Trump è un idiota secondo sua madre – FALSO

Negli ultimi giorni mi è capitato sott’occhio, più di post in cui si mostrava una foto di famiglia di Donald Trump, più precisamente lui da giovane insieme a sua madre, accompagnato da questa frase.

Yes, he’s an idiot with zero common sense and no social skills, but he is my son. I just hope he never goes into politics, He’d be a disaster”

-Mary Anne Trump.

Ecco un esempio del post condiviso su X (ex Twitter)

Secondo questi post dunque, la madre di Donald Trump lo avrebbe definito un idiota senza senso sociale, e con una straordinaria lungimiranza, si augurava che non il figlio non intraprendesse la via della politica perché sarebbe stato un disastro, ma era pur sempre suo figlio.

Ma, quanto c’è di vero?

Cominciamo col dire che, la madre di Donald Trump è scomparsa nel 2000, circa 16 anni prima del debutto politico di Donald Trump durante il suo primo mandato e 24 anni prima dell’inizio del suo secondo mandato. Per quanto riguarda questa attribuzione invece, secondo quanto riportato da Snopes, le prime apparizioni risalirebbero al 2019, sul finire del primo mandato di Trump con la campagna elettorale alle porte, ed diventata particolarmente virale nel 2020, durante la pandemia, usata spesso per attaccare e colpire l’allora presidente uscente, e le sue bizzarre dichiarazioni in materia di Covid, Vaccini e Candeggina.

Da dove arriva la foto di Trump e sua madre

La foto che spesso accompagna il post, più precisamente la foto mostrata Donald Trump e sua Madre nel ritaglio di giornale in cui è riportata la frase attribuita a Mary Ann Trump, è apparsa in rete, per la prima volta, in un articolo del New Yorker, storico giornale newyorkese per il quale ha scritto anche Hannah Arendt, datato 24 giugno 2016.

Si tratta di un articolo uscito nel periodo in cui Trump iniziò ad attaccare ferocemente l’immigrazione, e accusò l’allora presidente uscente Barack Obama di non essere americano, perché suo padre era un immigrato, salvo poi scoprire che la nonna materna di Obama era di sangue Cheyenne. In quell’articolo si parlava di Mary Ann Trump, e delle sue origini non statunitensi, di fatto la donna era un immigrata, e il primo “Trump” nato con la cittadinanza statunitense, grazie al primo emendamento della costituzione che riconosce la cittadinanza americana a tutti i nati su suolo americano, è stato proprio Donald. Ma il fatto che Trump voglia abolire lo Ius Soli, che gli ha permesso di essere cittadino e poi presidente USA, è un altra storia.

Da dove arriva la foto?

Tornando alla foto e all’attribuzione. In quell’articolo, non c’è menzione delle scarse capacità sociali di Donald, per quanto riguarda la foto invece, questa è attribuita a Marina Garnier /Holdings, Inc. Via Getty, e purtroppo non si hanno altre informazioni, ma, a giudicare dall’aspetto di Donald Trump in quella foto, è presumibile che sia stata scattata all’incirca tra anni 80 e 90, periodo in cui Donald Trump, con le sue apparizioni televisive, ha iniziato a costruire e consolidare il Brand Donald Trump e la sua immagine pubblica. In quegli anni si è parlato molto di Trump sui vari media, in particolare sulla stampa, e, per quanto una parte considerevole di quel materiale non sia stato digitalizzato e non è attualmente reperibile in rete, è improbabile che sia completamente sparito, e anzi, se fosse esistito, sarebbe sicuramente saltato fuori nel 2016, durante la prima corsa di Trump alla Bianca.

Nei propri articoli Snopes riconosce che non è stata trovata alcune fonte che potesse confermare l’attribuzione, di conseguenza, è quasi certo sia un falso , tuttavia, non esclude al 100% la possibilità che da qualche parte, in qualche archivio giornalistico dimenticato, possa esserci un appunto in cui la madre di Trump riconosce che il figlio non sia propriamente il più grande pensatore del secolo.

Fonti

Claims Trump’s Mom Called Him an ‘Idiot With Zero Social Sense’ Aren’t Grounded in Evidence | Snopes.com

Elon Musk ha barato a Diablo e POE 2, ed è più grave di quel che può sembrare

Dopo essersi vantato di essere tra i più forti giocatori al mondo di Diablo 4 e Path of Exilie 2, ed essere stato accusato di “barare” e utilizzare trucchi, dopo mesi di speculazioni, accuse, e qualche ban, alla fine Elon Musk lo ha ammesso, su Diablo e Path of exile 2, ha effettivamente “barato”, o meglio, ha ammesso di aver “pagato” qualcuno perché portasse ad alto livello il suo account, così da evitare al miliardario le fasi iniziali del gioco, che per qualcuno possono essere rilassanti, per altri tediose, permettendogli di giocare nelle fasi end game, con già tutto pronto.

Sintetizzo e semplifico al massimo questa parte, che se volete potete recuperare in questo ottimo articolo di Wired, perché di come Musk ha barato all’atto pratico, mi importa poco, ciò che invece per me è rilevante, ed è opportuno analizzare, è la giustificazione che ha dato, e il fatto stesso che il miliardario abbia fatto ricorso a “scorciatoie” non propriamente legittime, per avvantaggiarsi in quei giochi.

