferisco iniziative come quelle del biglietto simbolico ad 1€ piuttosto che l’ingresso totalmente gratuito, ma allo stesso tempo sono totalmente contrario alla cancellazione di questo strumento che per me è importantissimo, lo reputo importantissimo per il futuro dell’italia e per gli italiani, non pubblicherei contenuti di carattere storico/artistico/culturale gratuitamente su questo sito, sulla pagina facebook e sul canale youtube di Historicaleye se non credessi con tutto me stesso che la cultura deve essere portata soprattutto dove non c’è.

Purtroppo viviamo in un paese dove l’ignoranza è dilagante e in un epoca in cui l’ignoranza sembra essere diventata un valore e la cultura qualcosa di cui vergognarsi, ed è per questo che reputo vitale ogni iniziativa che punti a portare un po’ di cultura alle masse.

Concludo dicendo che, l’ingresso gratuito la prima domenica del mese, non è uno strumento perfetto, ha molte, moltissime criticità, forse troppe rispetto a quelli che sono i vantaggi effettivamente offerti da questa iniziativa, ma se questa iniziativa, in questi anni è riuscita a “convertite” anche un solo visitatore occasionale, trasmettendogli l’amore per l’arte, la storia e la cultura, rendendolo non dico un frequentatore abituale, ma semplicemente un visitatore che non reputa più i musei come un ammasso di vecchiume, convincendoli magari a tornare al museo, non dico tutte le settimane, ma una volta ogni tanto, magari anche qualche domenica in cui il biglietto si paga, allora per me l’iniziativa ha avuto successo, e deve essere potenziata e migliorata, non cancellata.

Il compito dei Musei è quello di preservare, valorizzare e promuovere il patrimonio artistico, non rinchiuderlo in un sottoscala.

Mi auguro che il Ministro della cultura si ricordi che il suo compito è quello di dare risalto al patrimonio culturale dell’Italia e se proprio è contrario a questa iniziativa se proprio è deciso a rimuovere le domeniche gratuite allora mi auguro fortemente che abbia già in mente delle iniziative migliori, per portare gli italiani al museo ed insegnare loro a rispettare la storia, la cultura e l’arte.

 

Il vero valore del denaro

Perché i governi devono guardare anche ai mercati finanziari e non possono vendere le riserve auree di un paese

Chi dice che siamo sotto attacco dalla finanza, evidentemente non sa che i soldi non crescono sugli alberi e che il loro valore è determinato dai mercati finanziari e l’andamento dei mercati risponde al principio di domanda ed offerta che a sua volta risponde alle esigenze dei consumatori, e indovinate un po, i consumatori siamo noi, significa che il mercato siamo noi.

Ancora una volta un introduzione provocatoria per inquadrare storicamente un tema molto delicato e di grande rilievo, prima di cominciare con l’articolo ci tango a sottolineare che non sono un economista, ne uno storico dell’economia, ma tra i testi che ho consultato, prima di scrivere questo articolo, ci sono numerosi volumi di storia dell’economia, alcuni dei quali particolarmente critici in merito all’attuale sistema economico, in particolare Finanzcapitalismo, la civiltà del denaro in crisi di Luciano Gallino, testo che spiega in maniera molto accurata e meticolosa come la finanza, questo concetto astratto, attraverso i mercati, altro concetto astratto, riesca a creare la ricchezze che da valore al denaro che noi tutti utilizziamo quotidianamente.

  • Perché nella formazione di un governo è necessario valutare anche la reazione dei mercati?
  • Cosa sono i mercati e perché hanno un ruolo così importante nella nostra società da influenzare le decisioni politiche dello stato? 
  • Perché, per non indispettire i mercati, non possiamo fare quello che vogliamo?

Rispondere a queste domande in maniera netta, semplice e immediata, non è facile, il discorso da fare sarebbe davvero immenso, ma questo è un articolo divulgativo di carattere storico, non un saggio accademico di un economista, quindi fingerò di non sapere che il discorso da fare è molto complesso e cercherò di essere il più chiaro possibile.

Il titolo di questo articolo è formato da due frasi che apparentemente si escludono a vicenda “il mercato non esiste” e “il mercato siamo noi” ma che cos’è il mercato? è vero che non esiste? e se non esiste come facciamo noi ad essere il mercato?

In questo dato momento storico il mercato, nella sua accezione più ampia, è un insieme di operatori “finanziari” quali possono essere speculatori, banche, governi, assicurazioni, fondi monetari, fondi speculativi, ma anche semplici risparmiatori, e tutti questi “operatori” intrattengono quotidianamente scambi commerciali, economici e finanziari, di diversa intensità. Se bene infatti apparentemente acquistare un litro di latte al supermercato possa sembrare profondamente diverso dall’acquistare titoli di stato, il meccanismo di base è lo stesso ed entrambe le operazioni contribuiscono a dare valore al denaro che si sta utilizzando, usare del denaro per comprare un litro di latte contribuisce a dare valore alla banconota che si sta utilizzando, banconota che in realtà è priva di qualsiasi valore reale. Per fare un esempio, un grammo di oro vale circa 36 euro, ma le banconote che si utilizzano acquistare quell’oro, hanno un valore materiale di pochi centesimi, e pure quei fogli di carta senza alcun valore, ci permettono di acquistare dell’oro, un metallo prezioso che ha un proprio valore.

In realtà, nulla ha un valore, siamo noi esseri umani che abbiamo attribuito agli oggetti un valore e il denaro è diventato, nel tempo, l’unità di misura per stabilire quel valore, uno strumento di equivalenza che ci permette di intrattenere scambi commerciali, senza dover ricorrere al baratto e di fatto, il sistema economico basato sul denaro, ha permesso di superare, in un certo senso il baratto, creando una corrispondenza di valore tra beni che avevano un proprio valore intrinseco facilmente riconoscibile, e altri beni che apparentemente non avevano alcun valore.

Nel mondo antico era facile determinare il valore di una mucca, di una pecora o di un pollo, come era facile determinare il valore di un una caraffa di vino o di un anfora d’olio o di una cassa di cereali, ma intrattenere scambi commerciali scambiando questi beni poteva essere problematico, vi immaginate un mercante che ca al mercato con sei pecore perché vuole acquistare due mucche convenzionalmente per una mucca servono tre pecore? è abbastanza scomodo, ma trasponiamo l’esempio ai nostri giorni, vi immaginate di andare in un centro commerciale a comprare l’ultimo modello di iPhone, con al seguito 12 maiali vivi?

Al di la dell’immagine surreale e al limite del paradossale di un uomo che scambia 12 maiali per un iphone, capiamo subito che, il commercio basato sul baratto è molto limitato, prendiamo ad esempio un apple store, se questo riesce a vendere 10 iPhone si ritrova ad avere il negozio invaso da 120 maiali, che, oltre ad essere molto ingombranti e difficili da gestire, rappresentano anche un enorme problema logistico nella catena aziendale, perché magari, 100 di quei maiali dovrebbe mandarli alla apple, a Cupertino, e voi riuscite ad immaginare la Silicon Valley invasa da centinaia, migliaia di maiali? e soprattutto riuscite a trovare una ragione, valida, che possa spingere la Apple a produrre iPhone per ricevere maiali in cambio, in questa immagine surreale i dipendenti della Apple verrebbero pagati in maiali che potrebbero scambiare con magari del grano o del pesce o per altre cose, e … non è forse più semplice, usare per gli scambi commerciali, qualcosa di più piccolo, compatto, più facile da trasportare di un maiale?

