Quale destino per il Medio Oriente Post Americano?

L’era post americana sta sorgendo all’orizzonte, e come ogni grande impero in declino, anche quello americano si lascia alle spalle morte, pestilenza, guerre e miseria.

Riassunto delle puntate precedenti, per gran parte dell’opinione pubblica mondiale, gli USA devono lasciare il Medi Oriente perché la loro presenza lì è espressione di una politica estera imperialista, e sempre per un importante fetta dell’opinione pubblica mondiale, gli USA non devono interferire nella politica interna delle altre nazioni, e si, stiamo parlando della Siria.

Però, per quella stessa fetta dell’opinione pubblica mondiale, se gli USA si ritirano dal Medio Oriente (stiamo ancora parlando della Siria), sono dei traditori che hanno abbandonato i loro alleati, di conseguenza, gli USA sono responsabili della crisi che consegue al loro ritiro e devono quindi prendere una posizione contro la Turchia di Erdogan, senza però intervenire direttamente in medio oriente, con azioni militari dirette o con sanzioni tardive e soprattutto, senza interferire con la politica interna della Siria, perché, se lo facessero, tornerebbero alla politica imperialista.

Il Medio Oriente si sa, è una polveriera, un posto instabile e complicato, così come sono complicate le operazioni internazionali, e in questo caso, la posizione della superpotenza americana non è mai stata tanto controversa, poiché la scelta che si trovano a dover fare, porta con se, da un lato, una serie di critiche all’imperialismo americano, e dall’altro, una serie di critiche all’imperialismo americano. Va da se, che la scelta più semplice è probabilmente la non scelta, che si manifesta in un banale “ma chi ce lo fa fare, in fondo, non sono problemi nostri, tra gli USA e il Medio oriente c’è un intero oceano ed un continente”, meglio definibile come una politica nazionalista, protezionista e isolazionista, fortemente orientata a destra.

Anche se gli USA per molto tempo si sono convinti di essere i garanti della sicurezza globale, e si sono improvvisati sceriffo autoproclamato del mondo, in realtà, il mondo dispone di un organizzazione che ha il compito di promuovere la pace e la sicurezza globale e di difendere i più deboli, e questa organizzazione internazionale, è l’ONU.

ONU che in teoria è l’unico ente internazionale legittimato ad intervenire in medio oriente, ma non può, non può intervenire per un veto esercitato della Russia, Russia che all’inizio di questa vicenda, ha coperto le spalle alla Turchia di Erdogan e prima ancora alla Siria e che ora, sembra essersi schierata dalla parte della Siria facendo da mediatore tra il governo di Bashar al Assad e i rappresentanti del popolo Curdo contro cui sta muovendo le proprie truppe Erdogan.

Lo sapevamo, lo abbiamo detto ed è giusto ripeterlo, il medio oriente è una polveriera e qualunque cosa accada in quell’angolo di mondo, è molto più complessa e controversa di quanto noi figli dell’europa, della pace, della libertà e del benessere, possiamo immaginare.

Cosa impariamo da questa vicenda? Impariamo almeno tre lezioni.

La prima lezione che impariamo è che qualunque cosa facciano gli Stati Uniti d’America, che intervengano, che non intervengano, che sanzionino o finanzino, per l’una fetta importante dell’opinione pubblica mondiale, gli USA sono in errore e sbagliano, perché in fondo, c’è sempre una buona ragione per criticare le scelte degli USA e la loro politica imperialista, anche quando non lo è.

La seconda lezione che impariamo è che l’ONU, il cui compito primario è promuovere la cooperazione tra le nazioni e garantire della pace globale, nel rispetto dei popoli e delle minoranze, in questo momento è sotto scacco da parte russa. Non c’è nulla di anomalo o di nuovo in questo, Russia, anzi URSS e Stati Uniti hanno tenuto sotto scacco l’ONU per più di quarant’anni durante la guerra fredda, ed il ruolo di membro permanente del consiglio di sicurezza dell’ONU in fondo, è stato creato proprio per questo.

Tuttavia, vi è una profonda differenza tra oggi e gli anni della cortina di ferro, poiché all’epoca USA e URSS presentavano al mondo due facce della stessa medaglia, utilizzando le stesse armi e gli stessi strumenti per ottenere fondamentalmente la stessa cosa, cambiava solo il soggetto e la visione che questi aveva del mondo. Oggi invece, non vediamo più contrapposti i valori e gli ideali del sogno americano ai valori e gli ideali del mondo sovietico, vediamo invece contrapposti il mondo del diritto e della legittimità, espresso dall’ONU ad un mondo autoritario e totalitario, guerrafondaio e avverso alla democrazia, espresso dalla politica di Putin in Russia.

Il mondo in cui viviamo oggi, è un mondo in cui l’ONU che dovrebbe garantire la pace nel mondo ha le mani legate e la Russia, che sembra avere tutto l’interesse a promuovere scontri, conflitti e guerre nel mondo, non trova alcun ostacolo degno di nota sulla propria strada. Praticamente la politica estera della Russia, promotrice dell’annessione della Crimea alla Russia in violazione dello statuto delle Nazioni Unite, che ha venduto armi illegali alla Siria, armi illegali che poi sono state utilizzate sui civili dalla stessa Siria, garantito poi impunità ad Assad, salvandolo dal giudizio di una corte internazionale, che ha garantito intoccabilità ad Erdogan, utilizzando il proprio diritto di veto, quando l’ONU ha provato a sanzionarlo per i crimini di guerra e contro l’umanità compiuti in Siria a danno della popolazione civile, e in fine, armando e promuovendo la controffensiva Siriana nelle aree colpire dalle forze turche al confine con la Turchia.

Scontri che si sarebbero potuti evitare se gli USA non avessero abbandonato i Curdi, ma anche se la Russia non avesse coperto le spalle ad Erdogan e avesse invece permesso all’ONU di sanzionare la Turchia, ponendo il paese sotto embargo totale, come previsto dall’articolo 41 dello statuto delle Nazioni Unite.

La Russia è responsabile di quanto sta accadendo al confine tra Siria e Turchia, molto più di quanto non siano gli USA, ma per motivi ancora ignoti, ci rifiutiamo di vedere l’imperialismo Russo e continuiamo a portare l’attenzione sull’imperialismo Americano ormai sulla via del tramonto.

La terza lezione che impariamo è che, in tutto questo, l’Europa ha passato decisamente troppo tempo isolata nel proprio paradiso perduto, decisamente troppo lontana dal mondo reale, e ormai completamente incapace di rendersi conto che appena fuori dalle porte dell’europa ci sono i barbari selvaggi, che danno fuoco alle città, che sterminano i bambini e calpestano (volevo dire si puliscono il culo, ma non voglio essere volgare) quotidianamente tutto ciò che l’europa dovrebbe rappresentare.

Dovevamo essere l’avanguardia del nuovo “nuovo mondo” , dovevamo essere i figli prediletti dell’illuminismo, della ragione, della libertà e della democrazia, ma evidentemente abbiamo perso la via di casa, e ormai non siamo più in grado di distinguere cosa è giusto e cosa è sbagliato.

L’europa doveva rappresentare il modello su cui costruire una società internazionale, preludio ad un autentica unificazione dei popoli del mondo sotto la bandiera del diritto internazionale, dell’uguaglianza e del rispetto tra tutti i popoli, l’Europa doveva essere un esempio di pace, doveva portare l’equilibrio nel mondo, ma purtroppo, anche l’Europa ha ceduto al lato oscuro ed ha edificato il proprio paradiso, perduto, sulle spalle e sul sangue dei poveri disgraziati lasciati a morire ad un passo dall’Europa.

Palestina, Ruanda, Bosnia, Kosovo, Iraq, Nigeria, Somalia, Suda, Mali, Africa Centrale, Egitto, Mozambico, Congo, Libia, Siria, Turchia … solo per citare alcuni dei più recenti teatri bellici che, nell’ultimo quarto di secolo, sono stati tacitamente alimentati ed ignorati dall’Europa.

L’era post americana sta sorgendo all’orizzonte, e come ogni grande impero in declino, anche quello americano si lascia alle spalle morte, pestilenza, guerre e miseria.

Lo straniero nella tradizione romana

Numa Pompilio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, sono stati Re di Roma, e nessuno di loro è nato a Roma. Su sette Re, Roma ha avuto 4 re stranieri, 5 se si include anche il fondatore della città, e soltanto due re “indigeni romani”.

Secondo la tradizione, Roma, nella sua prima fase storica, è stata una monarchia e, in questa fase, ha avuto sette re, di cui almeno tre, erano etruschi e almeno 7 erano “stranieri”.

La storia di Roma si apre con Romolo, leggendario fondatore della città, le cui origini si perdono nel mito.

Il suo successore Numa, invece, ha un identità ben precisa, di Numa Pompilio conosciamo il gruppo etnico di appartenenza e la famiglia di discendenza, Tito Livio e Plutarco ci raccontano che Numa, erede della Gens Pompilia, fosse un mercante, originario della città sabina di Cures Sabini, successivamente trasferitosi a Roma in cerca di fortuna, e stando alla tradizione di fortuna Numa ne ebbe molta, al punto da diventare un ricco uomo d’affari, così influente, così potente, da succedere a Romolo sul “trono” di Roma.

Qualcuno potrebbe dissentire ed osservare che, la Gens Sabina è stata progressivamente inglobata nel mondo romano, andando a definire i caratteri di quella che, nella tradizione romana, era la classe Patrizia, e nell’osservare ciò, avrebbe perfettamente ragione. Ma dopo Roma ha avuto altri Re stranieri, appartenenti a gruppi etnici e popolazioni diverse da quella sabina, sto parlando dei re Etruschi, ovvero di Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, gli ultimi tre re di Roma, tutti di origine Etrusca, tutti giunti a Roma da adulti e tutti, ascesi al potere, pur non avendo sangue “romano” nelle vene.

Ad ogni modo, il primo re di Roma, venuto dopo Romolo, è di fatto un re straniero, il primo re straniero della tradizione romana, e nel computo generale dei “re di Roma” emerge un dato interessante, in realtà, soltanto due dei sette re di Roma, sono effettivamente nati a Roma.

La figura dello straniero, a Roma e più in generale, nella civiltà romana, ha sempre ricoperto un ruolo particolare, che nel tempo è cambiato profondamente.

Si passa da un’età arcaica, in cui gli stranieri erano ben visti nella civiltà romana, al punto che uno straniero poteva addirittura diventare Re, a fasi successive in cui, gli stranieri e la cultura straniera, era vista come un oltraggio alla civiltà romana, per cui uomini come Marco Antonio, molto legato alla figura di Cleopatra e alla tradizione orientale, venne percepito come un traditore, ed il suo rivale, Ottaviano, venne percepito, e promosso, come campione della tradizione Italica, in quanto erede di due importanti famiglie dell’aristocrazia romana, di rango senatorio da parte di madre (Azia maggiore) e imparentato sia con Cesare, di cui era pronipote, sia con Gneo Pompeo Magno. Per poi tornare a fasi del tardo impero, in cui i culti orientali vennero nuovamente accolti e abbracciati dagli imperatori, come ad esempio, nel caso di Marco Aurelio.

Il rapporto di Roma con gli stranieri, già da queste prime informazioni, appare molto complicato e controverso, e soggetto a numerose variazioni nel tempo, ma nel complesso, possiamo dire che la società romana si presentava all’epoca come una terra di possibilità in cui l’abilità e le capacità dei singoli individui, avrebbero spalancato loro porte o botole, rendendoli ricchi e potenti, o riducendoli in miseria e schiavitù.
Roma, da questo punto di vista è molto criptica, e se da un lato incontriamo uomini di culto e di potere, tra cui si annoverano importanti oratori, filosofi, re e persino imperatori, dall’altra non abbiamo difficoltà ad individuare le innumerevoli popolazioni ridotte in schiavitù e costrette a lavorare nei campi, combattere nelle arene e servire nell’esercito. Così come non è difficile incontrare stranieri che una volta a Roma, sono diventati schiavi, e da schiavi sono stati liberati ed i loro discendenti sono diventati ricchi mercanti ed hanno avuto accesso al rango senatorio, o ancora, stranieri che hanno scalato i ranghi dell’esercito, diventando importanti generali e scontrarsi con altri generali, di stirpe romana, nella lotta per il trono imperiale di roma.

Quella volta che i Curdi ci hanno salvato dai Nazisti

Di recente, il presidente Trump ha dichiarato che gli USA non aiuteranno Curdi, perché loro (i Curdi) non hanno aiutato gli USA contro i Nazisti durante la seconda guerra mondiale e lo sbarco in normandia.

Facciamo finta per un attimo che, tra il “Kurdistan” e la Normandia, non ci siano centinaia e centinaia di kilometri, e facciamo anche finta che, tra la Normandia (nord della Francia) e il Kurdistan (medio oriente) non ci siano la Grecia, i Balcani, l’Austria, la Germania ovvero quello che durante la seconda guerra mondiale era il Terzo Reich e soffermiamoci solo (per modo di dire) sulla seconda guerra mondiale.