Musk ha barato a Diablo e POE 2?

Secondo quanto riportato da Wired, Musk avrebbe ammesso di aver utilizzato alcune pratiche scorrette per avanzare velocemente in titoli come Diablo IV e Path of Exile 2. Più precisamente, il miliardario sembra abbia fatto ricorso al cosiddetto “boosting”, una pratica in cui, giocatori vengono pagati o incaricati per potenziare il proprio personaggio, accumulando progressi e risorse che normalmente richiederebbero ore di gioco.

Secondo quanto trapelato da una conversazione privata, e che quindi va presa con le pinze, il patron di Tesla, X e Space X, avrebbe ammesso di non avere abbastanza tempo per poter competere con i migliori giocatori del mondo, in effetti, l’agenda dell’uomo più ricco e influente del mondo ha pochi spazi liberi in cui può dedicarsi ai videogiochi, che però sembrano essere una delle passioni di Musk, e allora ecco la soluzione di un uomo che di tempo ne ha poco, ma di soldi, ne ha a volontà, pagare qualcuno per evitare le fasi più lente e tediose dei giochi, così da poter giocare solo le fasi che gli interessano, per poi vantarsi pubblicamente di essere tra i migliori giocatori al mondo nei suddetti giochi.

Giocatori che però, giocano ad un livello competitivo e professionale, e dedicano a quei titoli molte ore della propria giornata. Ne è così generato un acceso dibattito online.

Da un lato, c’è chi difende Musk, sostenendo che il boosting non sia una pratica così grave, soprattutto se visto nel contesto del suo stile di vita estremamente impegnato. Dall’altro, molti appassionati di gaming lo accusano di aver tradito lo spirito competitivo e l’essenza stessa dei videogiochi, che si basano sull’impegno e sulla crescita.

Il boosting è “legittimo” e se si, quali sono i suoi limiti?

Al di là del dibattito interno alle community videoludiche, questa vicenda solleva un interessante riflessione su come Elon Musk si approcci alle problematiche, e la sua possibile ricerca di soluzioni.

Noi ora sappiamo che Musk, in un videogioco, per poter dire al mondo di essere tra i più forti, ha sostanzialmente preso una scorciatoia, quando scoperto ha cercato di insabbiare la vicenda per poi giustificare la propria condotta. E questo è un problema, perché se dall’equazione si elimina il videogioco, lo si sostituisce con un impresa, con la politica, con un qualsiasi altro aspetto quotidiano, otteniamo un immagine pericolosa di un uomo che, per ottenere ciò che desidera, non si fa troppi problemi ad aggirare le regole e come in Diablo e POE 2 ha fatto Boostare i propri account, in California, ha in un certo senso, boostato il rendimento della fabbrica Tesla di Fremont, che nel 2022 ha ricevuto una multa dall’EPA da 275 mila dollari a causa delle emissioni ampiamente superiori ai limiti.

Quello della fabbrica tesla di Fremont non sembra essere un caso isolato, nel giugno 2024, alcuni azionisti di Tesla hanno avviato una causa legale contro Musk, per Insider Trading, accusando l’imprenditore di aver sfruttato informazioni interne, per avvantaggiarsi. Secondo Michael Perry, Musk avrebbe liquidato azioni Tesla per circa 7 miliardi di dollari, tra Novembre e Dicembre 2022, poco prima di un annuncio pubblico di Tesla, con cui si rendeva noto che la società automobilistica non era in grado di effettuare le dovute consegne previste per il quarto trimestre. Annuncio che fece crollare il valore delle azioni. Secondo Perry, se Musk avesse effettuato il sell-off dopo l’annuncio, avrebbe ricavato il 55% in meno di quanto ricavato dalla vendita immediatamente prima dell’annuncio.

Le scorciatoie non finiscono qui, secondo la SEC, Securities and exchange commission degli USA, all’inizio del 2022, Elon Musk avrebbe commesso alcune irregolarità nell’acquisizione di azioni di Twitter, nello specifico, la SEC accusa il miliardario di alcuni ritardi nella segnalazione dell’acquisizione di una quota superiore al 5% delle azioni ordinarie di Twitter. Secondo la SEC, Musk ha violato le leggi federali sui titoli finanziari, continuando ad acquistare azioni di Twitter ad un prezzo artificialmente basso, risparmiando così circa 150 milioni di dollari.

Di casi ce ne sono anche altri, e non serve elencarli o analizzarli tutti perché lo “schema” è lo stesso che sembra interessare il suo approccio ai videogiochi, ovvero l’utilizzo di scorciatoie, al limite estremo della regolarità, che però danno un evidente vantaggio alle performance del miliardario. E se questo modo di approcciare videogiochi e finanza, coinvolgesse anche la politica, sarebbe un bel problema.