Nel mondo antico, intorno all’VIII secolo avanti cristo qualcuno intuì il potere dei metalli rari, in particolare oro, argento ed elettro, una lega di oro ed argento con un valore intermedio tra i due metalli. Una piccola curiosità sull’argento, inizialmente il suo valore era superiore a quello dell’oro perché più raro, in seguito però si trovarono, grazie alla fusione, nuovi metodi che permettevano l’estrazione di argento ribaltando così il rapporto di “cambio” tra oro ed argento. Comunque, tornando al denaro, inizialmente si iniziò ad utilizzare questi metalli preziosi, il cui valore variava in base al prezzo, per effettuare scambi commerciali e per semplificare le transazioni, si cercò di creare dei “campioni” di metallo prezioso con un peso standardizzato, circa 10/15 grammi per ogni unità, e questi dischi di oro, argento, elettro, ma anche bronzo, rame, ferro, alluminio e stagno, permisero non solo di semplificare gli scambi commerciali, ma anche di ampliare gli scambi commerciali e questo perché era più semplice accumulare “ricchezza” accumulando metalli preziosi, piuttosto che acquisendo sempre più maiali di cui, dopo un po, non si sapeva cosa farci.

L’invenzione, l’introduzione del denaro è, nel mondo antico, un introduzione estremamente significativa, seconda soltanto alla scoperta del fuoco e forse della ruota, e il suo utilizzo avrebbe determinato la nascita di numerosi lavori che non davano accesso a risorse specifiche. Questa introduzione avrebbe segnato in maniera estremamente significativa l’evoluzione della società umana, e nella sua forma primordiale, in cui la moneta è un oggetto di valore, il cui valore è determinato dal metallo prezioso di cui si compone, totalmente o in parte, avrebbe accompagnato l’economia in tutto il mondo antico e in buona parte del medioevo.

Nel mondo antico, in particolare a Roma, vengono introdotte diverse monete, il cui valore era determinato dalla percentuale di metallo prezioso utilizzato durante il conio, e questa percentuale era identificabile dalla dimensione della moneta. Ogni moneta aveva una propria dimensione e incisioni identificative che permettevano di determinare con un rapido colpo d’occhio la percentuale di metallo prezioso utilizzato e dunque il valore della moneta.

Questo sistema economico sopravvive almeno fino al XII-XIII secolo quando, alcune grandi famiglie di mercanti in europa, e più precisamente in italia, reintrodussero le lettere di cambio, si tratta fondamentalmente di fogli di carta, privi di qualsiasi valore reale, che, una volta firmati e siglati dalle “banche” permettevano la conversione di quel foglio di carta in denaro, in moneta, in metalli preziosi.

Già in epoca romana alcuni prestatori di soldi facevano qualcosa di simile, ma in età medievale l’attività crebbe enormemente e mutò notevolmente rispetto all’età romana.

Questo tipo di servizi era possibile perché le banche, ovvero le grandi famiglie mercantili, garantivano una copertura. Per fare un esempio, un commerciante poteva recarsi al banco del mercante, dare a questi tutto il proprio denaro che veniva registrato e in cambio ricevere una lettera di cambio che, in qualsiasi banco appartenente a quella data famiglia, poteva essere riconvertito in monete, facendo in questo modo al commerciante, un enorme favore, poiché questi non era costretto ad andare in giro tra le città d’europa, portandosi dietro interi bauli pieni d’oro, cosa che, oltre ad essere scomoda, per ovvie ragioni era anche pericolosa.

Ma i banchieri, i mercanti non erano certo dei benefattori e da queste operazioni traevano anch’essi un guadagno, e il loro guadagno stava nel disporre di grandi quantità di denaro che potevano investire per accrescere le proprie ricchezze e ovviamente, più clienti aveva un banco, più oro gestiva e più guadagnava. Sul finire del medioevo le famiglie di mercanti/banchieri aumentano e diventano estremamente ricche e potenti e nel farsi la guerra tra di loro, e visto che molti erano restii ad affidarsi ad una banca perché vi era il rischio che queste banche investissero male il denaro e di conseguenza perdessero il denaro dei propri clienti, i banchieri iniziarono a creare ricchezza per i propri clienti, versare a questi dei piccoli interessi, derivati dagli investimenti.

Questo tipo di attività commerciali avrebbe caratterizzato gli ultimi secoli del medioevo, l’intera età moderna e una primissima parte dell’età contemporanea, rendendo le banche un sistema centrale nella gestione e nell’amministrazione della ricchezza. Col tempo le lettere di cambio divennero sempre più sofisticate e complesse, sempre più difficili da produrre e di conseguenza da falsificare, vennero così create delle lettere di cambio, o meglio, qualcosa di molto simile alla lettera di cambio, a cui era assegnato un valore fisso e di piccola intensità, chiamato carta moneta, fondamentalmente dei fogli di carta in filigrana, la cui copertura era garantita dalla banca che le aveva emesse, queste banche erano molto vicine alle case reali, ai governi e divennero fondamentalmente le banche centrali, ottenendo in breve il monopolio sulla produzione di carta moneta all’interno dei singoli stati e la loro nascita generalmente nel XIX secolo segna l’inizio dell’economia contemporanea.

Il sistema economico contemporaneo si fonda prevalentemente sulla banconota, evoluzione della carta moneta, una moneta cartacea che rappresentava un equivalente valore, quantitativo di metallo prezioso, custodito generalmente negli inaccessibili” caveau delle banche centrali.

All’inizio della storia dell’età contemporanea, il valore della banconota era derivato esclusivamente dalla possibilità di coprire quel valore con le riserve auree di uno stato, tuttavia era lo stato stesso a controllare che si rispettasse questa copertura e non sono pochi i casi in cui, si stampò moneta per un valore superiore a quanto oro vi fosse nelle casse dello stato.

Questi comportamenti sleali e scorretti rischiavano di far crollare il sistema economico e bancario e riportare l’economia al baratto, ma nel XIX secolo, non era più possibile tornare al baratto anche perché esistevano ormai troppe professioni che non potevano essere remunerate con il baratto. Si cercò di creare quindi dei sistemi di controllo basati inizialmente su alcuni cambi fissi, come quello della sterlina, all’epoca la banconota più diffusa al mondo e il cui valore era mantenuto alto dalla limitata disponibilità di sterlina distribuita, questo sistema tuttavia entrò in crisi in diverse occasioni e ci si rese conto che, all’aumentare della ricchezza generale del pianeta, ovvero della quantità di merci e prodotti che circolavano sul pianeta, tra una nazione e l’altra, quel sistema di conversione aurea era destinato a fallire, si cercò quindi una soluzione alternativa e si arrivò, con non poche difficoltà, alla determinazione del valore della moneta in funzione delle attività economiche della nazione che la produceva, insomma, le riserve auree passarono dall’essere il principale elemento per determinare il valore della moneta ad uno dei tanti fattori secondari che ne determinavano il valore, e l’elemento principale divenne, nel tempo, il bilancio e il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo della nazione, detto più semplicemente, l’elemento principale per determinare il valore di una moneta divenne il rapporto tra i soldi che lo stato spendeva e quelli che rientravano attraverso la tassazione e la domanda di moneta, più una moneta era richiesta, più una moneta “rara” più il suo valore era elevato.

