Batman, l’eroe kinky simbolo della società Borghese

Batman è un miliardario, filantropo, che nella vita privata ha un controverso rapporto con il proprio servizievole e fin troppo autoritario maggiordomo, che nel privato ama indossare strane tute in lattex, ha un vero e proprio dungeon sotto casa, con una stanza piena di giocattoli dalla forma decisamente particolare, e le sue frequentazioni notturne sono uomini e donne, che spesso indossano tutine in lattex, e si legano e frustano a vicenda.

Batman è un miliardario, filantropo, che nella vita privata ha un controverso rapporto con il proprio servizievole e fin troppo autoritario maggiordomo, che nel privato ama indossare strane tute in lattex, ha un vero e proprio dungeon sotto casa, con una stanza piena di giocattoli dalla forma decisamente particolare, e le sue frequentazioni notturne sono uomini e donne, che spesso indossano tutine in lattex, e si legano e frustano a vicenda.

Batman ha decisamente qualcosa da raccontarci!

Prima di cominciare, va fatta una premessa, anche se abituati ad associare il fumetto ai più giovani, le storie di Batman, prendono ispirazione dal mondo dell’horror ed hanno una forte componente erotica al proprio interno, spesso apparentemente involontaria.

Horror ed erotismo in Batman viaggiano di pari passo e permeano ogni singola tavola e fotogramma delle varie opere che hanno avuto come protagonista l’uomo pipistrello, questo dualismo in alcune fasi è stato più presente rispetto ad altre, ma nel complesso, persino la demenziale serie TV degli anni sessanta e la serie a cartoni degli anni 90, erano piene di allusioni sessuali, più o meno esplicite. Fatta eccezione per queste due parentesi, il restante mondo di Batman si compone delle atmosfere gotiche e notturne di Gotham City, spesso raccontata attraverso le vicissitudini della vita notturna, mostrano una città divorata da alcol, droghe, prostituzione, asserviti alla criminalità organizzata. Ci mostrano un mondo corrotto sotto la superficie, che non era particolarmente “adatto” ai più giovani, un pubblico al quale il fumetto non si rivolge direttamente.

Batman è un fumetto per adulti, o al massimo adolescenti, e attraverso le sue storie parla di Politica, di società, di cultura, di sessualità, e lo fa decisamente con stile.

Batman Icona della società borghese

Gli eroi a fumetti sono nno dei simboli della cultura popolare, e negli ultimi anni, grazie all’enorme successo dei cinecomics, film ispirati al mondo del fumetto, questi eroi, come Batman hanno trovato una nuova giovinezza e un nuovo volto.

Il personaggio di Batman è apparso sui fumetti della DC Comics, per la prima volta nel 1939, e la genesi del personaggio è molto legata alla storia di quegli anni. Bruce Wayne, l’uomo dietro la maschera di Batman, nella propria versione originale, è figlio indiretto della grande depressione e la sua storia personale si lega alla storia degli anni trenta, ma è anche un uomo delle elite, è l’erede di un impero milionario, che, in modo più o meno diretto, ha perso i propri genitori per effetto della crisi del 29, e questo evento traumatico avrebbe condizionato tutta la sua vita da eroe.

Wayne vive in un mondo in cui le organizzazioni criminali dominano la città di Gotham, una città corrotta e in decadenza, e nelle storie che lo hanno come protagonista, nonostante i vari adattamenti temporali, ha impegnato gran parte delle proprie risorse private, per il bene della comunità.

Possiamo vedere Bruce Wayne come un miliardario filantropo, che fa più del proprio dovere, per proteggere la propria città. In questa descrizione molto generale, Bruce Wayne, oltre ad essere l’eroe mascherato di Gotham City, è anche un “eroe” ideologico.

Siamo sul finire degli anni trenta, la seconda guerra mondiale è alle porte, e il mondo, soprattutto gli Stati Uniti d’America, più che la Germania Nazista, nutre molte riserve nei confronti dell’Unione Sovietica, portatrice di un sistema di valori in conflitto con i valori borghesi della società Americana, e a proposito di valori borghesi, Batman è l’incarnazione di quel sistema di valori e di quella società, in quanto uomo che, nonostante sia cresciuto nel privilegio, si è costruito da solo, ha affermato la propria posizione grazie alle proprie capacità individuali, e, una volta raggiunto l’apice, ha messo le proprie competenze e conoscenze al servizio della collettività, non perché ne avesse un qualche dovere, ma per pura scelta morale.

Al di la delle varie influenze provenienti da altri fumetti e personaggi della Golden Age, il personaggio di Wayne è fortemente influenzato dalla cultura americana dell’epoca e rappresenta l’eroe, mosso da principi morali, che fa tutto ciò che è in suo potere, e anche qualcosa in più, per un bene superiore.

Nella prima metà degli anni quaranta il personaggio di Batman subisce notevoli trasformazioni, sia sul piano personale che sul piano estetico, e in questo periodo, con la guerra che infiammava in europa, fanno la propria apparizione alcuni dei principali nemici di Batman, tra cui il Joker, Pinguino e Due Facce, le storie di quest’ultimo sarebbero tornate in auge negli anni sessanta.

I personaggi che popolano il mondo di Batman sono tutti, in un modo o nell’altro legati all’ideologia borghese, e se in uomini come Bruce Wayne, vengono elevati i valori di quella data visione del mondo, in uomini come Pinguino e Due Facce, ne vengono evidenziati i lati oscuri.

Negli anni sono state avanzate numerose teorie e proposte diverse chiavi di lettura del personaggio di Batman, con non poche reazioni, spesso infastidite da parte degli autori.

La teoria di Batman icona gay.

Una delle teorie più interessanti sul personaggio di Batman fu ipotizzava una sua possibile omosessualità, questa teoria, avanzata per la prima volta nel 1991 da Andy Medhurst, nel saggio “Batman, Deviance and Camp” dove sosteneva che il personaggio di Batman fosse un “icona gay” perché “fu uno dei primi personaggi dei fumetti ad essere accusato di omosessualità” e che “la serie TV degli anni sessanta” per il suo uso consapevole e sofisticato del Kitschè una pietra miliare del camp“.

Gli storici autori del fumetto, come Alan Grant, non apprezzarono particolarmente questa teoria, osservando in un commento che il Batman delle loro sue storie, il Batman che aveva scritto per 13 anni non era gay, così come non lo era il Batman di Denny O’Neil e quello di Marv Wolfman, poiché il loro Batman si rifaceva al Batman di Bob Kane, uno degli ideatori del personaggio, che non lo aveva concepito come un personaggio Gay. L’unico autore che potrebbe avere avuto un interpretazione differente, secondo Grant, era quello di Joel Schimacher.

Diversamente da Grant, Devin Grayson ha assunto una posizione più morbida sull’orientamento sessuale di Batman, osservando che richiamandosi alla teoria della morte dell’autore, la risposta alla domanda se Batman fosse Gay o meno, stava al lettore, e a meno che, il personaggio non avesse espresso chiaramente, nel fumetto, il proprio orientamento, ogni lettore era libero di interpretare gli atteggiamenti dell’eroe.

Frank Miller, che diede vita alle storie di Batman negli anni 80, assunse una posizione ancora diversa, sostenendo da un lato che la lotta tra Batman e Joker, fosse un “incubo omofobo” e dall’alto che, il personaggio di Bruce Wayne era presumibilmente un uomo che sublimava le proprie pulsioni sessuali attraverso la lotta al crimine, arrivando alla conclusione che sarebbe stato “più sano” se Batman fosse stato veramente Gay.

Rileggendo le storie di Batman alla luce di queste teorie e dichiarazioni, e soffermandosi sulle relazioni personali di Bruce Wayne e Batman, con i vari personaggi, personalmente sposando la teoria per cui più che gay, Bruce Wayne sia un personaggio bisessuale.

Del resto in che altro modo potremmo definire un uomo milionario, con un rapporto decisamente particolare con il proprio servizievole e autoritario maggiordomo, che ama indossare tutine in lattice ed ha un dungeon pieno di giocattoli costosi dalla forma decisamente particolare.

Questa teoria riflette perfettamente la vocazione originale del fumetto, quale esaltazione dei valori positivi della società borghese, una società libera, in cui non esistono vincoli alla propria individualità e alla piena realizzazione di se, se non forse solo il principio di reciprocità per cui, la piena affermazione di se, la piena libertà di un individuo, è limitata solo ed esclusivamente dalla libertà di altri individui.

I Longobardi di Elena Percivaldi | Guida alla Lettura.

I longobardi un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, è un saggio storico divulgativo che racconta la storia longobarda attraverso grandi eventi e storie di vita quotidiana nell’Italia longobarda tra il 568 e il 774.

I longobardi un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, è un saggio storico divulgativo che racconta la storia longobarda attraverso grandi eventi e storie di vita quotidiana nell’Italia longobarda tra il 568 e il 774.

I Longobardi sono una delle tante civiltà che, durante l’età medievale, hanno contribuito a donare un voto ed un identità ai popoli italici, la loro presenza in italia è attestata fin dagli albori del medioevo, in una fase criptica e misteriosa della nostra storia in cui, innumerevoli civiltà barbariche si fondevano con ciò che rimaneva della civiltà romana.

In questa sorta di brodo primordiale che succede alla civiltà romana, inizia la storia dei Longobardi, e con la loro storia, inizia anche una parte significativa della storia italiana, soprattutto per l’italia settentrionale, ma non solo.

Il saggio I Longobardi, un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, si pone l’obbiettivo di raccontare, in modo ampio, completo, e con un linguaggio semplice e accessibile a chiunque, quella che è la genesi di questo popolo che mise in connessione il mediterraneo con l’europa settentrionale.

Il libro ha un taglio divulgativo ed è strutturato in tre parti, che ora andremo a vedere nel dettaglio, ma prima, voglio aprire una parentesi sull’autrice.

Chi è Elena Percivaldi?

Elena Percivaldi è una giovane storica italiana, laureata in lettere moderne, con una tesi in storia Medievale presso l’Università degli Studi con una tesi sulla cronica di S. Stefano di Vimercate alla metà del XIII secolo attraverso le pergamene dell’Archivio di stato di Milano, ed ha all’attivo, fin dal 1999, più di venti libri, saggi storici di carattere divulgativo, e non solo, sulla storia dell’Italia medievale, del medioevo e le popolazioni che all’epoca dimoravano in italia, oltre a diverse pubblicazioni su riviste di settore e di carattere divulgativo, sempre riguardanti il medioevo, tra cui History di BBC, Storica del National Geographic, e tante altre che non starò qui a citare.