Dai videogiochi alla politica di Trump

Elon Musk ha una serie di interessi, finanziari, economici, strategici, logistici, ecc, e la maggior parte di questi, al momento, soffrono di una serie di problemi tecnici dovuti al collocamento degli USA sullo scacchiere geopolitico, e alle norme interne degli USA, ed entrambi i campi d’azione possono essere riassestati in modo da essere convenienti al miliardario, grazie ad una presidenza USA accomodante. Non è un segreto che Musk, così come qualunque altro lobbista USA, abbia finanziato un candidato alla presidenza perché questi approvasse una serie di manovre a suo vantaggio, in questo senso non è il primo e non sarà l’ultimo, inoltre negli USA questa prassi è regolamentata ed è legale, quindi, non c’è nulla di male. Negli USA, in Europa, in Germania, Italia, UK, ecc il discorso è diverso, e la commissione europea si è attivata per regolamentare e limitare le possibili interferenze in tale senso.

Ciò che però non sappiamo, e per il momento non possiamo sapere, è se ci sia stato una qualche forma di Boosting anche in politica.

MPS punta a Mediobanca con un OPS da oltre 13 miliardi.

Banco Monte dei Paschi di Siena ha annunciato una OPS per l’acquisizione di Mediobanca e creare il terzo polo bancario d’Europa, offerta che prevede un premio del 5,03% sulla quotazione di Mediobanca al 23 gennaio 2025 e che, secondo quanto comunicato da MPS dovrebbe chiudersi entro il terzo trimestre dell’anno.

OPS che tuttavia non è stata ben accolta da Mediobanca, i cui rappresentanti hanno parlato di offerta ostile. Cerchiamo allora di capire cosa sta succedendo nel panorama bancario italiano ed europeo, in particolare tra MPS e Mediobanca, e cosa implica l’OPS del gruppo bancario il cui azionista di maggioranza è ancora il ministero dell’economia e delle finanze italiano.

Cos’è un OPS?

Prima di cominciare è opportuno capire cos’è un OPS, ovvero un offerta pubblica di scambio, da non confondere con un OPA, offerta pubblica di acquisto.

OPA e OPS: Quali sono le differenze?

Quando si parla di mercato finanziario e acquisizioni, due strumenti fondamentali sono l’OPA (Offerta Pubblica di Acquisto) e l’OPS (Offerta Pubblica di Scambio). Si tratta in entrambi i casi di modalità di acquisizione di una società target, in questo caso di un istituto bancario da parte di un altro istituto bancario, con alcune differenze significative, in caso di OPA l’acquirente fa un offerta in liquidità agli azionisti della società target in cambio delle loro azioni, in sostanza quindi, si propone di acquistare con denaro contante le azioni di una società, consentendo all’acquirente di conservare liquidità.

In sostanza, in caso di OPA si acquisiscono Azioni di una società con denaro contante, mentre in caso di OPS si acquisiscono Azioni di una società scambiandole con altre azioni.

Che si proceda con OPA o con OPS tuttavia, sono vi sono alcuni passaggi strutturali fondamentali, che un azienda o investitore indipendente è tenuto a rispettare per poter procedere con l’effettiva acquisizione, alcuni di questi passaggi sono formali, altri invece sono vincolanti.

Nello specifico, se un azienda ha intenzione di procedere con una OPS nei confronti di una data azienda, in questo caso specifico MPS nei confronti di Mediobanca, deve anzitutto preparare l’offerta, allocando le risorse da mettere in campo per lo scambio, che possono essere proprie azioni, azioni di cui l’acquirente è in possesso, obbligazioni e altre risorse finanziarie con un rapporto di scambio che possa essere “attraente” per gli azionisti della società target.

Per fare un esempio pratico, se l’intento di MPS è acquisire azioni Mediobanca per un valore X, dovrà offrire agli azionisti asset finanziari il cui valore effettivo è superiore al valore di X e con un potenziale di rendimento superiore. Questa fase apparentemente “formale” è propedeutica alla successiva. Tuttavia nulla vieta ad un azienda di proporre un OPS, offrendo delle Penny Stocks (azioni di poco valore e con un potenziale di rendimento ad alto rischio) in cambio di azioni stabili e di alto valore, ma una simile proposta, con tutta probabilità non verrà ne approvata ne accettata.

Approvazione e accettazione sono istanze diverse che spettano a soggetti diversi, se l’accettazione infatti spetta agli azionisti, l’approvazione spetta al CONSOB ovvero la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa. Se infatti si vuole acquisire una società quotata in borsa in Italia, è fondamentale ottenere l’approvazione dell’autorità di vigilanza CONSOB e per ottenere tale autorizzazione è necessario presentare una precisa documentazione comprensiva di condizioni economiche dell’acquirente, modalità di pagamento, obbiettivi e vantaggi.

Una volta ricevuta luce verde dal CONSOB, l’acquirente ha 20 giorni per rendere pubblicare l’offerta, indipendentemente dal fatto che si tratti di un OPA o un OPS, permettendo agli azionisti della società Target di valutarla in maniera trasparente, per un periodo che va da 14 a 40 giorni.

Quando un offerta pubblica di acquisto o scambio è stata pubblicata, è irrevocabile, significa che l’acquirente non può rinegoziare la proposta di acquisto. In altri termini, in questo caso specifico MPS ha lanciato la propria OPS per Mediobanca, per un valore di 13,3 miliardi di euro. Se il valore di mercato delle azioni Mediobanca dovesse precipitare, portando quelle azioni a valere 1 miliardo, MPS dovrebbe comunque pagare gli azionisti per 13,3 miliardi di euro.