In questo conflitto (mondiale) che non si è combattuto solo in europa, ma anche in asia, africa, america e oceania, i curdi ovviamente non erano presenti ovunque, in ogni teatro bellico, anche perché all’epoca erano poco più che tribù nomadi, con qualche cavallo, qualche cammello e qualche residuato bellico risalente alla prima guerra mondiale, e proprio per questo, la loro partecipazione alla guerra va circoscritta alla sola regione in cui potevano muoversi, ovvero quello stato immaginario condiviso tra Turchia, Siria, Iraq e Iran chiamato Curdistan, quella regione che aveva questo nome quando era parte dell’impero ottomano e che successivamente è stata smembrata (tradendo la promessa di indipendenza fatta da Francesi e Britannici durante la Grande Guerra) e suddivisa tra le naonate nazioni/protettorati nate dalle ceneri dell’Impero ottomano e sottoposte al controllo indiretto di Francia e Regno Unito.

Nonostante questo, durante la seconda guerra mondiale, i curdi hanno imbracciato nuovamente le armi ed hanno combattuto al fianco degli alleati (prima ancora che questi assumessero il nome di Nazioni Unite) contro i Nazisti. In questa seconda fase della grande guerra del novecento, meglio nota come seconda guerra mondiale, va detto che Turchia, e dunque tutte le popolazioni che si trovavano entro i confini turchi, curdi compresi, erano simbolicamente dalla parte degli alleati, praticamente erano neutrali e anzi, vi sono anche alcuni casi di collaborazionismo tra turchia e terzo reich, soprattutto nella zona più occidentale del paese, ad ogni modo, fingiamo che la Turchia fosse davvero neutrale e dunque, poniamo i Curdi Turchi sono fuori dai giochi.

Restano nell’equazione i Curdi Siriani, i Curdi Iraqueni e i Curdi Iraniani, che invece, come vedremo in questo post, si sono dati parecchio da fare contro i nazisti.

Faccio una premessa, quei curdi che hanno combattuto nella seconda guerra mondiale, sono i nonni e i bisnonni degli attuali curdi e che quindi dire che “non ci hanno aiutati” ehm, eh? cosa? è una grandissima stronzata, se ragioniamo in questi termini allora neanche Trump, che oggi è il presidente degli USA, ha aiutato, visto che lui è nato nel 1946, quando la guerra era finita. Ma comunque, fingiamo che, eventi di oltre settant’anni fa, che coinvolgono nel migliroe dei casi la generazione dei nostri padri, nel peggiore quella dei nostri bisnonni, possano avere un qualche legame diretto, di causa ed effetto, negli eventi odierni.

La domanda che dobbiamo porci è :

è vero che i Curdi non hanno aiutato gli alleati nella seconda guerra mondiale?

La risposta a questa domanda è NO.

I curdi hanno aiutato, e se lo sono preso nel cu… come era già successo nella prima guerra mondiale.
(mi viene da pensare che sono coglioni loro allora, visto che puntualmente hanno aiutato gli “noi” occidentali che, nel momento del bisogno gli “abbiamo” promesso autonomia e indipendenza, e poi finita la guerra “ci siamo” rimangiati tutto.

Ogni riferimento a Francia, Regno Unito, Russia, e USA è puramente voluto.

Nel 1936 la Siria e il Libano erano “protettorati” francesi e in quanto tali, godevano di una certa autonomia, almeno per quanto riguarda la politica interna (quella estera no, quella estera dipendeva da Parigi), questi protettorati erano stati creati sulle ceneri dell’impero ottomano, in un processo di ripartizione territoriale tra i vincitori della guerra, che aveva visto un parziale mantenimento delle promesse fatte da Francia e Regno Unito agli alleati mediorientali, dando così ad alcune tribù (e a discapito di altre tribù) no stato più o meno autonomo in cui vivere, e, all’interno dei confini di questi stati, erano stati inglobati territori e regioni abitati da altre popolazioni, e, una delle popolazioni cha aveva visto smembrare la propria regione, per vederla poi inglobare in altre realtà statali, erano proprio i Curdi, la cui regione di origine venne inglobata in Siria, Iraq e Iran.

Con la caduta di Parigi nel 1940 e l’annessione, chiamiamola così, della Francia al Terzo Reich, con l’istituzione del governo di Vichy, queste regioni autonome, diventarono decisamente meno autonome, e sempre più vicine, per non dire piegate, alla volontà tedesca. Detto in soldoni, Siria e Libano, un tempo protettorati autonomi francesi, dal 1940 diventano avamposti mediorientali del terzo reich.

Parallelamente, la germania stava cercando di assumere il controllo, indiretto, anche dell’Iraq e dell’Iran, protettorati britannici, e per farlo, già a partire dal 1939, la germania aveva appoggiò una serie di insurrezioni, armato milizie locali di gruppi nazionalistici antisemiti e finanziato un tentato colpo di colpo di stato in Iraq.

Il colpo di stato in Iraq portò inizialmente alla deposizione del reggente iraqueno filo-brigtannico ‘Abd al-Ilah e del suo primo ministro Nuri al-Said, insediando al loro posto, Rashid Ali al-Gaylani come nuovo primo ministro del nuovo governo, questa volta filo-tedesco. Con il colpo di stato in Iraq si apre una parentesi durata circa quaranta giorni e nota come “quarto d’oro”.

Il governo del quarto d’oro non fu semplice, e la transizione non fu pacifica, anzi, le insurrezioni continuarono, i combattimenti continuarono e gli Iracheni “filobritannici” fedeli al legittimo re, armati dai britannici e con l’aiuto delle numerose tribù indigene (tra cui i curdi) riuscirono a sottrarre nuovamente il paese al controllo dell’asse e riportarlo al fianco degli “alleati“.

Questo colpo di stato fallito, grazie anche e soprattutto al ruolo giocato dalle tribù locali armate dai britannici, è più che sufficiente a dirci che non è affatto vero quanto asserito da Trump, ovvero che i Curdi non hanno aiutato gli alleati nella seconda guerra mondiale. Ma, visto che in questo momento non c’era ancora stata l’operazione Barbarossa e che questi eventi precedono di almeno due anni la conferenza di Teheran, probabilmente per Trump non sono rilevanti, anche perché poi diciamolo, in questa vicenda, gli USA non sono intervenuti.

Torniamo allora in Siria, abbiamo visto che questa, dopo il 1940 è passata sotto il controllo di Vichy e del Terzo Reich, sempre nel 1941, gli “alleati” , ancora una volta Britannici, con al seguito quello che rimaneva delle milizie francesi che avevano deciso di non piegarsi alla germania, ma anche l’india britannica e l’Australia, diedero supporto alle tribù indigene della Siria settentrionale, da cui, tra giugno e luglio del 1941, partì l’offensiva verso Damasco e la conseguente occupazione della regione.

Gli scontri tra le tribù armate dagli alleati e le forze governative armate dall’asse ebbe come esito, ancora una votla, una vittoria “alleata” ma, anche questa volta, evidentemente, il fatto che gli USA non fossero coinvolti negli sconti e che questi siano avvenuti prima della conferenza di Teheran, evidentemente per Trump è da considerarsi una vicenda irrilevante o comunque poco significativa, del resto, cosa vuoi che sia la liberazione del medio oriente dalla presenza nazifascista.

Rimangono nell’equazione i curdi turchi, ma come già detto, sulla carta la turchia era alleata degli alleati, e i curdi Iraniani.

Vediamo allora come si sono comportati i curdi in Iran.

In Iran, come in Iraq e Siria, si combatte sempre nel 1941 e, come avvenuto in Siria e Iraq, anche in Iran, gli alleati (sempre i britannici), combatterono con l’aiuto delle tribù indigene, e come avvenuto in Siria e Iraq, ebbero ragione sulle milizie nazionaliste filo germaniche e antisemite nella regione.

Detto molto brevemente quindi, ogni volta che in “Kurdistan” si è combattuto, durante la seconda guerra mondiale, i Kurdi hanno imbracciato le armi e le uniformi degli alleati, hanno combattuto al fianco dei Britannici contro i Nazisti e le tribù armate dai nazisti, hanno aperto il fuoco, mettendo a rischio e sacrificando la propria vita per combattere il terzo reich.

I Curdi, e cito loro per citare tutte le tribù indigene che hanno combattuto contro il terzo reich, hanno giocato un ruolo decisivo nella regione, assicurando agli alleati una vittoria altrimenti impossibile da raggiungere, e dire che, i Curdi non hanno aiutato gli alleati durante la seconda guerra mondiale, perché non sono sbarcati in normandia è una bugia grossa come l’america.

Una colossale bugia, detta (a mio avviso) da Trump, sapendo di mentire, ignorando Storia (e anche un po’ di geografia) pur di non ammettere che gli USA si sono piegati alla volontà Russa e che ormagli l’Impero Americano, non è più il garante dell’ordine e della sicurezza globale, ruolo che gli USA avevano rivendicato per se, dopo la guerra fredda, appuntandosi da soli, la stella dello sceriffo sul petto.

Curdi traditi dagli USA?

Per anni, gli Stati Uniti sono stati accusati di trovarsi abusivamente in curdistan (turchia, siria, iraq, iran) e ora che vanno via, vengono criticati per essere andati via …

Curdi traditi dall’occidente, Curdi abbandonati dagli USA, gli USA si ritirano lasciando campo libero alla Turchia, ecc ecc ecc.

Questi sono, a grandi linee i titoli dei giornali nazionali e internazionali, sulla vicenda curda, la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi e la conseguente avanzata turca di occupazione di quei territori.

Oggi, intorno alla metà di ottobre del 2019 il mondo intero guarda con rabbia e punta il dito contro gli Stati Uniti, contro il presidente Trump, per aver abbandonato il popolo curdo, popolo che, durante la guerra all’ISIS è stato determinante nel conseguimento di alcuni importanti vittorie contro lo stato islamico.

Oggi la situazione è questa, i curdi vengono raccontati in questo modo, come un popolo senza stato. che è stato sfruttato durante la guerra e poi è stato abbandonato al proprio destino, gettato via come uno straccio vecchio che non serve più, dagli stati uniti.

Se però facciamo un salto in dietro nel tempo, di uno, due, tre, cinque anni, la narrazione cambia, pur non cambiando di una virgola.

La regione del Kurdistan

Per anni, durante la propria presenza nel vicino oriente, in quell’angolo di mondo diviso principalmente tra Siria, Turchia, Iraq e Iran, in cui dimora, separato da confini politici, il popolo curdo, gli Stati Uniti, sono stati accusati, rispettivamente da Siria, Turchia, Iran e Russia, di trovarsi lì’ illegalmente, di aver occupato in maniera illegittima il territorio siriano o turco.

Accuse abbastanza ridicole se lanciate dalla Russia che contemporaneamente portava avanti l'occupazione della Crimea, sottraendola con la forza all'Ucraina ed annettendola ai territori russi, dico ai territori e non allo stato perché se da un lato la Russia rivendica l'appartenenza della Crimea alla Russia, dall'altro, le persone che vivono in crimea, non godono di alcun diritto politico e civile, ma questa è un altra storia.

Per anni, gli Stati Uniti sono stati accusati, pubblicamente, sia dai leader delle singole nazioni, che dai loro rappresenanti alle Nazioni Unite, di trovarsi abusivamente nel vicino oriente, di torvarsi abusivamente in Siria e turchia e di interferire in operazioni che riguardavano esclusivamente Turchia e Siria, competenza poi estesa alla russia perché alleata della Siria e la cui presenza era legittimata dalle richieste del “legittimo” leader Siriano.

La cui legittimità è più quella di un principe ereditario che di un leader democraticamente eletto in una repubblica, ma anche questa è un altra storia.

Coem dicevo, per anni, è stato richiesto agli USA, dal mondo intero, e dal diritto internazionale, di ritirarsi dal “kurdistan”, ed ora che lo hanno fatto vengono, gli USA vengono accusati di aver abbandonato i curdi.

Insomma, che gli USA fossero rimasti o fossero andati via, sarebbero stati accusati di qualcosa.

Se ne evince che, il presidente Trump, ha fatto una scelta politica, ha messo sulla bilancia le due opzioni ed ha scelto quella più conveniente per il proprio paese, ed è questo, secondo me, il punto davvero interessante dell’intera vicenda, proverò quindi a fare la stessa cosa, e comparare le due opzioni, nel tentativo di capire perché gli USA hanno preferito ritirarsi, piuttosto che rimanere lì, garantire coperture al kurdistan e assicurarsi la fedeltà di un potenziale nuovo stato, in un area del mondo particolarmente problematica e interessante.

Per rispondere a questa domanda, bisogna ampliare lo sguardo, e guardare all’intero asset geopolitico degli USA in questo dato momento storico, e facendolo osserviamo che, la presenza gli USA nel mondo è fortemente ridimensionata rispetto a qualche anno fa.

Sul piano economico gli USA non sono poiù i padroni assoluti del mondo, e devono fare i conti con la concorrenziale economia dell’Unione Europea e l’ancora più pesante e competitiva economia Cinese.

