Il sogno di un Europa Unta e Universale

L’idea di un Europa unita in un unica nazione è un qualcosa che ci accompagna fin dalla caduta dell’Impero Romano, la fine di quell’impero universale ha infatti lasciato dietro di se un vuoto che negli ultimi 2000 anni molti sovrani hanno provato a colmare, e uno degli uomini che ci è andato più vicino è stato l’Imperatore Carlo V d’Asburgo che, nel XVI secolo riuscì ad unire quasi tutte le corone d’Europa nel tentativo di diventare il monarca della cristianità universale.

In questo contesto storico molto particolare, nel quale non voglio addentrarmi in questo articolo, vennero prodotte una serie di Xilografia molto suggestive che rappresentavano l’Europa nel corpo di una donna, e non una donna qualsiasi, ma l’Europa Regina, sposa dell’Imperatore Carlo X e in questo articolo voglio parlare proprio di una di queste Xilografie, spiegarne il significato e la simbologia.

Xilografie dell’Europa regina

Intorno alla metà del XV secolo, in Europa, iniziarono a circolare diverse raffigurazioni allegoriche dell’Europa, tra le più antiche di cui abbiamo traccia, una xilografia risalente al 1537 realizzata dal cartografo Johannes Bucius/Putsch, mentre la più popolare di queste, nota come Europa Regina o Europa Virgo, venne realizzata circa 40 anni dopo dal teologo tedesco Heinrich Bünting, e venne pubblicata nel testo “Itinerarium Sacrae Scripturae”, una riscrittura della bibbia in forma di libro di viaggi contenente una serie di dieci Xilografie, approssimativamente nel 1581.

Nell’Itinerarium Sacrae Scripturae appaiono circa 10 xilografie, e una di queste è proprio Europa Regina. C’è poi un immagine del mondo rappresentato come un trifoglio con Gerusalemme al centro, e l’Asia come cavallo Pegaso, il mitico cavallo alato.

Il significato di Europa Regina

La Xilografia Europa Regina di Bünting, come possiamo vedere, ci mostra l’Europa nella forma di una donna, e ogni elemento di questa immagine ha un suo peso e un significato ben preciso.

Partiamo dalla testa della donna, che coincide con la penisola iberica e su cui poggia una corona e non una corona comune, una corona ad anello carolingia, simbolo del potere imperiale e la supremazia che in quel tempo la Spagna esercitava sull’intero continente e allo stesso tempo un richiamo al Sacro Romano Impero. 

Nella mano sinistra della regina, che coincide con la Danimarca, vi è uno scettro, simbolo di autorità e dominio, mentre nella mano destra, che coincide con l’Italia, è presente un globo, Orbe, che coincide con la Sicilia ed è tradizionalmente il simbolo del potere universale e del dominio sul mondo.
Scettro, Orbe e Corona sono insieme insegne imperiali, simboli del Sacro Romano Impero che sottolineano la portata globale del potere europeo che si estende ben oltre i propri confini geografici.

I simboli imperiali sono nelle mani e sulla testa dell’Europa, e il suo corpo è l’Europa stessa, ed è il corpo di una donna, la cui testa è formata dalla penisola iberica, e il suo collo coincide con i pirenei che separano la testa dal busto e dal seno, rappresentati dalla Gallia, mentre i territori della germania e austria e in generale dell’Europa Centrale, rappresentano il torso e la parte centrale del corpo.

Il cuore di questa donna è leggermente spostato in basso, e coincide con Austria e Boemia, in altre rappresentazioni ha la forma di un medaglione all’altezza della sua vita. Infine, dalla Boemia in giù, o meglio, ad est, si distende il resto del corpo, fino ai suoi piedi, un corpo coperto da un lungo abito che ingloba Ungheria, Polonia, Lituania, Livonia, Bulgaria, Moscovia, Macedonia e Grecia

Mentre scandinava e Isole Britanniche sono mostrate parzialmente in forma schematica e separate dal corpo.

Significato storico e politico 

Questa Europa non è un europa qualsiasi, e in vero essa rappresenta la sposa dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo, la cui corona includeva la maggior parte dei territori che coincidono con il corpo dell’Europa. Carlo V regnava sul Sacro Romano Impero, i territori austriaci, le terre borgognone e il regno di Spagna e da sovrano di uno degli imperi più estesi d’Europa dai tempi di Roma, ambiva a diventare il monarca universale della Cristianità.


Non è quindi un caso se l’orientamento della donna è verso ovest e la Spagna (Hispania) rappresenta la testa della donna o se il volto stesso della donna assomigli a quello di Isabella di Portogallo, moglie di Carlo V.

Allo stesso tempo i territori asburgici spmp rappresentati come cuore e centro del corpo della donna, e il vestito della donna richiama gli abiti usati all’epoca presso la corte degli Asburgo.

Batman, l’eroe kinky simbolo della società Borghese

Batman è un miliardario, filantropo, che nella vita privata ha un controverso rapporto con il proprio servizievole e fin troppo autoritario maggiordomo, che nel privato ama indossare strane tute in lattex, ha un vero e proprio dungeon sotto casa, con una stanza piena di giocattoli dalla forma decisamente particolare, e le sue frequentazioni notturne sono uomini e donne, che spesso indossano tutine in lattex, e si legano e frustano a vicenda.

Batman è un miliardario, filantropo, che nella vita privata ha un controverso rapporto con il proprio servizievole e fin troppo autoritario maggiordomo, che nel privato ama indossare strane tute in lattex, ha un vero e proprio dungeon sotto casa, con una stanza piena di giocattoli dalla forma decisamente particolare, e le sue frequentazioni notturne sono uomini e donne, che spesso indossano tutine in lattex, e si legano e frustano a vicenda.

Batman ha decisamente qualcosa da raccontarci!

Prima di cominciare, va fatta una premessa, anche se abituati ad associare il fumetto ai più giovani, le storie di Batman, prendono ispirazione dal mondo dell’horror ed hanno una forte componente erotica al proprio interno, spesso apparentemente involontaria.

Horror ed erotismo in Batman viaggiano di pari passo e permeano ogni singola tavola e fotogramma delle varie opere che hanno avuto come protagonista l’uomo pipistrello, questo dualismo in alcune fasi è stato più presente rispetto ad altre, ma nel complesso, persino la demenziale serie TV degli anni sessanta e la serie a cartoni degli anni 90, erano piene di allusioni sessuali, più o meno esplicite. Fatta eccezione per queste due parentesi, il restante mondo di Batman si compone delle atmosfere gotiche e notturne di Gotham City, spesso raccontata attraverso le vicissitudini della vita notturna, mostrano una città divorata da alcol, droghe, prostituzione, asserviti alla criminalità organizzata. Ci mostrano un mondo corrotto sotto la superficie, che non era particolarmente “adatto” ai più giovani, un pubblico al quale il fumetto non si rivolge direttamente.

Batman è un fumetto per adulti, o al massimo adolescenti, e attraverso le sue storie parla di Politica, di società, di cultura, di sessualità, e lo fa decisamente con stile.

Batman Icona della società borghese

Gli eroi a fumetti sono nno dei simboli della cultura popolare, e negli ultimi anni, grazie all’enorme successo dei cinecomics, film ispirati al mondo del fumetto, questi eroi, come Batman hanno trovato una nuova giovinezza e un nuovo volto.

Il personaggio di Batman è apparso sui fumetti della DC Comics, per la prima volta nel 1939, e la genesi del personaggio è molto legata alla storia di quegli anni. Bruce Wayne, l’uomo dietro la maschera di Batman, nella propria versione originale, è figlio indiretto della grande depressione e la sua storia personale si lega alla storia degli anni trenta, ma è anche un uomo delle elite, è l’erede di un impero milionario, che, in modo più o meno diretto, ha perso i propri genitori per effetto della crisi del 29, e questo evento traumatico avrebbe condizionato tutta la sua vita da eroe.

Wayne vive in un mondo in cui le organizzazioni criminali dominano la città di Gotham, una città corrotta e in decadenza, e nelle storie che lo hanno come protagonista, nonostante i vari adattamenti temporali, ha impegnato gran parte delle proprie risorse private, per il bene della comunità.

Possiamo vedere Bruce Wayne come un miliardario filantropo, che fa più del proprio dovere, per proteggere la propria città. In questa descrizione molto generale, Bruce Wayne, oltre ad essere l’eroe mascherato di Gotham City, è anche un “eroe” ideologico.

Siamo sul finire degli anni trenta, la seconda guerra mondiale è alle porte, e il mondo, soprattutto gli Stati Uniti d’America, più che la Germania Nazista, nutre molte riserve nei confronti dell’Unione Sovietica, portatrice di un sistema di valori in conflitto con i valori borghesi della società Americana, e a proposito di valori borghesi, Batman è l’incarnazione di quel sistema di valori e di quella società, in quanto uomo che, nonostante sia cresciuto nel privilegio, si è costruito da solo, ha affermato la propria posizione grazie alle proprie capacità individuali, e, una volta raggiunto l’apice, ha messo le proprie competenze e conoscenze al servizio della collettività, non perché ne avesse un qualche dovere, ma per pura scelta morale.

Al di la delle varie influenze provenienti da altri fumetti e personaggi della Golden Age, il personaggio di Wayne è fortemente influenzato dalla cultura americana dell’epoca e rappresenta l’eroe, mosso da principi morali, che fa tutto ciò che è in suo potere, e anche qualcosa in più, per un bene superiore.

Nella prima metà degli anni quaranta il personaggio di Batman subisce notevoli trasformazioni, sia sul piano personale che sul piano estetico, e in questo periodo, con la guerra che infiammava in europa, fanno la propria apparizione alcuni dei principali nemici di Batman, tra cui il Joker, Pinguino e Due Facce, le storie di quest’ultimo sarebbero tornate in auge negli anni sessanta.