Questo significa che, nel mondo contemporaneo, più il valore di una moneta è alto, meno moneta servirà per poter acquistare qualcosa e anzi, in casi di valore molto elevato, servirà, per acquistare un bene, una frazione di quella moneta. Al contrario, se il valore di una moneta è basso, se una moneta è debole, allora servirà tanta moneta per acquistare qualcosa, un esempio in questo di moneta forte e moneta debole può essere fatto con un rapporto tra Euro e Yen Giapponese, in questo momento, per acquistare un’euro, servono circa 126,884381 Yen, e al contrario, per acquistare uno Yen servono 0,0079 euro.

Come possiamo vedere, il valore unitario dello yen è bassissimo in rapporto all’euro la cui storia va detto essere molto più breve di quella dello yen, visto che l’euro ha poco più di vent’anni.

Fatto questo lungo discorso, fatta questa lunga premessa, torniamo alle domande poste all’inizio dell’articolo, e cerchiamo di dare loro una risposta breve e semplice.

Perché nella formazione di un governo è necessario valutare anche la reazione dei mercati?

Perché i mercati determinano il valore della moneta e questa rappresenta il potere d’acquisto del popolo che abita una nazione, perché non avendo il denaro un reale valore, questo deriva dal bilancio dello stato e dalla richiesta sui mercati di banconote di una data nazione e dei titoli di stato emessi da quella nazione, di conseguenza, una politica economica nazionale che non tiene in considerazione i mercati, in una nazione la cui economia è basata sul denaro, può avere l’effetto drammatico di portare ad un crollo del valore della moneta, e una svalutazione rapida di una moneta significa automaticamente la distruzione totale dell’economia del paese perché senza denaro le persone non possono acquistare beni, neanche quelli di prima necessità, e l’economia nazionale retrocede a forme primitive che, in un contesto contemporaneo, sono inattuabili, ricordate l’esempio dei maiali e dell’iPhone fatto all’inizio?

Cosa sono i mercati e perché hanno un ruolo così importante nella nostra società tale da influenzare le decisioni politiche dello stato?

Perché il mercato siamo noi, siamo noi che acquistiamo, produciamo e consumiamo, senza il mercato non ci sono scambi commerciali, non c’è cibo, e senza cibo le persone muoiono.

Perché, per non indispettire i mercati, non possiamo fare quello che vogliamo?

Perché in realtà i mercati non esistono, il loro andamento è determinato, tra le altre cose, dagli interessi economici delle persone oltre che dagli operatori finanziari. In un sistema economico stabile i beni di prima necessità hanno un valore basso e sono accessibili a chiunque e noi siamo liberi di imprecare contro i mercati, ma in assenza di scambi commerciali, di attività commerciali e finanziarie, allora il costo del pane sale alle stelle e se un tozzo di pane stantio costa più di un iPhone di ultima generazione evidentemente qualcosa è andato storto.

Mattarella ha fatto il suo dovere, Salvini e Di Maio hanno pisciato sulla costituzione

Sergio Mattarella ha fatto il proprio dovere di Presidente della Repubblica, nel rispetto e nei limiti della costituzione italiana, quanto a Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Giorgia Meloni, per dirla con una metafora, molto pittoresca, hanno pisciato sulla costituzione e cagato nei corridoi del quirinale per poi puntare il dito contro Mattarella, dicendo che era già sporco di merda quando sono arrivati.

Fatta questa premessa molto forte e di impatto che ha il solo scopo di far incazzare la maggior parte dei lettori, torniamo razionali, torniamo seri e cerchiamo di contestualizzare storicamente quello che è successo negli ultimi giorni.

Stavo ragionando in merito ai più recenti avvenimenti della politica italiana quando mi si è accesa una lampadina poco incoraggiante e un pensiero trasversale mi ha portato ad associare la rinuncia di Giuseppe Conte all’abbandono della delegazione italiana alla conferenza di londra del 1920, la conferenza in cui avvenne la ripartizione tra le potenze vincitrici della prima guerra mondiale, dei possedimenti coloniali ed alcune aree territoriali delle potenze sconfitte.

In quell’occasione la delegazione Italiana chiedeva a gran voce il riconoscimento del proprio successo bellico e della concessione di alcuni territori fino a quel momento posti sotto il controllo dell’ex impero austro-ungarico, tuttavia, trovando inascoltate le proprie richieste, decise di utilizzare come strumento di pressione, la famosa politica della sedia vuota, abbandonando la conferenza nel tentativo di rafforzare la propria posizione.

Come è noto questa strategia si tradusse in un fallimento politico internazionale per l’italia che, invece di ottenere ciò che richiedeva, si ritrovò esclusa dalla ripartizione territoriale, segnando così l’inizio del moto politico della vittoria mutilata di cui il partito nazionale fascista sarebbe diventato un portavoce privilegiato e grazie al quale avrebbe rafforzato e consolidato sempre di più la propria posizione politica fino ad ottenere un sempre maggiore consenso popolare che si sarebbe tradotto, in pochi anni, nella dittatura fascista.

Ma perché la “fuga” di Conte mi ha ricordato la conferenza di Londra?

Fondamentalmente perché la rinuncia di conte è stata dettata, con molte probabilità, da una precisa strategia politica dettata da Matteo Salvini e Luigi di Maio, il cui intento potrebbe essere quello di rafforzare la propria posizione politica nel paese ed accrescere i propri consensi utilizzando una vecchia ricetta, risalente ai tempi di Giulio Cesare, sempre molto efficace per ottenere il consenso delle masse popolari.

Come già Benedetto Croce osservò agli inizi del novecento, commentando il collasso della destra storica che portò al potere la sinistra permettendo in seguito la nascita del fenomeno del trasformismo, osservò che questi, il trasformismo, era stato possibile proprio grazie al tracollo della destra che aveva portato al successo la sinistra cavalcando l’onda del dissenso, costruendo una forte campagna di opposizione alle leadership politiche preesistenti, alla troppo rigida politica fiscale imposta dalla destra per sanare il debito italiano. Croce osserva che è molto facile ottenere consensi cavalcando il dissenso, e sulla stessa linea sarebbe stata, qualche decennio più tardi, anche Hannah Arendt, con il suo Le origini del Totalitarismo, opera in cui avrebbe individuato quella che in qualche modo possiamo identificare come la ricetta perfetta per raggiungere il potere grazie all’appoggio delle masse popolari e nello specifico per la creazione di un “regime totalitario“.

