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L’ultima carica. Storia del 14º reggimento Cavalleggeri di Alessandria


La più celebre carica di cavalleria del secondo conflitto mondiale è sicuramente quella effettuata dal Savoia Cavalleria a Isbuschenskij, nelle steppe russe, il 24 agosto 1942. L’importanza del fatto d’armi ebbe un valore sia psicologico, riuscendo a rompere l’accerchiamento che i russi stavano effettuando attorno alle truppe italiane, che militare, rallentando l’avanzata sovietica scattata con la controffensiva del 20 agosto precedente. In questo senso è l’ultimo fatto d’armi che ha visto una “carica di cavalleria” nel senso classico del termine con effetti così rilevanti contro un esercito formato da truppe regolari. Molti ignorano però che il Regio Esercito Italiano poté vantare l’ultima carica di cavalleria della storia militare moderna con quella che si consumò il 17 ottobre 1942, a Poloj (oggi Sluny), sul confine croato-bosniaco

Carica.di.Isbuscenskij

L’episodio si contestualizza nel periodo di occupazione italo-tedesco della penisola balcanica, teatro di guerra particolarmente sanguinoso e ignorato dalla storiografia italiana. Durante i mesi della guerra partigiana tra combattenti jugoslavi di Tito e le truppe nazi-fasciste supportate dagli Ustascia di Ante Pavelic. Al pari dei serbo-croati e dei nazisti, le truppe regolari italiane si macchiarono di atti violenti contro la popolazione locale, spinti non solo dalla propaganda razzista e anti-comunista, ma da precisi ordini degli alti comandi militari:

“Si sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non verranno mai perseguiti. ”
Dopo l’aggressione dalle forze dell’Asse all’Unione Sovietica (estate 1941) iniziò a farsi sempre più pressante la guerriglia anti-fascista di ispirazione comunista. Questo movimento si organizzò nell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo e col tempo assunse una forza ed un’organizzazione sempre più capillare e decisiva, agendo come una spina nel fianco all’Asse. Sia i tedeschi che gli italiani dovettero impiegare un numero considerevole di reggimenti e divisioni per controllare l’area balcanica, spolpando il fronte sovietico e quello libico.

i Cavalleggeri di Alessandria liberano Trento, 3 novembre 1918

Il 14º Reggimento Cavalleggeri di Alessandria era uno dei reparti italiani presenti nei territori occupati le cui truppe erano prevalentemente a cavallo: il reggimento con la più alta mobilità tra tutti quelli nella zona. Inquadrato nella 1ª Divisione Celere “Eugenio di Savoia, i suoi cavalieri avevano il compito di pattugliare e controllare il territorio croato.
La cavalleria da sempre è stata considerata l’arma nobile per eccellenza, perché solo i più abbienti potevano possedere, mantenere e governare un cavallo, con tutti gli annessi e connessi. Con l’arrivo delle armi da fuoco, l’uso della cavalleria perse gradualmente importanza nella tattica militare, anche se unità di cavalleggeri rimasero inquadrate in tutti gli eserciti, con funzioni appunto di pattugliamento e perlustrazione in virtù delle doti del cavallo.
All’inizio del conflitto l’Italia aveva in organico 17 reggimenti di cavalleria, suddivisi tra cavalleria di linea, lancieri e cavalleggeri. Una numero così ampio di cavalieri era sinonimo anche dello scarso progresso di tecnologia e motorizzazione che il Regio Esercito aveva avuto nel periodo intercorrente fra le due guerre.
Il ciclo di azioni che vide la realizzazione della carica ebbe inizio il 1 ottobre 1942. L’obbiettivo che la 1ª Divisione Celere doveva portare a termine era di “ricacciare davanti a loro le formazioni ribelli segnalate nella zona di Perjasica, quartier generale delle più forti bande partigiane ”. L’operazione si doveva svolgere in tre fasi distinte in modo da spezzare la resistenza nella zona ed eliminare le forze partigiane della “Udarne brigade” (Brigata d’assalto) croata.
Nonostante le difficoltà incontrate durante il periodo di ricognizioni le forze italiane non si trovarono di fronte una resistenza troppo accanita. Le formazioni ribelli, difatti, seguirono da lontano i movimenti della colonna italiana, impegnandola in piccoli scontri e tentando di capirne i piani.
Il 17 ottobre, nel corso di un’ennesima ricognizione nell’area di Korana , la formazione venne colpita fin dal mattino di ripetuti attacchi con armi leggere da parte di forze partigiane. Vista la difficoltà di manovra con i cavalli, ed il pericolo di un nemico forte sia dal punto di vista militare che psicologico, il comandante del reggimento, Col. Antonio Ajmone Cat, valutata la situazione e l’approssimarsi del buio, decise di attestarsi a difesa su alcune modeste alture per conseguire un vantaggio tattico e costringere il nemico a scoprirsi. Il caso volle che alla colonna del col. Cat si fosse aggiunto il gen. Mario Federico Mazza, vicecomandante della Divisione, che, d’accordo con il gen. Cesare Lomaglio, comandante della Divisione, ordinarono di proseguire verso Primislje, nonostante l’operazione apparisse rischiosa a causa dell’oscurità.