I personaggi che popolano il mondo di Batman sono tutti, in un modo o nell’altro legati all’ideologia borghese, e se in uomini come Bruce Wayne, vengono elevati i valori di quella data visione del mondo, in uomini come Pinguino e Due Facce, ne vengono evidenziati i lati oscuri.

Negli anni sono state avanzate numerose teorie e proposte diverse chiavi di lettura del personaggio di Batman, con non poche reazioni, spesso infastidite da parte degli autori.

La teoria di Batman icona gay.

Una delle teorie più interessanti sul personaggio di Batman fu ipotizzava una sua possibile omosessualità, questa teoria, avanzata per la prima volta nel 1991 da Andy Medhurst, nel saggio “Batman, Deviance and Camp” dove sosteneva che il personaggio di Batman fosse un “icona gay” perché “fu uno dei primi personaggi dei fumetti ad essere accusato di omosessualità” e che “la serie TV degli anni sessanta” per il suo uso consapevole e sofisticato del Kitschè una pietra miliare del camp“.

Gli storici autori del fumetto, come Alan Grant, non apprezzarono particolarmente questa teoria, osservando in un commento che il Batman delle loro sue storie, il Batman che aveva scritto per 13 anni non era gay, così come non lo era il Batman di Denny O’Neil e quello di Marv Wolfman, poiché il loro Batman si rifaceva al Batman di Bob Kane, uno degli ideatori del personaggio, che non lo aveva concepito come un personaggio Gay. L’unico autore che potrebbe avere avuto un interpretazione differente, secondo Grant, era quello di Joel Schimacher.

Diversamente da Grant, Devin Grayson ha assunto una posizione più morbida sull’orientamento sessuale di Batman, osservando che richiamandosi alla teoria della morte dell’autore, la risposta alla domanda se Batman fosse Gay o meno, stava al lettore, e a meno che, il personaggio non avesse espresso chiaramente, nel fumetto, il proprio orientamento, ogni lettore era libero di interpretare gli atteggiamenti dell’eroe.

Frank Miller, che diede vita alle storie di Batman negli anni 80, assunse una posizione ancora diversa, sostenendo da un lato che la lotta tra Batman e Joker, fosse un “incubo omofobo” e dall’alto che, il personaggio di Bruce Wayne era presumibilmente un uomo che sublimava le proprie pulsioni sessuali attraverso la lotta al crimine, arrivando alla conclusione che sarebbe stato “più sano” se Batman fosse stato veramente Gay.

Rileggendo le storie di Batman alla luce di queste teorie e dichiarazioni, e soffermandosi sulle relazioni personali di Bruce Wayne e Batman, con i vari personaggi, personalmente sposando la teoria per cui più che gay, Bruce Wayne sia un personaggio bisessuale.

Del resto in che altro modo potremmo definire un uomo milionario, con un rapporto decisamente particolare con il proprio servizievole e autoritario maggiordomo, che ama indossare tutine in lattice ed ha un dungeon pieno di giocattoli costosi dalla forma decisamente particolare.

Questa teoria riflette perfettamente la vocazione originale del fumetto, quale esaltazione dei valori positivi della società borghese, una società libera, in cui non esistono vincoli alla propria individualità e alla piena realizzazione di se, se non forse solo il principio di reciprocità per cui, la piena affermazione di se, la piena libertà di un individuo, è limitata solo ed esclusivamente dalla libertà di altri individui.

La Germania restituisce di sua iniziativa all’Italia una testa marmorea di II sec. d.C. trafugata dai Nazisti

La Germania restituisce di sua iniziativa all’Italia una testa marmorea di II sec. d.C. La scultura era stata trafufata dall’italia durante la seconda guerra mondiale, probabilmente durante l’occupazione tedesca, e successivamente venduta, nel 1964, da un privato cittadino di Amburgo al direttore del Museo Archeologico dell’Università di Münster, che all’epoca non aveva sospettato della provenienza illecita del reperto archeologico.

A tal proposito, il ministro dei beni culturali Alberto Bonisoli ha dichiarato

«si tratta di un atto dal valore altamente simbolico, in quanto testimonia la piena adesione di Italia e Germania a principi e valori di carattere universale e il nostro approccio condiviso al concetto di tutela del patrimonio culturale. L’atteggiamento dell’Italia non è solo quello di un Paese che rivendica la restituzione di opere d’arte trafugate, ma siamo in prima fila quando ne ricorrono le circostanze, nella restituzione di opere d’arte appartenenti al patrimonio culturale di altri Paesi. È così che intendiamo combattere il fenomeno del mercato illegale del patrimonio culturale».

La restituzione ha avuto luogo durante la cerimonia organizzata nella residenza romana dell’ambasciatore tedesco, Viktor Elbling ed hanno preso parte all’evento l’attuale Rettore dell’Università di Münster, Johannes Wessels, il capo dell’Ufficio Legislativo del Mibac, Lorenzo D’Ascia, il Comandante del Comando Carabinieri TPC, Gen. Fabrizio Parrulli e il sindaco del Comune di Fondi, Giuliano Carnevale.

La testa trafugata

Le prime notizie uffiziali riguardante questa scultura risalgono agli anni trenta, quando vennero svolti degli scavi archeologici nella città di Fondi, e nel 1937 si ha una notizia certa della sua esistenza, poi il nulla, almeno fino al 1964 quando la testa marmorea è entrata a far parte della collezione del museo archeologico di Münster, in germania, acquistata dall’allora direttore, in un momento non ben precisato tra il 1944 ed il 1964.

Stando alla dichiarazione dell’attuale direttore del Museo, all’epoca non si conosceva la natura illecita dell’acquisizione, o, per essere meno diplomatici, ufficialmente l’allora direttore del museo, non sapeva che la testa era stata trafugata.

Noi oggi sappiamo che, durante l’occupazione nazifascita dell’italia, nella seconda parte della seconda guerra mondiale, molti musei, collezioni e siti archeologici (e non solo) vennero saccheggiati ed innumerevoli opere, più o meno importanti, vennero trafugate in Germania (e non solo), ed è presumibile che questa testa sia solo una delle tante opere trafugate dai nazifascisti dagli scavi di Fondi.

Voglio aggiungere qualche considerazione personale alla vicenda.

Anche se la scultura era stata trafugata (e poi venduta), l’Italia non ha mai fatto richiesta alla Germania per la restituzione di questo specifico bene culturale, probabilmente perché un artefatto “minore” che ha sicuramente un enorme valore storico culturale, ma che in termini economici e politici, non ha molta rilevanza, ed è presumibile che l’Italia degli anni 60, abbia preferito non investire tempo, risorse e denaro per ottenere la restituzione di una testa marmorea di cui il 99,99999% della popolazione, ignorava l’esistenza.

Detto più semplicemente, l’Italia di allora ha semplicemente ignorato il fatto che molte opere “minori”, o comunque di recente scoperta, vennero trafugate durante la guerra, più che altro per convenienza politica. Questa testa, trafugata durante la guerra, e scoperta pochi anni prima, per l’Italia poteva restare al museo di Münster, così come altre, innumerevoli opere, potevano restare in altri musei e collezioni private.

Ed è proprio per questo che la decisione tedesca di “restituire” la scultura all’italia e ai suoi legittimi proprietari, in maniera totalmente spontanea, senza che quindi vi siano state richieste o pressioni da parte dell’Italia per la sua restituzione, da, alla restituzione, un valore enorme.

Perché enorme?

Perché da quanto riportato, dal 1964 (anno in cui si è compiuta la vendita ed è stata ufficializzata la presenza della testa nella collezione del museo Archeologico dell’Università di Münster) ad oggi, l’Italia, pur avendone la possibilità (e ipotizzo il diritto) non ha mai fatto esplicita richiesta di restituzione per la scultura marmorea. Ed è improbabile che l’Italia non sapesse che quest’opera era lì, parliamo pur sempre di un museo universitario in cui la scultura è stata esposta per decenni, non di una collezione privata, segreta e accessibile a pochi eletti di una qualche cerchia ristretta.

La restituzione è avvenuta in maniera totalmente spontanea da parte della Germania e del museo archeologico dell’Università di Münster, che si è privato volontariamente di un pezzo della propria collezione, pezzo che, stando a quanto riportato dalle varie riviste che hanno dato la notizia e le dichiarazioni dello stesso direttore del museo, era stato acquistato “legalmente” se pur, non se ne conoscesse la provenienza illecita.

Non entro nel merito della vicenda giudiziaria, perché non è il mio campo, se volete approfondire vi rimando alle pagine facebook Lost Archeology e Italica Res, che si occupano di archeologia e beni culturali in modo molto più approfondito (e competente) di quanto io non potrò mai fare.

Voglio però soffermarmi sull’uso politico e diplomatico di questa vicenda e sull’effetto che, in teoria, dovrebbe avere sul piano delle relazioni internazionali, perché questa vicenda ha dei risvolti a mio avviso molto interessanti.

So che molti dubiteranno della versione ufficiale, per cui l’allora direttore del museo Archeologico dell’Università di Münster non conoscesse la natura illecita dell’acquisto, e personalmente sono il primo a non credere a questa narrazione ma, facciamo finta che sia così, facciamo finta che il direttore non sapesse che quell’opera proveniente dall’Italia nell’immediato dopoguerra, fosse stata trafugata e accettiamo la versione ufficiale.

In favore del direttore tedesco degli anni 60, voglio dire che, a parte un breve riferimento apparso nel 1937, di questa testa marmorea, nessuno sapeva nulla, non era stata neanche inserita nella lista dei beni e reperti archeologici e artistici trafugati dall’italia durante la guerra. Insomma, era un opera fantasma, e, anche se trafugata, l’acquisto è avvenuto in maniera legittima, o almeno così sembra essere secondo i registri. Detto più semplicemente, chi ha venduto la scultura al museo, non ha venduto un opera rubata al mercato nero, ma ha presentato la testa come un proprio ritrovamento, e la quasi totalità di riferimenti precedenti all’ritrovamento, la catalogazione ecc, questa narrazione potrebbe essere semrata plausibile al direttore.