Sul piano militare i suoi “nemici” storici, sembrano essersi rifugiati tutti sotto l’ombrello della Russia che a colpi di veto nel consiglio di sicurezza dell’ONU sta garantendo protezione a chiunque provi ad opporsi agli Stati Uniti, radunando attorno a se, una serie di stati, caratterizzati da una visione del mondo, fortemente anti americana, e tendenzialmente autoritaria, per non dire totalitaria (vedi la Corea del nord, Iran, Turchia, Siria e le new entry Venezuela e Brasile).

L’attuale asset internazionale delinea una politica estera statunitense, fondamentalmente in declino, e dall’altra parte un imperialismo russo sempre più incisivo ed espansivo.

Stiamo entrando in una nuova fase storica, in cui Mosca ha iniziato ad allungare i propri tentacoli sul mondo intero, e temo che questa nuova fase, sarà molto più violenta e controversa di quella che ci stiamo lasciando alle spalle in cui i tentacoli sul mondo partivano da Washington.

Il minor peso internazionale degli USA è facilmente individuabile attraverso le sue decisioni in poplitica estera, tra ritiri forzati e imposizione di dazi doganali, ed è ancora più concreta se ci spostiamo nel luogo in cui risiede il diritto internazionale, l’ONU.

Se ci pensate, è molto curioso che, poche settimane dopo la decisione dell’ONU di “condannare” la politica estera statunitense e le sue interferenze nella politica interna del Venezuela (che ricordiamo essere un alleato della Russia), gli stati uniti abbiano deciso di ritirarsi dal kurdistan, che ricordiamo, non esistere come stato e che si tratta di una regione condivisa tra Siria, Turchia Iraq e Iran, ed è curioso osservare come Tre di questi stati, siano alleati della Russia e dichiaratamente anti americani.

Personalmente credo che le due vicende siano strettamente collegate, e questo mi preoccupa non poco, perché se la mia ipotesi dovesse risultare esatta, se gli USA si stanno ritirando dal kurdistan per le pressioni di Mosca e dei suoi alleati in seno all’ONU, allora saremmo di fronte ad un grande problema, perché ciò significherebbe che ormai siamo prossimi al declino dell’ONU, che, ormai, è sempre più spesso abusato dalla Russia (e degli USA), molto più che durante la guerra fredda.

Personalmente dubito che assisteremo a breve allo scioglimento dell’organizzazione, temo invece che non assisteremo ad una sua riorganizzazione in senso democratico e al contrario, vedremo sempre più spesso l’ONU con le mani legate di fronte alle violazioni e agli abusi compiute da alcuni popoli e nazioni.

Concludendo, il problema degli USA è che dovevano scegliere se essere criticati per aver fatto la cosa “giusta”, ma non del tutto legittima, ovvero rimanere al fianco dei Curdi e riconoscere la loro esistenza come stato, oppure fare la cosa “sbagliata” ma muoversi nella legittimità del diritto internazionale.
Personalmente avrei preferito che gli USA rimanessero al fianco dei Curdi, perché ritengo che la loro presenza lì era “illegittima” semplicemente perché la Russia abusando di uno strumento obsoleto, nelle mani dei vincitori della seconda guerra mondiale, in seno all’onu, ovvero il diritto di veto.

Il segreto delle macchine anatomiche

Le macchine anatomiche, di cui vi ho raccontato la storia in un video sul mio canale youtube, sono dei modelli anatomici del XVIII secolo, realizzati da Giuseppe Salerno, un medico e alchimista palermitano, in cui, oltre allo scheletro umano, è perfettamente visibile l’intero apparato arterio venoso, comprensivo di occhi e cuore, e con un livello di dettaglio impressionante che permette all’osservatore di vedere anche i più sottili capillari.

Questi modelli sono stati successivamente acquistati da Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, nel napoletano e appassionato di anatomia e alchimia.

Per la storia delle macchine anatomiche, vi rimando al mio video su youtube che trovate di seguito, qui invece voglio raccontarvi, in modo più approfondito, il processo, o almeno quello che si ipotizza essere il processo di realizzazione eseguito da Giuseppe Salerno.

Studiano i modelli anatomici di Sansevero, è emerso che, l’intero apparato arterio venoso visibile, non è autentico, si tratta infatti di una riproduzione o ricostruzione post mortem, eseguita manualmente dal medico siciliano.

Per secoli si è creduto che vene e arterie fossero le vere vene e le vere arterie dell’uomo e la donna raffigurati nei modelli, in realtà, molto recentemente, abbiamo scoperto che il sistema cardio circolatorio è costituito da una lega di materiali vari e coloranti, a base di cera d’api.

Viene allora da chiedersi, e me lo chiedo anche io nel video, come è possibile che un medico e alchimista del XVIII secolo conoscesse così bene l’anatomia umana, al punto da riuscire a ricostruire alla perfezione anche i più sottili vasi capillari?

Ancora oggi non è possibile dare una risposta netta a questa domanda, ma, sulla base delle informazioni che abbiamo a proposito della chimica e dell’alchimia del XVIII secolo, possiamo fare delle ipotesi.

Oggi gli studiosi credono che Giuseppe Salerno abbia compiuto degli esperimenti per via iniettiva su alcuni cadaveri presenti nelle botteghe dell’epoca, sezionare e studiare corpi umani nel XVIII secolo va detto, non era una prassi anomala, anzi, era una pratica molto diffusa tra artisti e studiosi di anatomia.

Questi esperimenti, si ipotizza, abbiano provocato una qualche reazione nel corpo calcificando o plastificando l’intero apparato arterio venoso, che poi, successivamente, il medico ha ripulito, analizzato e ricostruito.

Questa ipotesi abbastanza inquietante, lo ammetto, porta con se una domanda, ovvero, è possibile fare qualcosa del genere? e soprattutto, è possibile che un alchimista del XVIII secolo sia riuscito a farlo per almeno due volte?

Andiamo con ordine e la risposta alla prima domanda è, si.

Escludendo eventuali cause naturali, c’è effettivamente uno, anzi, molti modi cui ottenere un risultato di questo tipo.

Il più elementare dei metodi è attraverso l’uso della formalina, una molecola molto semplice da sintetizzare, il cui processo di sintetizzazione è stato formulato per la prima volta nel 1867 dal chimico tedesco August Wilhelm von Hofmann , tuttavia, va precisato che, nel XVIII e in larga parte nel XIX secolo, era molto sperimentale ed è molto probabile che, prima del 1867, anche altri chimici e alchimisti, siano riusciti a sintetizzare la molecola della formalina, senza però tramandarla ai posteri.

Tornando alla formalina, questa, se iniettata, interrompe il processo di decomposizione attraverso le arterie, uccidendo i batteri e arrestando il decadimento tissutale. Permettendo quindi al medico o all’imbalsamatore, di rimuovere la pelle, il tessuto connettivo e il tessuto adiposo e conservare soltanto vene, arterie e organi.

L’uso della Formalina nel processo di imbalsamazione, per la preservazione degli organi , è stato teorizzato e successivamente brevettat dall’anatomopatologo tedesco Gunther von Hagens nel 1978, all’interno di un più ampio procedimento che porta alla Plastinazione di vene, arterie e organi interni, che, una volta preservati dalla decomposizione, vengono “plastificati” operando una sostituzione dei liquidi con dei polimeri di silicone.

Nel XVIII secolo è improbabile che giuseppe Salerno abbia fatto ricorso ai polimeri di silicone, tuttavia, i suoi modelli, potrebbero essere stati realizzati proprio in questo modo, con una leggera variazione al processo di plastinazione di Hagens.

Una volta iniettata la formalina, o più probabilmente una sua versione più grezza e primitiva, nel corpo delle proprie cavie, ed aver interrotto la decomposizione delle vene e arterie, Giuseppe Salerno potrebbe aver introdotto, con successive iniezioni, il suo composto colorato a base di cera d’api che, con il tempo si sarebbe solidificato permettendo così, al medico e alchimista palermitano, di poter godere a pieno di un modello anatomico completo dell’intero apparato arterio venoso.

Questa ipotesi sembra oggi la più plausibile, se bene non vi sia alcuna certezza.

Ho chiesto quindi Giuseppe Alonci, chimico, del canale youtube “la chimica per tutti” e autore del libro “Tutta questione di chimica. Sette brevi lezioni sul mondo che ci circonda” qualche informazione a riguardo e, mi ha anche spiegato quanto è semplice sintetizzare la formalina aggiungendo che per lui non è difficile immaginare che un alchimista del XVIII secolo, sia riuscito a sintetizzare la formalina e anticipare di due secoli la plastinazione di Hagens.

Chruščëv e la Scarpa all’ONU: Il Giorno che Cambiò la Storia

Nikita Chruščëv ha davvero battuto la scarpa sui banchi dell’ONU? se si, cosa lo ha spinto a tanto e se non è andata così, cosa è successo davvero il 12 ottobre 1960?

Nikita Chruščëv ha davvero battuto la scarpa sui banchi dell’ONU? Sse si, cosa lo ha spinto a tanto e se non è andata così, cosa è successo davvero il 12 ottobre 1960?

Il Contesto: L’assemblea ONU del 12 ottobre 1960 e l’intervento di Sumulong

Era un mercoledì quel 12 ottobre del 1960, quando al palazzo dell’ONU di New York, era in corso la 902a riunione planetaria dell’assemblea generale delle nazioni unite.

Durante questa storica riunione, tra i punti all’ordine del giorno, vi era un intervento del delegato filippino Lorenzo Sumulong, nel quale, si denunciava la condizione sociale e politica dei popoli dell’Europa orientale, che, stando alle dichiarazioni del delegato filippino, riportate fedelmente nei dattiloscritti ufficiali della seduta, erano stati “privati del libero esercizio dei loro diritti civili e politici e che sono stati inghiottiti, per così dire, dall’Unione Sovietica”.

Il delegato filippino non ha scelto casualmente questa riunione per denunciare questi fatti, avrebbe potuto parlarne in qualunque riunione planetaria, ma, la 902a riunione planetaria dell’ONU aveva un qualcosa di unico rispetto a qualsiasi riunione precedente, poiché in sala, quel 12 ottobre, era presente il primo segretario del partito comunista dell’unione sovietica, nonché presidente del consiglio dei ministri dell’unione sovietica, Nikita Sergeevič Chruščëv.

La replica accesa di Chruščëv: Difesa dell’URSS e scontro di visioni

L’intervento del delegato filippino attirò inevitabilmente l’attenzione della delegazione sovietica e di Chruščëv, e, al termine dell’intervento, lo stesso Chruščëv riuscì a conquistare il podio e prendere la parola.

Questo è il momento decisivo, il momento in cui il mito incontra la realtà, che segnò l’inizio dello spettacolo internazionale dai toni decisamente sopra le righe e noto al mondo come l’incidente di battitura della scarpa.

Durante il lungo intervento, il leader sovietico provò in ogni modo a lui consentito di giustificare e definire la politica “interna” dell’unione sovietica, ed è importante sottolineare il termine interna, poiché agli occhi della leadership sovietica si trattava di politica interna, mentre, agli occhi del delegato filippino, i rapporti tra Mosca e altri paesi dell’Unione, erano una questione di politica estera, de facto, Sumulong, e come lui numerosi altri delegati delle nazioni unite, non riconoscevano totalmente l’Unione Sovietica come un unico stato, ma come un insieme di stati autonomi e indipendenti, se pur legati strettamente tra loro da accordi internazionali.

Per Sumulong, l’Unione Sovietica non era diversa nella sostanza dalle Nazioni Unite, tuttavia, questo parallelismo era soltanto teorico e nella pratica, l’Unione Sovietica era un Impero guidato da Mosca, in cui la Russia era una potenza centrale che esercitava il proprio potere in maniera arbitraria su tutte le altre nazioni (non libere) dell’Unione.

Queste argomentazioni, molto forti, provocatorie e in larga parte condivise, sia da quella fetta di mondo non allineata con l’unione sovietica, che da parte delle popolazioni “sottomesse” dall’unione sovietica (e che, alcune parti, totalmente disallineate sia dagli USA che dall’URSS, vedevano come una versione più incisiva e meno subdola dell’analogo imperialismo statunitense) ebbero come effetto, l’escandescenza di Nikita Sergeevič Chruščëv che, in prima battuta osservò che non vi era alcuna limitazione nelle libertà civili e politiche dei cittadini sovietici, rimarcando l’unità dell’Unione Sovietica come nazione, e non come entità sovranazionale, osservando poi che, le diverse realtà che componevano l’unione sovietica, avevano visioni politiche non necessariamente identiche e anzi, in alcuni casi in contrasto tra loro, rimarcando più volte che, la propria corrente politica di appartenenza era in aperto contrasto con la corrente stalinista che lo aveva preceduto alla guida dell’unione.
Insomma, Chruščëv, nel proprio intervento, ricordò al mondo che l’Unione Sovietica era uno stato, con al proprio interno tante nazioni e altrettante correnti politiche, tutte libere anche se inserite all’interno del grande calderone del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, un partito che, aveva al proprio interno correnti più legate all’estrema sinistra, correnti più moderate e persino correnti liberali e di destra, del resto, egli stesso si era fatto promotore nell’URSS di una politica di destatalizzazione che potremmo interpretare come espressione di un comunismo sovietico più liberale e moderato.