Elena Percivaldi si occupa da diverso tempo di storia medievale e divulgazione, ed ha collabora attivamente con eventi e conferenze in alcuni degli eventi dedicati al medioevo, più importanti in italia, tra cui il Festival del Medioevo di Gubbio (Pg).

La sua attività di divulgatrice viaggia parallelamente a quella di professionista nel settore della ricerca storiografica, in quanto direttrice del Notiziario Storie & Archeologie, e membro del comitato scientifico della rivista Medioevo Italiano, della collana Storia e Libertà delle edizioni La Vela.

Questo suo legame con la divulgazione si traduce, all’atto pratico, in uno stile di scrittura estremamente fluido, chiaro e semplice da leggere, leggerezza e semplicità che tuttavia non tradisce mai un impeccabile e rigorosa attenzione a fonti di varia natura, caratteristiche che troviamo in toto nell’opera I Longobardi.

Percivaldi e Longobardi

Nel libro I Longobarid, Elena Percivaldi si sofferma sulla genesi e l’epopea dei longobardi in italia, ma questa non è la prima volta che l’autrice ha prestato attenzione al popolo longobardo. Essa è infatti ideatrice del format “alla scoperta dei longobardi” e coordinatrice scientifica di diverse manifestazioni dedicate ai longobardi, inoltre, nel proprio percorso da scrittrice divulgativa, ha dedicato ai longobardi diversi libri tra cui “Il Seprio nel Medioevo. Longobardi nella lombardia settentrionale” , pubblicato 2011.

a questo curriculum non credo sia un problema definire Elena Percivaldi come una storica esperta del Medioevo italiano, oltre che un eccellente e apprezzatissima divulgatrice, e con queste premesse, non possiamo che aspettarci un libro che sia puntuale e ricco di fonti, ma allo stesso tempo fluido nella scrittura e semplice da leggere.

Dopo aver letto quest’opera due volte in meno di una settimana, posso affermare con tutta tranquillità che tutte le aspettative sono state mantenute. Il libro è esattamente come lo immaginavo, ovvero preciso, accurato, e si legge con estrema semplicità.

Se volete sapere di più su Elena Percivaldi, sui suoi libri e le sue pubblicazioni, collaborazioni e conferenze, vi rimando al sito Perceval-Archeostoria, si tratta del sito personale di Elena Percivaldi, in cui potrete trovare tutte le sue pubblicazioni, eventi e contatti social.

Detto questo, passiamo ora al libro vero e proprio, e cerchiamo di capire come approcciare alla lettura e come leggerlo.

Guida alla lettura del saggio sui Longobardi di Elena Percivaldi

Cominciamo con il dire che il saggio I Longobardi, un popolo alle radici della nostra Storia, è un saggio di carattere divulgativo, e, per quanto accurato e preciso nelle informazioni che ci fornisce, non è un manuale di storia medievale o storia longobarda, non troveremo quindi una cronaca punto per punto di tutta la storia longobarda, ma, al contrario, troveremo un racconto generale, di ampio respiro, sulla storia longobarda, che si sviluppa su tre livelli, ben espressi dalle tre sezioni principali del libro. Le tre parti del libro ci raccontano la storia longobarda sul piano storico evenemenziale, microstorico culturale e storiografico.

Vediamo le tre sezioni nel dettaglio.

I longobardi, parte prima

La prima parte del libro è dedicata alle vicende storiche, e in questa sezione si ha quasi l’impressione di trovarsi tra le mani un manuale di storia longobarda, tanto preciso quanto chiaro.

La prima parte si sviluppa in sei capitoli che raccontano la storia longobarda, fin dalla prima discesa in italia nel 568, e spingendosi fino al declino della civiltà longobarda in italia nell’ottavo secolo, quando i franchi di Carlo Magno sconfissero i Longobardi di Desiderio, ultimo re longobardo.

Il saggio nei suoi capitoli iniziali sviscera la storia longobarda, soffermandosi in modo particolare sulle ragioni della discesa in italia, ragioni che poi verranno spiegate, in modo più ampio attraverso l’analisi di fonti e testimonianze.

I longobardi, parte seconda

La seconda parte del saggio è dedicata all’analisi storiografica, portando l’attenzione del lettore sulle varie fonti utilizzate, dalle fonti documentarie prodotte dai longobardi e non, oltre che dalle fonti successive, vengono inoltre prese in esame le croniche contemporanee e postume, e non manca un accurato e ampio spiegone sulle fonti materiali e la loro importanza nella ricostruzione della storia della civiltà longobada.

Questa parte è la meno incisiva, oltre che la più compatta, e si rivolge principalmente a lettoni non addetti ai lavori, i quali potrebbero non aver totalmente chiare le meccaniche della ricostruzione storiografica.

Se non siete storici questa sezione è molto interessante perché fornisce una panoramica completa, con tanti esempi, di come funziona il lavoro di ricerca e ricostruzione di uno storico, e si configura come una piccola guida alla metodologia storiografica.

Con questa sezione, l’autrice ci ricorda che prima di essere una divulgatrice è una storica, e il suo intento è quello di fornire una storia completa della civiltà longobarda nell’Italia del sesto, settimo e ottavo secolo, una storia puntuale e priva di pregiudizi, basata esclusivamente sull’analisi delle fonti. Come è giusto che sia.

I longobardi, parte terza

La terza parte, a mio avviso, è quella più interessante, perché se da storico, ho già una certa conoscenza delle principali vicende storiche che hanno caratterizzato la civiltà longobarda, ed ho un ampia familiarità degli strumenti e della metodologia storiografica, non essendo un medievalista, e avendo solo una conoscenza generale di quella che è la storia longobarda, ho trovato in questa parte del libro tantissime informazioni che mi hanno proiettato nel mondo dei longobardi.

In questa sezione l’autrice si sofferma sulla società e la quotidianità della civiltà longobarda, ne evidenzia gli aspetti peculiari, ne evidenza le tradizioni e ci racconta storie di longobardi.

La terza parte si apre con una panoramica sull’organizzazione dello stato longobardo, cui fa seguito una panoramica sul mondo religioso e spirituale, attraverso il racconto del culto dei morti, per poi raccontarci l’organizzazione sociale del popolo longobardo, questo iconico popolo guerriero, raccontato come un popolo in armi, ma nel quale, come è facile intuire, non tutti erano armati e preparati alla battaglia.

Fanno poi seguito alcuni capitoli estremamente interessanti sulla quotidianità dei longobardi, in particolare i capitoli intitolati “cose da donna”, “vestire alla longobarda” e “longobardi al desco (dal medico)” ci mostrano realmente come vivevano i longobardi, e lo fanno raccontandoci non le grandi imprese, non le grandi battaglie, ma eventi e momenti ordinari della vita quotidiana di questo popolo e questa civiltà.

Conclusioni

Il saggio di Elena Percivaldi, I longobardi, un popolo alle radici della nostra storia, edito da Diarkos è un saggio storico di carattere divulgativo, che si rivolge ad un pubblico molto ampio, che può andare bene sia per appassionati alle prime armi, sia per storici e studenti di storia che vogliono sapere di più sulla storia del popolo longobardo.

Nel complesso il saggio risulta estremamente piacevole da leggere, i contenuti sono validi, la struttura è definita magistralmente, le fonti consultate e citate dall’autrice sono tante, e si vede, e il testo è ben scritto.

Se c’è una parte che mi ha colpito e interessato più delle altre, forse questa è la terza parte, questa sezione mi ha colpito non solo per la chiarezza incredibile con cui sono raccontate determinate vicende, ma soprattutto per la ricchezza di fonti utilizzate per descrivere e raccontare un mondo in cui le fonti, se pur abbondanti, non sono particolarmente numerose e varie. E la maggior parte delle vicende, si sofferma su aspetti generali della storia longobarda, prestando relativamente poca attenzione agli aspetti “minori”. Aspetti minori che invece non vengono assolutamente tralasciati dalla Percivaldi, e anzi, diventano in questo libro, il cardine per definire la società longobarda.

La quantità enorme di fonti documentarie citate e riportate da Elena Percivaldi ci svela l’enorme e complicato lavoro di ricerca che si nasconde dietro questo libro.

Ciò che emerge da questo libro è che la storia longobarda, la storia di questo popolo guerriero, si compone, anche, e non soltanto, di battaglie e di conquiste conquiste, in piena ottemperanza agli insegnamenti della scuola degli Annales di Marc Bloch e della Microstoria.

Nel caso specifico dei longobardi, è solo grazie ad una lettura a 360 gradi della loro civiltà che possiamo averne un immagine nitida e precisa della loro storia, ed è esattamente quello che fa questo libro. Intrecciando la storia dei grandi eventi alla storia di eventi minori e condendo il tutto con una minuziosa anali si delle fonti, Elena Percivaldi è restituisce al lettore un immagine nitida del mondo longobardo, una vera e propria fotografia dinamica di quel popolo, che come l’autrice non manca di ricordare, è alle radici della nostra storia, in quanto, la sua arte, la sua cultura e le sue tradizioni, sono state determinanti per quella che sarebbe poi stata la storia, la cultura e la tradizione dei popoli italiani, in età medievale, moderna e fino ai nostri giorni..

Se volete leggere I Longobardi, un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, non vi resta altro che acquistare il libro, personalmente ne consiglio la lettura, soprattutto a chi è interessato alla storia longobarda e dell’italia settentrionale tra il sesto e l’ottavo secolo. In ogni caso vi lascio il link per acquistare il libro su Amazon, e vi auguro buona lettura.

Pomodori secchi, storia e tradizione italiana

I pomodori secchi oggi sono uno degli alimenti tipici della tradizione culinaria dell’italia contadina e rurale, e questa è la loro storia

Se oggi i pomodori sono il simbolo della cucina italiana, è perché per secoli gli italiani hanno letteralmente mangiato pomodori secchi.

I pomodori sono oggi una parte importante della storia e della tradizione italiana, il loro utilizzo è quasi illimitato e onnipresente nella cucina italiana, sono infatti pochissimi i piatti tradizionali che richiedono l’uso di pomodori, e pure, questo alimento, questo frutto, fa parte della tradizione italiana da poco più di quattro secoli. Ho fatto qualche ricerca e sono riuscito a trovare alcuni dei passaggi che hanno fatto la storia dei pomodori, e non ci crederete mai, ma se oggi i pomodori sono così importanti nella cucina italiana, è perché, per oltre tre secoli, gli italiani hanno seccato pomodori.