Sia Depretis che i regimi totalitari descritti dalla Arendt riescono a conquistare il potere proprio cavalcando il dissenso popolare, il malcontento, facendo proprie alcune tematiche sociali in qualche modo dimenticate o mal comunicate dall’altra parte, ed individuando un nemico esterno contro cui convogliare le proprie energie. Utilizzare una minaccia esterna alla nazione, alla repubblica, per ottenere vantaggi, è sempre stato un elemento vincente, basti guardare alla nascita dell’impero galattico nella saga cinematografica di Star Wars, o se vogliamo restare con i piedi piantati nella storia reale, alla nascita del Terzo Reich, alla nascita dell’Unione Sovietica, alla nascita del primo e del secondo impero francese, alla dittatura di Oliver Cromwell ecc ecc ecc fino ad arrivare alla nascita dell’impero romano e l’impero ateniense di Pericle.

In tutti questi casi l’ordinamento repubblicano è venuto a mancare, portando al conferimento di poteri speciali ai capi politici, trasformando de facto quei sistemi politici “repubblicani” in sistemi totalitari, dal sapore monarchico, senza però assumere ufficialmente il titolo di “monarchia”, Pericle divenne “primo cittadino Ateniense“, Cesare venne proclamato dittatore a vita, Ottaviano scelse il “titolo” di Augusto, Cromwell divenne Lord Protettore, Napoleone fu proclamato Primo console (e poi imperatore), come anche Napoleone III e il cancelliere Palpatine in Star Wars, Lienin prima e Stalini poi, avevano assunto per loro le principali cariche dell’URSS ed Hitler divenne Führer, un titolo costruito ad hoc, che formalmente significava capo assoluto dello stato.

Le loro esperienze politiche e militari, sono molto diverse, e pure, presentano numerosi elementi di congiunzione, tutti loro riuscirono a trasformare l’ordinamento repubblicano, assumendo poteri straordinari a tempo indeterminato, e in tutti i casi sopracitati, questa assunzione di poteri straordinari fu determinata dalla necessità e dalla volontà popolare, di contrastare una minaccia politica/economica/militare interna o esterna, che rischiava di distruggere la pace e il benessere della repubblica. In tutti questi casi la repubblica aveva attraversato un periodo più o meno lungo di crisi istituzionale, che aveva portato ad una perdita di fiducia nelle istituzioni tradizionali.

Nel caso di Pericle, Atene era stata impegnata nelle guerre del Peloponneso, la Roma di Cesare e di Ottaviano aveva conosciuto quasi un secolo di guerra civile, con Cromwell, il regno unito aveva appena iniziato a muovere i primi passi in un sistema repubblicano, la francia di Napoleone Bonaparte e di Napoleone III aveva appena attraversato una forte e dolorosa ondata rivoluzionaria, la Russia di Lienin aveva conosciuto la rivoluzione, la caduta degli Zar e la prima guerra mondiale, e la Germania di Hitler veniva dalla sconfitta nella prima guerra mondiale e dalla fallimentare esperienza della repubblica di Weimar, l’Impero galattico, aveva conosciuto una profonda crisi finanziaria ed una colossale guerra civile durata più di vent’anni e in fine, ma non meno importante, anche se non costituì l’avvento di una dittatura, il successo elettorale di Agostino Depretis nel 1876, venne dopo quindici anni di politiche economiche e sociali che non erano riuscite a sanare la frattura sociale tra l’italia meridionale e l’italia settentrionale, e in cui, si era prodotto un progressivo inasprimento delle politiche economiche giunto al proprio culmine con la creazione di tasse altamente impopolari, come la tassa sul macinato, il tutto, agli albori della storia unitaria del neonato regno d’italia che, nel 1876 esisteva ufficialmente da soli quindici anni.

Potrei andare avanti all’infinito, di esempi ne abbiamo ancora a migliaia, ma direi che possiamo anche fermarci qui, quelli elencati ci forniscono un immagine molto nitida di questa particolare meccanica politica che, a tutti gli effetti possiamo identificare come una dinamica storica.

Non vi è miglior modo per compattare la propria base elettorale per produrre la nascita di una nazione se non quello di individuare un nemico esterno con il quale non è possibile identificarsi e a cui attribuire la responsabilità di ogni male e disfunzione della nostra società e questo lo sanno anche i bambini.

Intorno all’anno 1096 l’europa era fortemente frantuma, il potere ecclesiastico e quello imperiale erano in forte competizione, l’europa viveva a pieno le lotte per le investiture e in quel momento storico, fu adottata, ancora una volta questa ricetta, il nemico dell’europa, nello scontro tra Papato ed Impero, fu individuato nel mondo islamico, nel controllo della terra santa e fu indetta la prima crociata che, tra le mille ragioni economiche e politiche possiamo certamente indicare la necessità di spostare l’attenzione su un nemico esterno per rafforzare la politica interna.

Ci tengo a sottolineare che, non tutti gli esempi che ho citato produssero un effettivo regime totalitario e in alcuni casi ciò che venne a crearsi fu un sistema istituzionale “positivo” e magari anche democratico, basti pensare all’Atene di Pericle o all’Italia di Depretis. Ciò accomuna tutti gli esempi sopracitati (e anche quelli che non ho citato perché sarebbero troppi da citare tutti) non è la natura totalitaria del sistema politico che venne a crearsi, non sto riscrivendo le origini del totalitarismo, non sono certo Hannah Arendt, ciò che li accomuna è che è al centro di questo articolo, fu la strategia politica, comunicativa, espressiva, che venne utilizzata per il raggiungimento del potere ed è una strategia che possiamo individuare nell’attuale politica italiana di Lega e Movimento 5 Stelle.

A scanso di equivoci, con questo articolo non voglio insinuare in alcun modo che Lega e Movimento puntino a creare un regime totalitario in italia, ciò che mi interessa fare con questo articolo è  analizzare e contestualizzare storicamente la strategia politica utilizzata dalle due forze politiche che hanno monopolizzato il terreno del dissenso generale.

Come abbiamo visto fino ad ora, la linea politica scelta dai due partiti non è certo un invenzione del ventunesimo secolo, non è certo il frutto del meticoloso lavoro di un brillante e innovativo stratega politico, la strategia utilizzata è una strategia vecchia, antica, quasi ammuffita se non fosse che è una strategia efficace, funziona oggi come funzionava il secolo scorso e come funzionava duemila anni fa.

Matteo Salvini e Luigi di Maio non sono altro che dei novelli Marco Antonio e Ottaviano, durante il secondo triumvirato, accomunati da un senso di rivalsa e di vendetta nei confronti dei cesaricidi, presentati al popolo romano come cospiratori che avevano attentato alle istituzioni repubblicane e ottenendo l’appoggio delle istituzioni repubblicane e del popolo romano per sconfiggere questo nemico comune.

Marco Antonio ed Ottaviano costruirono la propria campagna politica puntando sulla guerra contro i cesaricidi facendo passare l’idea che l’assassinio di cesare fosse un attentato alla repubblica e che i cesaricidi fossero dei criminali, perché in effetti Cesare ricopriva quella posizione di dittatore a vita in maniera legittima e godeva di un enorme consenso popolare, de facto assassinare cesare e soprattutto assassinare il leader supremo Cesare fu effettivamente un attacco “terroristico” ai danni della repubblica. Va però ricordato che il primo ad attentare alla repubblica fu proprio Cesare che aveva assunto per se poteri politici illimitati, e li aveva ottenuti in maniera legittima perché lui, li aveva resi legittimi, dall’altra parte i cesaricidi avevano agito al di fuori della legalità perché posti fuori dalla legalità da Cesare, ma, nei loro intenti,  ambivano alla ricostruzione della repubblica, una repubblica che da quasi un secolo, tra guerre sociali e guerre civili, aveva smesso di funzionare regolarmente.