La scelta tedesca di restituire la scultura marmorea all’italia è una decisione molto importante, ed è chiaramente un segno di collaborazione istituzionale, amicizia e rispetto reciproco, tra la Germania e l’Italia, un gesto di “buona fede” come ha definito lo stesso ministro Bonisoli, che de facto la Germania non era tenuta a fare, ma che ha fatto ugualmente.

Come dicevo, accettando la versione ufficiale, questa scultura, trovata in italia negli anni trenta, da archeologi italiani, era in un certo senso, proprietà dell’Italia, ma in realtà, sembra che questa attribuzione all’Italia sia qualcosa di estremamente recente, sembra quasi che l’Italia neanche sapesse che questa testa era stata trafugata.

Una decisione di questo tipo quindi, in cui un museo decide di rinunciare ad un opera della propria collezione, che comporta una “perdita” di valore per la collezione stessa del museo e non è mai una scelta facile, non è facile quando c’è un esplicita richiesta di restituzione, figuriamoci quando la richiesta non c’è.

Personalmente sono molto felice che il museo di Münster abbia preso questa decisione, perché, come ha osservato il ministro, è un esempio di collaborazione e cooperazione che va oltre gli interessi economici. Quell’opera è stata realizzata in italia, ha riposato in italia nel sottosuolo di Fondi per centinaia di anni prima di essere ritrovata e pochi anni dopo è stata trafugata durante la guerra.

Quella testa appartiene alla città di Fondi, appartiene ai suoi abitanti ed è importantissimo che ritorni a casa, dalla propria gente, e che quella comunità possa ammirarla “quotidianamente” o quasi.

Fonte : https://journalchc.com/2019/06/22/la-germania-restituisce-di-sua-iniziativa-allitalia-una-testa-marmorea-di-ii-sec-d-c/

Perché la Torre di Pisa è inclinata?

Il crollo di una falda sotterranea ha causato l’inclinazione della Torre di Pisa e delle altre strutture presenti in piazza dei miracoli.

La costruzione della Torre di Pisa è iniziata nel 1173 circa, ed è terminata soltanto nel 1372. Quasi 200 anni per costruirla, e prima ancora che la torre fosse ultimata, presentava già la sua caratteristica inclinazione che l’ha resa una delle grandi meraviglie del mondo ed una delle mete turistiche più iconiche del pianeta. Ma perché la torre è inclinata?

La pendenza è stata causata dal cedimento di una falda sotterranea, che si manifestò durante la prima fase di costruzione della torre, quando la struttura raggiungeva appena il terzo piano, ed era alta poco meno di 15 metri (contro i 57 metri di altezza effettiva che avrebbe raggiunto una volta ultimata).

Volendo essere pignoli va detto che non è corretto parlare di un vero e proprio cedimento di una falda, in quanto le falde sono incomprimibili, ciò che ha ceduto sono stati alcuni banchi d’argilla presenti attorno alla falda. Questo cedimento è stati causato dall’installazione dei cantieri per la costruzione delle strutture presenti nella piazza, il cui peso ha alterato e compresso l’integrità del sottosuolo.

La pendenza, e le sue implicazioni ingegneristiche per la stabilità della struttura, insieme ad altri fattori di natura economica, politica e militare, causarono una prima interruzione dei lavori che sarebbe durata fino al 1275.

Durante la lunga pausa, sono state apportate alcune importanti modifiche strutturali ai progetti per la torre, tra queste modifiche fu progettata un nuovo asse curvilineo, capace di controbilanciare l’inclinazione della torre, che quindi, dal terzo piano in su, inizia a curvare leggermente, nella direzione opposta alla pendenza. La sua curvatura è quasi del tutto impercettibile ad occhio nudo, ma rappresenta una delle tante forze in gioco, presenti nella torre, che le hanno permesso di restare in piedi per secoli nonostante la particolare ed involontaria inclinazione.

La torre di Pisa rappresenta un vero e proprio capolavoro di capolavoro dell’ingegneria italiana medievale, e anche se la sua inclinazione è stata involontaria, la sua preservazione ha richiesto l’applicazione di importanti soluzioni tecniche, che nel tempo sono passate dal più banale fissaggio di tiranti, alla progettazione di un’asse curvilineo, ad alcuni importanti interventi strutturali nel sottosuolo che a partire dagli anni novanta del novecento, hanno invertito il processo di cedimento della torre, la cui inclinazione ha iniziato lentamente a ridursi ed entro qualche decennio potrebbe svanire completamente.

I turisti del futuro non hanno di che temere, e se è vero che in un futuro non troppo lontano l’inclinazione della torre svanirà quasi del tutto, è anche vero che questa non potrà mai essere del tutto eliminata poiché il suo asse curvilineo rimarrà parte della struttura, e con esso rimarrà una leggera, certamente meno vistosa, inclinazione artificiale indotta dagli ingegneri che hanno ri-progettato la torre in corso d’opera, continuando a costruire una torre apparentemente destinata a crollare. I sforzi, compiuti nel tentativo di impedire il crollo della torre non sono stati vani e la torre pendente di Pisa è sopravvissuta per molti secoli, diventando non solo un simbolo di Pisa, dell’Italia, dell’Europa e dell’intera umanità, ma è anche una delle più grandi e importanti testimonianze della perseveranza e dell’ingegnosità degli esseri umani.

In quelle condizioni, con una torre che in fase di costruzione, a soli tre piani su undici, mostrava i primi segni di cedimento, la soluzione più logica ed economica sarebbe stata quella di interrompere i lavori, demolire la struttura e ricominciare a costruirla altrove, ma gli ingegneri pisani hanno voluto spingersi oltre, superando i limiti del proprio tempo, hanno rivisto i progetti, fatto nuovi calcoli, trovato nuove soluzioni, ridisegnato e in fine terminato la torre di pisa, consegnando un capolavoro ingegneristico ed architettonico alle generazioni future.

La cosa interessante, e che quasi nessuno sa a proposito della Torre di Pisa e dell’intera piazza dei miracoli è che, in realtà, la torre non è l’unico edificio pendente.
Tutti gli edifici presenti nell’area della piazza dei miracoli (quindi anche il Duomo di Santa Maria Assunta ed il battistero di San Giovanni ) sono leggermente inclinati.

Il motivo per cui non parliamo di Battistero pendente o di Duomo pendente, ma solo di torre pendente di Pisa, è perché l’inclinazione di questi edifici, oltre ad essere minore rispetto a quella della torre, la torre presenta un inclinazione di circa 3,9° mentre duomo e battistero presentano inclinazioni che oscillano tra 2° e 3°, e questo minore angolo di inclinazione, unito alla diversa forma degli edifici, rende meno percepibile ad occhio nudo la loro inclinazione, rispetto alla più vistosa inclinazione della torre.

Anche se gli altri edifici avessero avuto la stessa inclinazione, questa si sarebbe notata meno rispetto alla torre, questo perché la torre è molto slanciata e stretta, con i suoi 57 metri di altezza ed un diametro di appena 20 metri. Dall’altra parte, il battistero di San Giovanni, anch’esso dalla pianta circolare e alto circa 54 metri, presenta un diametro alla base di circa 34 metri.

La maggiore circonferenza del battistero inganna l’occhio umano che quindi non riesce a percepire l’inclinazione dando così l’impressione che la struttura sia perfettamente diritta. Lo stesso discorso vale per il duomo di Santa Maria Assunta, la cui forma, molto più squadrata rendono assolutamente impercettibile l’inclinazione.

Secondo la leggenda, l’inclinazione della torre di Pisa spinse spinse l’Università di Pisa a studiare la forza di attrazione terrestre, quella forza invisibile che noi oggi conosciamo come forza di gravità, dando inizio ad un percorso di ricerche e studi che avrebbe portato, nel 1589, un giovane Galileo Galilei a compiere alcuni esperimenti che coinvolsero la torre, tra cui, il più celebre esperimento di caduta dei gravi dalla sommità della torre pendente, esperimento volto a dimostrare che oggetti di peso differente cadono alla stessa velocità, in obiezione alle teorie Aristoteliche, e proprio grazie a queste dimostrazioni, Galilei venne convocato a Venezia nel 1592.

Museo dell’erotismo di Parigi

Forse non tutti sanno che a Parigi esisteva un museo dell’erotismo.
Questo museo a differenza del Louvre si trovava in un luogo oscuro e nascosto, ed era molto difficile da raggiungere, ma i nostri collaboratori sono riusciti in un impresa degna di Roberto Giacobbo e sono stati lì, dove nessun blog di storia è mai stato prima, o forse ci sono stati ma hanno preferito non parlarne.

Al di la di facili battute questo museo era un luogo davvero affascinante e interessante, soprattutto per chi è interessato a scoprire i segreti della sessualità nel mondo antico.

eh si, i nostri collaboratori hanno gusti un po strani, meglio non fare troppe domande, comunque, quando mi hanno parlato di questo luogo, hanno subito catturato il mio interesse ma non so bene per quale motivo, alla fine ho deciso di non pubblicare nessun articolo o video, almeno fino a questo momento.

Intanto vi do qualche informazione storica sul museo. 
Il museo è stato aperto nel 1997 all’interno di un edificio di cinque piani, e pensate un po, li occupava tutti. Praticamente il sexy shop storico più grande del mondo, ma purtroppo noi, il museo ha chiuso i battenti dopo circa 19 anni di onorato servizio, nel novembre del 2016. Ad ogni modo, solo per amor di cronaca, il museo si trovava a questo indirizzo 72 Boulevard de Clichy, 75018 Paris, Francia.

Allego a questo post due immagini, quella dell’entrata principale e quella di una sorta di locandina che mostra la disposizione dei piani e un indicazione sommaria delle esposizioni.

Al suo interno erano raccolte centinaia e centinaia, di reperti archeologici, storici, ma anche documenti e opere d’arte che sono in qualche modo legati alla sessualità e l’erotismo nel mondo antico (e non).