I pomodori secchi sono il vero punto di partenza della storia del pomodoro in italia, sono in un certo senso, il senso stesso del pomodoro nella tradizione, e in questo post, voglio raccontarti la storia dei pomodori, e soprattutto dei pomodori secchi.

Pomodori, dalle americhe all’Italia

Con la scoperta delle Americhe, il mondo è profondamente cambiato, la scoperta segna letteralmente l’inizio di un mondo nuovo, e a fare da spartiacque, non è tanto la scoperta geografica in se, ma tutto quello che da quella scoperta ne sarebbe scaturito.

Con la scoperta delle Americhe, il mondo, e per mondo si intende l’europa, si ritrova a dover fare i conti con una nuova realtà storica e culturale, che rimette in discussione il concetto stesso di umanità, con tutte le conseguenze sociali, politiche e culturali che questo comporta. Ma non solo, le Americhe sono un mondo pieno di risorse e opportunità, e questo significa nuove rotte commerciali, nuovi equilibri sociali nella stessa europa, significa nuove economie, nuovi mercati, significa nuove risorse per i mercati europei, e per nuove risorse si intende soprattutto nuovi alimenti.

Una delle grandi e più importanti rivoluzioni che consegue alla scoperta delle Americhe, riguarda soprattutto il piano alimentare, poiché grazie a nuovi frutti, piante, erbe, radici, tuberi, e chi più ne ha più ne metta, il mondo europeo cambia lentamente il proprio modo di mangiare, e cambiando le abitudini alimentari cambia un po’ tutto il mondo.

Qualche anno fa, nel 2006, Marcy Norton ha pubblicato un articolo sul numero 111 dell’American Historical Review, intitolato Tasting Empire: Chocolate and the European Internalization of Mesoamerican Aesthetics in cui osservava che il gusto degli europei per il cioccolato era stato il motore scatenante della crescente domanda di zucchero, da cui era scaturita la domanda sempre maggiore di schiavi, ho già parlato in diverse occasioni di questo articolo di Marcy Norton, se volete approfondire vi rimando al mio articolo “Schiavi del Cioccolato”.

Studi successivi hanno evidenziato che il cioccolato, motore scatenante di una vera e propria rivoluzione economica, era solo la punta dell’iceberg, e altri alimenti, in particolare patate e pomodori, avevano avuto un enorme impatto sul sistema economico europeo.

Gli effetti delle patate sono particolarmente visibili nell’europa nord orientale, mentre i pomodori trovarono nel bacino del mediterraneo un habitat perfetto in cui proliferare e mutare.

Il pomodoro in Italia

L'Italia è stata il teatro privilegiato della nuova era dei pomodori.

Inizialmente noto come Tomatillo dalla parola Azteca xi-tomatl, che stava ad indicare un frutto piccolo, rotondo e rigonfio, da cui deriva il termine britannico Tomato, il Tomatillo giunge in Italia presumibilmente intorno al 1532, attraverso la corona Spagnola, che dal 1504 circa aveva assunto il controllo dell’italia meridionale, diventata un vice regno di Spagna.

Giunto in italia il pomodoro entra rapidamente a far parte della cultura popolare per tanti motivi tra cui, l’enorme semplicità della sua produzione, e la semplicità con cui può essere essiccato e conservato sul lungo periodo.

Nel XVI secolo l’essiccazione era lo strumento principale per la conservazione degli alimenti, altri metodi di essiccazione consistevano nella messa sott’olio o sotto sale, ma, sale e soprattutto olio, nel XVI secolo, erano ancora abbastanza costosi, diversamente, fuoco, acqua di mare e sole, erano abbondanti, soprattutto lungo le coste dell’italia meridionale.

I pomodori secchi

Il viaggio alla scoperta dei pomodori secchi comincia proprio dalle coste meridionali, qui la popolazione rurale cercava di sopravvivere sfruttando al meglio quello che il mare e la terra avevano da offrire, e il pomodoro aveva la particolarità di maturare in uno dei momenti migliori dell’anno, se si voleva usare il sole per essiccare qualcosa.

Pomodori seccati al Sole

Giungendo a maturazione in piena estate, i pomodori potevano essere essiccati al sole, senza troppe difficoltà, era sufficiente raccoglierli, tagliarli in modo da esporre alla luce diretta del sole la polpa acquosa, e lasciarli riposare, con non poche attenzioni, così, da Maggio a Settembre i cortili dell’italia meridionale si riempivano di teli in canapa, con sopra distese sterminate di pomodori, di piccole dimensioni, tagliati in due o quattro parti, e lasciati al sole per diversi giorni.

I pomodori non sono l’unico frutto essiccato in questo modo, volendo essere precisi questo sistema era utilizzato per essiccare qualsiasi cosa, dalle foglie di tabacco ai peperoni, dai legumi alle albicocche, dalle patate alle cipolle.

Il sole era un alleato importante per le popolazioni rurali prima dell’arrivo, nel XIX secolo, di sale e zucchero a buon mercato.

Una variante di questo sistema di essiccazione, praticata in alcune zone costiere, consisteva nel fare un bagno in acqua di mare, a ciò che si intendeva essiccare, prima di disporlo asciutto, al sole. Il bagno in acqua salata alterava leggermente il sapore finale del pomodoro essiccato, ma allo stesso tempo garantiva un essiccazione migliore.

In seguito questo processo è stato raffinato, e con l’arrivo del sale a buon mercato, il bagno in acqua di mare è stato sostituito dall’aggiunta di cristalli di sale sui pomodori, durante il processo di essiccazione.

Pomodori seccati a carbone

L’essiccazione al sole era un procedimento molto lungo, richiedeva diversi giorni ed enormi attenzioni, ed aveva come grandi nemici topi e volatili vari, che non mancavano mai.

Un alternativa all’essiccazione al sole era rappresentata dall’essiccazione a carbone, da non confondere con l’affumicatura, che si dimostrava particolarmente utile quando c’era da essiccare piccole quantità di pomodori.

Questo procedimento di essiccazione era già ampiamente utilizzato, soprattutto nell’Italia centro settentrionale, da diversi secoli, per l’essiccazione delle carni, in particolare della carne equina, e per le essiccazioni invernali, e consisteva nel deporre i pomodori da essiccare, opportunamente tagliati e svuotati dei semi che venivano raccolti per poi essere utilizzati, su una rete metallica posta ad una certa distanza da un braciere acceso.

Il calore del braciere opportunamente regolato aumentando o diminuendo la distanza della griglia dal fuoco, permetteva di essiccare praticamente qualsiasi cosa (questo procedimento è ancora oggi utilizzato per l’essiccazione dei fiori di zafferano), e il qualsiasi cosa in questione erano i pomodori.

Il grande vantaggio di questo procedimento è che permetteva di essiccare rapidamente, in meno di 24 ore, i pomodori, di contro, era un sistema difficile da gestire per grandi quantità, per le quali si utilizzava il più lento, ma eterno, calore del sole.

Altre forme di conservazione dei pomodori

Una volta essiccati, i pomodori andavano conservati, e le opzioni in possesso delle popolazioni dell’italia Rurale del XVI secolo, non erano molte. O i pomodori secchi venivano conservati in un cesto di vimini, o venivano conservati in un cesto di vimini.

Pomodori Pelati

Bisognerà aspettare il XVIII secolo per avere altre forme di conservazione, più precisamente, bisognerà aspettare che nel 1796 il cuoco empirista francese Nicolas Apper, faccia il proprio esperimento, scoprendo che il cibo poteva essere conservato, per un lungo periodo, se contenuto in un contenitore sterile, in vetro, fatto bollire, permettendo così, tra le altre cose, di conservare i pomodori pelati, e salsa di pomodoro, per lungo tempo.

Confettura di pomodoro

Tra XVIII e XIX secolo, con l’arrivo a di zucchero a buon mercato, i contadini europei sperimentarono il fantastico mondo delle confetture e delle marmellate, un tempo troppo costose per essere realizzate, come osserva Marc Bloch in una lettera a Lucien Febvre.

Così, ai primi anni del XIX secolo, tra le varie confetture, viene prodotta anche la confettura di pomodori, che con l’aggiunta di aceto, avrebbe portato all’invenzione del Ketchup.

Pomodori sott’olio

L’olio nel XVI secolo, non era propriamente un bene a buon mercato, ma neanche un qualcosa di troppo raro e difficile da trovare. In realtà, nell’Italia dell’età moderna, così come anche nell’Italia medievale e ancora prima nell’Italia romana, si utilizzava tanto olio, burro e lardo, e si faceva un grande ricorso alla frittura, ma questa è un altra storia.

Per quanto riguarda l’olio, quelli più comuni e, in un certo senso, a buon mercato, erano soprattutto gli oli di semi vari, mentre l’olio d’oliva rappresentava un prodotto di lusso e raffinato, non alla portata di tutti, che veniva utilizzato con parsimonia. Dovremmo invece aspettare la fine del XIX secolo, per avere oli di mais, per essere più precisi, il 1898, quando Theodore HudnutBenjamin Hudnut, estrassero per la prima volta dell’olio di mais.

L’olio in età moderna aveva diverse funzioni, e gli oli vecchi erano spesso utilizzati per conserve alimentari di vario tipo.

Non sappiamo esattamente quando è iniziata la pratica del conservare pomodori sott’olio, quel che sappiamo è che nelle campagne italiane del XIX secolo, i pomodori venivano già conservati anche sott’olio, e molto probabilmente la pratica è iniziata sul finire del XVIII secolo, un periodo in cui, grazie alle nuove tecnologie, era possibile estrarre una maggiore quantità di olio, dalle olive, e dai suoi semi, e questi oli più “raffinati” e meno pregiati, di seconda o terza lavorazione, che risultavano molto diluiti, e dal sapore meno intenso, erano ottimi per la conservazione alimentare.

Conclusioni

La storia dei pomodori, in italia è iniziata nel XVI secolo, con l’arrivo dei pomodori dalle americhe, ma la vera storia del pomodoro in italia, non è iniziata con il suo arrivo, la vera storia del pomodoro è iniziata quando, con l’essiccazione, il pomodoro è diventato uno dei cibi di uso comune nella cucina italiana, ingrediente principe di innumerevoli ricette, che, a partire dal XVIII avrebbe visto la sua piena affermazione come simbolo stesso della cucina italiana.

Il pomodoro, se bene non faccia parte della più antica tradizione italica, da diversi secoli è entrato a far parte della storia e della cultura italiana, definendo la cucina degli italiani, e con essa, la loro tradizione.

Tutto questo probabilmente non sarebbe successo, se, i pomodori secchi, non avessero giocato un ruolo così importante nella tradizione italica dell’età moderna. Se oggi i pomodori sono il simbolo della cucina italiana, è perché per secoli gli italiani hanno letteralmente mangiato pomodori secchi.