Vi è dunque una forte ambiguità giuridica nella vicenda del cesaricidio che, a seconda della chiave interpretativa, può dare ragione ai Cesaricidi o ad Ottaviano e Marco Antonio.

Ed è proprio partendo da questa ambiguità giuridica che parte la mia associazione di Salvini e DiMaio a Marco Antonio ed Ottaviano, poiché, in seguito alla rinuncia di Conte all’incarico di presidente del consiglio dei ministri dovuto al veto posto dal presidente della repubblica Sergio Mattarella sul nome del proposto ministro dell’economia e della finanza Paolo Savona, Salvini e Di Maio, hanno gridato nelle rispettive dirette su facebook, ad un Attacco alla democrazia da parte del Presidente Mattarella, il quale, secondo i due politicanti avrebbe “abusato” dei propri poteri di capo dello stato, imponendo la sostituzione di un ministro, rivendicando così una presunta ambiguità giuridica nelle azioni di Mattarella.

In realtà nella decisione del Presidente della Repubblica non ci è alcuna ambiguità giuridica, in quanto gli articoli 87 e 92 della costituzione italiana, sono abbastanza chiari ed esplicativi, il Presidente della Repubblica nomina il presidente del consiglio e su proposta di questo i ministri. Va da se che il termine “proposta” implica la possibilità di un rifiuto di quei ministri e quindi la necessità di proporne semplicemente di nuovi.

In questo senso, non è infatti anomalo, nella storia dell’Italia repubblicana, imbattersi in Presidenti della Repubblica che, nel pieno dei propri poteri riconosciuti dalla costituzione, hanno richiesto al presidente del consiglio di sostituire alcuni nomi, basti ricordare che:

Nel 1979, il presidente Sandro Pertini, il più amato dagli italiani, bocciò il nome di Clelio Darida, proposto dal presidente del consiglio Francesco Cossiga per il ministero della difesa, la risposta di Cossiga a questo rifiuto fu la sostituzione del nome di Darida con quello di Attilio Ruffini, ma il cambio di nome sulla poltrona ministeriale non costituì un cambio della politica di Cossiga sul tema della difesa.

Nel 1994, il presidente Oscar Luigi Scalfaro, bocciò il nome di Cesare Previti, proposto da Silvio Berlusconi per il ministero della Giustizia, come Cossiga prima di lui, Berlusconi sostituì il nome di Previti con quello di Alfredo Biondi senza però modificare la politica del governo Belusconi I sul tema della giustizia.

Nel 2001, il presidente Carlo Azeglio Ciampi, bocciò, il nome di Roberto Maroni, proposto da Silvio Berlusconi, per il ministero della Giustizia, come già accaduto nel 94, Berlusconi cambiò il nome del ministro ma non la politica del suo governo sul tema della giustizia.

In fine, ma non meno importante, nel 2014, il presidente Giorgio Napolitano, bocciò il nome di Nicola Gratteri proposto da Matteo Renzi per il ministero della giustizia. Come tutti i suoi predecessori, il rifiuto del presidente della repubblica per il nome di un ministro non portò al fallimento del governo o ad un cambio di rotta del governo sul tema della giustizia, Renzi, come Berlusconi e Cossiga prima di lui, si limitò ad indicare un nuovo nome per il ministero e la sua scelta ricadde sul nome di Andrea Orlando.

Quest’ultimo nome è forse quello più interessante per l’esempio e per demistificare la teoria cospirazionista avanzata da Lega e Movimento 5 Stelle secondo cui vi sarebbe un potere occulto a Bruxelle che vuole rendere schiavo il popolo italiano e i poteri forti nazionali, incarnati dalla politica di Matteo Renzi e del Partito Democratico sarebbero al servizio di questo potere occulto, e pure, lo stesso Matteo Renzi, che secondo la teoria cospirazionista era al servizio di queste forze occulte, nel 2014, ha visto bocciare uno dei ministri che aveva proposto, Renzi non era un servo di quei poteri forti? perché Napolitano gli bocciò il nome di Gratteri? questa bocciatura rappresenta una falla di proporzioni bibliche nella teoria cospirazionista.

La bocciatura di un nome per un ministero, non è altro che una questione di formalità, in quanto, in una repubblica parlamentare, i ministri non agiscono e non possono agire in piena autonomia, ma devono rispondere alle linee guida fornite dal parlamento e dai partiti che lo compongono, de facto i ministri non dettano la direzione del ministero ma ne incarnano il volto, sono una sorta di biglietto da visita e svolgono una funzione prevalentemente di rappresentanza oltre che politico amministrativa.

In questo caso specifico, in cui lo stesso presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Conte avrebbe ricoperto un ruolo prevalentemente politico e le cui decisioni, tra cui la stessa rosa dei ministri, sarebbero dipese quasi totalmente dalla volontà dei due vicepresidente del consiglio proposti, Matteo Salvini e Luigi DiMaio, il nome del ministro incaricato sarebbe totalmente irrilevante e la linea d’azione di quel ministero sarebbe dipesa esclusivamente dalle direttive gialloverdi e se dai due partiti e dai due leader politici vi fosse stata una reale inclinazione democratica alla formazione di un governo, sarebbe stato sufficiente indicare un nome alternativo ed indicare Paolo Savona come sottosegretario, affidando de facto a lui il controllo formale del ministero, ma ponendo un volto differente.

Il ritiro immediato di Conte difronte alla richiesta del presidente della repubblica di proporre un nome differente per il ministero dell’economia e la netta chiusura di Matteo Salvini e Luigi DiMaio al dialogo democratico, si traduce in un reale attacco alla democrazia che in apertura ho descritto come un pisciare sulla costituzione e cagare nei corridoi del Quirinale per poi puntare il dito contro Mattarella, un uomo che ha assolto ai propri doveri in maniera encomiabile e concedendo fin troppo tempo e fiducia a due forze politiche costituenti una maggioranza estremamente fragile, e questa fragilità è emersa alla prima incertezza, alla prima indecisione, alla prima richiesta di una reale attività politica, avendo come effetto un irrazionale e sproporzionata chiusura alle istituzioni. Sergio Mattarella ha concesso a Salvini e DiMaio tempo e fiducia, ha affidato loro il futuro del nostro paese ed in cambio ha chiesto un dialogo che gli è stato negato ed ha ottenuto come risultato insulti e minacce ingiustificabili ed estremamente gravi, i cui autori, per quanto mi riguarda, dovrebbero essere condotti dinanzi alla giustizia dalle autorità competenti.