Per dirla più semplicemente, la collezione del museo spaziava dall’antica arte religiosa indiana, giapponese e africana fino ad arrivare all’arte contemporanea con un focus erotico. Il tutto dislocato su cinque piani oltre ad un’esposizione nel seminterrato (quindi in realtà i piani occupati erano 5 e mezzo).

Un piano era dedicato alle case chiuse, i bordelli legali del 19 ° e 20 ° secolo e in galleria veniva proiettato il film “Polisson et galipettes” (un film documentario del 2002, realizzato con alcune clip dei film erotici muti, realizzati tra il 1905 e il 1930, insomma, un documentario sulla pornografia di inizio secolo). Il museo ospitava anche una collezione di cortometraggi pornografici precedentemente esposti nelle maisons closes (case chiuse). 
Vi erano poi due piani destinati a mostre rotanti, generalmente esposizioni di artisti contemporanei.

Da quanto mi è stato raccontato dai ragazzi, una delle gallerie più suggestive del museo consisteva nella collezione di ceramiche antiche, si tratta di una delle più grandi collezioni di ceramiche antiche con decorazioni erotiche al mondo, per farvi un idea del tipo di ceramiche potete provare a cercare su google “erotic clay roman” o “erotic clay greek” e ne troverete a centinaia, ma certamente non sarà la stessa cosa.

In fine, il museo ospitava una vastissima raccolta di “antichi sexy toys”? davvero non so come definire quegli oggetti particolari e a tratti inquietanti, molti di essi sembrano dei veri e propri oggetti di tortura più che oggetti di piacere, ma non stiamo a sindacalizzare sui gusti degli antichi, forse è meglio.

Mi è stato inoltre riferito che il museo, viene citato nel romanzo Merde Actually, il sequel di A Year in the Merde, perché visitato dal protagonista. E uso questa informazione totalmente superficiale per chiudere il post.

 

San Michele: il sogno “Romantico” di Munthe

«…Settecentosettantasette gradini, tagliati nella roccia da Tiberio stesso…in cima alle scale stava Anacapri»

È proprio nell’isola di Capri, immersa nel verde silenzioso di un giardino ricco di colori e di echi del passato, si trova Villa San Michele, l’edificio che fece costruire il medico svedese Axel Munthe; egli si innamorò subito del luogo così lontano dalla frenesia delle città e ancora legata ad un lontano passato glorioso. La sua prima volta sull’isola fu a diciotto anni, quando ancora studiava per diventare uno dei medici più famosi del suo tempo; gli ci vorranno vent’anni per portare a termine l’opera che diventerà la casa dei suoi malati, il luogo dei giorni felici con gli amici, il suo angolo di paradiso che lo tradirà, perché proprio qui a causa della luce che tanto amava perderà la vista.
La villa non fu costruita con le comodità di una qualsiasi casa abitabile, anzi la sua struttura doveva rispecchiare gli ideali della bellezza, dell’arte, della vita e anche della morte; la sua architettura era mista piena di elementi provenienti da epoche differenti. Questa doveva dare libero sfogo ai pensieri e alle idee del suo proprietario.

«L’ho costruita sulle mie ginocchia, come un santuario al sole, dove avrei ricercato la conoscenza e la luce da quel dio radioso, che avevo adorato per tutta la vita»

Oggi la villa, di proprietà dello stato svedese, è un museo tra i più visitati dell’isola, già al suo ingresso si notano quegli elementi che si ripresentano in ogni angolo dell’edificio, un rosone con frammento marmoreo proveniente da un sarcofago romano del III secolo a.C., un cippo funerario e a terra una copia del celebre mosaico pompeiano con il cane incatenato; la sala da pranzo seguita dalla cucina in perfetto stile caprese è ricca di utensili importati da Munthe da latri paesi; lasciata la cucina ci si addentra in quello che i romani chiamavano ATRIUM, un cortiletto chiuso che costituiva il centro dell’abitazione.

Qui troviamo ornamenti ed epigrafi del periodo romano, una colonna sorregge due arcate al cui interno di due nicchie vi sono i busti di Livia Drusilla1 e di Augusto (o Tiberio); si prosegue per una scala cha conduce alla camera da letto insolitamente grande, per poi giungere il salone francese, lo studio (il pavimento è un mosaico composto da tasselli che provengono da una villa romana di Pompei), e il salotto veneziano arredato con mobile del XVIII secolo.

Passato il salotto veneziano si arriva nella parte forse più conosciuta di San Michele la loggia delle sculture; qui sono conservate all’aperto le opere della collezione personale di Munthe che conta di originali e di copie e tra loro ci sono un busto di Tiberio o Germanico, la dea Artemide, un tavolo da altare con mosaico dietro la quale vi è la statua del Mercurio a riposo (l’originale è conservata presso il museo archeologico nazionale di Napoli). Adiacente la loggia c’è la replica della fontana del Verrocchio con il “Putto col delfino”; dietro, una nicchia contiene uno dei pochi ritratti pervenuti di Ulisse. Superata la loggia inizia il pergolato sostenuto da 37 colonne a cui sono intrecciate piante rampicanti; qui si apre la meravigliosa vista sul Golfo di Napoli. Il giardino di San Michele si sviluppa su terrazze ricche di alberi e fiori che formano un’oasi di pace; vasi, anfore e oggetti artistici fanno da contrasto al verde in cui sono disposti. La parte finale della villa ha forma semicircolare, con una scala che conduce ad un piano superiore del giardino in cui vi è un alcova che in origine faceva parte di una delle ville imperiali di Capri. La scala termina con la cappella dedicata a San Michele. È proprio qui che dopo aver scoperto la cappella Munthe ebbe l’idea di costruire la villa.

«Aperta al sole, al vento e alla voce del mare, come un tempio greco, e luce, luce, luce ovunque»

Quello che si sa della cappella è che fu edificata nel XVI secolo e dedicata al culto dell’arcangelo Michele.
All’angolo della loggia della cappella, l’elemento più famoso di San Michele domina sul Golfo: è la famosa sfinge, in granito. Essa risale al periodo del regno di Ramesse II (XIX dinastia-Nuovo Regno 1539-1075 a.C. circa).
Oggi villa San Michele è meta di molti turisti, e grazie ai suoi monumenti e alla sua architettura permette di entrare a contatto con il passato, e di trascorrere un momento di pace, bellezza e serenità.

Bibliografia.
La storia di San Michele-Axel Munthe

Elogio a : Murubutu | Una voce attraverso storia, filosofia ed emozioni

L’hip hop non è un argomento che tratteremmo normalmente su questo sito ma faremo volentiere una eccezione per uno degli artisti più promettente della scena italiana, ed è particolare anche il musicista che merita questo articolo. Professore di storia e filosofia al Liceo Matilde di Canossa a Reggio Emilia, classe 1975, rapper e fondatore del collettivo La Kattiveria. Alessio Mariani a.k.a. Murubutu.

La sua capacità nello storytelling (il racconto di una storia attraverso una base hip hop) è straordinaria, le storie raccontate sono travolgenti ed è incredibile come tramite le rime Murubutu riesca a farti partecipe delle avventure dei personaggi. Basta premere play per sentirti vicino ad Angelo mentre abbandona il suo corpo e diventa il vento al punto che riesci a sentire la brezza sulla tua pelle , o il senso di malinconia che colpisce il Paolo che realizzerà il desiderio che un po’ tutti noi abbiamo avuto prima o poi, ovvero quello di abbandonare tutto e partire senza meta ma è ancora più assurdo come riesca a catturare anche il sentimento opposto ovvero la paura e il dubbio di lasciare la propria casa tramite la triste vicenda di Claudio sull’Isola Verde che lo ha cresciuto.

Queste vicende catturano sentimenti che poi artisti sono riusciti a trasmettere ma la sua abilità poetica non si limita a questo in quanto Murubutu non si ferma a raccontare storie d’amore senza renderle banali e non si fa problemi a dare un volto umano ai personaggi i quali sono vittime fragili del mondo che li circonda come ci viene ricordato duramente tra le note di I Marinai Tornano Tardi nel quale una donna continua ad attendere il proprio amore nonostante siano già passati 10 anni dalla sua morte in mare, le vicende felici si costruiscono attraverso frammenti tristi che impediscono alla storia di diventare un banalissimo “e vissero felici e contenti” come l’internamento a Buchenwald del partigiano Dino il quale una volta tornato dalla sua amata vivrà insieme a lei nonstante il trauma subito ed insieme vedranno l’italia rinascenere nel Comitatà della Liberazione Nazionale.

Si nota la sua passione per l’istruzione sopratutto nei brani dedicati alla filosofia e alla storia, una nota particolare va fatta per Diogene di Sinope e La Scuola Cinica dove il rapper emiliano si scatena in una sfilza di rime impossibili da eseguire e presenta a sua volta i pensieri e le storie di alcuni dei migliori filosofi ricercatori dell’eudemonismo. Nulla a che vedere con la sua performance dedicata alla scomparsa inspiegata dei soldati di Cambise nel quale si può percepire sin dalle prime rime la lunga marcia dei legionari che svanirono nel nulla durante il loro percorso verso le valli del Nilo.

Mi permetto di prendere un altro paragrafo per esaltare quest’ultima canzone perché secondo me è davvero la sua magnum opus. Il brano racconta la folle ma leggendaria marcia dei 59’000 uomini dell’esercito persiano attraverso il deserto verso la città di Siwa. Il ritmo incalzante risuona come tamburi da guerra che guidano la il passo dei legionari e dei mercenari mentre vengono interrotti dal sibilare del rapper come le brezze del vento che alzano la sabbia rovente e l’uso della “s” non fa altro che rafforzare la calura ardente che colpisce gli uomini strozzati nell’oceano di sabbia senza la possibilità di andare ne avanti ne indietro. I brevi intervalli nei quali il rapper racconta la mistica vicenda danno i dettagli di quella assurda spedizione e basta chiudere gli occhi per vedere gli animali scalciare e liberarsi mentre la sabbia si fa strada nel corpo dei poveri soldati e la disperazione prende il controllo in quello che era il più grande esercito dell’antichità che aveva messo in ginocchio tutti gli altri. E nella spaventosa bufera di sabbia tutti scomparirono nel nulla.