La sessualità nella storia | BDSM

Come la sessualità BDSM è evoluta con la civiltà umana.

Nella maggior parte dei testi e articoli in cui si parla di storia della sessualità, il mondo bdsm viene raccontato come una sorta di distorsione della sessualità, iniziata nel XVIII secolo, perché tutto viene fatto partire dagli scritti di Donatien-Alphonse-François de Sade, e tutto quello che c’era prima, viene ignorato o classificato come pura e semplice violenza in una civiltà che ancora manteneva aspetti primitivi.

La sessualità viene subordinata, nella maggior parte dei casi, ad aspetti “morali” ignorando un po’ troppo facilmente che la sessualità, non parte dalla morale collettiva, ma parte dal piacere individuale.

L’età dell’oro

Tra la fine degli anni sessanta e la metà degli anni novanta, il sadomaso ha avuto una crescente popolarità, grazie soprattutto a numerose opere di cultura popolare che hanno portato, in parte, alla luce del sole, tematiche ed esperienze, fino a quel momento esclusivamente private, e vissute, se non in camera da letto, nelle stanze con luci soffuse dei bordelli e di case chiuse.

I bordelli, in particolare i prezziari e i cataloghi delle prostitute, ci permettono di datare la diffusione del sadomaso, come dinamica erotica, già nella seconda metà del XIX secolo, in particolare i cataloghi di prostitute londinesi, di fine ottocento, sono ricchi di donne che, tra i propri servizi offrivano, frustate, giochi con la cera, venerazione dei piedi, e altre pratiche più forti, ma, cosa più interessante, nelle proprie prestazioni, non erano inclusi atti sessuali.

In altri termini, erano prostitute, che non avevano rapporti sessuali con i propri clienti, i quali preferivano essere frustati.

quattro dominatrici di professione degli anni trenta
Dominatrici di professione, tra europa ed america degli anni trenta

Prestazioni di questo tipo ne incontriamo anche nei bordelli del XX secolo, le donne nella foto ad esempio, sono tutte dominatrici di professione degli anni trenta e, come sopra, anche loro, nei propri prezziari avevano frustate, ma non pratiche sessuali.

La cultura del sadomaso, come anticipavo, ha attraversato la fase di massima produzione artistica, iniziata negli anni cinquanta e terminata con gli anni novanta, con particolare enfasi tra gli anni settanta ed ottanta. Ma in realtà, anche nei secoli precedenti, e almeno dal XVIII secolo, la produzione artistica, soprattutto letteraria, è tantissima.

La sessualità nella letteratura moderna

Uno dei primi romanzi erotici in tema è stato il capolavoro del 1954 Hisoire d’O della scrittrice francese Anne Desclos, nota anche come Dominique Aury o Pauline Réage, nome quest’ultimo con il quale ha firmato Histoire d’O da cui, nel 1975 è stato tratto l’omonimo film, e di cui il fumettista italiano Guido Crepax ha realizzato una meravigliosa edizione a fumetti, vi lascio il link ad amazon qualora voleste acquistarla.

Il fatto che, prima del XVIII, non ci siano riferimenti culturali a dinamiche sadomaso, ha indotto molti a pensare che il sadomaso, così come lo intendiamo oggi, affondi le proprie radici tra le pagine di Donatien-Alphonse-François de Sade, noto come marchese de Sade, vissuto tra XVIII e XIX secolo, in realtà, le dinamiche di dominazione e di potere, nella sfera sessuale, sono molto più antiche di De Sade.

De Sade ha il merito di aver, in un certo senso iniziato la “codifica” di quello che oggi chiamiamo sadomaso o, in termini più ampi, BDSM, ma non è lui che ha portato il concetto di dominazione e sottomissione, nel mondo dell’erotismo.

A proposito di De Sade, la nostra collaboratrice Cecilia Mikulicich ha pubblicato una recensione e analisi dell’innovativa “fabliaux” settecentesca “Justine o le disavventure della virtù” che vi invito a recuperare.

Il sadomaso prima di De Sade

Se prendiamo ad esempio la letteratura “erotica” medievale, non è difficile imbattersi in racconti che oggi non avremmo troppa difficoltà a considerare come interni alle dinamiche BDSM, ma all’epoca era semplicemente erotismo, andando ancora più indietro, scavando, letteralmente, tra i resti di Pompei, o di altre città romane, non è difficile imbatterci in illustrazioni in cui gli amanti traggono piacere dal dolore, e lo stesso incontriamo guardando al kamasutra indiano.

Componenti di dominazione e sottomissione li incontriamo anche nella Grecia classica e in Egitto, nella Cina e Giappone medievali, ma anche tra i popoli norreni, oltre che tra indios, nativi americani, e innumerevoli popolazioni indigene dell’Africa e America latina.

Il rapporto tra sesso e divino

Secondo alcuni storici l’attrazione e interesse per i giochi di potere, confluiti anche nel mondo religioso, in cui il fedele è totalmente sottomesso al Divino, hanno un origine nella parte più primitiva del cervello, e sono una sorta di evoluzione di quell’istinto primordiale che porta alla dominazione, quale espressione di potenza e alla sottomissione, quale espressione di un desiderio e ricerca di protezione.

Tutto questo background storico e antropologico, che è alla base di quello che oggi chiamiamo BDSM, ci mostra chiaramente che, il sadomasochismo, non è il frutto di una distorta sessualità propria dell’età moderna, ma è un qualcosa che ha accompagnato, gran parte della storia, non solo della sessualità, ma dell’intera umanità, e secondo alcuni antropologi, questo modo di vivere la sessualità, più legato ad aspetti e piaceri primordiali, potrebbe essere il retaggio di un qualcosa di innato in ogni specie vivente costretta a vivere una lotta per la sopravvivenza.

Preferiti di luglio 2020

è passato circa un mese da quando ho pubblicato il post sui preferiti di Giugno e devo ammettere che è stato molto apprezzato, ho deciso quindi di ripetere l’esperienza anche questo mese con i preferiti di Luglio.

Quelli che andrò a consigliarvi in questo mese sono cose che ho letto o visto dall’ultimo post dei preferiti, e che mi sono piaciute particolarmente.

Prima di cominciare vi ricordo che con Amazon Kindle Unlimited, a soli 9,99€ al mese, avete accesso a circa 1 milione di libri in formato kindle, presenti su amazon, e i primi 2 mesi di prova sono completamente gratuiti.

La serie del mese è: Continuum

Quando ho pubblicato il post sui preferiti di Giugno avevo appena iniziato a guardare la serie Continuum, una serie Sci-Fi incentrata sui viaggi nel tempo, che avevo già iniziato a vedere qualche anno fa, ma che avevo interrotto perché, preso da tante altre cose non ero riuscito all’epoca a vedere l’ultima stagione.

La serie è un po’ vecchiotta, è stata prodotta e trasmessa tra il 2012 e il 2015, ma tutto sommato è invecchiata abbastanza bene, l’ho guardata con piacere e in molti passaggi è stata quasi profetica, nel senso che ha trattato con largo anticipo temi e argomenti che oggi, nel 2020 sono estremamente attuali.

Continuum è una serie fantascientifica e polizziesca, che ruota attorno ai viaggi nel tempo, la sinossi della serie è che un gruppo di terroristi, in un futuro distopico, nell’anno 2077, in seguito ad un attentato, vengono condannati a morte, ma, durante l’esecuzione succede qualcosa e vengono catapultati indietro nel tempo, ritrovandosi nella stessa città, Vancouver, ma nel 2012. Insieme a loro, sembra per un incidente, si ritrova a viaggiare nel tempo anche la protagonista della serie, un agente di polizia del futuro che, insieme alla polizia di Vancouver del 2012 darà la caccia ai terroristi.

Il gruppo di terroristi si scoprirà, fin dal primo episodio, essere tornato indietro nel tempo per modificare il corso della storia, al fine di impedire che il mondo vada nella direzione oscura, il loro intento insomma, è impedire che il mondo diventi come nel loro 2077.

Con il passare delle stagioni, le ragioni dei terroristi, ci porranno di fronte ad un divario, perché da un lato ci sono i terroristi di Liber8, intentati nella loro missione, e che sappiamo essere terroristi, se bene le loro ragioni col tempo si dimostreranno essere più che fondate, e dall’altra ci sarà la polizia che, se bene agisca nel giusto, si ritrova a difendere un futuro dalla dubbia moralità in cui le libertà civili ed i diritti sono stati cancellati, non esistono più governi democratici e l’intero mondo sembra essere controllato da un congresso societario, una corporazione di multinazionali che sono padrone del mondo ed hanno asservito l’intera popolazione mondiale ad una condizione di vera e propria schiavitù.

Nella serie assistiamo ad un incredibile evoluzione dei personaggi e delle loro storie, e almeno a me, durante la visione, in più occasioni, è capitato di sentirmi, almeno per quanto riguarda gli ideali, più vicino a Liber8 che non ai “veri” protagonisti.

La serie si compone solo di quattro stagioni, la prima di 10 episodi, la seconda e terza di 13 episodi e la quarta di soli 6 episodi, per un totale di 42 episodi complessivi.

Ho apprezzato molto la serie ed i temi trattati, anche se, devo riconoscere che ho perdonato diverse forature, e scelte totalmente irrazionali dei personaggi, soprattutto nella quarta stagione, ma molto probabilmente quelle forzature sono state dettate dalla necessità di concludere la serie, non a caso la terza stagione è anche la più breve, con soli sei episodi.

Se vi interessa dare una possibilità a Continnum, la serie è disponibile su Amazon Prime video, quindi se avere amazon prime potete vederla gratuitamente, se invece non siete abbonati e volete provarlo, vi lascio qui il mio link di affiliazione.

Piccola postilla finale, io adoro le serie che trattano il viaggio nel tempo, e trattandosi di un qualcosa di estremamente difficile da gestire in termini narrativi, tendo a perdonare molte incongruenze, in questo caso ho apprezzato molto il modo in cui è stato gestito il concetto di viaggio nel tempo basato sulla teoria del multiverso per cui tutti i futuri sono possibili simultaneamente, e le variazioni nel passato creano nuove diramazioni del continuum spazio temporale, senza però che queste diramazioni influiscano sul futuro originali. In soldoni, il paradosso del nonno, in Continuum non è presente.