Inoltre, per concludere con successo un operazione di OPS, è necessario che si registri un adesione superiore ad una soglia minima prestabilita, generalmente il 50% del capitale sociale, ma questo in realtà dipende dall’OPS. Se tale soglia non è raggiunta l’OPS può fallire. Raggiungere adesioni pari alla soglia minima è un passaggio formale decisivo per poter formalizzare l’acquisizione e diventare a tutti gli effetti proprietari della società target.

OPS di MPS su Mediobanca

Come anticipato, MPS ha annunciato una OPS su Mediobanca, valutando l’istituto bancario milanese, 13,3 miliardi di euro, e per l’acquisizione dell’istituto è stato proposto uno scambio. Per ogni 10 azioni di Mediobanca, MPS avrebbe dato 23 nuove azioni di MPS, con un premio pari al 5% del valore di mercato delle azioni Mediobanca del 24 gennaio 2025.

Secondo quanto comunicato al CONSOB, l’operazione di MPS è finalizzata alla creazione del terzo polo bancario in Italia, inoltre con l’acquisizione si prevede di generare sinergie e benefici fiscali stimati complessivamente 1,2 miliardi di euro annui.

Come anticipato, per gli azionisti di Mediobanca che decideranno di aderire all’OPS, MPS ha messo sul piatto le nuove azioni MPS, di fatto definendo quella che è a tutti gli effetti una proposta di fusione finalizzata al delisting di Mediobanca da Piazza Affari, ed è qui che iniziano i problemi, poiché quella che è una proposta di fusione, è stata considerata da Mediobanca come un offerta ostile, ovvero un offerta di acquisizione e fusione non concordata e non approvata dal CDA di Mediobanca.

Chi sono gli azionisti di Mediobanca e MPS?

Se si guarda all’azionariato dei due istituti bancari, possiamo osservare come, alcuni partecipanti sono azionisti di entrambi gli istituti, mentre altri sono legati solo all’una o all’altra banca.

Per quanto riguarda l’azionariato MPS, l’azionista di maggioranza è il MEF italiano, con una quota del 11,73%, risultato della liquidazione di una quota del 12,5% in testa al MEF che ha portato la partecipazione del MEF da oltre il 24% al 11,7% circa. Il secondo azionista di MPS è invece Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, che a dicembre 2024 ha acquisito una quota di azioni MPS, passando dal precedente 3,5% all’attuale 9,78%. Altri azionisti di MPS sono Banco BPM con una quota del 5% e Anima Holding con una quota del 3,99%, il restante 64,47% è gestito in mano a piccoli investitori, con quote inferiori all’1%.

Per quanto riguarda l’azionariato di Mediobanca, l’azionista di maggioranza è Delfin, già secondo azionista di MPS, con una quota del 19,81%, mentre il secondo azionista è il gruppo Francesco Gaetano Caltagirone, con una quota del 7,76%, segue il gruppo BlackRock con una quota del 4,23% e il gruppo Mediolanum con una quota del 3,49%. Anche qui, il rimanente 64% è in mano a piccoli investitori con quote di minoranza.

Il ruolo di Delfin

Con l’azionariato sott’occhio l’operazione di acquisizione di Mediobanca da parte di MPS sembra avere un regista non troppo dichiarato, ma neanche occulto, la famiglia Del Vecchio, patron di Delfin, la holding di famiglia. Se infatti Delfin dovesse decidere di muovere le proprie azioni, convertendo la propria quota del 19% in Mediobanca, in azioni MPS, il gruppo passerebbe a controllare, una quota significativa del nuovo polo bancario, de facto superiore alla quota in testa al MEF, in altri termini, Delfin diventerebbe l’azionista di maggioranza di MPS. La banca senese infatti al momento vale meno di un decimo di Mediobanca, ma, a differenza della banca milanese, MPS gode di una risorsa di primaria importanza, una quota dell’11% circa nelle mani del MEF.

Tra gli analisti c’è chi ritiene che la proposta di acquisizione sia una strategia per camuffare un aumento di capitale con cui, sostanzialmente, chiedere ulteriore liquidità allo stato, e chi invece ritiene che si tratti di una strategia della famiglia Del Vecchio per assumere il controllo di quello che punta a diventare il terzo polo bancario d’Italia, dopo Intesa e Unicredit.

In effetti, l’ampliamento della partecipazione in MPS di dicembre da parte di Delfin, momento in cui il gruppo stava presumibilmente discutendo la possibilità di un OPA o già parando la documentazione da presentare al CONSOB, lascia supporre che Delfin potesse avere un certo interesse in tale operazione. Interesse esercitato in maniera legittima e legale, in quanto il gruppo è tra gli azionisti di maggioranza dei due istituti bancari e, come molti stanno ipotizzando, avrebbe tutto l’interesse nell’unificare i due asset bancari, complementari e minoritari nel panorama bancario nazionale, rendendoli un entità di primo piano, seconda solo ai due colossi bancari italiani, ovvero Intesa Sanpaolo e Unicredit, entrambi tra i poli bancari più grandi d’Europa.

Gerry Scotti, da Mediaset a Sanremo senza cachet

Ormai è ufficiale, lo Zio Gerry sarà a Sanremo e con grande sorpresa del pubblico, sarà lì in veste non solo di Co-Conduttore, insieme ad Antonella Clerici e Carlo Conti, ma non verrà pagato.