Il gesto controverso: Chruščëv si sfila la scarpa

Durante l’intervento molto partecipato, Chruščëv si lasciò trasportare, forse un po’ troppo dalle emozioni, scaldandosi particolarmente e, nell’esprimere in maniera molto forte i propri concetti, le proprie posizioni, e le proprie emozioni, durante le battute finali dell’intervento, Chruščëv iniziò ad agitare violentemente il pugno per poi sfilarsi una scarpa e appoggiarla sul bancone.

In tutto l’intervento, stando a quanto asserisce William Taubman, giornalista statunitense, laureato ad Harvard e vincitore del premio Pulizer, se bene Chruščëv abbia effettivamente sfilato la scarpa e l’abbia poggiata sul bancone, non vi è alcuna prova video, non vi è alcuna immagine o testimone che possa confermare che Chruščëv abbia agitato la scarpa e che l’abbia battuta con forza sul bancone.

Secondo Taubman, la foto storica di Chruščëv che agita la scarpa è un artefatto ed è curioso come quella foto sia effettivamente l’unica foto, non ve ne sono altre, o almeno non ne sono mai state divulgate, pubblicate o distribuite altre, ed è curioso, osserva Taubman, che esiste, una foto identica, che mostra la stessa scena, lo stesso istante, dalla stessa angolazione, un immagine perfettamente sovrapponibile all’immagine della scarpa, in cui, tuttavia, non vi è alcuna scarpa, ma un semplice pugno.

Mistero e Iconicità

L’immagine di Chruščëv che batte la scarpa all’ONU è forse una delle immagini più iconiche e rappresentative del XX secolo, ed è un immagine che porta dietro di se un alone di mistero, poiché letteralmente unica.

Qualcuno ha ipotizzato che in quei pochi istanti altri fotografi erano distratti e che per qualche motivo, le telecamere non erano puntate su Chruščëv, cosa curiosa e abbastanza anomala visto che in quel momento, Chruščëv, leader dell’Unione Sovietica, che era insieme agli USA una delle due super potenze mondiali in quel momento storico, era in piedi, di fronte all’assemblea planetaria delle nazioni unite, impegnato a difendere l’immagine dell’Unione Sovietica.

Va però detto che, secondo la RAI esiste un video che mostra Chruščëv intento ad agitare la scarpa, tuttavia, quel video, dal quale si ipotizza sia stato estrapolato il celebre fotogramma non è di pubblico dominio, ma è nascosto e custodito in gran segreto negli archivi RAI, emittente radiotelevisiva italiana che per qualche motivo, sembrerebbe avere l’unica prova video dell’incidente della scarpa di Chruščëv all’ONU, mentre, in tutti gli altri filmati, Chruščëv agita e poi batte il pungo, e non la scarpa, sul bancone.

Fonti e approfondimento

Kruscev Ricorda
Atti XX convegno partito comunista URSS
Dialogo sulla distensione

Comunismo e Nazismo sono uguali?

Si, sono uguali come lo sono un anatra all’arancia e una macedonia di frutta, poiché in entrambi è contenuta l’arancia.

La comunità europea ha deciso di porre sullo stesso piano i crimini del Terzo Reich, e i crimini dell’Unione Sovietica, (e fin qui, credo che nessuno sano di mente avrebbe nulla da ridire) ha inoltre attribuito (in maniera arbitraria, politica e senza alcuna ragione storica) che l’URSS è responsabile dell’inizio della seconda guerra mondiale, perché ha firmato il patto Molotov-Ribbentrop, e qualcuno, speculando sulla vicenda, ha alzato ancora di più l’asticella, ponendo sullo stesso piano Comunismo e Nazifascismo .

Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza, e di riportare il discorso alla realtà, storica dei fatti, qualcosa che poco a che fare con la politica, e, a scanso di equivoci, la decisione dell’UE di questi giorni è politica non storica, non ha nulla a che vedere con la storia, e anzi, fa qualcosa a mio avviso di molto grave, cerca di reinterpretare e revisionare in chiave politica la storia.

Cominciamo col dire che, in molti, forse troppi, stanno avanzando e appoggiando la tesi per cui, Comunismo e NaziFascismo, sono uguali, perché con il patto Molotov-Ribbentrop, URSS e Terzo Reich, si sono “alleati”.

Perdonate il francesismo, ma, questa è una gran cazzata, ma facciamo un passo in dietro, perché altrimenti non ne usciamo.

Ok, se parliamo dei crimini dei regimi comunisti e dei regimi nazi fascisti, in quel caso sono il primo a dire che hanno compiuto le medesime porcate, e anzi, aggiungo che i crimini dei comunisti, per assurdo, sono più gravi dei crimini dei nazisti, perché a differenza dei nazisti che, quei crimini li hanno perpetuati in piena ottemperanza della propria ideologia, i comunisti li hanno compiuti in aperto contrasto con la propria ideologia.

E la parola chiave è Ideologia, l’ideologia Comunista e quella Nazista sono profondamente diverse, sono quanto di più lontano possa esserci al mondo, e vi dirò di più, il comunismo ideologico è immensamente più vicino all’America capitalista che alla germania nazista.

La visione del mondo pseudo liberale, capitalista e individualista dell’America degli anni 30 e 40, che affonda le proprie radici nella dichiarazione di indipendenza, dichiarazione che ha consacrato gli stati uniti d’america come la prima nazione totalmebte borghese e moderna della storia, si fonda su un principio, un unico principio fondamentale, scritto a caratteri cubitali, o quasi, nella stessa dichiarazione.

Secondo questo principio, tutti gli uomini, sono uguali e dovrebbero godere delle stesse libertà, possibilità e diritti. Tralasciando che, questo principio è stato sistematicamente tradito per secoli, e lo è tutt’ora, ci dice una cosa, ci dice che l’ideologia e l’applicazione di quella stessa ideologia, possono differire, possono in taluni casi, contraddirsi a vicenda, lo vediamo in America, che da un lato dichiara che tutti gli uomini sono uguali, e dall’altro pratica, per oltre un secolo, la schiavitù.

Questo distinguo è a mio avviso estremamente importante, oserei dire fondamentale, perché sul piano storico abbiamo a che fare con gli uomini e con la politica reale, abbiamo di fronte un mondo che non è un riflesso speculare delle idee, e ci dice anche che, le azioni degli uomini, in un determinato sistema di valori, non sempre sono il riflesso di quei valori, e che per tanto, l’ideologia di fondo di una nazione, non è responsabile delle azioni e dei crimini degli uomini.

Come dicevo, la parola chiave è Ideologia, e nel porre sullo stesso piano Comunismo e Nazifascismo, si stanno ponendo sullo stesso piano, due ideologie, due chiavi interpretative del mondo, due visioni, che non hanno nulla in comune, se non una serie di episodi decontestualizzati.

Mi riferisco in particolare al patto Molotov Ribbentrop, patto che ricordiamo essere un patto di non aggressione, ed è importante sottolinearlo, perché non è un alleanza militare, non avvicina URSS e Terzo Reich, ma anzi, pone letteralmente un muro tra i due, li allontana, li separa, e non li separa perché magneticamente simili, li separa perché entrambi, in quel momento, si sentivano minacciati dall’altro, e un patto di non aggressione, garantiva loro sicurezza.

L’Unione Sovietica, durante la seconda metà degli anni trenta, e in realtà anche nel decennio precedente, aveva vissuto momenti di grande tensione e paura, sul piano internazionale, aveva paura di trovarsi sola contro il mondo intero, e questa paura non era campata in aria, il mondo non comunista, aveva a paura di una rivoluzione come quella avvenuta in Russia nel 1917 e aveva iniziato a perseguitare i comunisti, mettendoli al bando e in alcuni casi estremi, facendoli arrestare.

L’apice dell’anti-comunismo lo si raggiunge nei regimi Nazifascisti, in cui il comunismo è considerato illegale, (sorvoliamo sul fatto che l’opposizione politica in generale era illegale) e questa che a tutti gli effetti era una violazione di quei diritti universali rivendicati dagli stati moderni, appariva agli occhi dei sovietici ancora più preoccupante perché tacitamente appoggiata da tutte quelle nazioni non comuniste, che non erano neanche nazifasciste, detto in soldoni, il fatto che i nazisti perseguitassero i comunisti, piaceva a britannici, francesi e americani.

Non dimentichiamo che, nel 1937 il ministro degli esteri britannico (Lord Halifax) si è recato a berlino, ha incontrato Hitler e, parafrasando, si è detto molto felice del modo in cui la Germania si occupava dei comunisti. Capite allora da soli che le preoccupazioni Sovietica avevano basi estremamente solide.

Passa qualche anno, Francia e Regno Unito (soprattutto la Francia), iniziano a dubitare della parola di Hitler, e iniziano ad essere preoccupati per le sue ambizioni territoriali, particolarmente aggressive, ambizioni che, finché portavano all’incarcerazione dei comunisti tedeschi andavano anche bene, ma iniziavano a diventare scomode nel momento in cui oltre ai comunisti e gli ebrei, le SS avevano iniziato a perseguire, arrestare e rinchiudere nei campi anche altre persone).

Francia e Regno Unito allora, ripensano all’idea/proposta fatta dall’URSS nel 37, quando la Germania aveva iniziato l’annessione della Cecoslovacchia, ovvero, di una coalizione mondiale in chiave antinazista, proposta che nel 1937 era rimasta inascoltata. Francia e Regno Unito decidono allora di provare un avvicinamento all’Unione Sovietica e nell’Aprile del 1939 inizia un negoziato, molto altanelante, con l’URSS, nel tentativo di costruire una sorta di alleanza sul modello delle alleanza pre prima grande guerra. Inviano un messaggio a Mosca e immediatamente (come testimoniano le date dei telegrammi) Mosca risponde, poi passa qualche settimana prima di una nuova comunicazione dalla Francia e Regno Unito a Mosca e quando la comunicazione arriva, Mosca risponde immediatamente.

Vi è una volonta di accordo molto forte dal lato sovietico, l’Unione Sovietica lo abbiamo detto, è spaventata dal terzo Raich, mentre dal lato “europeo” (chiamiamolo così) la volontà è decisamente minore.

Alla fine della fiera, dopo mesi di negoziati inconcludenti, l’URSS, che aveva bisogno di garanzie e certezze, prova una strada diversa, e quella strada porta ad un patto di non aggressione con il terzo reich, porta al patto Molotov Ribbentrop.

Patto che, garantisce sicurezza all’URSS, e che in un certo senso la allontana dalla Germania, patto che se rispettato (e sappiamo che non sarebbe stato rispettato) avrebbe tenuto l’URSS fuori dal conflitto europeo che di li a poco sarebbe iniziato.

Questi eventi, l’incontro tra Halifax e Hitler nel 37, l’antibolscevismo dominante in europa, e il fatto che Francia e Regno Unito considerassero la Germania di Hitler, nel 37, l’ultimo baluardo contro il bolscevismo (parole di Lord Halifax, non mie) ci fanno capire che, quando è stato firmato il patto Molotov Ribbentrop, URSS e Terzo Reich, espressioni di un regime comunista e di un regime nazista, erano tutt’altro che allineati.

Il popolo Tedesco e il popolo Sovietico, si consideravano tutt’altro che alleati, e anzi, erano contenti del fatto che i due stati avessero promesso di lasciarsi in pace, di non interferire con le rispettive politiche estere.

Usare questo patto, per porre sullo stesso piano NaziFascismo e Comunismo, è come usare la carta stagnola, per porre sullo stesso piano le patate al cartoccio e i teorici della cospirazione rettiliana, il sol perché in entrambi i casi la carta stagnola abbia un ruolo centrale, non fa sì che ci sia un parallelismo o una qualche continuità tra le due cose.

Inoltre, scaricare sull’ideologia politica di fondo, la responsabilità dei crimini degli uomini, è qualcosa di ridicolo, perché allora, applicando lo stesso ragionamento, ovvero che i crimini dei comunisti sono crimini del comunismo, perché i crimini dei nazisti sono crimini del nazismo, ignorando che sul piano ideologico, il nazismo ammette e promuove quei crimini, mentre il comunismo li condanna (crimini che ripeto ancora una volta, sono stati perpetuati dai regimi comunisti in maniera incoerente con la propria ideologia), allora, dobbiamo considerare come crimini del Cristianesimo, i crimini compiuti dai dai cristiani, crimini che ricordiamo includere tra il rogo di libri e di eretici, anche il genocidio, e questa, è una gran cazzata, perché come i crimini della chiesa, non sono crimini della fede cristiana, così i crimini dei regimi comunisti non sono crimini della fede comunista.

Concludendo, giusto porre sullo stesso piano i crimini dei regimi, di qualunque orientamento politico e di qualunque fede religiosa, ma è sbagliato porre sullo stesso piano le ideologie su cui sono stati edificati quei regimi.