Il saggio del mese è: Come acchiappare un asteroide di Adrian Fartade

Con Adrian si vince facile, il suo modo di scrivere e di raccontare è estremamente semplice, appassionante e coinvolgente, in ogni sua parola traspare tutta la sua passione e l’amore per la scienza e l’astronomia e l’esplorazione spaziale, ma non serve che ve lo dica io, basta andare sul suo canale youtube Link4Universe.

Adrian è un divulgatore scientifico, giovane, appassionato, simpatico, ma soprattutto un amico, ma non fraintendetemi, non ho letto il suo libro sugli asteroidi perché è un amico, l’ho letto perché dopo aver finito di leggere il suo primo libro “A piedi nudi su marte” e “Su nettuno piovono diamanti” rispettivamente primo e secondo “capitolo” sui pianeti del sistema solare, ne volevo ancora, ero letteralmente ingordo di informazioni su un argomento, come l’esplorazione spaziale e il nostro sistema solare, su cui so pochissimo, e questo libro mi ha dato esattamente ciò che volevo.

Informazioni precise e puntuali raccontate in modo estremamente divertente, con tanti aneddoti legati all’esplorazione spaziale e e una quantità enorme di parallelismi con cose apparentemente non c’entrano assolutamente nulla con gli asteroidi, tipo le fatality di Mortal Kombat, giusto per citare una sua recente stories su Instagram

Lo dico con tutta onestà, leggere questo libro è il più bel regalo che possiate farvi se siete appassionati di scienza e di spazio, se volete acquistarlo, vi lascio il link per acquistarlo su amazon.

Come acchiappare un asteroide è un saggio di carattere divulgativo, edito da Rizzoli

Il romanzo del mese è: Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne

Ho questo libro in casa da secoli, e qualche settimana fa, mentre gettavo le basi per un mio racconto breve ambientato sul finire del XIX secolo, mi sono reso conto di non aver mai letto questo classico intramontabile della letteratura, così ho deciso di recuperarlo e l’ho letteralmente divorato in un solo weekend.

Leggendolo mi sono reso conto che tutto quello che credevo di sapere su Nemo e il Nautilus era sbagliato, avevo una mia idea pregressa del contenuto di questo libro, un idea distorta, probabilmente da innumerevoli adattamenti e rielaborazioni della storia, ed è stato davvero molto bello e piacevole leggerlo.

Non c’è molto altro da dire, se non forse che, una delle opere ispirate alla figura di Nemo e del Nautilus, più vicine alla narrazione di Verne, di cui ho memoria, probabilmente è “The secrets of blue water” serie animata di Hideaki Anno che i miei coetanei probabilmente ricorderanno con il titolo italiano “il Mistero della pietra azzurra”, che con molta probabilità ha fatto innamorare tutti noi di Nadia. Ma questa è un altra storia.

In ogni caso, io ho una vecchia edizione Polaris, datata 1994, che non ho idea di dove l’abbia presa, da che ho memoria quel libro è stempre stato in casa mia, vi lascio comunque, qualora voleste recuperarlo, un link per un edizione economica feltrinelli, che ha una delle copertine più belle in assoluto.

Tra l’altro, l’edizione formato kindle costa solo 0,99€ mentre il cartaceo ne costa 9,50€

Il film del mese è: Jojo Rabbit

Del film Jojo Rabbit di Taika Waititi ho già parlato in maniera più ampia in una recensione, qui mi limiterò a dire che il film è assolutamente meraviglioso.

La comicità demenziale di Waititi offre in modo estremamente leggero e semplice, un immagine assolutamente perfetta dell’uomo medio nella germania nazista. Nella mia recensione, che vi invito a recuperare, non ho potuto fare a meno di tracciare un parallelismo tra Jojo Rabbit e La banalità del male di Hannah Arendt, e voi direte, cosa c’entra un film comico demenziale con protagonista un bambino di 10 anni, con un saggio che racconta le vicende del processo di gerusalemme ad Adolf Eichmann? Apparentemente nulla, e pure, entrambe le opere sono come le due facce della stessa medaglia, e raccontano, con registri e strumenti narrativi diversi, la società tedesca durante il regime nazista. Ma vi invito a recuperare la recensione, e il film, per saperne di più.

Approfitto dello spazio dedicato a Jojo Rabbit per consigliarvi anche una canzone, che a mio avviso completa il trittico sull’uomo medio della germania nazista, la canzone è “L’uomo di Monaco” dei Nomadi, pubblicata per la prima volta nel 1988 con l’album Ancora Nomadi.

Se avete libri o serie da consigliarmi, scrivetelo nei commenti o mandatemi un messaggio privato su Instagram o nei vari social su cui sono presente come historicaleye. Per il momento ho già in mente un saggio per il prossimo mese, e probabilmente un film, anzi, una saga cinematografica, ma sono sempre aperto a consigli e suggerimenti.

JoJo Rabbit: Voto 10!

JoJo Rabbit, un film di Taika Waititi, che per quanto mi riguarda è uno dei film più belli e divertenti che abbia visto in quest’anno.

JoJo Rabbit, un film di Taika Waititi, che per quanto mi riguarda è uno dei film più belli e divertenti che abbia visto in quest’anno.

Se dovessi dargli un voto da 1 a 10, non potrei partire da un voto più basso di 7, e probabilmente gli darei un 10 pieno, e se non un dieci, almeno un nove, perché, per quanto mi riguarda, questo video è assolutamente perfetto sotto ogni punto di vista.

La scrittura è ottima, perché mischia temi importanti ad immagini demenziali e surreali al limite del ridicolo, forse anche oltre il limite del ridicolo, ma andiamo con ordine.

Il Film

Si tratta di una commedia demenziale ambientata in Germania sul finire della seconda guerra mondiale, che a mio avviso è assolutamente perfetta, non tanto per regia, fotografia e recitazione, che in teoria sono tra gli aspetti più importanti se si parla di un film, ma io non sono in grado di valutarli, e neanche mi interessa farlo.

Voglio invece parlare di questo film dal punto di vista storico, che è un qualcosa che mi compete.

Comincio col dire che, dal punto di vista storico, in questo film c’è tutto quello che dovrebbe esserci in un film ambientato negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, c’è la resistenza antinazista, c’è la gestapo, ci sono le SS, c’è il fanatismo cieco dei nazisti, o presunti tali, c’è la disperazione di una germania ormai al limite che arruola soldati sempre più giovani, e recupera risorse, soprattutto metallo, da qualsiasi cosa.

Tutto questo è inserito in un contesto caricaturale, dove ogni cosa viene ingigantita al limite del ridicolo, ed è bene così.

L’unica cosa che manca forse sono i bombardamenti sulla città, che arrivano soltanto sul finale del film, mentre per gran parte della visione, sembra di vivere in una bolla fuori dal mondo e dal tempo, e che non è stata ancora raggiunta dalla guerra.

Lo sfondo storico di JoJo Rabbit

Il film, con la sua comicità ci mostra l’effetto della propaganda e i meccanismi della propaganda hitleriana, i cui operatori agiscono senza pensare, senza fare domande, credendo a tutto ciò che gli viene raccontato, e guardando quel film non ho potuto fare a meno di ripensare alla Banalità del Male di Hannah Arendt, o alla biografia di Adolf Eichmann scritta da David Cesarani, o ancora, alla conversazione radiofonica avvenuta tra la Arendt e Joachim Fest, a seguito della pubblicazione della banalità del male.

La mia mente è andata in quella direzione perché in Jojo, in quel bambino di dieci anni a cui piacciono le svastiche, le uniformi buffe e vuole fare parte di un gruppo, ho rivisto gli anni giovanili di Eichmann, l’architetto dell’olocausto.

Eichmann è un soggetto “privilegiato” della storia perché sul suo conto abbiamo un enorme quantità di informazioni e testimonianze, oltre che di dichiarazioni, raccolte e prodotte nel corso dello storico processo di Gerusalemme del 1961, processo che è alla base della Banalità del Male della Arendt, in quanto la storica e filosofa era al processo come corrispondente da Gerusalemme del giornale newyorkese Newyorker.

Ma quella che è la sua (di Eichmann) vita e la sua percezione del mondo e della Germania nazista, come avrebbe osservato la stessa Arendt, erano estremamente comuni all’epoca, Eichamm era un uomo comune, il prodotto di una società, che non odiava gli ebrei perché razzista, ma li conduceva a morte perché nel suo mondo, andava fatto, perché nel mondo in cui viveva, per essere accettati, bisognava fare in quel modo.

JoJo, il protagonista del film, è simile ad Eichmann sotto molti punti di vista, ma per altri è totalmente diverso, la fedeltà cieca del piccolo JoJo non è in realtà così cieca, e lo vediamo da subito. Lo vediamo quando gli viene ordinato di uccidere un coniglio, e lui lo libera, lo vediamo nell’espressione dubbiosa del piccolo Roman Griffin Davis, durante il rogo di libri, prima di lasciarsi prendere dall’enfasi del momento e bruciarli.

Perché Jojo alla fine non è altro che un ragazzino di 10 anni, che si lascia trasportare dalla corrente per essere accettato, che fa cose terribili pur di far parte di un gruppo, ma allo stesso tempo, è attraversato da una lotta interiore, che lo contrappone tra cosa fare per essere accettato e cosa vuole realmente.

E ciò che vuole Jojo è ciò che vogliono tutti, vuole far parte di qualcosa, vuole essere amato, vuole, anzi, non vuole restare solo.

Conclusioni

Il film è di una comicità demenziale, che personalmente ho apprezzato tantissimo, ma sotto il velo dell’assurdo, si nasconde un film profondo, che traccia, attraverso un bambino, il vero volto del male, quel male comune e banale che ha dominato il terzo Reich, e che ancora oggi si muove tra gli uomini.

Quel male fatto dall’incapacità, o la mancata volontà, per usare le parole di Hannah Arendt, di porsi realmente nei panni degli altri. E questo Jojo, il protagonista del film lo capisce, lo capisce quando per forza di cose viene quasi costretto a porsi nei panni degli altri, e nel farlo, vede crollare il proprio sistema di idee e valori, rendendosi conto, di non essere un Nazista di 10 anni, ma semplicemente un bambino che vuole crescere troppo velocemente. E qui c’è il ribaltamento totale, quando Jojo “si sveglia”, nel fare i conti con la realtà, è quasi costretto a crescere prematuramente, è costretto a diventare un uomo, e nel farlo, toglie la ridicola e pagliaccesca uniforma da camicia bruna, per diventare, un bambino vero, come pinocchio.