Nel silenzio, che ti incanta, una voce canta stanca

Segue il senso, della sabbia, giunse lento e scaldò l’aria

No, non lo videro

No, non lo udirono

Lui li raggiunse in un soffio ogni corpo svanì

DARK DISNEY || Massacri, stupri, razzismo e torture nelle più famose fiabe per bambini

Disney è ormai parte dell’infanzia della stragrande maggioranza della popolazione occidentale, grazie ai suoi personaggi e alle sue canzoni abbiamo vissuto la magia dell’animazione. Walt Disney ha sempre preso ispirazione da leggende e folklore di diverse nazioni per scrivere i suoi film, ma ha preferito omettere o modificare alcuni passaggi.

Come mai  ? beh … 

  1. Biancaneve

Il primo lungometraggio di casa Disney è ispirato al racconto dei fratelli Grimm e varia nei seguenti punti:

  •  La Regina Cattiva nella fiaba originale chiede al cacciatore di riportarle il cuore e l’intestino di Biancaneve in modo da poterli mangiare
  •  Il Principe invece di risvegliare la bella Biancaneve con un bacio del vero amore cerca di rubare la bara e portarla via ma durante lo spostamento il cofano cade e con lui anche la bella ragazza che finisce con lo sputare fuori il pezzo di mela avvelenato.
  •  Biancaneve inviterà la Regina al suo matrimonio con il principe ma solo per farla ballare con delle scarpe roventi fino alla morte.

Orribile si ma questo non è nulla in confronto a quello che è Cenerentola.

  1. Cenerentola

I fratelli Grimm devono aver avuto di sicuro una passione per il “gore” o lo splatter perché certe cose sono assolutamente rivoltanti per noi come lo erano secoli fa.

  •  Quando il ciambellano di corte gira per il regno provando la scarpetta, una delle sorellastre verrà spinta dalla matrigna a tagliarsi l’alluce e parte del tallone, cosa che convincerà il principe finché non gli verrà detta la verità da un paio di colombe.
  •  Al matrimonio di Cenerentola invece quelle stesse colombe staccheranno le orbite alle sorellastre.

Yup. Disgustoso. Però siamo ancora agli inizi.

  1. La Bella Addormentata

Okay, nella versione dei fratelli Grimm è una storia normale ma in quella di Giambattista Basile invece le cose prendono una altra piega.

  •  Il principe Filippo trova Aurora addormentata ma invece che svegliarla con il bacio del vero amore decide di avere un rapporto sessuale nel quale la bacia.
  •  Mentre la principessa è addormentata partorisce 2 gemelli e si sveglia solo quando uno dei due succhia via la spina dal suo dito.

Come al solito “Italians do it better”.

  1. Pinocchio

C’è qualcosa che non va con noi italiani, Collodi infatti sembra si sia fatto scappare un po’ troppo la mano nel cercare di avvertire i bambini dei pericoli della disobbedienza.

  •  Appena Geppetto insegna a Pinocchio come camminare, quest’ultimo scappa in città e incontra un carabinieri il quale pensa che Geppetto sia stato violento con il bambino e lo imprigiona per un giorno.
  •  Pinocchio torna a casa del falegname dove viene rimporverato dal Grillo al quale lancia un martello uccidendolo.
  •  Nel finale della storia Pinocchio incontra Lucignolo in versione asino e invece che aiutarlo lo lascia morire nelle mani del contadino

Collodi non sopportava la disobbedienza.

  1. La Sirenetta

Hans Endersen si è fatto prendere un po’ la mano dall’esoterismo.

  • A quanto pare le sirenette non ottengono una vita dopo la morte e quindi Ariel chiede le gambe ad Ursula non solo per poter guadagnare l’amore del principe ma anche nella nella speranza di raggiungere il paradiso.
  • Ogni passo che fa con le nuove gambe la fa soffrire come se camminasse su centinaia di coltelli affilati.
  • Nella fiaba originale non riesce a conquistare il principe, che lei aveva adocchiato nella speranza di baciare ed ottenere una parte della sua anima sempre nella speranza di raggiungere il paradiso.
  • La fiaba finisce con lei si butta in mare suicidandosi ma viene trasformata in una “figlia dell’aria” o da quel che ho capito una brezza marina.

Alla fine nella sua forma gassosa Ariel raggiunge comunque il regno dei cieli quindi è un finale felice no?!

  1. Il Gobbo di Notre Dame

C’è poco da aspettarsi quando l’autore dell’opera è lo stesso de “Les Miserables”, Victor Hugo.

  • Frollo impicca Esmeralda.
  • Quasimodo ammazza Frollo.
  • Il gobbo disperato piange sulla carcassa della zingara e muore di fame.

Siamo alla sesta fiaba e fino a qui il miglior finale riguarda un pesce suicida. Si può solo migliorare no?

7. Red e Toby nemiciamici

  • Toby nel libro ha due 2 compagne e un paio di cuccioli che vengono ammazzati tutti dal cacciatore.
  • Amos nel tentativo di uccidere la volpe dissemina nel bosco diverse trappole ma finisce con l’uccidere animali domestici e pure un bambino.
  • Amos è un alcolizzato.
  • Nel finale la volpe muore esausta nel tentativo di fuggire dall’ex amico, mentre il fedele cane da caccia viene ucciso dal proprio padrone perché nel rifugio per anziani nel quale doveva andare non era permesso l’ingresso agli animali.
  1. Alice nel Paese delle Meraviglie

La fiaba non ha granché di grottesco o spaventoso ma Lewis Caroll era quasi sicuramente un pedofilo e aveva chiesto di avere in matrimonio la piccola Alice Liddell (è esistita per davvero) dai signori Liddell, la bambina a quei tempi aveva 11 anni e sono stati ritrovati diversi disegni fatti dall’autore che rappresentavano bambini nudi. Vorrei ricordarvi che si tratta dell’Era Vittoriana, una epoca in cui i bambini si ritrovavano a fare 12 ore di lavoro e nessuno alzava un dito.

  1. Aladino
  • Il ladruncolo di Agrabah si porta via decine di tesori dalla caverna delle meraviglie e le vende ad un mercante che nella fiaba viene definito “un ebreo più avido e ingannatore di tutti gli altri ebrei”.
  • Aladino rapisce la principessa e il principe a cui era data in sposa tutte le notti e congela quest’ultimo per impedire che si consumi la notte di nozze per poi rimandarli al loro posto il mattino dopo.
  • Jasmine non consente mai nella storia a sposare ne lui ne l’altro principe.

Antisemitismo a parte è una delle storie più belle che abbia letto e ne consiglio la lettura.

  1. Pocahontas

Qui però non si tratta di una opera di finzione ma della vera storia di una donna realmente esistita.

  • John Smith si ferisce e torna in Inghilterra ma i coloni raccontano agli indigeni che è morto in un attacco pirata.
  • Non si ha alcun dato che possa confermare che Pocahontas fosse consenziente al matrimonio con John Rolfe.
  • Una volta portata in inghilterra verrà esibita agli inglesi come simbolo della “Virginia selvaggia ma domata”.

Triste ma vero.

  1. Rapunzel

Si torna ai fratelli Grimm!

  • In una delle versioni minori, Dama Gothel ricopre d’unguento i capelli di Rapunzel e in questo modo fa cadere il principe a terra ammazzandolo e lasciando la principessa intrappolata lì per sempre.
  • In quella originale invece il principe cade su delle spine e diventa cieco mentre la principessa viene cacciata nei boschi, mesi dopo si ritroveranno e le sue lacrime gli ridaranno la vista.
  1. Mulan

Qui la storia rimane sempre la stessa per gran parte ma come al solito è il finale ad avere la svolta dark.

  • Mulan torna a casa per scoprire che tutta la sua famiglia è morta, non le resta che diventare una concubina ma rifiutata questa opzione preferisce suicidarsi con onore.

E qua finisce il nostro viaggio nell’orrore della letteratura. Ho saltato volontariamente alcune storie le quali, pur contenendo qualche elemento dark non le ho considerate abbastanza interessanti.

 

OBELISCHI EGIZI A ROMA

Le principali piazze di Roma sono decorate da alti obelischi: alcuni sono egiziani, altri risalgono all’epoca romana. Il primo imperatore a portare gli obelischi in città fu Augusto, avendo posto egli stesso l’Egitto sotto il controllo romano, rendendolo una provincia dell’impero; il suo esempio è stato seguito da numerosi imperatori dopo di lui.

In epoca imperiale essi non avevano una funzione decorativa, bensì avevano un significato politico e religioso: erano bottino di guerra, segno della potenza e della capacità dell’impero; erano collocati nei templi egizi (numerosi a Roma in quel periodo), in aree consacrate al dio Sole, davanti a monumenti funerari. Si trovavano, quindi, in luoghi diversi da quelli in cui si trovano oggi. Con l’avvento delle invasioni barbariche, andarono incontro al crollo o finirono smarriti, senza lasciare traccia.
Furono i papi a far poi reinnalzare queste enormi steli sacre, facendole trasportare nelle piazze della Roma rinascimentale e barocca: il primo fu papa Sisto V Peretti (1585-1590) il quale, grazie alla collaborazione dell’architetto Domenico Fontana, ha trasformato l’aspetto della città: fece costruire grandi strade rettilinee per collegare le basiliche che ogni buon pellegrino doveva visitare (il famoso “giro delle sette chiese”) e per aiutare ad orientarsi tra i palazzi usò come punti di riferimento proprio gli obelischi. Fece trasportare e collocare quattro di essi: quello di Piazza San Pietro, dell’Esquilino, di San Giovanni in Laterano e di Piazza del Popolo.