Come annunciato da Gerry Scotti scotti in persona, il conduttore di punta di Mediaset, sarà co-conduttore, senza cachet, del nuovo Sanremo di Carlo Conti, lo Zio Gerry ha infatti dichiarato che andrà al festival “in amicizia” e “senza percepire alcun cachet”, inoltre, stando alle parole del conduttore milanese, quando ha proposto la cosa a Piersilvio Berlusconi, ha ricevuto luce verde in neanche “30 secondi”, non che Piersilvio potesse fermarlo in qualche modo, in fondo il “divieto” in casa RAI, di far presentare Sanremo a conduttori di Mediaset è stato già infranto nel 2017, dallo stesso Carlo Conti quando al suo fianco, nella prima serata, c’è stata Maria de Filippi.

Va detto che questo festival di Sanremo, sul piano economico sarà molto importante, molto più del solito, se infatti normalmente sono in ballo centinaia di milioni di euro, da introiti diretti e collaterali, in questo festival si giocherà il futuro stesso del festival di Sanremo, e questo lo rende particolarmente interessante.

Andiamo con ordine.

Nel 2024 il Tar ha stabilito che il comune di Sanremo non potrà più assegnare l’esclusiva del festival di Sanremo in maniera automatica alla RAI e dal prossimo anno dovrà essere bandito una gara pubblica alla quale, in teoria può partecipare qualunque emittente internazionale. La sentenza del tar separa inoltre il Festival di Sanremo, dal marchio “Festival della Canzone Italiana” che invece rimane alla RAI. Di conseguenza, il prossimo Festival di Sanremo, se non sarà trasmesso dalla RAI non sarà il “festival della canzone italiana” e la rai, anche se dovesse perdere l’esclusiva del festival di Sanremo, potrebbe comunque organizzare e trasmettere un “Festival della Canzone Italiana” separato dal festival di Sanremo.

In sostanza il Tar ha messo fine al monopolio della Rai rendendo più competitiva (e costosa) l’assegnazione del festival, che per quanto importante in Italia, non ha ancora una rilevanza internazionale degna di tale nome, di conseguenza, gli attori che potrebbero puntare al controllo del festival, avranno prevalentemente una dimensione nazionale o al massimo europea. Difficilmente un colosso mediatico straniero, che non trasmette in Italia, parteciperà alla gara, di conseguenza, gli attori in gioco risultano essere pochi, ma tutti molto interessanti.

Tra i possibili competitor, oltre alla RAI, che ha tutto l’interesse nel mantenere l’esclusiva del Festival di Sanremo e uniti i brand Sanremo e Festival della canzone italiana, abbiamo il gruppo Media For Europe, uno dei gruppi mediatici più grandi d’Europa, di proprietà della famiglia Berlusconi, in pratica Mediaset, che nel 2024, per la prima volta nella storia, ha superato gli ascolti RAI in quasi tutti i settori e fasce orarie. MFE, nella persona di Piersilvio Berlusconi, ha annunciato un 2025 intenso, orientato ad una maggiore crescita e consolidamento in Italia ed Europa, con l’intento di replicare anche in europa il modello e i successi ottenuti in Italia negli ultimi anni, in quest’ottica, ottenere il controllo del più grande evento mediatico italiano, potrebbe essere un occasione imperdibile, non solo per Mediaset ma anche per lo stesso Festival, la dimensione Europea di MFE potrebbe infatti dare al festival quel che gli manca per diventare un evento di rilevanza “globale” per la musica italiana.

Fine del monopolio RAI

All’atto pratico Mediaset è potenzialmente il principale rivale della RAI nella lotta per il controllo del Festival, e potenzialmente quello con la maggiore capacità di negoziazione e peso, ma non l’unico, e al tavolo da gioco ci sono anche, con molta probabilità, il gruppo Warner, proprietario di Nove che nell’ultimo anno ha iniziato uno scontro diretto per il controllo di alcune fasce orarie e target storicamente in mano a Rai e Mediaset, e il gruppo britannico Sky Group Limited, proprietario di Sky e operante in Italia, Regno Unito, Irlanda, Germania, Austria e Svizzera. Dei Quattro Sky è forse l’attore minore, e potenzialmente meno interessato al controllo del festival ma non è ancora detto che sia fuori dai giochi.

La gara per il controllo del Festival 2026 vedrà con molta probabilità uno scontro a tre tra Rai, Mediaset e Warner, con Carlo Conti (Rai), Gerry Scotti (Mediaset) e Amadeus (Warner) nei panni di campioni designati, per la conduzione di Sanremo 2026.

Letta in questi termini, il via libera dato quasi senza esitazione da Piersilvio Berlusconi, AD di MFE a Gerry Scotty, conduttore di punta dei Mediaset, potrebbe essere un interessante mossa strategica, volta a sondare il terreno per il 2026, la presenza di Gerry sul palco dell’Ariston al fianco di Carlo Conti, permetterà agli analisti Mediaset di raccogliere un infinità di dati e informazioni al fine di proporre o meno un offerta. Il dato più immediato ed evidente che possiamo osservare è la reazione del pubblico nei confronti dello Zio Gerry, una reazione positiva alla performance e l’indice di gradimento del conduttore potrebbe infatti spingere Mediaset a puntare al rialzo nell’offerta per l’acquisizione del festival 2026, allo stesso tempo, RAI e Warner non staranno con le mani in mano, e una comparazione diretta dei risultati di Conti 2025 e Amadeus 2024, potrebbe essere un buon metro entrambe le aziende.