Il film Jojo Rabbit in effetti è una favola moderna, che ha molto in comune con la fiaba di pinocchio, con l’unica differenza che il protagonista non è un burattino di legno che poi diventa un bambino vero, ma è un burattino ingessato nell’uniforme nazista che poi diventa un bambino vero, non attraverso la magia della fata turchina, ma attraverso l’amore e l’amicizia di una ragazzina ebrea.

La Peste Nera colpisce ancora

La peste è delle malattie più pericolose e letali con cui l’umanità abbia mai dovuto scontrarsi, una malattia che nei secoli è stata sinonimo di morte e terrore, al punto da guadagnarsi il nome di Peste Nera o Morte Nera.

Questa malattia estremamente pericolosa e letale è ancora oggi molto diffusa nel mondo, soprattutto tra gli animali, e se bene sia ormai ufficialmente debellata, continua a mietere ogni anno, centinaia di vittime umane in tutto il mondo, soprattutto in quelle parti del mondo in cui il batterio Yersinia Pestis, responsabile della malattia, prospera nel regno animale.

Mappa della distribuzione globale di Yersinia Pestis nel regno animale.

La scoperta del Batterio della Peste

Nel 1894 il medico franco svizzero Alexandre Yersin, riuscì ad isolare, per la prima volta nella storia, il batterio denominato Yersinia Pestis, oggi noto per essere il batterio responsabile della Peste, una malattia infettiva, altamente letale che nei secoli ha causato milioni di vittime in tutto il mondo, arrivando all’apice della propria diffusione in europa a decimare l’intera popolazione europea.

La peste si presenta generalmente in tre forme differenti, note come peste polmonare, peste setticemica e peste bubbonica, ma queste tre sono solo la punta dell’iceberg, le varianti più note di questa malattia che, se non trattata adeguatamente e in tempi rapidi, può essere più che letale.

Quando A.Yersin individuò in questo batterio la causa scatenante della Peste, malattia nota e temuta, decise di chiamare il virus “pasteurella pestis”, questo nome è stato modificato successivamente, nel 1944 con l’attuale Yersinia Pestis, nome derivato dal nome dell’uomo che l’aveva scoperto.

Questo batterio è ancora oggi molto diffuso in gran parte del globo, in particolar modo in medio oriente, nell’asia centro meridionale e nell’asia sud orientale, oltre che in africa, in america latina, australia e america settentrionale, e con esso, è ancora ampiamente diffusa la minaccia della peste, anche se, oggi è facilmente identificabile fin dai primi sintomi, e di conseguenza facilmente curabile, ma comunque molto pericolosa.

Quando identificata e trattata questa malattia presenta un tasso di mortalità comunque molto elevato, stimato intorno al 10%, se non curata opportunamente invece, il tasso di mortalità sale al 70%.

I primi sintomi della malattia, che includono febbre, debbolezza e mal di testa, tendono a manifestarsi in tempi molto rapidi, che vanno da 1 a 7 giorni dall’esposizione al batterio.

L’ultima grande pestilenza della storia

L’ultima grande “pestilenza” intesa come epidemia di peste, ad aver colpito città occidentali in paesi industrializzati, risale agli albori del novecento, quando, nella sola San Francisco fece oltre 100 vittime, e si diffuse rapidamente in gran parte degli Stati Uniti d’America e del resto del mondo, venendo riconosciuta ufficialmente come Terza pandemia di Peste Bubbonica. La Pandemia iniziata a San Francisco e durata diversi anni, raggiungendo il proprio apice tra il 1910 ed il 1912 quando, nell’intera cina, vennero registrate più di 40.00 vittime.

Dopo questo episodio, la peste tornò in Cina alla fine della seconda guerra mondiale, quando colpì la provincia di Harbin, facendo migliaia di vittime.

Da quel momento la peste lasciò, ufficialmente il mondo occidentale, diventando sempre più rara, grazie soprattutto alle maggiori condizioni igieniche, tecnologie mediche, e una migliore capacità di identificare e curare la malattia. Ma questo non significa che la peste sparì definitivamente, anzi, da allora, sono innumerevoli i focolai di peste che hanno coinvolto soprattutto Asia, Africa ed America latina, come l’epidemia di peste scoppiata a Surat in India nel 1994, che causò la morte di oltre 50 persone, o ancora la Peste algerina, che nel 2003 causò un centinaio di morte nel paese nord’africano, nel 2006 fu invece la volta della repubblica democratica del Congo e nel 2014 del Madacascar.

Ad innescare queste epidemie di peste è stato il batterio della Yersinia pestis, che continua a proliferare e vivere in numerosi ospiti del mondo animale, in particolare nei roditori, e per roditori non intendiamo soltanto ratti e topi, ma anche marmotte, furetti, cani della prateria, conigli, e roditori domestici, come criceti, porcellini d’india, cincillà, e molti altri.

La Peste oggi

La peste oggi non è percepita come una grande minaccia per l’uomo, ma continua a mietere vittime soprattutto nel mondo animale, dove, ogni anno, centinaia di migliaia di animali in tutto il mondo, perdono la vita a causa della peste.

Cani della Prateria, Furetti e Marmotte sono ad oggi le principali vittime della peste, soprattutto sul continente americano e, secondo Healthline, la peste nera, una delle più letali varianti della malattia causata dal batterio, ha provocato la scomparsa di intere colonie di cani della prateria nell’area del Colorado e del mid-west statunitense.

Anche se la malattia oggi è ancora molto presente, i rischi per l’uomo sono molto limitati e ridotti, almeno rispetto al passato.

L’umanità vive in condizioni igienico sanitarie di gran lunga superiori a quelle dei secoli scorsi e questo rappresenta uno dei principali ostacoli alla diffusione della malattia tra gli esseri umani.

Come si diffonde la Peste?

La diffusione della peste nell’uomo, avviene attraverso il batterio denominato Yersinia, ed il passaggio dagli animali all’uomo, il più delle volte avviene attraverso la pulce.

Quando la pulce di un animale infetto morde un essere umano, il suo morso trasferisce del sangue infetto all’uomo e con esso il batterio che inizia a riprodursi all’interno delle cellule dell’uomo.

Una volta infettato, i batteri possono attaccare l’organismo umano in molti modi differenti, e il modo in cui avviene l’aggressione definisce la malattia, se infatti il batterio attacca i vasi linfatici può raggiungere un linfonodo, dove causa un acuta linfoadenite che provoca il rigonfiamento che si manifesta sul corpo nella forma di bubboni di colori scuro.

Se il batterio si diffonde nell’organismo attraverso il flusso sanguigno, può causare peste setticemica, e se arriva a colpire i polmoni, peste polmonare.

Il batterio si comporta può comportarsi in modo differente in soggetti infetti e nella maggior parte dei casi, le tre forme di peste tendono a manifestarsi più o meno contemporaneamente.

Se la peste attacca il sistema linfatico, e successivamente, una volta sopraffatto il linfonodo, passa al flusso sanguigno, la peste bubbonica primaria, può provocare anche una peste polmonare o setticemica secondaria.

Una volta che l’organismo umano è entrato in contatto con il batterio Yersinia Pestis, nella maggior parte dei casi è solo una questione di tempo, prima che la malattia si manifesti.

La peste come arma

Il modo di diffusione della peste, e il suo elevato tasso di mortalità, ha sempre reso la malattia facilmente isolabile. Tuttavia, gli esseri umani, fin dalla prima manifestazione della malattia, hanno sempre cercato di sfruttarla a proprio vantaggio, utilizzando i corpi dei deceduti infetti e le carcasse di animali infetti, come arma batteriologica.

La peste è stata una delle prime, forse la prima arma batteriologica concepita dall’uomo, ed è stata utilizzata, in numerose occasioni, soprattutto durante assedi da parte degli assedianti.

L’utilizzo bellico della peste era primitivo, ma estremamente efficace, e simile in gran parte del mondo, dall’europa alla cina, passando per il medio oriente. Si caricavano i corpi infetti su delle catapulte, e le si sparava oltre le mura di cinta della città, portando la peste in una comunità chiusa e sotto assedio, che a quel punto non aveva altra possibilità per sopravvivere, se non arrendersi.

In tempi più recenti, durante la guerra fredda, anche l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, hanno cercato di sfruttare a proprio vantaggio il batterio della peste, producendo immense scorte di batterie di peste per usi bellici, almeno fino al 1972 quando 179 paesi, inclusi USA e URSS firmarono la Convenzione per le armi biologiche, con cui si vietava, ufficialmente, la sperimentazione, produzione ed uso di armi batteriologiche.

Oggi l’utilizzo di virus e batteri come arma è riconosciuto dalle nazioni unite come un crimine di guerra di alto livello, e se riscontrato l’utilizzo di armi di questo tipo, non c’è diritto di veto che tenga, la Corte di Giustizia Internazionale è chiamata ad intervenire, giudicare e punire i responsabili.

Differenze tra Municipio e Colonia romana

Quando roma assumeva il controllo di una città straniera, questa diventava un municipio, mentre quando la nuova città veniva fondata da roma, questa era una colonia

Quando Roma assumeva il controllo di una città straniera, attraverso una conquista militare o diplomatica, questa veniva inglobata nello stato romano diventando un Municipio, diversamente, quando Roma fondava dal nulla un nuovo insediamento, la nuova città era una Colonia. Nel mondo romano non c’erano altre opzioni, tutte le città sotto il controllo di roma erano Colonie o Municipi, mentre, le città straniere, alleate di Roma e legate a Roma da un alleanza erano Foedus, e dette Soci o Federate di Roma.

I Foedus, che possiamo tradurre come dei feudi, erano gli antenati dei feudi medievali, e costituivano insediamenti non romani, legati a roma da trattati, chiamati appunto Foedus, che sancivano un alleanza tra roma e quell’insediamento o addirittura un intero popolo.

Il Feodus Cassianum

Uno dei Foedus più famosi e importanti della storia romana è il Foedus Cassianum, un trattato stipulato intorno al 493 a.c tra Romani e Latini.
Questo Foedus venne stipulato agli albori della repubblica, e fu uno degli effetti della transizione da monarchia a repubblica.

Con la deposizione dell’ultimo re di roma, e l’istaurazione della Repubblica, Roma si ritrovò ad affrontare un periodo di crisi interna, che da un lato portò all’esclusione della plebe dalle cariche pubbliche, in particolare, Tito Livio, nell’opera Ad Urbe Conditia Libri, ci dice che con il passaggio alla repubblica, la plebe fu esclusa dal consolato, vale a dire dal governo delle città, dai collegi religiosi e delle altre alte magistrature, cosa che invece, in età repubblicana non accadeva e de facto, un plebeo o anche uno straniero, poteva non solo assumere il governo di una città, ma addirittura diventare Re, come era successa con diversi re, in particolare con gli ultimi tre re della tradizione romana, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e l’ultimo re di roma, Tarquinio il Superbo, erano infatti di origine etrusca, giunti a Roma da stranieri e grazie alla propria ricchezza e alleanze politiche, erano riusciti a diventare sovrani della città.