Oggi ci sono 13 obelischi antichi in città, ma in origine erano di più, almeno 17. Nel XVIII secolo un obelisco è stato portato a Firenze, nel Giardino di Boboli a Palazzo Pitti; due sono stati portati ad Urbino, davanti alla chiesa di San Domenico. Un altro obelisco si trovava sull’isola tiberina: è crollato a terra nel XVI secolo e alcuni frammenti sono conservati tra il Museo Nazionale di Napoli e Monaco di Baviera.
La nostra capitale possedeva anche un obelisco axumita, proveniente appunto da Axum, la città sacra dell’antico imperio etiope, esso era alto più di 23 metri e contava 150 tonnellate di peso; gli italiani ne entrarono in possesso durante la guerra di Etiopia alla fine del 1935, lo rinvennero frantumato in tre tronconi, lo sezionarono ulteriormente e con due mesi di fatiche fu trascinato fino al porto, giunse a Napoli nel 1937 e poi, da lì, a Roma. I soldati italiano lo avevano prelevato come bottino di guerra, ma si offrirono di restituirlo già dal 1947: fu un percorso travagliato e dopo vari tentennamenti e perplessità il primo frammento della stele partì per tornare a casa solo nell’aprile del 2005. Il suo ripristino finale fu ufficialmente celebrato nel settembre del 2008, con la presenza di migliaia di persone, tra cui la delegazione italiana.
Ma torniamo agli obelischi egiziani attualmente in piedi nella capitale:

 

Obelisco lateranense ©Foto di Federica Ruggiero

L’obelisco lateranense è il più antico, nonché il più alto: 32,185m, basamento escluso. In granito rosso, era situato a Tebe dinnanzi al tempio di Amon a Karnak ed era dedicato al grande faraone Thutmosis III, oggi spicca al centro della piazza dinnanzi all’entrata posteriore della basilica di San Giovanni in Laterano. Ma come giunse a Roma? Fu l’imperatore Costanzo II a volerlo in città, nel 357 fu fatto innalzare nel circo massimo. Fu poi abbandonato e ritrovato sepolto e spezzato in tre parti nel 1587; venne restaurato dall’architetto Domenico Fontana su ordine di papa Sisto V e posizionato nella sua attuale sede. Ha un gemello, attualmente situato nella piazza Sultanhamet nel cuore di Istanbul.

 

 

Obelisco vaticano ©Foto di Federica Ruggiero

Al centro di piazza San Pietro troneggia fiero l’obelisco vaticano, l’unico sempre rimasto in piedi: monolito a fasce lisce, nessun geroglifico, alto più di 25 metri, basamento ovviamente escluso. Fu eretto dal faraone Nencoreo III (nome inventato da Plinio, Nemcoreo III è oggi identificato in Amenemhat II) ad Heliopolis ed è in porfido. Nel 37 d.C. l’imperatore Caligola lo volle a Roma: l’obelisco abbandonò la sua sede ad Heliopolis e finì a decorare il circo di Nerone. Nel 1586 papa Sisto V lo fece collocare dov’è ora da Domenico Fontana; le decorazioni poste tra la base e la cima sono riconducibili alla famiglia Chigi, alla famiglia Conti ed, ovviamente, a Sisto V. In cima, prima di ospitare le reliquie della santa croce, pare ci fosse una palla di bronzo che, secondo tradizione, conteneva le ceneri di Giulio Cesare, donate poi da Sisto V al comune di Roma.

 

Obelisco Flaminio ©Foto di Federica Ruggiero

Innalzato ad Heliopolis da Seti I e Ramesse II, l’obelisco Flaminio fu tra i primi a traslocare a Roma per volere di Augusto: quasi 24 metri senza contare il basamento, nuova casa fu il Circo Massimo. “Il cielo degli dei è soddisfatto per quello che fece il figlio del Sole Seti I dagli spiriti di Eliopoli amato come il sole”, questa la traduzione dei geroglifici incisi lungo la stele. Sisto V lo fece spostare alla sua attuale sede in piazza del popolo nel 1589. Il basamento, su ogni lato, riporta un’iscrizione diversa: il lato rivolto verso il pincio è riferito alla chiesa di Santa Maria del Popolo, dal lato opposto la dedica va proprio a Sisto V, dalla parte rivolta verso la porta del popolo viene rievocata la vittoria di Augusto sull’Egitto ed, infine, l’ultimo lato è purtroppo danneggiato.

 

Obelisco di Montecitorio ©Foto di Federica Ruggiero

L’obelisco di montecitorio, insieme a quello vaticano, fu l’unico ad aver svolto funzioni di indicatore solare. Alto quasi 22 metri, nato ad Heliopolis per merito di Psammetico II, si trova a Roma per volere di Augusto dal 10 a.C. e inizialmente si trovava in campo Marzio, fu poi reinnalzato su ordine di papa Benedetto XIV e spostato a Montecitorio,dopo averlo fatto restaurare con frammenti di granito rosso della colonna antonina. In cima gli collocarono una sfera forata da cui a mezzogiorno sarebbe dovuto passare un raggio di sole.

 

 

Obelisco di Dogali ©Foto di Federica Ruggiero

L’obelisco di Dogali è stata restaurata ed utilizzata per il monumento commemorativo dei 548 caduti in Etiopia durante la battaglia di dogali del 1887; alto poco più di 6 metri, fu innalzato sul “monumento più malinconico che ci sia sotto il cielo di Roma” (cit.) che si trovava dinnanzi alla stazione di Roma termini e nel 1925 fu spostato nella sua attuale sede, il giardinetto delle terme di Diocleziano. Anch’esso nativo di Heliopolis, costruito durante il regno di Ramsete II, fu trovato nel 1883 nell’antico tempio romano dedicato alla dea Iside. Dopo la conquista d’Etiopia fu arricchito con un leone di Giuda in bronzo ma post fascismo esso fu restituito al Negus etiope Hailè Selassiè.

 

 

Obelisco del pantheon ©Foto di Federica Ruggiero

Anche l’obelisco del pantheon è opera di Ramsete II, sito in Heliopolis, non si sa con precisione quando arrivò a Roma ma si sa che abbelliva il tempio di Iside e serapide in campo Marzio; alto poco più di sei metri, in granito rosso, arrivò in piazza del pantheon per mano di Papa Clemente XI Albani, dopo esser passato per piazza san Macuto (Sant’Ignazio) nel 1374. Fu Filippo Barigioni l’architetto che si occupò dell’inserimento della stele nella splendida fontana cinquecentesca scolpita da Giacomo della Porta, riuscendo a legare armoniosamente i due monumenti. Non fu un’impresa facile, ma oggi abbiamo un’opera splendida da ammirare.

 

Obelisco della Minerva ©Foto di Federica Ruggiero

Appena cinque metri di altezza per l’obelisco di piazza della Minerva, ma è di una bellezza unica: nel 1667 fu dotato di un curioso basamento disegnato da Gian Lorenzo Bernini e realizzato da Ercole Ferrata, un elefantino. La stele poggia sul dorso dell’animale, fu voluto da papa Alessandro VII Chigi, il quale volle anche un’incisione filosofica, oltre che storica, sul basamento, ovvero (tradotta): “Chiunque tu sia, puoi qui vedere che le figure del sapiente Egitto scolpite sull’obelisco sono sostenute da un elefante, il più forte degli animali: capisci l’ammonimento, che è proprio di una robusta mente sostenere un solida sapienza”. I geroglifici sulla stele, invece, sono stati cosi tradotti: ” La protezione di Osiride contro la violenza del nemico Tifone deve essere attirata secondo i riti appropriati e le cerimonie con sacrifici e mediante l’appello al Genio tutelare del triplice mondo, per assicurare il godimento della prosperità tradizionalmente concessa dal Nilo contro la violenza del nemico Tifone”.
Eretto per la prima volta in Egitto dal faraone Aprie (589-570 a.C.), fu trovato in ottimo stato di conservazione, è in granito rosa con geroglifici sulle 4 facciate. Il progetto iniziale del Bernini fu bocciato e ci furono numerose divergenze tra lui, un frate domenicano che voleva vedersi affidare il progetto ed il papa, la posizione dell’elefantino sarebbe la prova delle divergenze che ebbero.

Obelisco Mattei – celimontana ©Foto di Federica Ruggiero

Il più difficile da localizzare e trovare, l’obelisco di villa celimontana è ubicato all’interno dei giardini della residenza, sede attuale della società geografica italiana, giardini che sono divenuti parco pubblico nel 1925: la villa era antica residenza della famiglia Mattei. È il pù piccolo tra gli obelischi di cui abbiamo parlato, misura appena due metri, ma è stato dotato di una “piccola aggiunta” di circa 10 metri, di colore diverso, a fasce lisce e priva di geroglifici. Tra i vari nomi, ha anche quello di “obelisco Mattei” ed “obelisco capitolino”, quest’ultimo perché in epoca imperiale fu trasportato a Roma e posto nel tempio di Iside capitolina; fino al 1952 era situato in campidoglio. Fu donato al duca Ciriaco Mattei nel 1528 dal senato di Roma, il quale lo fece smontare subito dal cimitero dove si trovava. Si narra che un operaio che stava lavorando alla collocazione dell’obelisco sulla base attuale vi perse le mani e parte delle braccia a causa della rottura di una fune.