Alle 18.30 iniziarono a muoversi, ma dopo pochi chilometri furono attaccati nuovamente da un violento fuoco di armi automatiche e di bombe a mano. Nelle ripetute cariche era andato perso lo stendardo: al mattino seguente il capitano Fabio Martucci comandante dello squadrone mitraglieri con il suo attendente Morgan Ferrari lo ritrova impigliato al ramo di un albero e lo recupera.
Le perdite della giornata furono di 2 ufficiali dispersi, deceduti ma i cui corpi non poterono essere recuperati, 1 ufficiale morto, 5 feriti, 10 morti, 56 feriti e 50 dispersi fra sottufficiali e cavalleggeri. I cavalli perduti furono 109, i feriti 60. Non si hanno notizie precise delle perdite dei partigiani jugoslavi, che però sarebbero ammontate da oltre un centinaio. Il 18 e 19 ottobre il reggimento sostò a Perjasica, a disposizione del comando Divisione “Lombardia”.

Già all’indomani della battaglia c’era, negli alti comandi italiani, la voglia di cancellare l’episodio. Alcuni reduci ricordano il discorso tenuto dal gen. Mario Roatta davanti ai cavalleggeri schierati:

“Al mio superiore vaglio gli ordini impartiti sono risultati illuminati. Si cancelli ogni cosa dalle vostre memorie, rimanga quello che passerà alla storia con il nome di carica di Poloj”.

A quelle parole, però, il comandante del reggimento, il colonnello Antonio Ajmone Cat, esplose:

Che dirò a tante madri? Che un ordine pazzo ha stroncato la vita delle proprie creature?”. Roatta voltò le spalle e tacque.

L’inettitudine dei generali Lomaglio e Mazza venne prontamente taciuta, non tanto per non screditare i due alti ufficiali, ma per non far trapelare quella che era la generale impreparazione di tutto il sistema militare italiano. Ironia della sorte il col. Ajmone Cat venne invece allontanato dal comando e privato di un qualsiasi riconoscimento ufficiale. Il contesto della guerra partigiana e dell’occupazione italiana dei Balcani non aiutarono certo a rendere il giusto merito alla vicenda nel dopoguerra, facendo si che tutta la vicenda venisse pressoché dimenticata.
Il reggimento è stato sciolto il 30 giugno 1979 senza aver mai ricevuto una ricompensa allo stendardo per i fatti dell’ottobre 1942.

 

 

Bibliografia:

Raffaele Arcella, L’ultima carica. Dolnij Poloj 17 ottobre 1942, ed. Bonanno, 2009
Antonio Poma, L’ultima carica della cavalleria italiana, ed. Busseto Palazzolo
Elena A. Rossi, Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani 1940-1945, ed Il Mulino

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