Finita la monarchia roma voleva evitare che altri stranieri assumessero il controllo della città, e l’aristocrazia romana, coincidente con la gente patrizia, riservò per se le principali cariche istituzionali.

Questo clima politico interno molto teso, portò molte città latine, sotto il controllo di roma o alleate di roma nel lazio, a coalizzarsi in chiave anti romana, in quella che sarebbe stata la Lega Latina, protagonista della celebre battaglia del lago regillo, in cui Roma riuscì ad avere ragione dei propri rivali e imporre il Foedus Cassianum, dal nome del console Spurio Cassio Vecellino.

Il Foedus cassianum prevedeva che in caso di battaglia, le varie città alleate di roma, assumessero il comando dell’esercito romano, e i cittadini dei foedus alleati di roma potessero sposarsi e commerciare liberamente con cittadini romani, in quanto titolari dello Ius commercii e dello ius connubi, appunto il diritto di commercio e di matrimonio.

Il Feodus romano

I cittadini dei foedus però non potevano diventare cittadini romani, ed il loro status sociale ricadeva nello ius emigrandi, erano quindi visti da roma come stranieri, con più diritti di altri stranieri, ma comunque stranieri.

Fatta eccezione per la parte del trattato che riguardava l’alleanza militare, lo ius commercii, lo ius connubi e lo ius emigrandi, saranno elementi ricorrenti nei vari e numerosi trattati di alleanza successivi, definendo quelle città alleate, come socii o come federati di roma.
Le città legate a roma come foedus, sono città straniere, anche se fortemente influenzate dalla cultura romana, diversamente i Municipia erano città romane, anche se non fondate da roma.

Sono innumerevoli gli episodi in cui roma riuscì ad incrementare la propria influenza sulle città alleate, facendo sì che il loro status passasse da Foedus a Municipia.

I Municipia romano

Quando una città diventava un Municipia, i suoi cittadini, soprattutto l’aristocrazia, diritti e doveri nei confronti di roma.

Lo scopo dei municipia era quello di facilitare la romanizzazione dei territori, soprattutto latini, in seguito all’assoggettazione delle comunità locali, che poteva avvenire in due modi, o con la conquista militare, o con la conquista diplomatica, passando appunto per il foedus.

Anche se controllata da roma, e l’aristocrazia dei municipia acquisiva di diritto la cittadinanza romana, con tutto ciò che ne conseguiva, mentre la plebe otteneva lo status di cittadinanza latina, i municipia mantenevano una propria autonomia, e molto spesso mantenevano una forma di organizzazione cittadina, separata e distinta dall’organizzazione romana.

Le cose iniziano a cambiare con l’avvento del principato augusteo e la formazione dell’impero, soprattutto da Tiberio in avanti, segnando una crescente politica di romanizzazione dell’impero che sarebbe terminata con l’imperatore Caracalla, promotore della Costitutio Antoniniana nel 212 d.c. con cui si estendeva la cittadinanza romana a tutti i popoli dell’impero.

I municipia inizialmente erano solo le città sottomesse da roma nell’area del lazio, ma con l’espansione dell’impero, lo strumento dei municipia venne utilizzato ovunque nella penisola italica prima e nel bacino del mediterraneo poi.

Nel primo e secondo secolo dopo cristo la maggior parte delle città sottomesse da roma godevano dello status di municipia ed integravano leggi e tradizioni romane, a leggi e tradizioni locali, in una struttura gerarchica per cui, le leggi locali andavano bene finché non erano in contrasto con la legge romana, e quando c’era un contrasto, la legge romana prevaleva sulle leggi locali. Le città che invece, come Cartagine, non avevano accettato di buon grado la transizione, erano state rase al suolo e riedificate sotto forma di colonia, e questo ci porta al terzo ed ultimo tassello della struttura organizzativa delle città romane, ovvero le colonie.

Le colonie romane

Se i Foedus erano città straniere alleate, e i Municipia erano città conquistate, le Colonie erano veri e propri nuovi insediamenti, fondati da cittadini romani per volontà della stessa roma.

Gli abitanti delle colonie erano romani a tutti gli effetti, o al massimo latini, le comunità vivevano secondo le regole organizzative di roma, seguivano la legge e le tradizioni romane, senza troppe interferenze straniere.

Nel mondo romano, almeno fino al 212 , tutte le città dell’impero rientravano in una di queste categorie, le vecchie città esistenti prima della conquista romana erano Municipia, le città di nuova formazione erano colonie, e in entrambi i casi questo valeva indipendentemente dalle dimensioni della città, dell’insediamento o del numero di abitanti.

Insediamenti commerciali

Vi è però una tipologia di insediamento, che non ne un foedus, ne un municipia, ne una colonia, e sono gli insediamenti commerciali.

Questi insediamenti non rientrano nel diritto delle città romane perché de facto non erano città, ne villaggi, e il più delle volte erano costituiti da pochi magazzini lungo la strada, fiumi e costa. Spesso ospitavano anche una taverna e un bordello ed erano presidiati da uomini armati, ma non avevano altro, non erano città, non erano villaggi, erano semplici stazioni di passaggio, totalmente dipendenti dal transito di commercianti, senza i quali quegli insediamenti non potevano sopravvivere poiché sprovvisti di fonti d’acqua e cibo.

The man in the high Castle: VOTO ZERO!

The man in the high Castle, una serie ucronica, ambientata in un universo dispotico, ispirato al “capolavoro” di Philip K. Dick la svastica sul sole, una serie in cui la storia ha assunto una diramazione alternativa che ha portato il mondo in una direzione totalmente diversa e lontana dal mondo in cui viviamo.

The man in the high Castle, l’uomo nell’alto castello, una serie ucronica, ambientata in un universo distopico, ispirato al “capolavoro” di Philip K. Dick la svastica sul sole, una serie in cui la storia ha assunto una diramazione alternativa che ha portato il mondo in una direzione totalmente diversa e lontana dal mondo in cui viviamo.

Sembrano le basi di quella che dovrebbe essere una serie memorabile, un vero e proprio capolavoro per gli appassionati del genere, ma, da appassionato del genere, purtroppo tutte le mie aspettative sono state tradite.

Quando, su consiglio di molti miei follower ho iniziato a seguire questa serie, mi aspettavo, non so bene cosa, ma qualunque cosa mi aspettassi, purtroppo non l’ho trovata e la serie mi ha profondamente deluso, e annoiato, fin dal primo episodio della prima stagione, stagione che ho cercato di seguire fino alla fine, con non poca difficoltà. L’ostacolo più grande che ho incontrato è stato il restare sveglio durante gli episodi che, nonostante durassero circa un ora, sembravano durare più dell’intera trilogia del signore degli anelli in versione integrale.

La narrazione è lenta, ma non è quel lento “bello” che ho riscontrato in altre serie come Vikings, Breaking Bad, Game of Thrones, Black Sails, Peaky Blinders e altre serie che ho amato, è stato un lento noioso, ripetitivo, ricco di elementi che probabilmente molti hanno apprezzato, ma che a me, non hanno dato, ne comunicato, assolutamente nulla, se non forse un enorme aiuto per contrastare la mia insonnia.

Il titolo di questo post “The man in the high Castle voto zero” è chiaramente una provocazione, le storie raccontate nella prima stagione, mi sono piaciute abbastanza, ho apprezzato tantissimo la fotografia e il modo in cui le varie linee narrative sono state intrecciate tra loro.

Il mio voto zero riguarda principalmente la componente ucronica e storica della serie, ma vi consiglio comunque di vederla, forse voi riuscirete ad apprezzarla più di me.

La serie è prodotta da Amazon ed è disponibile su Amazon Prime Video, e se avete Amazon Prime potete guardarla gratuitamente, se invece non siete utenti Amazon Prime, l’abbonamento costa 3,99€ al mese o 36€ all’anno, e se siete studenti, potete iscrivervi ad Amazon Prime Students a solo 19€ all’anno (e i primi 3 mesi sono gratuiti). Clicca qui per iscriverti ad Amazon Prime.

Il mondo di The man in the high Castle si dirama a partire dalla seconda guerra mondiale, conflitto nel quale, diversamente da quanto accaduto nella realtà, la Germania Nazista riesce a conquistare per prima la bomba atomica, che usa contro gli Stati Uniti, e da lì, va alla conquista del continente nord’americano, coadiuvato dal Giappone che nel frattempo riesce ad invadere e conquistare la costa pacifica del continente nord’americano.

Questo punto d’origine è estremamente interessante e affascinante, il problema, per me, è il modo in cui questa premessa ucronica, porta agli avvenimenti raccontati nella serie, serie che è ambientata nei primi anni sessanta di questa nuova linea temporale in cui il mondo è sotto il controllo nazista.

Ciò che mi ha deluso, per non dire disturbato, è il fatto che, in questa narrazione, dopo l’uso dell’arma atomica, non è tanto il fatto che gli USA si siano arresi, perché questo elemento è verosimile, ma il fatto che dopo la resa, gli USA siano stati invasi, e si siano lasciati occupare passivamente dalle forze dell’asse.

Non parliamo di un paese come l’Italia o la francia, ma parliamo di un paese come gli USA, ed è irreale pensare che questa nazione, separata dall’europa e dall’asia da due immensi oceani, si sia fatta invadere senza opporre troppa resistenza.

Nella storia reale, le isole britanniche hanno resistito ed hanno respinto, innumerevoli attacchi, inclusi bombardamenti, e le isole britanniche erano a poche decine di chilometri dalla costa dell’europa settentrionale, e pure, quei pochi chilometri di mare hanno dato alle isole britanniche il tempo e la capacità per resistere e scongiurare eventuali sbarchi.

Ciò che mi aspetto in un ucronia che parte dalla vittoria della Germania durante la seconda guerra mondiale, come The man in the high Castle, è che finita la guerra e conclusi i trattati di pace, succeda qualcosa, ma di tutto quello che può succedere, l’invasione passiva, è l’unica cosa non ha ragione d’essere.