Se infatti i dati e le proiezioni suggeriranno a Warner che un Amadeus 2026 potenzialmente avrebbe una raccolta significativa, Nove potrebbe rischiare il tutto per tutto al fine di accaparrarsi il festival.

Conclusioni

Per sapere chi sarà a gestire e condurre Sanremo 2026 abbiamo quindi bisogno di almeno alcune informazioni chiave, tra queste, il bando pubblico che verrà emesso dal comune di Sanremo, dopo la conclusione di Sanremo 2025 e tutti i parametri per la partecipazione indicati, l’indice di gradimento di Conti e Scotti, e ovviamente, l’annuncio ufficiale di assegnazione, che verrà comunicato in teoria entro giugno 2025.

In questo festival di Sanremo si annida quindi un “meta concorso” a mio avviso molto più interessante della gara musicale, e non vedo l’ora di scoprire chi, tra RAI, Mediaset e Nove, si aggiudicherà la vittoria, ma se dovessi “puntare” su qualcuno, probabilmente punterei su Mediaset, principalmente per la maggiore potenza economica di MFE rispetto ai competitor, ma anche per la maggiore ambizione, dei tre, MFE è infatti l’unico possibile “giocatore” ad avere tra i propri obbiettivi, il consolidamento a livello europeo.

Il pericoloso precedente delle rivendicazioni di Trump su Panama

Negli ultimi mesi dell’amministrazione Biden e nei primi giorni della seconda amministrazione Trump, il presidente degli USA Donald Trump ha più volte rilanciato un concetto, il canale di Panama appartiene agli USA, perché costruito e finanziato dagli USA, e la repubblica di Panama lo aveva ricevuto in “affidamento” come dono, ma tale dono può essere revocato dagli USA in qualsiasi momento e gli USA di Trump faranno di tutto per riprendersi il canale.

Argomentazioni che per qualcuno lasciano il tempo che trovano, per altri sono provocazioni , per altri ancora una dichiarazione di intenti e una concreta minaccia alla sovranità di Panama, e forse, tutte e tre le ipotesi sono vere, in misura differente.

Probabilmente si tratta di dichiarazioni radicali e provocatorie, volte a testare l’opinione pubblica internazionale e i limiti del diritto internazionale, per sondare con mano fin dove gli USA possono spingersi. Tuttavia, va osservato anche che tali dichiarazioni nascondono un pericoloso precedente, soprattutto per l’Europa.

La questione del canale di Panama in Europa appare lontana, interessa prevalentemente gli scambi navali tra Americhe ed Asia, e solo in misura marginale gli interessi Europei, o almeno così sembra.

Se si guarda più da vicino la retorica di Trump nasconde un concetto pericoloso, ossia la possibilità per gli USA di rivendicare la propria sovranità, ed esercitare diritti, ovunque gli USA abbiano investito negli anni, soprattutto se con fondi pubblici. E se il canale di Panama, costruito a ridosso della prima guerra mondiale, in America Latina, appare qualcosa di lontano dagli interessi europei, le infrastrutture europee, soprattutto in Germania, Italia, Francia e Regno Unito, costruite, ricostruite e ampiamente finanziate nel secondo dopoguerra con gli aiuti del Piano Marshall, lo sono un po’ meno.

L’Europa, distrutta dai bombardamenti di alleati e nazisti nella seconda guerra mondiale, è stata ampiamente ricostruita, ed ha potuto fondare la sua nuova economia, proprio grazie agli aiuti dell’European Recovery Program, meglio noto come Piano Marshall. Ed è proprio in quegli aiuti che si annida la minaccia all’Europa, rappresentata dalle rivendicazioni di Donald Trump sul canale di Panama.

Senza troppi giri di parole, così come Trump può dire che il canale di Panama deve “servire” gli interessi USA, perché è stato costruito dagli USA, lo stesso vale per l’industria europea, per i porti, ferrovie, autostrade, ecc, che negli anni 50 e 60 poterono prendere forma grazie agli aiuti USA.

Se si guarda ai dati puri, il canale di Panama ha visto investimenti per circa 2 miliardi di dollari dell’epoca, mentre gli aiuti del piano Marshall furono di circa 12 miliardi, solo in valore assoluto, senza contare l’inflazione, l’ERP costò diverse volte più della costruzione del canale, se però si tiene conto anche dell’inflazione, il dato appare sorprendente.

I 2 miliardi investiti per Panama ad oggi equivarrebbero a decine di miliardi di dollari, mente i 12 miliardi del Piano Marshall, equivarrebbero a diverse centinaia di miliardi di dollari.

Ad un primo sguardo può sembrare inverosimile e improbabile, che Donald Trump rivendichi gli aiuti del piano Marshall, tuttavia, non è proprio così, parlando infatti della Russia di Putin, in merito al conflitto in Ucraina, Donald Trump ha dichiarato che la Russia ha giocato un ruolo cruciale nella vittoria alleata della seconda guerra mondiale, e tale impegno non può essere “dimenticato”, insomma, l’Europa è in debito con la Russia, quindi bisognerebbe accettare le sue rivendicazioni, e se la Russia erede dell’Unione Sovietica, può rivendicare il solo impegno nella seconda guerra mondiale contro i regimi Nazi-Fascisti, gli USA possono rivendicare molto di più.