Bibliografia :

http://www.turismoroma.it/cosa-fare/gli-obelischi
http://www.angolohermes.com/Luoghi/Lazio/Roma/Obelischi/obelischi_1.html
Munoz A.- Gli obelischi egiziani di Roma 1953
Cipriani G.B.-Su i dodici obelischi egizi che adornano la città di Roma 1823
Farina G,- L’obelisco domizianeo nel Circo Agonale 1908
Gnoli D.- Disegni di Bernini per l’obelisco della Minerva in Roma 1888
Grassi G.- Gli obelischi di Roma
Bastico S –Obelischi egiziani a Roma. In Romana Gens 1956
Briganti Colonna G.-Avventure di obelischi 1937

©Tutte le foto sono state scattate e post-prodotte da Federica Ruggiero, autrice dell’articolo

Il restauro della Cappella degli Scrovegni a Padova

Sono passati già quasi dieci anni dalla conclusione dei restauri che hanno gettato nuova luce sulla magnifica Cappelli degli Scrovegni, a Padova, uno degli esempi più lampanti della maestria e della modernità di Giotto. I lavori, che hanno richiesto l’intervento di un team variegato composto da tecnici, storici dell’arte e restauratori e i servizi necessari forniti da ditte specializzate in opere edili e noleggio di ponteggi, cominciarono nel luglio 2001 e vennero conclusi ufficialmente nel novembre 2002, con il Convegno Internazionale di studi tenutosi a Padova.

Grazie al compimento del programma di restauro, finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ai visitatori del nuovo millennio è stata data la possibilità di ammirare gli affreschi giotteschi in tutto il loro originario splendore, e di scoprire anche alcuni particolari significativi che il tempo aveva nascosto, ma che sono essenziali per capire la grandezza di un’artista quale Giotto è stato. Uno degli esempi più noti, in questo senso, riguarda le lacrime, visibili dopo il restauro, che rigano il viso delle madri raffigurate nella sezione dedicata alla strage degli innocenti, ma potremmo citare anche i tre specchietti che adornano l’aureola del Cristo Giudice, un artificio tecnico-scientifico più che artistico:

grazie a questa trovata, il 25 marzo, anniversario della consacrazione della Cappella alla Vergine Annunciata, la luce che entra dalla finestra e si staglia sul Cristo viene riflessa e illumina a sua volta l’immagine di Enrico Scrovegni, ossia il committente dell’opera.

Ma l’importanza del restauro non sta solo in queste chicche che è riuscito a portare alla luce, sta anche e soprattutto nell’essere riuscito a mettere l’accento sull’uso del colore e della tecnica del “marmorino” effettuato da Giotto nella decorazione della cappella. Non bisogna sottovalutare, inoltre, che i lavori di ristrutturazione si sono resi necessari non solo per il restauro del manufatto in sé, ma anche per rallentare il processo di deterioramento dell’opera. I lavori hanno dunque previsto, oltre che il restauro degli affreschi, lo studio di interventi di adeguamento dell’ambiente e di conservazione
dell’edificio, quali la messa in opera di controvetrate schermanti e la sostituzione delle lampade ad incandescenza, senza dimenticare l’innovazione maggiore, ossia la messa in opera del Corpo tecnologico attrezzato, un sistema di protezione studiato per impedire agli inquinanti gassosi di penetrare nella cappella e la cui installazione ha preceduto i lavori di restauro veri e propri.

Solo dopo la verifica dell’efficacia del Corpo tecnologico attrezzato è stato infatti possibile procedere con il montaggio di ponteggi e cominciare dunque gli interventi conservativi d’urgenza (consolidamento dell’intonaco e della pellicola pittorica) e i lavori volti ad attenuare le disomogeneità cromatiche che erano venute a crearsi in seguito ai precedenti lavori di restauro portati a termine alla fine dell’Ottocento e, più di recente, agli inizi degli anni Sessanta. Il restauro è stato inoltre accompagnato dalla creazione di una pagina web dedicata, dalla creazione di una banca dati sulla Cappella e il suo restauro e da una documentazione digitale, in modo da dare a tutti una possibilità di approfondimento per comprendere la portata e le finalità degli interventi di restauro.

Un’opera dettagliata e sfaccettata, dunque, quella che ha portato al compimento dei lavori di restauro della Cappella Scrovegni, un’opera che ha dato – e che darà ancora a lungo – la possibilità ai numerosi visitatori di godere dei colori e dei particolari riscoperti di un innegabile
capolavoro.

Articolo a cura di  Francesca Tessarollo
Fonte: Article-Marketing.it

Badlands, un viaggio on the road tra storia e cultura Americana

Se amate la musica di Springsteen vi consiglio la lettura di Badlands. Springsteen e l’America: il lavoro e i sogni di Alessandro Portelli.
Ho avuto modo di assistere alla presentazione del libro e scambiare qualche parola con l’autore, uno storico appassionato, attualmente docente di letteratura anglo americana presso l’università degli studi di roma La Sapienza.

Alessandro Portelli, storico e critico musicale, autore del libro Badlands edito Donzelli
Alessandro Portelli, storico e critico musicale, autore del libro Badlands edito Donzelli

Il rock prima di Springsteen per quanto trasgressivo e audace era ancora impregnato di un certo tipo di poetica, che disegnava un mondo incantato e fiabesco, ma con Springsteen quel mondo va in frantumi e nuovi temi, decisamente più “maturi” e disincantati, più vicini alla quotidianità del ceto medio americano, irrompono nelle radio e sul palco donando un nuovo volto a quel genere musicale trasgressivo che fino a quel momento si era connotato di fasti ed eccessi fin troppo lontani dalla realtà.
Nella musica del Boss per la prima volta i sogni sono chiamati a fare i conti con la realtà rompendo la magia e l’incanto di quel mondo onirico descritto da mille canzoni, quel mondo che tutti sognavano ma che in pochi, per non dire nessuno, potevano avere.

Parafrasando le parole di Alessandro Portelli, prima di Springsteen tutti scopavano senza conseguenza, nessuna ragazza rimaneva incinta, nessuno si ammalava, nessuno aveva bisogno di lavorare, erano tutti felici e spensierati, come dei piccoli Gianni Morandi mentre andavano a comprare il latte, poi però quei ragazzi iniziano a crescere, e non c’è più la mamma a dar loro i soldi per andare a prendere il latte, e quel momento è il momento in cui arriva Springsteen che con le sue canzoni fa quel passo in più, si rompe la magia e si piomba nella cruda realtà. Il sesso non è più privo di conseguenze.

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Nonostante ciò Badlands non è un libro che parla di musica, non solo almeno, ma usa la musica e nello specifico la musica e le canzoni del Boss per tracciare un ritratto della storia sociale e della cultura americana a partire dagli anni settanta fino ad oggi, mostrando la realtà che si cela oltre il velo dell’illusione, mostrandoci la vera america, quella vissuta e sudata tra campi e fabbriche, da contadini e operai, insomma, l’america del ceto medio che non possiede auto di lusso ma auto di seconda mano e vive in mastodontici condomini con così tanti appartamenti da rendere impossibile conoscere persino il nome dei propri vicini.

Clicca qui per comprare il libro Badlands. Springsteen e l’America: il lavoro e i sogni di Alessandro Portelli editore Donzelli

Battlefield 1 e il realismo storico nei videogiochi.

Approfitto della imminente uscita di uno dei titoli videoludici più attesi dell’anno, Battlefield 1, un FPS ambientato nella prima guerra mondiale, per occuparmi di un argomento abbastanza diverso dal solito, ovvero il realismo storico nei videogiochi.

Metto le mani avanti dicendo che non sono un grande videogiocatore o un appassionato di videogiochi, e che quella che seguirà sarà solo la mia opinione, un opinione che può essere condivisa o meno ma che voglio condividere con voi, e spero mi facciate sapere qui sotto nei commenti, cosa ne pensate.

É parecchio tempo che mi sto tormentando con questa la domanda

I videogiochi possono essere storicamente attendibili ?

La prima volta che mi sono interrogato in merito è stato quando Lorenzo mi ha mostrato il primo trailer di Battlefield 1 proponendomi una recensione storica del trailer, un po come fa “the great war” nel suo canale youtube. Da quel momento ho iniziato a guardare questa tipologia di video, vedendo in essa un potenziale spiraglio per il mio canale, un modo per raggiungere un pubblico nuovo e diverso, insomma, il pubblico dei videogiocatori, il pubblico dei gamer, per intenderci il pubblico degli appassionati di videogiochi.

Sentivo tuttavia che mancasse qualcosa, avevo la convinzione che qualcosa mi stesse sfuggendo e che non riuscissi a vedere il quadro completo. Ed è fondamentalmente per questo che alla fine non ho mai realizzato la recensione storica del trailer di Battlefield 1, per questo e perché ho cancellato il file prima di editare il video.

Recentemente però è stata rilasciata una open beta o comunque si chiami, di questo titolo, e guardando i primi gameplay, sono finalmente riuscito a capire cosa mi mancasse e soprattutto perché probabilmente non sarò mai nella condizione di realizzare la recensione storica di un videogioco.
Ma procediamo con ordine, e vediamo perché, per quanto mi riguarda, un buon videogioco non potrà mai essere storicamente attendibile. E soprattutto perché è giusto che sia così.

Per chiarezza ricordo ancora una volta di non essere un videogiocatore, di fatto so poco o nulla su questo mondo, e tutto ciò che conosco è dovuto alla divulgazione videoludica effettuata da canali youtube come Playerinside, Sabaku no maiku e Quei due sul servere preciso di essermi avvicinato, non poco, a questo mondo, interessandomi soprattutto alla magia che può comunicare un videogioco.

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Credo sia proprio questa la parola chiave che stavo cercando, il punto di partenza per il nostro ragionamento, la magia del videogioco, qualcosa che, per sua natura è di totalmente inconciliabile con la cruda realtà dei fatti.

Credo che un Videogioco realmente storicamente attendibile non potrebbe mai avere quella magia e in questo articolo cercherò di spiegare perché.

La cruda realtà dei fatti, la storia, per quanto possa essere affascinante è di per se molto lenta, violenta, crudele, a tratti anche disgustosa e questi elementi stonerebbero, presi così come sono, nel contesto videoludico, a meno che non si voglia realizzare un titolo disgustoso e allo stesso tempo noioso. Ma una simile idea non verrebbe neanche al più folle e visionario degli sviluppatori, poiché il videogioco, ha una sua precisa ragione d’essere e il suo scopo è quello di coinvolgere e catturare il videogiocatore, trascinandolo in un mondo dal quale è difficile non essere affascinati, ed è proprio a questo che mi riferisco quando parlo di magia del videogioco, la sua lontananza dalla realtà anche quando è estremamente verosimile.