Va inoltre precisato, a scanso di equivoci che, mentre il cristianesimo, mentre il comunismo, mentre l’islam ecc non prevedono, sul piano ideologico, che si compiano determinati crimini, il nazifascismo li prevede, li accetta e li promuove.

Non prendiamoci in giro, nel manifesto ideologico del nazismo hitleriano si dice che gli uomini non sono tutti uguali e che i non ariani devono essere allontanati o in extremis sterminati, nel manifesto ideologico del comunismo, si dice che semplicemente che gli uomini sono tutti uguali.

La Breccia di Porta Pia, cosa è successo il 20 settembre 1870 ?

Con la breccia di porta Pia, Roma capitola, lo stato pontificio smette di esistere e l’Italia completa la propria unificazione, ma cosa è successo esattamente il 20 settembre 1870?

La presa di Roma del 20 settembre 1870 nota anche come capitolazione di Roma o Breccia di porta Pia, è uno degli episodi più iconici del risorgimento italiano, oltre ad essere passato alla storia come l'atto finale dell'unificazione italiana ed uno dei passaggi conclusivi dell'Ancient Regime, ma cosa è successo esattamente in questa data storica che, per oltre 70 anni è stata una delle più importanti ricorrenze e festività del regno d'Italia? 

Come sempre andiamo con ordine, e cerchiamo di fare chiarezza.

La prima cosa da sapere a proposito del 20 settembre 1870 è che questa data rappresenta soltanto l’atto finale dell’intera “guerra” Italo-Pontificia, ovvero della guerra tra il Regno d’Italia e lo Stato Pontificio, la prima, una monarchia parlamentare estremamente giovane, la seconda, una monarchia assoluta, di stampo tradizionale, anchessa politicamente molto giovane, in quanto lo stato pontificio esisteva ufficialmente come entità politica, soltanto dal 1815.

Lo scontro militare tra i due regni italici inizia ufficialmente sul finire di Agosto e i primi di Settembre del 1870, quando, il regno d’Italia, dichiara guerra allo Stato pontificio, con l’intenzione di annettere i suoi territori a quelli del regno italico.

La prima mobilitazione vede l’invio di circa 50 mila uomini ai confini, settentrionale e meridionale, dello stato pontificio, in attesa di una mossa dell’esercito papale, in quel momento, sotto il comando dello stato maggiore pontificio, incarnato dai generali Hermann Kanzler, di origini tedesche e Fortunato Rivalta, di origini italiane.

I due Generali, all’avvicinarsi delle truppe italiche, si mobilitano per difendere i territori papali, e concentrano le proprie risorse e uomini nella capitale dello stato, Roma, la cui capitolazione avrebbe significato la fine dello stato pontificio.

Il 10 Settembre 1870, il luogotenente Generale del Regno d’Italia, Raffale Cadorna (padre di Luigi Cadorna e fratello minore di Carlo Cadorna) al comando spremo dell’operazione, cui facevano capo i Generali sul campo Nino Bixio, Enrico Cosenz, Gustavo Mazè de la Roche, Emilio Ferrero e Diego Angioletti, ricevette l’ordine di oltrepassare il confine con lo stato Pontificio ed iniziare l’occupazione.

Nei cinque giorni che seguono il 10 settembre, i vari generali riescono ad occupare diverse aree e città, senza incontrare troppa resistenza, lungo la via che li avrebbe condotti a Roma.

Il primo battaglione a valicare il confine era sotto il comando diretto di Nino Bixio, che diresse su Viterbo, per poi raggiungere Roma.

Il 15 Settembre l’esercito del regno d’italia, composto principalmente da Carabinieri e Bersaglieri, era giunto alle porte di Roma, che, in previsione dell’arrivo delle truppe italiche erano state chiuse e le mura erano state armate per ordine diretto del generale Kanzler. Sempre il 15 settembre, Cadorna inviò un emissario presso il comando romano, con una lettera destinata al comandante Kanzler in cui gli veniva richiesto di aprire le porte della città e permettere un occupazione pacifica di Roma. Kanzler, il cui compito primario era difendere l’integrità dello stato pontificio e Roma, per “ovvie ragioni” declinò l’invito, informando Cadorna che i suoi uomini, coadiuvati da numerose milizie cittadine, avrebbero difeso la città con ogni mezzo a loro disposizione.

Inizia così un breve assedio di Roma, nell’attesa di più precisi ordini sul da farsi. Nel mentre, Papa Pio IX minaccia la scomunica per chiunque avesse dato ordine di attaccare Roma. Una minaccia che in altri tempi avrebbe avuto come effetto la fine quasi immediata del conflitto e il ritiro delle forze italiche, ma quella minaccia, nel tardo XIX secolo, in uno stato relativamente moderno, una monarchia parlamentare, il cui Re era Re per volontà del popolo italiano e non per un qualche mandato divino, risuonavano come aria fritta, e non ebbero quasi alcun effetto.

Alla fine, l’ordine di attaccare Roma, arrivò, come dicevo, le minacce del pontefice non ebbero quasi alcun effetto, dico quasi perché qualche effetto in realtà ci fu, dato che, l’ordine esecutivo di attaccare Roma, e iniziare il cannonamento delle mura, non arrivò da Cadorna, bensì dal Capitano di artiglieria Giacomo Segre, che, essendo di origini ebraiche, non poteva essere scomunicato.

Giacomo Segre all’alba del 20 Settembre ca così l’ordine di attaccare le mura romane e il cannoneggiamento inizia alle ore 5:00 del mattino, ed ha come primo bersaglio Porta San Giovanni, cui seguono in rapida successione Porta San Lorenzo e Porta Maggiore e, alle ore 5:10, inizia l’attacco anche su Porta Pia.

Il cannoneggiamento prosegue incessantemente per oltre 4 ore, e si interrompe brevemente verso le ore 9:00 circa, quando, alcuni osservatori notano una breccia a circa 50 metri a sud da Porta Pia, per verificare l’effettiva presenza della breccia, vengono inviati alcuni bersaglieri e alle ore 9:30 circa, verificato il cedimento delle mura, Cadorna ordina di concentrare il fuoco sulla breccia, al fine di allargarla abbastanza da permettere ai propri uomini di poter passare e fare irruzione nella città, senza che questi corressero il rischio di fare da bersagli per il tiro a segno, passando in uno spazio estremamente ristretto e sotto il fuoco nemico.

Alle ore 9:35 i cannoni di Cadorna ricominciano a fare fuoco sulla breccia e dopo circa dieci minuti di fuoco concentrato, alle 9:45 la breccia era larga circa 30 metri, abbastanza da permettere agli uomini di passare in tutta sicurezza.

A questo punto i generali Mazè e Cosenz vengono incaricati di formare delle unità d’assalto, e prepararsi all’irruzione nella capitale pontificia, tuttavia alle ore 10:00 dalle mura capitoline viene issata la bandiera bianca, segno universale di resa da parte dello stato pontificio e dunque un invito al cessate il fuoco.

Roma ormai è Caduta, gli uomini di Kalzner e Rivalta si sono arresi, le milizie cittadine hanno ricevuto l’ordine di non proseguire gli scontri, ma, il Generale Nino Bixio non è dello stesso avviso ed i suoi uomini continuano a far fuoco per altri trenta minuti abbondanti, con l’intento di disincentivare ogni possibile resistenza, ma de facto ottenendo l’effetto opposto, le milizie cittadine, vedendo la resa non rispettata, decidono a loro volta di continuare la resistenza, con conseguenti scontri dentro le mura che avrebbero portato a numerose vittime “civili” e arresti. Le operazioni di guerriglia entro le mura continuano fino alle 12/13, per poi ridursi progressivamente fino a cessare completamente.

Alle ore 17:30, i generali dello stato maggiore dello stato pontificio, Kalzner e Rivalta, firma la capitolazione di Roma, che dal 21 settembre passò ufficialmente sotto il controllo delle milizie del regno d’Italia.

La capitolazione di Roma però non segna automaticamente la fine degli scontri, infatti Roma era Caduta, ma lo stato pontificio continuava ad esistere politicamente, le milizie locali e cittadine continuavano ad essere fedeli al papa.

L’esperienza dello Stato Pontificio termina ufficialmente il 27 settembre 1870, quando il regio esercito italiano, riesce ad occupare anche Castel Sant’Angelo, riducendo così al solo “stato Vaticano”.

L’annessione dello stato pontificio al regno d’italia, viene consacrata e riconosciuta ufficialmente in seguito ad un plebiscito di annessione tenutosi il 2 ottobre.

Tra le conseguenze dell’a guerra Italo Pontificia, vi sono la celebre disposizione papale del Non Expedit, con cui il pontefice invitava i cattolici italiani a non esercitare il voto nello stato italiano, e il non riconoscimento della sovranità italiana su territori dell’ex stato pontificio, da parte del pontefice.

Dall’altra parte, per riallacciare i rapporti tra stato e chiesa, il regno d’Italia produsse la, meno nota, legge delle guarentigie, votata in parlamento il 13 maggio 1871, legge n.214, avente titolo ufficiale “Legge sulle prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede, e sulle relazioni dello Stato con la Chiesa.” , questa legge, che verrà poi sostituita dai patti lateranensi del 1929.

La legge delle Guarentigie si componeva di 20 articoli suddivisi in due sezioni, nella prima sezione si faceva riferimento alla figura papale, garantendone l’inviolabilità della persona, gli onori sovrani, il diritto di avere al proprio servizio guardie armate a difesa dei palazzi vaticani, Laterano, cancelleria e Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo. Questi palazzi erano riconosciuti dalla stessa legge come extraterritorialità e di conseguenza erano esenti dalle ordinarie leggi italiane. Inoltre, veniva garantita allo stato vaticano la piena libertà di comunicazione postale e telegrafica, oltre al diritto di rappresentanza diplomatica. Infine, ma non meno importante, si garantiva allo stato vaticano, un versamento annuo di lire 3.225.000 (pari a circa 14,5 milioni di euro) per il mantenimento del pontefice, del Sacro Collegio e dei palazzi apostolici.

Nella seconda parte della legge invece si regolavano i rapporti effettivi tra lo stato Italiano e la Chiesa cattolica, garantendo a entrambi la massima pacifica indipendenza, inoltre al clero veniva riconosciuta illimitata libertà di riunione e si esoneravano i vescovi dal giuramento al Re, in quanto, considerati dallo stato italiano come dei rappresentanti/ambasciatori di uno stato estero, e, sulla stessa linea, le chiese erano assimilate allo status di “ambasciata”.

Bibliografia
M.Borgogni, La gloria effimera. Forze armate e volontari dalla prima guerra d'indipendenza alla breccia di Porta Pia (1848-1870)
G.Darby, The Unification of Italy by Mr Graham Darby
A.M.Banti, Il risorgimento Italiano
G.Pécout, Il lungo Risorgimento. La nascita dell'Italia contemporanea
G.Calchi Novati, Il canale della discordia. Suez e la politica estera italiana
E.Hobsbawm, Il trionfo della Borghesia
A.M.Banti, L'età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all'imperialismo

La Presa di Roma e la sua importanza epocale, che va oltre l’Unità d’Italia

L’importanza storica della Presa di Roma (20 Settembre 1870) va ben oltre l’effimera e regionale Unificazione Italiana, la presa di roma segna un passaggio epocale ed è un avvenimento, che per importanza, è assimilabile alla presa della bastiglia e la presa del palazzo di inverno

L’importanza storica della Presa di Roma (20 Settembre 1870) va ben oltre l’effimera e regionale Unificazione Italiana. La presa di roma segna un passaggio epocale ed è un avvenimento, che per importanza, è assimilabile alla presa della bastiglia e la presa del palazzo di inverno.

Il 20 Settembre 1870, i manuali di storia contemporanea italiani, ci insegnano essere la data finale dell’unificazione italiana, la presa di roma è, e rappresenta, l’ultimo atto ufficiale del processo unitario, iniziato in sordina, tra moti rivoluzionari e ambizioni politiche di regni italici, nella prima metà del XIX secolo.

Ma il 20 settembre è anche altro, e la sua importanza storica viaggia ben oltre i confini nazionali, ponendosi, sul piano internazionale, alla stregua di avvenimenti come la presa della Bastiglia e la presa del palazzo d’Inverno di Pietrogrado (poi San Pietroburgo) in Russia.

Questi tre avvenimenti, insiema al congresso di vienna e i moti del 40, rappresentano a pieno, l’intero excursus del cambiamento epocale che porta l’età Moderna, caratterizzata dal sistema politico noto come Ancient Regime, ad un nuovo sistema politico, sociale e culturale, proprio dell’età contemporanea, ma andiamo con ordine.

La presa della Bastiglia, come è noto, è uno degli avvenimenti simbolici più importanti della Rivoluzione Francese, rivoluzione che segna il punto di inizio di un lungo e lento processo evolutivo che avrebbe attraversato tutta l’europa. Per quanto riguarda la bastiglia, l’assalto a questa struttura è stato spesso associato a due ragioni, la prima, più importante, di carattere politico, la seconda, meno incisiva, ma comunque importante, di carattere strategico militare.