La retorica di Trump sta andando in una direzione pericolosa, una minaccia concreta per l’Europa, un Europa che, per il presidente è in debito con gli USA, e che non ha il diritto di opporsi ad essa.

Il debito europeo nei confronti degli USA si compone di 3 elementi, la liberazione dai regimi nazifascisti, la ricostruzione e la difesa attraverso il patto atlantico. E proprio in termini di NATO abbiamo le prime rivendicazioni di Trump sull’Europa, Trump chiede che l’Europa aumenti i propri finanziamenti alla NATO fino almeno al 5% del proprio PIL, una cifra significativa che, in vero, neanche gli USA coprono.

Secondo gli accordi, i membri della NATO contribuiscono all’alleanza, con investimenti per la difesa, stimati intorno al 2%, cifra ridimensionata rispetto agli anni della guerra fredda quando il contribuito era stimato intorno al 3% del PIL. Dal 1992 in poi, con la fine dell’URSS, i vari stati membri hanno progressivamente tagliato la propria spesa militare, arrivando ad investire mediamente tra l’! ed il 2% del PIL, ad eccezione degli USA, unico paese NATO ad aver mantenuto investimenti per la difesa nell’ordine del 3% del proprio PIL.

In conclusione, oggi Trump sta rivendicando la propria autorità sul Canale di Panama, e allo stesso tempo sta provando a determinare gli investimenti militari dei membri della NATO e dell’Europa, minacciando l’Europa stessa di conseguenza e ripercussioni se non si adegueranno al dictat statunitense. Usa un registro diverso, apparentemente più moderato, più amichevole, ma in realtà, l’argomentazione di fondo, appare la stessa, per Trump, l’Europa, così come Panama, “appartiene” agli USA, poiché gli USA l’hanno finanziata e resa libera. Una libertà di facciata dunque, con buon piacere dei cospirazionisti antiamericani, una libertà ad ore, un premio per i fedeli alleati ma che, per il presidente 47° presidente degli USA, Donald Trump, evidentemente può essere revocata in qualunque momento se ci si oppone alla sua volontà.

La Lega segue Trump, presentato DDL per uscita dell’Italia dall’OMS

Non ci sono più i sovranisti di una volta. è decisamente il caso di dirlo, e paradossalmente, questa è una brutta notizia, perché quando c’era Lui, e per lui intendo Bossi, almeno la Lega aveva una sua identità, con valori e idee discutibili che non condivido, ma era qualcosa di nostro, al servizio di Italiani, certo, una parte degli italiani, quelli del lombardo-veneto, ma comunque italiani, era un partito che si professava come baluardo dell’autonomia locale, poi divenuto nazionalista, ma oggi la storia è cambiata e la Lega, ormai tristemente lontana da quella “lega nord per l’indipendenza della Padania” di cui mantiene simbolo e statuto, si presenta come un alfiere di politiche allineate, per non dire sottomesse, ad una potenza straniera e seguendo le direttive, senza che queste neanche vengano dettate, di Donald Trump. Più che seguire le direttive in effetti, segue Trump, come un cagnolino fedele segue il proprio padrone per non essere strattonato al guinzaglio.
Questa è l’immagine che ho avuto quando ho letto della recente proposta di legge della Lega per l’uscita dell’Italia dall’OMS, ddl ispirato all’ordine esecutivo del nuovo presidente americano che segna una svolta controversa e pericolosa.

La Lega, o meglio, il senatorie Claudio Borghi, ha giustificato questa iniziativa, lanciando accuse all’OMS di cattiva gestione durante la pandemia e di eccessiva influenza cinese. In che modo ci sia un influenza cinese nell’organizzazione che per prima ha accusato la Cina di non aver fornito sufficienti informazioni sui primi casi di Covid è un mistero che solo Brogli può risolvere. Nelle argomentazioni del senatore leghista vi è anche un forte richiamo alle decisioni di Trump, suggerendo più un’adesione ideologica che un’analisi autonoma. Insomma, dalle parole di Brogli sembra evidente che la Lega ha proposto l’uscita dall’OMS più per seguire Trump che per ragioni reali, e questo è decisamente un problema.
Perché con l’assunzione di una posizione così forte, d’impatto, dettata dal solo desiderio di emulare le scelte USA, il rischio è quello di una forte perdita di credibilità internazionale. Una credibilità che, con merito anche della destra guidata da Giorgia Meloni e dalla precedente guida di Draghi del paese, l’Italia negli ultimi anni è riuscita a riacquisire.

Oggi, grazie alle scelte autonome di Draghi e Meloni, l’Italia gode di una certa credibilità internazionale, gode di un immagine forte e di autonomia, che non possiamo rischiare di gettare via con leggerezza, e l’uscita da un’organizzazione come l’OMS, semplicemente per seguire la scia di Trump, si tradurrebbe automaticamente in una perdita di quella credibilità e rischierebbe di isolare il Paese in un contesto globale che richiede sempre più collaborazione per affrontare emergenze sanitarie e sfide come il cambiamento climatico. Soprattutto per un paese piccolo e con limitate risorse come l’Italia.