“I resti di Adolf Hitler: analisi biomedica e identificazione definitiva

Nell’ultimo numero del “European Journal of Internal Medicine” è stato pubblicato un articolo molto interessante dal punto di vista storico, intitolato “The remains of Adolf Hitler: A biomedical analysis and definitive identification” per chi non conoscesse l’inglese “I resti di Adolf Hitler: analisi biomedica e identificazione definitiva“, si tratta di uno studio molto interessante, che ha portato all’identificazione di alcuni resti umani, per lo più frammenti dentari, attribuiti ad Adolf Hitler.

Il titolo in questo senso è molto esplicito, si tratta appunto dei risultati di un analisi biomedica su dei resti, attribuiti ad Adolf Hilter, che ne ha confermato l’identificazione, in maniera definitiva. Complottisti e cospirazionisti a parte, ora siamo certi che quei denti appartenenti ad un cranio semi carbonizzato, ritrovato nel bunker di Berlino nel 1945, appartengono effettivamente ad Adolf Hitler.

Lo studio, è stato è in primis uno studio medico molto complesso, ma ha anche un valore storico, e il fatto che sia durato più di un anno, ci conferma che è stato uno studio molto completo, ovviamente questo studio non si è limitato ad un ulteriore identificazione di quei resti, cioè, potevano anche farlo, potevano fermarsi alla pura identificazione e risparmiarsi eventuali complicazioni di sorta, ma in quel caso sarebbe stata una ricerca molto misera, soprattutto perché nel 2017/2018 la scienza medica e in particolare l’odontoiatria, in questo caso l’odontoiatria forense e l’antropologia forense, è molto più avanzata rispetto al 1945/46, ma anche rispetto agli anni 90 è molto più avanzata e dispone di strumenti molto più precisi, e uno studio su quei denti, uno studio di quei resti, può darci molte informazioni sulla vita e sulla morte del soggetto, informazioni che in passato era impossibile ottenere, tra cui appunto, la possibilità di identificarne in maniera ancora più precisa l’appartenenza.

Quei resti sono stati attribuiti ad Hitler già negli anni 40/50 e negli anni a venire, numerosi studi ne hanno confermato l’appartenenza al Fuhrer, ma le precedenti identificazioni erano, diciamo così, parziali, nel senso che fino a questo momento, non eravamo assolutamente certi che appartenessero ad Hitler, c’è sempre stato un margine d’errore, che, anche se minimo, non dava la certezza assoluta.

Con questo studio le cose sono leggermente cambiate in positive, abbiamo di fatto un accuratezza maggiore rispetto al passato, il margine d’errore si è assottigliato tantissimo, e questo significa che ora ci sono più o meno il 99,999% di possibilità che quei resti appartenessero effettivamente ad Hitler e lo 0,001% che invece appartenessero al suo clone… opzione che per quanto mi riguarda, mi sentirei di escludere, perché dai, un clone di Hitelr nel 45, non diciamo… baggianate… un clone di Hitler che aveva una struttura dentale perfettamente identica a quella che il Fuhrer aveva nel 1944, e ci tengo a sottolineare che siamo in possesso di cartelle cliniche di Hitler in cui, tra i vari documenti, figurano anche alcune lastre dentarie risalenti al 1944 che, da diversi decenni, sappiamo coincidere con i resti ritrovati, se pure con un leggero margine d’errore dovuto per lo più alla bassa risoluzione delle lastre. Ma, andando oltre, stando ai risultati delle analisi antropologica effettuate, sappiamo che quei resti trovati nel 1945 e nel 1946, ovvero frammenti di cranio e pezzi dentali, provengono molto probabilmente dallo stesso individui la cui morfologia del cranio è compatibile con quella di un individuo adulto, ma mettiamo un’attimo da parte i frammenti di cranio e soffermiamoci sulle mascelle.

Per quanto riguarda gli elementi delle mascelle (osso, denti e protesi), confronto con i dati dell’autopsia ufficiale presenti negli archivi russi e le radiografie ufficiali di Adolf Hitler, presenti queste negli archivi statunitensi, e aggiungendo alla comparazione altri dati storici pervenute da entrambe le parti, abbiamo abbastanza elementi di prova  per effettuare l’identificazione di quei resti ed attribuirli definitivamente all’ex capo nazista, Adolf Hitler.

Nello studio però emerge effettivamente un dubbio riguardante la causa della morte del soggetto, questo dubbio è legato ad un frammento di cranio (la cui appartenenza al momento non è nota, in parole povere non sappiamo di chi è quel pezzo di cranio), ed è per questo che abbiamo messo da parte i frammenti di cranio, questo frammento ha, come anche per i denti, una morfologia compatibile con quella di un individuo adulto, ma di cui non è possibile stabilirne il sesso, perché appunto un frammento parziale di cranio, e che sarebbe irrilevante se non fosse che quel frammento presenta un’uscita peri-mortem (ovvero in prossimità del momento della morte) all’altezza dell’osso parietale sinistro e questa uscita peri-mortem è interessante perché compatibile con un foro di proiettile, che potrebbe essere in qualche modo la causa della morte, mettendo così in discussione la teoria del suicidio di Hitler.

In questo momento stiamo cercando di capire a chi appartiene effettivamente quel frammento di cranio, perché la sua identificazione è importantissima per chiarire cosa è successo nel bunker di Berlino, stiamo procedendo soprattutto con esami esami del DNA e tentando di ricostruire il cranio usando altri frammenti presenti, ma questa è una strada molto impervia e complicata, soprattutto perché mancano molti frammenti ed è un po’ come realizzare un puzzle molto complesso, di migliaia di pezzi, ma disponiamo soltanto di una manciata di pezzi.

Quel frammento in ogni caso è importantissimo perché se effettivamente dovesse essere identificato come parte del cranio di Hitler, allora quel foro di proiettile rimettere sul tavolo della discussione la teoria dell’avvelenamento, e soprattutto metterebbe in discussione l’autopsia originale, d’altra parte, se non dovesse essere un frammento del cranio di Hitler, questa scoperta aprirebbe nuove indagini, in primis sull’appartenenza del cranio di provenienza, perché è importante capire di chi è quel frammento di cranio, e in secondo luogo, sul perché questa persona è stata assassinata con un colpo di pistola alla testa, nel bunker di Berlino a ancora, chi è stato ad esplodere quel proiettile letale e perché.

Tornando a quello che sappiamo, la cosa più interessante dello studio sulle mascelle e sui denti, è che, purtroppo, non essendoci più molti elementi organici su cui lavorare, non ci è possibile stabilire se l’avvelenamento è stato effettivamente la causa della morte e di certo un frammento di cranio con un foro di proiettile non aiuta molto la solidità di questa teoria, che comunque, al momento, rimane la teoria più valida, supportata da altri elementi storici e medici, presenti negli archivi russi e statunitensi, tra cui, su tutti, la prima autopsia che, se bene molto primitiva e sicuramente meno accurata di un autopsia contemporanea, a meno che il medico legale che l’ha eseguita non fosse ubriaco o cieco, credo avrebbe notato un foro di proiettile nella testa di Hitler.