La Bastiglia era percepito nella Francia del tempo, come uno dei simboli tangibili del dispotismo monarchico, una prigione politica, in cui erano rinchiusi per lo più oppositori del Re, oppositori della monarchia. La Bastiglia era una struttura militare fortificata, protetta da uomini armati e che ospitava, nel proprio arsenale, un discreto quantitativo di armi, munizioni e polvere da sparo, e la possibilità di mettere mano su queste risorse delinea il carattere dtrategico/militare dell’assalto alla bastiglia.

Come anticipavo, in realtà la ragione è per lo più politica, visto che era era “protetta” da circa 32 guardie svizzere, 82 soldati francesi invalidi di guerra, ed ospitava circa 30 cannoni, e il grande bottino di guerra che poteva offrire si cortituiva di circa 250 barili di polvere da sparo (contenenti circa 20.000 kg di polvere pirica) e circa 28.000 fucili che, possono sembrare tanti, ma non lo sono affatto, visto che le armi dell’epoca erano a colpo singolo e richiedevano diversi minuti per essere ricaricate prima di poter riaprire il fuoco, e questo significa che, durante un assalto, mentre un soldato sparava, un altro soldato ricaricava i fucili, ma nel frattempo, il soldato che sparava, utilizzava altri fucili, in caso di mobilità, un unità di questo tipo contava su circa 3 fucili, mentre in situazioni meno concitate e più stazionarie, ogni soldato disponeva in media di circa 10 fucili.

Tornando ai numeri della bastiglia, 28.000 fucili, potevano armare in maniera efficace, circa 3.000 uomini, o al massimo 10.000 o addirittura 28.000, dando loro, in questo caso, un’irrisoria capacità di fuoco.

Certo, va detto che la Bastiglia fu assaltata da circa 600 uomini, e quella quantità di polvere da sparo e fucili, per 600 uomini è più che sufficiente, tuttavia, 600 uomini, senza alcun addestramento militare possono avere a disposizione anche 1000 fucili cadauno, e risultare comunque poco efficaci in combattimento, ma questa è un altra storia.

Come dicevo, la presa della Bastiglia, è un evento più che altro simbolico, segna lo scontro con l’autorità monarchica, segna l’apertura del conflitto reale tra popolo e aristocrazia, segna l’inizio della fine di quello che è noto come Ancient Regime.

Ad ogni modo, dalla rivoluzione francese si passa al terrore, poi all’età Napoleonica, e per oltre 30 anni, l’antico ordine politico europeo e nella fattispecie Francese, sembra sgretolarsi, almeno fino al congresso di Vienna, in cui viene passata una mano di spugna sulle trasformazioni post rivoluzionarie e napoleoniche e l’europa torna, almeno sulla carta, ad avere lo stesso aspetto che aveva nel 1789, ovvero prima dell’inizio della Rivoluzione, le antiche case reali vengono riportate sui rispettivi troni e, si introduce un concetto tanto antico quanto nuovo, si introducono il principio di legittimità e concetto di “mandato divino” ovvero, il potere monarchico, l’autorità reale e imperiale, deriva direttamente da Dio, i Re, le Regine e gli Imperatori d’europa, sono tali perché è Dio che ha voluto così, e in quanto vicario di dio sulla terra, il ponetefice è interprete della sua volontà.

Con il congresso di Vienna il papato, diventa una monarchia assoluta che estende il proprio controllo diretto su di un ampio territorio nell’italia centro settentrionale, questa monarchia prende il nome di Stato Pontificio ed esiste ufficialmente, e soprattutto politicamente, dal 1815 al 1870, più precisamente, fino al 20 settembre 1870, interrotto brevemente dall’esperienza della Repubblica Romana del 1848.

Nel 1848, le assi portanti dell’europa costruita nel congresso di vienna, vengono a mancare, in particolare il mandato divino, l’autorità monarchica concessa direttamente da Dio, non ha più alcun valore, e il principio di legittimità, che legittima le monarchie europee si trasforma, affondando le proprie radici nella volontà popolare, i re non sono più sovrani, ma semplici regnanti, governatori che possono esercitare il proprio potere solo e se, è il popolo a delegare loro quella autorità. Max Weber nel suo saggio sul potere definisce diversi metodi di legittimazione del potere, tra cui rienrano la legittimazione popolare, propria delle monarchie parlamentari e delle repubbliche, e la legittimazione tradizionale, in cui rientrano le monarchie assolute.

Questi due sistemi di legittimazione, sono in aperto contrasto tra loro, il re o è legittimato da dio o dal Popolo, e con la primavera dei popoli che si conclude nel 1848, il secondo sistema di legittimazione si sostituisce, in più o meno tutta europa, alla legittimazione tradizionale.

Restano però, ancora vincolati all’Ancient Regime, l’impero Zarista, la cui casa regnante però, non è di fede cattolica e dunque non è consacrata dal pontefice e dalla chiesa romana, e l’impero ottomano, di fede islamica e la cui casa regnante, a sua volta non è consacrata dal papa e dalla chiesa romana e in fine, ma non meno importante, lo stato pontificio, questa volta di fede romana, unica teocrazia europea, il cui Re Imperatore è il Papa. Apro una piccola parentesi a proposito del Regno unito, che, se bene sia ufficialmente di fede Anglicana e la Regina/Re (in quest ocaso la regina Vittoria) è ufficialmente a capo della chiesa anglicana, Vittoria è in un certo senso di fede cattolica, come anche suo marito il principe Alberto e la casa regnante Britannica, per quanto autonoma rispetto alla chiesa romana, tende in questo periodo storico, ad essere molto vicina alla chiesa romana e tiene in grande considerazione l’opinione papale.

Con il 1848 la storia assiste al tramonto dell’antico regime, ma come è noto, tra il tramonto e l’inizo della notte vera e propria, passa qualche ora, e in queste ore l’Ancient Regime continua ad esistere in europa attraverso le monarchie assolute dello stato pontificio, dell’impero zarista e di quello ottomano.

Mettendo da parte Russia e Impero Ottomano, lo stato Pontificio rappresenta, in europa, l’ultimo vero baluardo dell’Ancient Regime, e questo ci porta direttamente al 1870.

Nel 1870 lo stato pontificio cade, viene completamente cancellato e i suoi territori vengono annessi al Regno d’Italia. Questo avvenimento è sì, l’atto finale dell’unificazione italiana, come ci è stato insegnato a scuola, ma come dicevo, è molto di più, prché è anche l’atto finale del potere politico del Papa in Europa (e fuori dall’europa), è il vero atto conclusivo dell’Ancient Regime.

Nel 1870 l’Italia, perché nel 1870 l’italia esisteva ormai politicamente da circa un decennio, può permettersi di dichiarare guerra allo stato Pontificio, può permettersi di attaccare Roma, fare breccia tra le sue mura e persino mettere in fuga il Papa, senza alcuna ripercussione.

Già in passato il Papa e la curia romana erano stati attaccati e messi in fuga ma, diversamente dal 1848 e dall’esperienza della repubblica romana durata meno di un anno perché Luigi Napoleone Bonaparte, meglio noto come Napoleone III, presidente della repubblica francese e fondatore del secondo impero, era intervenuto al fianco del Papa per liberare la città e, andando ancora più all’indietro e spingendoci fino al medioevo, quando un papa era sotto attacco, era minacciato da forze e correnti politiche sempre interne alla chiesa cattolica che vedevano in altri uomini la “vera” leadership papale. Insomma, in passato il papa era stato attaccato da alti prelati che ambivano a sostituirlo con altri pontefici, in questo caso invece, con la presa di roma del 1870, il papa viene semplicemente messo all’angolo, gli viene chiesto gentilmente di accomodarsi fuori dalla città degli imperatori, da quella città che un tempo era stata la capitale del mondo intero.

Qualcuno a questo punto potrebbe chiedersi:

Perché prendere roma nel 1870 e non prima, perché non attaccare Roma nel 1860 e far proseguire l’armata garibaldina ben oltre Teano?

Il motivo è politico, ma anche militare ed economico, insomma, è complicato.

Nel 1860, il papa, anche se molto depotenziato rispetto al passato, (depotenziamento iniziato in seguito al 1848 e conclusosi sul finire degli anni 60 del diciannovesimo secolo) era ancora molto influente e soprattutto, aveva molti alleati ed erano alleati del papa, sia alleati che i nemici di casa Savoia. Roma nel 1860 era alleata dell’Austria, con cui i Savoia erano in guerra, ma era anche alleata con la Spagna, con la Francia di Napoleone III e con l’Impero Britannico, e se da un lato il conflitto tra i Savoia e l’Austria-Ungheria era percepito all’estero come qualcosa di poco più grande di una banale disputa territoriale e, sulla base di quanto emerso dalla Guerra di Crimea, in cui ricordiamo che il Regno di Piemonte aveva partecipato al fianco di Francia e Regno Unito, Il Regno di Piemonte era legittimato a reclamare quei territori “occupati” dall’Austria, e dunque Francia e Regno Unito, non sarebbero intervenuti, o almeno non al fianco dell’Austria, va inoltre detto che, per quello che stava avvenendo in europa e nel mediterraneo, Francia e Regno Unito in primis, erano in un certo senso favorevoli all’idea di depotenziare ulteriormente l’impero Asburgico.

Diversamente però, fare guerra allo stato pontificio, era molto più complicato, non era più una disputa territoriale in cui il Regno di Piemonte era legittimato a rivendicare dei territori occupati da una potenza straniera, e questo perché, diversamente dall’Austria, lo stato pontificio godeva della stessa legittimità storica, culturale, politica e tradizionale del regno di Piemonte, nell’esercitare il proprio controllo sulla penisola italica e sull’Italia, dunque, i principi emersi dalla guerra di Crimea, che impedivano a Francia e Regno Unito di intromettersi nella guerra tra Italia e Austria, non erano validi in un ipotetico scontro tra Italia e Stato Pontificio. Va inoltre detto che la regina Vittoria a Londra e Napoleone III a Parigi, erano in ottimi rapporti con il pontefice e senza troppe licenze, avevano avvertito casa Savoia di un loro possibile intervento al fianco del pontefice, se l’Italia, nel suo processo unitario avesse inglobato militarmente lo stato pontificio. Specifico Militarmente perché un annessione politica e pacifica, che avrebbe portato ad un Italia Federale composta da due o tre stati, era invece ben vista sia dalla Francia che dal Regno Unito.

Cosa è cambiato nel 1870?

Nel 1870 è cambiato tutto, sono cambiati gli equilibri, sono cambiate le alleanze, è cambiata la percezione della chiesa, è cambiato il peso di Roma fuori dalla penisola italica ma soprattutto, è cambiato il ruolo dell’Italia nell’asset globale.

L’Italia durante l’età moderna ha visto un suo progressivo decentramento, in conseguenza dello slittamento delle vie commerciali dal mediterraneo al nord atlantico, l’Italia era bloccata nel mediterraneo, un mare chiuso, isolato dal resto del mondo.

Nel 1870 non era più così perché nell’anno precedente, nel 1869 era stati completati i lavori di costruzione del Canale di Suez, finanziato da Francia e Regno Unito, e la sua innaugurazione era la cosa migliore che potesse capitare all’Italia, perché regalava dava all’Italia una nuova e rinnovata centralità nel commercio internazionale e se da un lato Suez e Gibilterra erano diventati improvvisamente , da un giorno all’altro dei passaggi obbligati per chiunque volesse attraversare il Mediterraneo, e andare dall’Europa all’Asia, senza circumnavigare dell’Africa ed evitando il passaggio terrestre del medio e vicino oriente, dall’altro lato, l’Italia, con la sua centralità nel mediterraneo, rappresentava un importante snodo commerciale che avrebbe semplificato l’afflusso di merci in Europa, risparmiando giorni e settimane di navigazione, ma perché questo accadesse era necessario che l’Italia non fosse più divisa in due stati e che, lo stato pontificio che spaccava in due il Regno d’Italia, poteva essere inglobato nel regno d’Italia.

In questo contesto storico, ormai privo di coperture politiche e militari, il papa si trova da solo contro il regno d’Italia, che può quindi attaccarlo su due fronti e in poco, pochissimo tempo, riescire a fare breccia tra le mura capitoline e prendere Roma, completando ufficialmente quel processo unitario iniziato più di 20 anni prima, per assurdo, proprio a Roma, in quella città in cui si erano manifestate le prime istanze unitarie e dove per la prima volta, durante la fallimentare esperienza repubblicana del 48, si era parlato, per la prima volta nell’età contemporanea, di Italia come nazione.