Ciò che mi aspetto, finita la guerra in europa è l’inizio di un conflitto per la conquista degli USA, un conflitto in cui gli Stati Uniti si ritrovano naturalmente in una posizione di vantaggio, poiché le forze dell’asse prima di poter sbarcare devono compiere una traversata oceanica, e ipotizzando che questo avvenga, una volta installate le varie teste di ponte sulla costa Atlantica e Pacifica, si proceda con un lungo conflitto terrestre. Conflitto alimentato soprattutto dalle forze di resistenza. Una resistenza come quella che c’è stata in Francia ed Italia, e che, vista la posizione di vantaggio geografico dei “partigiani” statunitensi, il conflitto che ne sarebbe seguito, sarebbe stato lungo e tedioso, protraendosi per anni, addirittura decenni, come è successo nel Vietnam.

Il fatto che questo non ci sia stato, e al contrario, finita la guerra, Giappone e Germania abbiano ripartito tra loro gli USA, come USA ed URSS hanno ripartito la Germania dopo la guerra, è stato particolarmente difficile da digerire.

La ripartizione dei territori del Reich in europa, dopo la seconda guerra mondiale, è avvenuta in seguito ad un occupazione militare dopo mesi di scontri armati, in un continente devastato da anni di guerra e bombardamenti a tappeto sulle principali città, infrastrutture e centri industriali.

USA ed URSS hanno potuto dividersi l’europa, perché l’europa era esausta dalla guerra, ma nell’universo narrativo di The man in the high Castle, gli USA non vivono quella condizione di stanchezza, per loro la guerra in europa, è stato solo il prologo, per loro la guerra è iniziata quando la Germania Nazista ha bombardato la costa Atlantica, portando la guerra oltreoceano.

Mi viene difficile pensare che, un esercito di invasione stanco e logorato da anni di guerra in europa, per quanto tecnologicamente avanzato, possa essere riuscito, in pochissimo tempo, ad avanzare in tutto il continente nord americano, ed inglobarlo nel Reich, così come mi viene difficile accettare il fatto che, quella stessa macchina bellica che è riuscita a conquistare l’america settentrionale, ormai priva di nemici degni di tale nome, abbia deciso di fermare la propria espansione e non invadere anche Africa ed America Latina.

The man in the high Castle è una serie sotto molti punti di vista stupenda, ma la sua componente ucronica, la sua evoluzione e contestualizzazione storica, vale zero, forse anche meno di zero, perché de facto, di ucronico, non c’è quasi nulla se non la decisione di immaginare un mondo in cui la Germania Nazista è diventata, con la piena accondiscendenza delle grandi nazioni del tempo, la padrona del mondo.

Lo sfondo narrativo di The man in the high Castle ha più buchi di una groviera, e sono mancanze a mio avviso gravi, perché distruggono dall’interno tutto il contesto storico della narrazione, possiamo anzi dire che in The man in the high Castle, non c’è un contesto storico, e un ucronia, un racconto ucronico, senza contesto storico, per quanto mi riguarda, non ha senso di esistere.

Tutta la caratterizzazione dei personaggi è perennemente in equilibri, su una base traballante al bordo di un precipizio, basta un soffio perché tutto collassi su se stesso e ad impedire che tutta la narrazione collassi ci sono una serie di forzature storicamente inverosimili.

Se però si è disposti a chiudere un occhio sul background narrativo, e ci si sofferma solo sulle storie raccontate, sui protagonisti e la loro vita, se si guarda alla fotografia e alla regia, è chiaro che il voto zero non sussiste, la serie è ben fatta, la narrazione è coerente con se stessa e la fotografia è stupenda.

Volendo dare un voto reale, che non riguarda esclusivamente la componente ucronica, direi che il vero voto che mi sento di dare a The Man in the high castle, anche se la serie mi ha annoiato, non posso darle meno di 7, un voto molto più alto di quello che darei a Vikings che per me non supera la sufficienza. In questo post però ho voluto soffermarmi sul background storico/ucronico dell’uomo nell’alto castello, non alla serie nel suo insieme, che, anche se non mi è piaciuta, è comunque una serie più che valida.

Hu Tinbao, il dio cinese protettore dell’amore omosessuale

Hu Tinbao, il dio cinese protettore dell’amore omosessuale

Hu Tinbao è un antica divinità, presente nella cultura popolare cinese, che assolve alla funzione di protettore dell’amore omosessuale

Nel mondo della ricerca antropologica, lo studio del folklore riguarda principalmente le usanze e le credenze, provenienti dal mondo antico ancora persistenti come “fossili culturali” nelle società e nelle culture “moderne”.

Il folklore non rappresenta altro che la resistenza di culture antiche che sopravvivono nella modernità, e se da un lato la maggior parte dei riti e culti folkloristici, sono stati spesso oggetto di vere e proprie guerre di civiltà, in molti altri casi, quelle tradizioni antiche sono state inglobate nelle società moderne.
Un esempio classico in tale senso è rappresentato dal culto dei santi nella civiltà cristiana che, prendendo le battute da un antico e prolifico pantheon divino, in un mondo dominato da religioni monoteiste, ha trovato il modo per coniugare la necessità delle popolazioni abituate ad avere protettori divini, in quel mondo in cui non c’era più spazio per divinità diverse dall’unico dio.

Studiare il folklore è per gli storici un modo come un altro per prendere contatto con il mondo antico, attraverso strumenti diversi dalle fonti ordinarie, e, facendo un enorme lavoro reinterpretativo e di analisi, permette agli studiosi di estrapolare dalla tradizione popolare, indizi sulle tradizioni antiche, e dunque sulla quotidianità e la vita nel mondo antico.

A tale proposito il culto folkloristico della divinità cinese Hu Tinbao, spesso chiamato anche Wu Tien Bao, permette agli storici dell’oriente di scoprire tanto sulla sessualità nella cina antica.

Il culto non si sa esattamente quando sia nato, e, secondo la mitologia, questa divinità sarebbe vissuta, come uomo, molti secoli a dietro, ma le prime fonti che testimoniano questo culto risalgono a non prima del XVII secolo.

Il mito di Hu Tinbao ci racconta una storia drammatica, ci parla di un giocane Hu Tinbao che, accecato dalla passione, si ritrovò a spiare attraverso una fessura il proprio amato, mentre questi faceva i propri bisogni. Scoperto venne arrestato e torturato, preso ripetutamente a bastonate finché non confessò al prefetto la propria attrazione per l’uomo, confessione che gli sarebbe costata la vita a suon di bastonate.

Se ci soffermassimo a questa prima parte del mito, avremmo a che fare con una leggenda che ci parla della morte di un giovane omosessuale, informazione questa che potremmo utilizzare per una certa ricostruzione storica del periodo in cui visse questo fantomatico Hu Tinbao. Il mito però va avanti, la leggenda infatti ci dice che, una volta giunto nel regno dei defunti, Hu Tinbao venne giudicato dai funzionari dell’oltretomba, funzionari, operatori divini, senza pregiudizi di alcun tipo che, videro nel racconto un crimine d’amore. Hu Tinbao aveva spiato l’uomo perché fortemente innamorato di lui, ed era stato giustiziato per aver spiato la persona amata, questo, per i funzionari dell’oltretomba era un gravissimo torto, inflitto dai mortali, al giovane, decisero quindi di rendergli giustizia, e riparare al torto subito, facendo di lui una divinità, con il compito preciso di proteggere l’amore omosessuale.

Secondo la leggenda, dopo la sua morte Hu Tinbao apparve in sogno all’amato ancora in vita per riferirgli che “Anche se è stato sconveniente spiare un uomo, ciò è stato fatto solo per motivi di cuore e non avrebbe dovuto essere punito con la morte. Ora il giudice della Prefettura Oscura mi ha nominato Dio dei Coniglietti, addetto alle questioni d’amore fra uomini: dovrai costruire un tempio in mio onore.”

Coniglietto è un termine ironico che in cina era usato per indicare i giovani omosessuali.

Nel folklore cinese del XVII e XVIII secolo c’è questa figura divina, che protegge gli omosessuali, questo culto però non ebbe vita facile e nel 1765 Zhu Giui inserì il culto di Hu Tinbao in un libro che racchiudeva tutti i culti proibiti e immorali presenti in cina.

Nel XVIII secolo il culto di Hu Tinbao era considerato immorale e per questo proibito, e con esso la stessa omosessualità era considerata immorale. Nel testo di Zhu Gui, il culto è descritto in questo modo “Tutti gli svergognati e i depravati che, vedendo ragazzi o giovanotti, desiderano avere rapporti illeciti con loro, pregano per avere l’intercessione dall’idolo. Dopodiché fanno i loro piani per ottenere l’oggetto dei loro desideri. Questa è nota come “l’assistenza segreta di Hu Tian Bao””.

Rimozione statue di uomini controversi

Chiedere la rimozione delle statue di personaggi storici dal passato controverso è a mio avviso qualcosa di folle e delirante, perché qualsiasi personaggio storico ha, in un modo o nell’altro un passato controverso, poiché figlio di un mondo diverso dal nostro, figlio di un mondo in cui cose che noi oggi reputiamo abominevoli, erano considerate accettabili, e cose all’epoca considerate abominevoli, oggi sono rivendicate come diritti.

Chi decide fin dove possiamo spingerci? Un conto è mettere in discussione il passato, e con esso il presente, altro discorso è cercare di cancellare e oscurare il passato e per quanto mi riguarda, la rimozione delle statue, è il primo passo verso un oscurantismo pericoloso, lesivo della memoria storica.

Nomi e Date, quanto contano davvero?

Nomi e date sono importanti, ma non dobbiamo commettere l’errore di far ruotare l’intera comprensione della storia attorno alla pronuncia dei nomi e la data esatta.

Nomi e date sono importanti, ma non dobbiamo commettere l’errore di far ruotare l’intera comprensione della storia attorno alla pronuncia dei nomi e la data esatta.

Della rivoluzione Francese ad esempio, è importante il contesto, gli ideali, le idee, le forze in gioco, il dramma sociale e politico, la presa della Bastiglia ha un suo significato strategico e simbolico, ed è quello che bisogna comprendere, sapere in che giorno e a che ora è stata assaltata è un informazione sicuramente importante e utile, ma non funzionale alla comprensione di ciò che stava accadendo, se non nell’ottica di collocarla temporalmente prima di alcuni avvenimenti e dopo altri.

Lo stesso discorso vale per i nomi, non è importante sapere qual è l’esatta pronuncia del nome del ministro dell’economia e del tesoro francese, ma è importante sapere in che modo quest’uomo ha giocato un ruolo negli eventi che avrebbero portato alla rivoluzione.

Sapere come si pronuncia il suo nome, e ignorare cosa ha fatto, è totalmente inutile, sapere cosa ha fatto e non saper pronunciare il suo nome, non preclude in alcun modo la comprensione di quegli avvenimenti.