Ed è proprio questo il problema, il fatto che oggi, abbiamo soltanto pochi frammenti dei resti di Hitler, e che questi frammenti si siano mischiati a resti di altre persone, a causa di alcuni problemi organizzativi e il fatto che, la maggior parte dei resti di Hitler siano andati perduti/distrutti perché comunque sono passati più di settant’anni e la guerra fredda unita al tentativo di distruggere ogni traccia materiale di Hitler per evitare che potessero sorgere dei santuari in sua memoria, non è stata certamente d’aiuto, ma soprattutto, il fatto che siano passati più di settant’anni dalla sua morte, rende particolarmente difficile, oggi, capire esattamente quali siano le cause effettive della morte e ricostruire cosa è successo nei suoi attimi di vita.

Stando allo studio comunque, una cosa è certa, Hitler era un uomo, e fin qui, non c’erano dubbi, ed morto, insieme ad almeno altre tre persone nel bunker di Berlino, poco prima dell’irruzione delle forze dell’armata rossa.

Facendo fede alla versione ufficiale e le recenti scoperte, provo ad avanzare un’ipotesi molto elementare, molto probabilmente Hitler, prima di suicidarsi, ha assassinato la propria compagna, sparandole alla testa e subito dopo si è tolto la vita ingerendo del veleno.

In ogni caso, questa scoperta fornisce importanti elementi di prova per smentire in maniera definitiva ogni teoria sulla presunta fuga di Hitler in Argentina 

Per tutte le altre informazioni vi rimando alla pubblicazione completa, pubblicata sull’European Journal of Internal Medicine, doi, https://doi.org/10.1016/j.ejim.2018.05.014 che potete recuperare/acquistare a questo link https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0953620518301912

Un sogno che è in bianco e nero presto tornerà a colori – Storia Leggera

Il nome di questa rubrica è Storia Leggera, ma i temi, gli argomenti e soprattutto le canzoni scelte fino a questo momento sono state tutt’altro che leggeri.

Abbiamo parlato di rivoluzioni, di ideali, di sogni e ambizioni, abbiamo parlato di guerre e sacrifici, abbiamo parlato di morte e non abbiamo mai parlato di vita, e soprattutto, non abbiamo mai parlato di vite ordinarie, di vite popolari, non siamo mai entrati nelle stanze della vita quotidiana, e pure, la musica e in particolar modo la musica leggera, vive di attimi quotidiani, vive di ordinati rituali dalla precisione svizzera e sono proprio quei rituali, quei momenti di vita vissuta, a portare la storia, quella reale, nella canzone.

Stavo riflettendo proprio su questo la scorsa settimana quando non ho pubblicato il solito articolo del lunedì, e l’ho fatto, o meglio, non l’ho fatto, non l’ho pubblicato, con cognizione di causa, volevo porre una separazione tra la grande storia, la storia dei grandi eventi, dei grandi avvenimenti e dei grandi personaggi storici da una parte e la storia quotidiana, la storia vissuta e raccontata, attraverso gli occhi di un ragazzo, figlio di una casalinga e di un impiegato, che negli anni cinquanta e nei primi anni sessanta scoprì la musica, scoprì il potere comunicativo ed espressivo della canzone e circa trent’anni più tardi avrebbe portato quell’esperienza, quel ricordo, quegli attimi, in una canzone, forse in maniera inconsapevole, ma neanche troppo inconsapevole; Avrebbe permeato quella canzone di storia, rendendola un vivido ricordo di una quotidianità perduta, di una quotidianità dimenticata, di una quotidianità che apparteneva ad un altra epoca, ad un altro tempo, ad un altro mondo.
Quel ragazzo era (ed è) Edoardo Bennato e la canzone a cui mi riferisco è Viva la Mamma.

Quando si pensa ad una canzone che parla di storia non pensiamo di certo a “canzonette come questa”, quando pensiamo a canzoni che parlano di storia la nostra mente corre verso brani come la canzone del bambino nel vento, verso il cuoco di salò o verso le innumerevoli canzoni scritte in ogni lingua e condite in ogni salsa, che parlano di questa o di quell’altra guerra, combattuta chissà dove, chissà quando e chissà per quale ragione o da chi, di certo non pensiamo ad una canzone così travolgente e allegra che per più di un’estate risuonò nelle sale da ballo (c’erano ancora le sale da ballo negli anni novanta?) o sulle spiagge, e che ancora oggi, riecheggiano nei lunghi viaggi in auto in compagnia dei nostri genitori (soprattutto se avete la mia età).

E pure, questa “canzonetta” non è affatto una canzonetta, Viva la mamma è in realtà una testimonianza diretta della vita quotidiana nel secondo dopoguerra, ci racconta la vita, semi urbana, del figlio di un impiegato e di una casalinga, cresciuto in uno dei tanti quartieri periferici, di una qualsiasi città italiana, una vita che apparteneva alla maggior parte degli italiani nati e vissuti in quegli anni e negli anni a venire, ci racconta una vita comune, ordinaria, mediocre, una vita di fantozziana memoria, ma ci racconta la vita dei film con Franchi e Ingrassia, la vita dipinta e raccontata dal Neorealismo di Fellini, De Sica, Rossellini e Visconti. Come dicevo, ci racconta l’Italia del secondo dopoguerra, l’Italia degli anni cinquanta e sessanta, l’Italia che insegue il boom economico appena prima della sua piena manifestazione.

Con questa canzone Bennato riesce a raccontare questo, riesce a raccontare tutto in pochi versi, in poche strofe, in poche parole, senza però dire nulla di ciò che sta raccontando, non ne ha bisogno, non ha bisogno di sofismi e artificiosi giri di parole per impressionare i benpensanti, perché la quotidianità che racconta, la vita che racconta, è una vita, una quotidianità semplice, umile, immediata e bastano poche parole per descriverla, perché fa già parte dell’ascoltatore, dei suoi ricordi, della sua vita, della sua memoria. È una canzone forte, è una canzone d’impatto, è una canzone che parla di storia dando voce ad una memoria storica, ad una memoria collettiva, senza parlare direttamente di storia, non ha bisogno di parlare del boom economico, non ha bisogno di parlare delle influenze culturali che in quegli anni arrivavano da oltreoceano, e pure questa canzone ci parla del boom economico, ci parla dei primi fermenti studenteschi e delle influenze culturali che in quegli arrivavano da Londra e da oltreoceano. Ce ne parla attraverso i rituali ordinari della vita di un ragazzo cresciuto negli anni cinquanta, un ragazzo che alla mattina semplicemente veniva svegliato e mandato a scuola da sua madre, un ragazzo ancora troppo giovane per “21” musica dai jukebox, e si affacciava al mondo canoro di quegli anni attraverso la sua personale spacciatrice di musica, una madre che come tutte le madri cantava per accompagnare la propria quotidianità, cantava in ogni momento, mentre lavava, stirava o cucinava, cantava perché la TV non c’era ancora e quando c’era, nel migliore dei casi aveva un solo canale, nel peggiore, neanche quello, e allora per ingannare il tempo si cantava e quando si cantava si cantava di tutto, dai canti popolari ad Elvis e nel cantare si viveva, e nel vivere si diventava storia e nel diventare storia si plasmava la memoria di un’intera generazione.