Bibliografia
M.Borgogni, La gloria effimera. Forze armate e volontari dalla prima guerra d'indipendenza alla breccia di Porta Pia (1848-1870)
G.Darby, The Unification of Italy by Mr Graham Darby
A.M.Banti, Il risorgimento Italiano
G.Pécout, Il lungo Risorgimento. La nascita dell'Italia contemporanea
G.Calchi Novati, Il canale della discordia. Suez e la politica estera italiana
E.Hobsbawm, Il trionfo della Borghesia
A.M.Banti, L'età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all'imperialismo

La Germania fu davvero responsabile dell’inizio della prima guerra mondiale?

Un utente mi ha chiesto, su youtube, se credo che la Germania sia da considerarsi responsabile dell’inizio della prima guerra mondiale, e se dunque, da storico, credo alla versione ufficiale venuta fuori da Versailles, che, ricordiamo, riconobbe ufficialmente la Germania come unica responsabile dell’inizio della Grande guerra.

La risposta a questa domanda è un banale, bisogna distinguere le ragioni politiche (dell’epoca), serviva indicare un responsabile politico per quella drammatica guerra, e i fatti storici.
Politicamente parlando, i vincitori del conflitto, come il più delle volte accade, scaricarono la colpa e le responsabilità della vicenda sugli sconfitti, e, in questo caso specifico, avevano un arma potentissima nelle proprie mani, ovvero, il fatto che la Germania in termini pratici, era stata la prima a muovere guerra, insomma, che la Germania aveva materialmente iniziato il conflitto, trasformando quella che era una crisi regionale legata all’impero Austro-ungarico, in un conflitto prima europeo e poi mondiale.

Questo significa che la Germania è effettivamente responsabile della Grande Guerra, come i trattati di pace postbellici hanno stabilito? In realtà non è così semplice e lineare il passaggio.
Diciamo che, in un certo senso, è stato solo un caso che la guerra mondiale sia iniziata per mano tedesca e non per mano francese, britannica, russa, ottomana, o italica. è stato solo un caso che si intreccia ad un estremamente complicato e ingarbugliato contesto storico in cui, detto molto semplicemente, tutti volevano la guerra, ma nessuno era disposto ad iniziarlo.
Qualcuno, a ragione, potrebbe chiedere perché tutti volevano la guerra, e starei qui a fare l’elenco delle motivazioni per ore e giorni, ma diciamo che non è il caso di dilungarci, ogni nazione aveva le proprie ragioni, chi voleva assumere il controllo di ricche regioni minerarie di confine, chi voleva allontanare il confine dalle regioni minerarie, chi voleva ritagliarsi un angolo di mediterraneo, chi voleva strappare territori che considerava culturalmente parte del proprio stato, ai propri alleati, chi, voleva estendere il proprio potere e la propria influenza in europa e in area balcanica, e chi voleva semplicemente sparare perché si sentiva pronto per dimostrare al mondo la propria forza e a far da collante di tutte queste ragioni, c’erano interessi economici puri e semplici, perché in guerra servono armi, servono scorte, serve un sacco di roba, e chi produce queste cose vede le guerre come un importante business (e all’epoca non c’era ancora la carta della ricostruzione post bellica che fa fare ancora più soldi). .
Insomma, tutti avevano una ragione, chi economica, chi politica, chi animalesca, chi non sapeva cosa fare, e tutti erano in attesa, come uno scontro alla pistola nel vecchio west, tra lo sheriffo e il capo dei banditi, che, per onor di cronaca, all’epoca era tutt’altro che vecchio il vecchio west.

E il clima era proprio quello, erano lì, banditi, sceriffi e uomini della ferrovia, buoni, brutti e cattivi, che si guardavano con sospetto, che si scrutavano tutti fermi, immobili, in attesa che uno, uno qualsiasi, facesse la propria mossa, o che qualcuno nelle retrovie facesse un rumore o si muovesse in modo sospetto, per dare a qualcuno, uno qualsiasi, il pretesto giusto per sparare, e alla fine, qualcuno sparò prima degli altri, o meglio, qualcuno afferrò la pistola per sparare prima degli altri, ma il cowboy che aveva di fronte fu più veloce, probabilmente perché aveva un cecchino appostato sul tetto del saloon, un uomo armato che si trovava lì quasi per caso, che venne coinvolto nello scontro perché qualcuno aveva sparato sulla propria carovana, ignorando che quella carovana era carica d’esplosivo e armi, e così dunque finisce la storia. Il vecchio west, non tanto vecchio, era giunto in europa, e l’uomo a terra, che era a capo dei banditi, venne accusato di ogni crimine, compresi gli abusi di potere degli uomini dello sceriffo e delle angherie degli uomini della ferrovia.

In conclusione, la Germania ha iniziato la Grande guerra, ma la sua responsabilità nell’inizio del conflitto, non è superiore a quella di Francia, Regno Unito, Italia, russia, ecc ecc ecc.

Se l’analogia con il vecchio west vi è piaciuta e soprattutto vi ha aiutato in qualche modo a capire le dinamiche dell’inizio della grande guerra vi chiedo cortesemente di condividere questo post, grazie.

Marocchinate, la procura di Siena apre un fascicolo sui crimini dei liberatori

La procura di Siena ha aperto un fascicolo d’indagine sull’omicidio di una donna vittima delle “marocchinate”. È il primo caso nella storia.

Non è mai troppo tardi per chiedere giustizia. È questa la lezione della signora Giselda di San Casciano Val di Pesa, in provincia di Firenze. 

Così si legge sulle pagine del Giornale, ma, prima che qualcuno possa esultare di gioia e dire che nessuno parla di queste cose, facciamo un passo in dietro, e cerchiamo di capire cosa è successo settant’anni fa.

A scando di equivoci, non entrerò nel merito dei crimini e delle storie delle vittime, sarebbero troppe da raccontare, ma se vi interessa approfondire, vi segnalo questo libro, e vi rimando all’articolo apparso su Il Giornale, che ricordiamo, essere stato fondato da Indro Montanelli, uno dei tanti criminali di guerra italiani che, al pari regli artefici delle marocchinate, all’epoca furono “graziati” dalla comunità internazionale e si decise di chiudere un occhio sui crimini da loro commessi.

Come dicevo, prima che qualcuno dica “nessuno ne parla mai” va fatta una precisazione, non è vero che nessuno ne parla mai, di libri sui crimini di guerra compiuti durante la seconda guerra mondiale (da tutte le nazioni in guerra) ne è pieno il mondo, e pure, nonostante un ampia documentazione e innumerevoli fascicoli e liste con i nomi dei criminali di tutte le nazioni, quasi nessuno venne processato.

Il motivo di questi mancati processi? La risposta è semplice, fu per volontà politica internazionale, di porre fine alla seconda guerra mondiale e di non trascinare il conflitto oltre il limite bellico, continuando lo scontro nei tribunali dei vincitori, anche se, va detto, qualche tribunale dei vincitori (Norimberga e Tokyo) fu comunque attivato.

In italia, questa volontà di porre fine al conflitto fu espressa soprattutto dalla Democrazia Cristiana e, nel dibattito pubblico, negli anni 40 e primi anni 50, trovò numerose opposizioni, soprattutto tra le pagine de L’Unità e de Il Ponte, una rivista di recente formazione, nata dalla volontà di Piero Calamandrei. Gran parte della “sinistra” italiana di ispirazione comunista, negli anni 40 e 50 si mobilità pubblicando numerosi articoli in cui veniva chiesto di occuparsi della vicenda, di non dimenticare le vittime e soprattutto, di punire i responsabili, ma, come già anticopato, alla fine, prevalse la volontà di non proseguire lo scontro e, grazie alla decisione che, ogni nazione avrebbe punito i propri criminali e al principio di reciprocità per cui, ogni nazione avrebbe punito i criminali a patto che anche gli altri avrebbero fatto lo stesso, alla fine si decise di non procedere e la quasi totalità dei fascicoli vennero archiviati, finendo, in italia, in quello che oggi è noto come l’armadio della vergogna, riscoperto alla metà degli anni novanta e i cui incartamenti oggi sono disponibili presso l’ex tribunale militare di La Spezia.

Come già detto, si sul finire degli anni 40 e i primi anni 50, si decise che ogni nazione che aveva partecipato alla seconda guerra mondiale, avrebbe processato i propri criminali, ma ad una condizione, che avessero fatto lo stesso anche gli altri, e sorpresa delle sorprese, era necessario che qualcuno mettesse in moto questo meccanirmo di reazione a catena, ma ovviamente nessuno ne aveva la volontà, tantomeno chi aveva vinto la guerra e non aveva alcuna intenzione di processare i propri soldati per assecondare le richieste di chi invece la guerra l’aveva persa.

Tornando ad oggi, aprire nel 2019 fascicoli di inchiesta di questo tipo, dal punto di vista prettamente giuridico è abbastanza ridicolo, in primo luogo perché, già negli anni 90, quando fu ritrovato l’armadio della vergogna, i fascicoli dei criminali italiani fu aperto e, visto che all’epoca era passato più di mezzo secolo, tra prescrizioni varie e il fatto che la maggior parte dei criminali era defunto, alla fine si giunse ad un nulla di fatto. Tuttavia, quelle inchieste hanno permesso di capire meglio cosa era successo durante la guerra, dando un importante contributo storico all’intera vicenda.

Se dunque, negli anni novanta, ormai più di vent’anni fa, le inchieste sui criminali italiani, dal punto di vista giuridico, non hanno cavato un ragno dal buco, direi che oggi, questo tipo di inchieste non può che avere lo stesso risultato.

A scanso di equivoci, l’apertura di questo fascicolo è una mossa totalmente politica che nulla ha a che vedere con le vittime di quei crimini, vittime che meritavano giustizia 70 anni fa, ma si scelse di ignorarle.

Va inoltre detto che, vittime e carnefici, nella maggior parte dei casi, se vent’anni fa erano troppo anziani per essere processati o defunti, oggi, a distanza di oltre settant’anni …. questo significa che di conseguenza, non potranno esserci condanne di alcun tipo, se non forse un irragionevole richiesta di risarcimento alle nazioni di appartenenza di quei criminali (in questo caso quindi, ipotizziamo alla Francia).

Ma è possibile tutto ciò?

L’Italia potrebbe essere nella posizione di chiedere oggi dei risarcimenti alla francia per dei crimini commessi più di settant’anni fa? La risposta è No.

Per essere più precisi, queste richieste non potrebbero avere alcun effetto, se non quello di umiliare ulteriormente le vittime, ed ora vi spiegherò perché.

Questi processi, negli anni 40 e 50 sono arenati per una ragione, e non è una ragione banale, come dicevo poco sopra, ogni nazione che partecipò alla seconda guerra mondiale compì dei crimini di guerra, li compirono i soldati francesi in italia, ma anche i soldati italiani in francia e questo significa che tutti possono accusare tutti, l’italia può accusare la francia, ma allo stesso tempo la francia può accusare l’italia.

In ogni caso, ipotizzando che per qualche ragione la francia dovesse accogliere le decisioni e le richieste dei tribunali italini senza alcuna obiezione, in virtù del principio di reciprocità, non avrebbero motivo di esitare a richiedere a loro volta all’italia di fare altrettanto e dunque processare i criminali italiani e risarcire la francia per i crimini compiuti dai soldati italiani in francia, crimini che, con tutto il rispetto per le vittime italiane, sono stati perpetuati per molto più tempo, su scala molto più ampia.

Cosa se ne ottiene quindi? Se ne ottiene che, proprio come nell’immediato dopoguerra, tutti dovrebbero risarcire tutti, e l’Italia è quella che dovrebbe versare più risarcimenti di tutti (dopo la germania).

Ngli anni 40 e 50, per evitare questa situazione, alla fine, si opto per l’archiviazione dei fascicoli, ed oggi, nel migliore dei casi, si arriverebbe alla stessa conclusione, e dunque, le vittime di quei crimini non solo rimarrebbero ancora una volta senza giustizia, ma sarebbero umiliate per la seconda o terza volta. Ma c’è anche una seconda opzione.

Negli anni quaranta c’era la volontà politica internazionale di andare avanti e lasciarsi alle spalle la seconda guerra mondiale i suoi crimini ed i suoi criminali, oggi, e mi dispiace dirlo, quella volontà non c’è, non c’è più, al suo posto c’è invece una continua ricerca di conflitto e conflittualità, una continua ricerca di un nemico, di qualcuno da odiare, e queste inchieste, in questo clima, sono qualcosa di molto pericoloso, soprattutto per paesi come l’italia, i cui criminali, all’indomani della seconda guerra mondiale, furono quasi tutti graziati graziati dalla comunità internazionale.

Questa inchiesta ha un importante valore storico e può dare un importante contributo alla storia e alla storiografia, ma va presa e percepita per quello che è, un inchiesta tardiva, che non potrà esprimere sentenze, e da cui, nel migliore dei casi, verranno fuori documenti sicuramente molto interessanti, e di grande valore morale, poiché verranno riconosciute alle vittime le dovute scuse, ma che, in termini giuridici, non avranno alcun valore, poiché verranno riconosciuti come criminali uomini che sono già morti da tempo e come vittime, uomini e donne, passati a miglior vita ormai da molto tempo.

Chi era Cola di Rienzo?