Prendo ad esempio un titolo come il già citato Battlefield 1, si tratta di un FPS, uno spara-tutto in prima persona, ambientato nella prima guerra mondiale. La veridicità storica di questo titolo possiamo riscontrarla in tanti aspetti, o almeno così appare dalle immagini del trailer, e dai primi gameplay in beta, ma in altri aspetti, questi ultimi legati soprattutto al gameplay, inteso come esperienza di gioco, quella veridicità viene meno, crollando su se stessa e questo perché se fosse mantenuta “alta”, sarebbe probabilmente una tortura per il videogiocatore, che ricordiamo è il principale destinatario di un videogioco.

Come ha detto Synergo (del canale Youtube Quei due Sul Server) in un rapido scambio di opinioni proprio sotto un suo gameplay, la veridicità storica sarebbe la morte del gamelplay, ed è vero, e per quanto mi riguarda, non c’è nulla di più vero, perché la storia così come è, è lenta e noiosa, e in un gioco in cui bisogna sparare ai propri avversari nel minor tempo possibile e allo stesso tempo evitare di essere colpiti, è folle pensare e anche solo immaginare che possa esistere un qualche tipo di veridicità storica, nel gameplay. Perché appunto, quella sarebbe la morte stessa del gameplay, rendendo il titolo impossibile da giocare.

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Un cecchino che per ricaricare il suo fucile impiega anche 10 minuti, e fa una fatica enorme per mettere a segno il bersaglio, in un titolo come Battlefield 1, è già bello che morto, e “io” ipotetico giocatore, col cavolo che sceglierei un cecchino per giocare, se nella mia partita potrò sparare al massimo uno o due colpi ogni dieci minuti, soprattutto se la partita durerà dieci minuti o già di lì.

Chiaramente quindi, un videogioco per essere realmente coinvolgente deve necessariamente scendere a compromessi, e adottare determinate convenzioni che andranno a sacrificare una certa dose di veridicità storica e di realismo, in cambio di un gameplay decisamente più dinamico e soprattutto rapido.

La veridicità storica di Battlefield 1 in questo senso non è superiore, ne inferiore, a quella di titoli che paradossalmente non sono ambientati in momenti storici precisi, e anzi, sono addirittura collocati in universi immaginari costruiti su misura per quel gioco. Penso a titoli ambientati in mondi fantasy che pur non avendo assolutamente nulla, e sottolineo, nulla, di storico al proprio interno, posso considerarli storicamente attendibili esattamente come, e magari anche più di battlefield 1.

Ma perché avviene ciò ?

Prendo ad esempio in questo caso un titolo come l’osannatissimo Dark Soul o ancora Skyrim, e perché no, anche World of Warcraft, in modo da tracciare un quadro che possa essere il più ampio possibile. E  a questo punto mi direte “ma Antonio, cosa c’è di storicamente attendibile in questi titoli, soprattutto in WOW?”.
Nulla, è questo il punto non c’è assolutamente nulla e proprio per questo, lo sono, proprio come accade in alcune serie televisive e romanzi, dichiaratamente fantasy come ad esempio Game of Thrones, nel cui universo totalmente inventato e costruito a tavolino da Martin, c’è più storia di quanta non se ne possa incontrare in vero e proprio romanzo storico, che di storico ha solo la didascalia.

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Ancora una volta è opportuno procedere con ordine.
Come già detto e ripetuto, per quanto mi riguarda, l’esperienza di gioco non potrà mai essere storicamente soddisfacente, perché il giocatore si annoierebbe decisamente troppo presto, ma un gioco non è fatto di solo gameplay, certo, il gameplay è probabilmente la componente principale e più importante di un videogioco, guarderei un film, leggerei un libro o ascolterei un cd se mi interessasse altro.

Ma è proprio quest’altro che può essere storicamente attendibile e soddisfacente da quel punto di vista, riuscendoci in numerosissimi titoli, che non necessariamente hanno un vero e proprio background storico, ma, nella costruzione del mondo, nella rappresentazione dei rapporti di forza, degli equilibri e delle dinamiche sociali, riescono paradossalmente ad essere più storici di un gioco dichiaratamente a sfondo storico.

Non so se quest’ultimo passaggio è abbastanza chiaro, cercherò di mettere un po d’ordine magari con qualche esempio.

Un titolo come Assasin’s Creed, è, diversamente da quello che può sembrare, storicamente attendibile, non mi riferisco al gameplay per i motivi sopra citati, ne alla trama, dichiaratamente fantasticheggiante e poco realistica, ma penso agli elementi “storici” nelle ambientazioni che vanno a costituire lo sfondo della nostra avventura.

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Abbiamo ambientazioni precise, ben definite nel tempo e nello spazio, e in quelle ambientazioni, se rivolgiamo lo sguardo oltre il nostro personaggio, possiamo osservare precise dinamiche sociali, tra popolo e nobili, tra mercanti e pirati, tra operai e capitalisti, ecc ecc ecc, e cos’è la storia se non l’insieme delle dinamiche e delle trasformazioni sociali che coinvolgono le società umane.

Queste dinamiche sono ben descritte, ben realizzate e se bene non costituiscano l’elemento centrale del titolo, danno forma allo sfondo e all’atmosfera che si può respirare in esso, danno corpo al secondo piano e questi riempiono la maggior parte dello spazio di un titolo, anche se non sempre in maniera così invasiva da permettere al giocatore meno attento di notare certi particolari.

Sabaku no maiku nei suoi video su youtube, da molto spazio e molta attenzione allo sfondo, a ciò che si vede e intravede all’orizzonte, soffermandosi su quei piccoli e quasi insignificanti dettagli che però completano un gioco, rendendolo un bel gioco.
Questi elementi a tutti gli effetti secondari, sono, per quanto mi riguarda, una delle colonne portanti di un buon titolo, e per quanto riguarda la veridicità storica, l’unico elemento che possa realmente ospitarla al cento percento.

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Nel mio discorso voglio quindi dividere il videogioco in tre parti distinte, alcune delle quali possono essere storicamente attendibili, altre non possono e non devono assolutamente esserlo.

Come già detto e ripetuto mille volte in questo mio ragionamento pubblico, non sono un videogiocatore e le mie conoscenze in materia sono abbastanza limitate, ma per questo discorso credo/spero più che sufficienti.

Le tre parti in cui voglio dividere il gioco sono, il gameplay, la trama e d il mondo in cui il gioco è ambientato.
Per quanto riguarda il sistema di gioco e il gameplay, come già detto in maniera più che abbondante, per motivi pratici questi non può assolutamente essere storicamente attendibile, a meno che no si stia giocando ad un simulatore di vassalli nel X secolo.

Per quanto riguarda la trama, la questione sulla possibile veridicità storica diventa di gran lunga più complessa, e se da una parte, in una campagna singleplayer  la veridicità storica può essere presente, accurata e magari anche divertente, senza insorgere in particolari problematiche, diventa un ostacolo bello grosso nel momento in cui si passa ad un potenziale multiplayer andrebbe a limitare tantissimo, oserei dire troppo, le possibilità del giocatore.

In questo caso la veridicità storica, come nel caso del gameplay, ucciderebbe la competizione, rendendo di fatto il titolo ingiocabile. Prendo ancora una volta ad esempio Battlefield 1, ipotizzando di scegliere la Russia, un ipotetico giocatore sarebbe obbligato ad abbandonare il gioco verso la fine, senza alcuna possibilità di vittoria, e chi sceglierebbe mai la Russia, la Germania, l’impero Austro Ungarico o l’impero Ottomano , se, l’unica possibile conclusione in un contesto di realismo storico è la sconfitta ?

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Tutti sceglierebbero di giocare con Francia, Gran Bretagna e USA. Al massimo potrebbero scegliere l’Austria Ungheria e giocarsela contro l’Italia, ma alla fine dovrebbero comunque perdere la guerra.
E se si considera che in una competizione, per quanto la partecipazione possa essere sicuramente importante, alla fine si gioca per vincere, ed ecco allora che il realismo storico applicato alla trama, diventerebbe un ostacolo insormontabile, letale per il videogioco e il videogiocatore.

Arriviamo infine all’ultimo dei tasselli che compongono un videogioco, il mondo in cui un determinato titolo è ambientato, questo può effettivamente essere “realistico” ? Deve sottostare a precise convenzioni affinché il titolo sia godibile ? In questo caso credo che il realismo storico possa presentarsi in maniera dirompente, ed essere accurato fin nel minimo dettaglio, senza inficiare la godibilità del titolo.

La presenza di un mondo storicamente realistico arricchito da elementi grafici in linea con il tempo e lo spazio in cui siamo proiettati, possono costituire un interessante e ricco background in cui vivere la nostra avventura.  Questi elementi che vanno a costruire il sottofondo narrativo possono, e in alcuni casi devono, essere perfettamente coerenti con l’epoca in cui è ambientato il titolo, andando quindi a stabilire e definire i rapporti e le convenzioni sociali che regolano quel mondo, più o meno simile con il nostro mondo in un determinato periodo storico, e questo senza alcun tipo di conseguenze sul gameplay.

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In conclusione, un buon videogioco, che sia realmente giocabile, non potrà mai essere storicamente attendibile al 100%  e ci sarà sempre bisogno di una qualche convenzione che andrà a modificare la percezione di un determinato momento storico, tuttavia, qualunque variazione nel mondo in cui è ambientato andrà semplicemente a creare un nuovo mondo, storicamente “coerente” con se stesso, e sostanzialmente indipendentemente dal realismo del titolo, poiché ciò che conta in un videogioco è la sua giocabilità, e sfido chiunque a giocare con un protagonista lebbroso o colpito dalla dissenteria, mentre è impegnato a schivare secchiate di piscio gettate dalla finestra, e tutto questo durante un inseguimento necessario per completare la propria missione.