Una storia ordinaria dunque, una storia quotidiana, una storia come un’altra che forse non sarebbe servito scrivere, non serviva raccontare, ma il cui racconto ha permesso la sopravvivenza di un ricordo generazionale, di una memoria collettiva, ha permesso la sopravvivenza di un mondo e di un modo di vivere oggi dimenticato ed ha dato a noi, oggi, la possibilità di rivivere per quei tre o quattro minuti che dura la canzone, la vita ordinaria di un figlio del secondo dopoguerra, di un figlio degli anni cinquanta.

Uno STORICO al Governo? Riflessioni su un possibile governo Sapelli

Una considerazione personale su Giulio Sapelli, storico, per essere più precisi storico dell’economia ed economista, in lista per essere un probabile presidente del consiglio dei ministri italiano.

Premetto che ho delle sue opere ho letto soltanto “Storia economica dell’Italia contemporanea”, edito da Mondadori, “Adriano Olivetti. Lo spirito nell’impresa”, edito da Mondadori (entrambi studiati per un esame di storia economica) ed ho letto, per un esame i geografia dello sviluppo, “Antropologia della globalizzazione”, edito da Mondadori.

Non vi è dubbio che come storico dell’economia, Sapelli sia una vera e propria e eccellenza italiana, che ha lavorato in numerose università prestigiose, sia italiane che europee. Inoltre, come economista leggevo che ha ricoperto incarichi di alto profilo in diverse grandi istituzioni bancarie italiane e non. Ma al di la delle competenze e delle conoscenze tecniche, per me Sapelli è prima di tutto uno storico e nella mia riflessione è questo l’aspetto più importante.

Potenzialmente potremmo avere uno storico come presidente del consiglio dei ministri, e la sua formazione accademica, ,è per quanto mi riguarda, una potenziale garanzia di imparzialità e responsabilità, poiché uno storico nella sua formazione impara a tenere presenti tutte le opzioni, non solo quelle favorevoli alla propria tesi e allo stato attuale delle cose, un uomo con questa capacità è potenzialmente in grado di governare l’italia riuscendo a trovare un punto di contatto tra le tre forze politiche che spaccano il parlamento.

Dal mio punto di vista puramente personale, la possibile presidenza di Sapelli sarebbe auspicabile, appena ho letto il suo nome e ne sono stato entusiasta, non sapevo a quale forza politica fosse legato e sinceramente la cosa non mi interessava minimamente, poi ho scoperto un legame tra Sapelli e il Centro Destra e la cosa ha lasciato il mio entusiasmo invariato, questo perché Sapelli ha, per quanto mi riguarda, le carte in regola per essere un buon presidente del consiglio dei ministri (personalmente lo vedrei molto bene anche come ministro dell’Economia e delle finanze) e il fatto che sia uno storico è per me la cosa più importante in assoluto, poiché lo pone al di sopra della propaganda e degli interessi politici, ma il fatto che sia uno storico è per me, anche, una fonte di dubbio.

Non fraintendetemi, da storico sono più che felice di vedere uno storico in lizza per una carica così importante, sarebbe sicuramente un grande riconoscimento per la categoria, finalmente gli storici italiani avrebbero nuovamente quella dignità istituzionale che in italia hanno perso da tempo, una dignità istituzionale perduta non per colpa loro, ma perché messi quasi al bando dalle istituzioni e dall’ambiente lavorativo in generale, non serve che sia io a dirlo, ma una laurea in storia, così come una qualsiasi altra laurea umanistica, in questo paese, sul piano lavorativo vale ben poco.

Personalmente sarei estremamente felice di vedere uno storico alla presidenza del consiglio dei ministri, sarei felice, da storico e da cittadino italiano dotato di intelligenza e forse da idealista sognatore, sono anche spinto a pensare (in maniera totalmente irrazionale) che questo governo possa essere un governo abbastanza stabile e duraturo; Se l’italia fosse un paese normale e incline alla democrazia, cosa che ultimamente ha dimostrato di non essere, questo governo improvvisato potrebbe potenzialmente durare molto a lungo, perché a la mediazione tra le forze politiche, affidata al presidente del consiglio, sarebbe de facto affidata ad un uomo, la cui formazione accademica consiste proprio nel cercare un punto di contatto tra visioni politiche e ideologiche differenti, tra fonti storiche spesso contrastanti tra loro. Dall’altra parte però, sono perfettamente consapevole che questo governo non sarà un governo realmente solido, e di sicuro non sarà un governo duraturo, so benissimo che alla fine, gli interessi politici dei singoli partiti impegnati nella formazione del governo, al di là dei vari slogan elettorali, verranno anteposti agli interessi reali degli italiani e che questo governo sarà fondamentalmente un governo a tempo.

Ed è questo che più mi preoccupa, mi preoccupa l’idea di vedere un governo destinato a fallire, affidato alle sapienti mani di un uomo di uno storico, affidato ad un uomo come Giulio Sapelli, mi preoccupa l’idea che, il quasi inevitabile, fallimento di questo eventuale governo verrà attribuito alle mancate capacità del Premier più che all’incapacità e alle responsabilità delle due forze politiche che formeranno il governo.

La mia preoccupazione più grande è che il riflesso del fallimento di questo potenziale prossimo governo, possa ricadere sullo storico e sugli storici italiani, compromettendo ulteriormente l’immagine percepita dagli italiani della figura degli storici e della storia in generale.

Purtroppo viviamo in un epoca in cui la storia non è più maestra di vita, ma è un banale strumento di propaganda piegato e distorto all’occorrenza dal politicante di turno, viviamo in un epoca e in una nazione in cui gli storici non sono neanche considerati dei veri intellettuali, e per la maggior parte delle persone la storia è un semplice ricordo di un passato mitico, distorto da qualche loggia massonica e istituzioni politiche o private, per tutelare i propri interessi. Viviamo in un epoca in cui la storia ha perso ogni valore reale ed è spesso considerata uno spreco di tempo, una materia scolastica “inutile e noiosa” in cui  ci si limita ad imparare a memoria date e nomi di persone morte da tempo, ed eventi di cui ci importa ben poco e che non ci serviranno mai nella vita.

Da storico provo profonda tristezza per questa visione estremamente riduttiva della storia ed ho paura che l’inevitabile fallimento del prossimo governo, se affidato a Sapelli, diventi un ulteriore elemento di denigrazione della storia e della figura degli storici. E se oggi noi storici in italia, sopratutto sul piano lavorativo, contiamo decisamente poco, perché non siamo mica laureati in Giurisprudenza, Economia, Scienze politiche, Ingegneria o al massimo in Filosofia, ho paura che se Sapelli sverrà posto posto a capo del governo e se il suo governo cadrà in pochi mesi, come è prevedibile che sarà, l’immagine pubblica di noi storici cadrebbe ancora più in basso.

E quindi sono confuso e sono combattuto, perché da una parte non riesco ad immaginare uomo migliore di Sapelli (tra quelli proposti nelle ultime settimane) per rappresentare l’italia, per governare il nostro paese, non riesco ad immaginare una figura più professionale e competente di uno storico per traghettare il paese fuori da una crisi istituzionale e politica che la stessa italia ha già visto manifestarsi con modalità molto simili, in un passato non troppo lontano ma già dimenticato. Dall’altra però sono anche molto preoccupato del fatto che, questa scelta possa affossare ulteriormente la figura degli storici in italia.

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