Verso la metà del XIV secolo, Cola di Rienzo, sostenuto dal popolo romano, dichiarò guerra all’aristocrazia romana, per poi scontrarsi con papato, impero, e lo stesso popolo romano che lo aveva sostenuto, in nome di un idea, di un sogno, di un utopia, un italia unita con dignità imperiale e Roma sede del potere imperiale.

Da Tribuno della liberà a nemico di Roma, questa è la sua storia.

Intorno alla metà del XIV secolo, un uomo, noto oggi con il nome di Cola di Rienzo, mise in moto una serie di avvenimenti che avrebbero potuto portare alla nascita di uno stato italiano prima ancora della fine stessa del medioevo, tuttavia, le sue ambizioni e, secondo alcuni, i suoi deliri di onnipotenza lo portarono allo scontro aperto con la nobiltà romana, il papato e l’impero, trasformandolo da eroe del popolo romano, in nemico di roma. La sua fu un ascesa fulminea ed altrettanto rapida fu la sua parabola discendente che in meno di una decade lo portò prima all’apice del potere romano, con il titolo di Tribuno della Libertà, e successivamente alla scomunica, un primo arresto, un evasione, un secondo arresto, poi al titolo di Senatore romano e in fine, alla sua violenta e drammatica dipartita, decapitato e appeso a testa in giù da una folla rimana inbestialita.

Questa è la storia di Cola di Rienzo, un uomo che sognò l’Italia e provò (in vano) ad unificarla, con cinque secoli di anticipo.

Il contesto storico

Ci troviamo nel XIV secolo, l’italia politicamente non esiste, è estremamente frammentaria tra comuni autonomi, repubbliche, principati, signorie e possedimenti imperiali, ci troviamo in anni in cui, persino il papato era spaccato e la sede del potere ecclesiastico era stato trasferito ad Avignone. Parlare di Italia in quegli anni era pura utopia, la sola Italia che esisteva era l’Italia della cultura, dell’arte e della letteratura in lingua italica, che ormai matura, iniziava a prendere forma e viaggiare tra le innumerevoli corti della penisola.

L’allontanamento della curia romana, trasferita ad avignone, aveva portato fame e miseria nella città eterna, e questo sia all’interno delle mura Aureliane, sia nel contado, nelle terre esterne alle mura, popolate da contadini e disperati soggiogati dal crescente potere dei baroni locali. Uomini di potere che, in assenza della curia, avevano assunto e rafforzato il proprio potere sulla città.

Le famiglie ColonnaOrsiniSavelliContiAnnibaldi erano le vere e sole padrone di Roma, e a turno, tra alleanze e scontri, avrebbero ricoperto sempre più incarichi di potere, sia in termini imperiali che papali.

In questa situazione, in questo contesto storico, oggi estremamente chiaro, ma all’epoca estremamente caotico e ambiguo, è facile immaginare quali potessero essere le massime ambizioni dei notabili che controllavano Roma. Controllare la città e ripartire da Roma per ricostruire quella che nel mondo antico fu la più grande nazione della storia, ricostruire l’impero, o meglio, riportare la corona imperiale a Roma.

In quegli anni roma aveva apparentemente un ruolo centrale nelle dinamiche imperiali, e gli imperatori del sacro romano impero erano ancora tenuti a recarsi a Roma per essere consacrati imperatori, per acquisire dignità imperiale, tuttavia, la discesa a Roma degli imperatori era una pratica formale che nulla aveva a che fare con il potere reale e Roma, ormai privata del pontefice, era completamente posta al limite ai margini dell’impero.

In quel mondo, in quel tempo, in quell’Italia, come già detto, parlare di Italia era un utopia, ma qualcuno osò farlo, qualcuno ebbe una visione, qualcuno osò immaginare un Italia unita, e progettò di compiere in quella penisola, i cui confini naturali sono estremamente definiti e secondi, forse, solo ai confini della Gran Bretagna, qualuno, in quel frangente ipotizzò e provò a ridare all’Italia la sua antica dignità imperiale e di rendere nuovamente la città dei cesari (Roma) sede effettiva e reale del potere imperiale.

Se la storia avesse proseguito su questa strada, probabilmente nel XIV secolo, anche l’Italia, come Francia, Spagna e Regno Unito, avrebbe compiuto la propria unificazione nazionale prima della fine del Medioevo, e il volto dell’età moderna, dell’europa e del mondo, probabilmente sarebbe mutato notevolmente. Ma ciò non accadde.

Qualcuno tuttavia, provò a mettere in moto questo procedimento, anche se, col senno di poi, sappiamo che fallì miseramente e l’italia sarebbe stata unificata soltanto cinque secoli più tardi.

Ci troviamo intorno alla metà del XIV secolo, più precisamente alla vigilia della pentecoste (19 maggio) del 1347, nella piazza del Campidoglio, ebbe inizio una congiura popolare volta a scalzare le milizie comunali romane, controllate dai notabili, padroni di Roma.

L’ascesa di Cola di Rienzo

A capo dei congiurati che diedero il via a questa insurrezione “popolare” (termine anacronistico, me ne rendo conto) vi era un tale al secolo Nicola di Lorenzo Gabrini, in romanesco medievale “Cola di Rienzi” e noto oggi alla storia col nome di Cola di Rienzo. Costui, il 20 maggio, dopo aver trascorso la notte in preghiera nella chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, partì, alla testa di un corteo armato, in direzione del palazzo senatorio, sovrastante la piazza del campidoglio e giunto nella piazza, “affabulò la folla”, come ci ricordano i cronisti, con le sue capacità oratorie degne di Cicerone, Tito Livio, Seneca e Tulio e Valerio Massimo, ottenendo l’approvazione del proprio programma politico da parte dell’assemblea comunale, ottenendo pieni poteri politici e militari e successivamente, il 24 maggio, ricevendo il titolo di Tribuno della libertà, della pace e della giustizia, liberatore della Santa Repubblica romana.

Questo episodio, potrebbe a qualcuno ricordare l’ascesa di Cesare o l’ascesa di Ottaviano Augusto o anche la nascita della repubblica romana del 1848, episodio quest’ultimo con cui in effetti ci sono molte affinità, anche perché come per la repubblica romana, la Santa Repubblica romana del 1347 ebbe vita breve.

L’obiettivo di Cola di Rienzo chiaro e noto ai suoi contemporanei, egli ambiva a rendere Roma ancora una volta, sede reale del potere imperiale e per farlo era necessario compiere alcuni passaggi fondamentali, il primo di questi era l’allontanamento dei baroni che spradoneggiavano su una terra in tumulto.

Già il 20 maggio Cola di Rienzo aveva ottenuto di limitare il potere dei signori rionali, imponendo loro di rimuovere i vessilli esposti sulle dimore dei signori che controllavano i rioni della città. Successivamente Cola propose un progetto di unificazione dell’Italia, estendendo la cittadinanza romana a tutti gli abitanti della penisola italica, fatto questo che gli innimicò l’amicizia papale. Alcuni cronisti inoltre riportano un rapido e progressivo allontanamento di Cola di Rienzo dalla realtà, raccontando che, dopo una messa al Laterano, il tribuno si mise a dormire nel vasca battesimale della cattedrale, gesto che venne riportato come un tentativo di emulare una presunta immersione di Costantino e, al suo risveglio, si fece consacrare dal vescovo, Cavaliere dello Spirito Santo.

Il declino di Cola di Rienzo

Di episodi fuori dal comune e ben oltre il limite della follia, ne sono piene le cronache riguardanti Cola di Rienzo, ma non è chiaro se si trattasse di effettiva follia, di episodi di aperto scontro con le istituzioni tradizionali e imperiali che vennero poi strumentalizzate politicamente per screditare la figura di Cola di Rienzo, un po’ come accadde anche nel primo secolo dopo cristo a Caligola, la cui “guerra” al senato, portò i cronisti, di tradizione senatoria, a dipingere l’imperatore romano come un folle.

Ad ogni modo, sul finire di novembre del 1347, alcuni esponenti di nobili famiglie romane, tra cui Stefano Colonna e alcuni esponenti di casa Orsini che, in precedenza lo avevano sostenuto, vennero arrestati e il 20 novembre, le milizie comunali, controllate da Cola di Rienzo, inflissero alle milizie dei notabili un importante, quanto effimera, sconfitta, nella battaglia di Porta di San Lorenzo.

Per motivi a noi oggi ancora ignoti, i nemici sconfitti vennero lasciati fuggire, così che questi potessero rifugiarsi nei castelli delle campagne romane, per riorganizzarsi e riarmarsi. Probabilmente Cola di Rienzo ipotizzava che questi, una volta sconfitti non avrebbero più minacciato roma e non avrebbero fatto ritorno, ma così non fù, e la sua indolenza e, secondo i cronisti, inadeguatezza, segò l’inizio del declino politico del tribuno, le cui straordinarie capacità oratorie sembra non essersi tradotte in un effettiva capacità amministrativa e alla fine, Cola di Rienzo venne scomunicato da un legato papale costringendolo alla fuga.

Inizialmente Cola di Rienzo trovò rifugio a Napoli, successivamente tornò a Roma ormai nuovamente sotto il controllo dei Orsini e Colonna e, proprio gli Orsini, che più di tutti si erano sentiti traditi dalle azioni di Cola di Rienzo, ne ordinarono l’arresto costringendolo alla prigionia nelle celle di castel Sant’Angelo, dove rimase per circa un anno prima di riuscire a fugire in modo estremamente rocambolesco e trovare rifugio presso l’eremo dei fratelli spirituali sulla Majella (in Abruzzo).

Lì Cola di Rienzo si convinse che il solo uomo in grado di riportare ordine e pace sulla terra fosse l’imperatore, così partì alla volta di Praga dove, nonostante la scomunica, riuscì ad essere ricevuto dall’allora “re dei romani” e successivamente (a partire dal 1355) imperatore, Carlo IV di Lussemburgo.

Nel loro incontro Cola di Rienzo chiese al futuro imperatore di mettersi alla testa di un esercito marciare verso roma e contro il papato. La risposta dell’imperatore fu un nuovo arresto di Cola di Rienzo, arresto che fu molto gradito all’allora pontefice Clemente VI.

Nonostante la prigionia Cola di Rienzo riuscì, grazie ai suoi contatti romani, ad ottenere un trasferimento, nel 1352, presso il palazzo dei papi ad avignone dove, ancora una volta grazie alle proprie capacità oratorie, riuscì ad ottenere la simpatia e l’amicizia del cardinale Guy de Boulogne e del nuovo pontefice, Innocenzo VI, asceso al soglio pontificio nel 1352, il quale, intenzionato a riassumere il controllo di Roma, revocò tutte le accuse mosse nei confronti dell’ex tribuno romano, liberandolo e inviandolo a Roma, scortato dal legato pontificio Egidio Albornoz.

Cola di Rienzo entrò trionfale a Roma, accolto dalla folla il 1 Agosto 1354, dove fu rapidamente bollato come un uomo del pontefice e lasciato praticamente solo, dai suoi ex sostenitori e alleati, nello scontro contro i Colonna che in breve portò la città di roma sotto assedio.

Lo scontro per il controllo di Roma terminò l’8 ottobre 1354 e con esso si sarebbe spenta, almeno per qualche secolo, il sogno di un italia unita politicamente.

L’epilogo di Cola di Rienzo

La notte dell’8 ottobre Cola di Rienzo fu costretto a barricarsi presso il palazzo senatorio, al seguito di un insurrezione popolare, probabilmente fomentata da Colonna, Orsini e Savelli, tuttavia le mura dell’edificio non riuscirono a proteggerlo e la folla inferocita per le tasse eccessive incendiò il palazzo.

Così finisce la storia di Cola di Rienzo, un uomo che sognò l’Italia innimicandosi notabili, pontefici, imperatori e masse popolari. La sua morte però non avvenne tra le fiamme del palazzo senatorio. Secondo i cronisti del tempo infatti, Cola di Rienzo riuscì a fuggire, travestito da plebeo e cercando rifugio tra la folla, dove, tuttavia, qualcuno riuscì comunque a riconoscerlo dai suoi ingenti bracciali d’oro e così l’uomo un tempo eroe acclamato dal popolo romano, venne preso, colpito e linciato dalla folla che successivamente avrebbe esposto il cadavere decapitato, appeso a testa in giù di fronte la chiesa di San Marcello in via Lata, non lontano dal palazzo dei colonna e dopo due giorni, il cadavere ormai in putrefazione, venne bruciato, non lontano dal Mausoleo di Augusto.

Bibliografia e Fonti

R.Bordoni, G.Sergi, Dieci secoli di Medioevo, Einaudi editore
C.Frascati, Cola di Rienzo. Roma, 1347. La folle vita del rivoluzionario che inventò l'Italia, Mursia editore
Cola di Rienzo, Epistolario di Cola di Rienzo, Torino, Bottega d'Erasmo, 1966.
A.Collins, Greater than Emperor: Cola di Rienzo (ca. 1313–1354) and the World of Fourteenth-Century Rome, University of Michigan Press, 2002. DOI: 
10.1017 / S0038713400000324
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