La proposta di Brogli solleva innumerevoli interrogativi su quelle che sono le priorità e strategie politiche di una parte del governo, ma ci offre anche un opportunità, o meglio, offre alla presidenza del consiglio un importante opportunità.
Giorgia Meloni copre in questo momento un ruolo strategico di primo piano, non solo per l’Italia, ma per l’intera Unione Europea e di conseguenza l’Italia può rendersi protagonista di una fase politica globale che connette Europa ed USA, la meloni deve solo decidere in che modo giocare questo ruolo, e soprattutto da che parte schierarsi. Perché prima o poi dovrà scegliere tra Europa ed USA.
Al momento non ci sono le condizioni per una scelta diretta e la leader di Fratelli d’Italia può abilmente svolgere un ruolo politico, tessendo alleanze e negoziando tra le due parti, dall’altra parte, la Lega sembra aver deciso in che direzione andare, ed è una direzione che antepone gli interessi USA a quelli Italiani, una posizione decisamente anomala per un partito che faceva eco a Trump al grido di “prima gli italiani”.

Del resto, seguire ciecamente l’esempio trumpiano può sembrare una contraddizione per un partito che ha costruito parte della sua identità sull’autonomia, tuttavia, è innegabile come, in quest’epoca, lo scetticismo, l’anticientificismo, siano dilaganti. Viviamo nell’epoca delle fake news, dei deep fake, del diritto a dubitare di tutto, tranne che di dio. Viviamo nel secolo delle cospirazioni globali, scoperte da anonimi pensatori autonomi sul web che, dalla loro “cameretta” riescono ad eludere i sofisticati e futuristici sistemi di controllo delle masse dei governi ombra… E che per qualche motivo, non riescono a vedere i pericoli di un miliardario che “compra” un capo di stato, o di un presidente che quota sul mercato la propria amministrazione.

Tornando alla lega, questo cambio di rotta, di natura, evidenzia un cambio di paradigma nel sovranismo, non più centrato sull’indipendenza e l’autonomia, ma su un allineamento selettivo a leader carismatici esterni, perpetuando il paradosso del sovranismo internazionale, per cui realtà in competizione, con interessi divergenti, che non possono lavorare insieme, in nome di un interesse comune che non esiste, ma vedono il “debole” lavorare affinché il forte possa godere dei propri interessi. Stiamo inseguendo il colonialismo, l’imperialismo, sperando che da colonie almeno la nostra leadership possa trarre qualche beneficio, a discapito della popolazione, e applaudiamo a quei leader che ci propongono un falso senso di sovranismo, asservito ad una nazione straniera.

Per quanto riguarda l’opzione di una possibile uscita dall’OMS, va ricordato che ci troviamo in un mondo sempre più interconnesso e l’idea di isolarsi da organizzazioni multilaterali rischia di essere un boomerang, soprattutto per un Paese come l’Italia che ha bisogno di alleanze per affrontare sfide complesse.
La prossima pandemia potrebbe arrivare da un momento all’altro, e l’umanità ha bisogno di monitorare costantemente ogni angolo del pianeta, affinché possiamo muoverci per tempo, affinché possiamo identificare e isolare i primi nuclei di una possibile malattia mortale che decimi la popolazione mondiale, ma stiamo scegliendo di non farlo, e non perché dubitiamo dell’efficacia o l’utilità dell’OMS, ma perché Trump, sentendosi colpito e umiliato dall’OMS nell’ultimo anno della sua precedente amministrazione, ha deciso di scagliarsi contro l’organizzazione.
La scelta di Trump di andare contro l’OMS e di far uscire gli USA dall’OMS è folle e delirante, trova fondamento in un impeto di rabbia del presidente, ma la scelta della Lega di proporre l’uscita dell’Italia dall’OMS, non ha alcun fondamento politico, ideologico, scientifico, economico, ed è dettata esclusivamente dalla volontà di emulare le decisioni di Trump.

Va detto altresì che, non è la prima volta che la lega lancia un affondo all’organizzazione, già lo scorso anno, a gennaio 2024, la Lega proponeva di tagliare i finanziamenti dell’Italia all’OMS per reinvestire quei 100 milioni di euro con cui l’Italia finanzia l’organizzazione, in Italia, per assumere medici e finanziare ospedali… salvo poi votare a favore del reintegro in servizio e risarcimenti, per medici e infermieri novax, sospesi durante la pandemia, e allo stesso tempo, mandare a casa medici e infermieri che durante la pandemia, hanno messo a rischio la propria vita, per assistere malati che rischiavano la vita. Ma ovviamente, se le persone morivano in pandemia è colpa dell’OMS, e dei vaccini, non certo dell’incompetenza dei no-vax.

Elon Musk: Il Visionario che Flirta con il totalitarismo

Vado diritto al punto, poi approfondiamo sul sito. #ElonMusk non è un nazista, è “solo” un vorace capitalista che punta ad un mondo in cui tutto è in vendita, compresa la libertà.

Elon Musk è una figura controversa che da sempre divide il pubblico. Da un lato, è celebrato come un visionario per le sue imprese rivoluzionarie come #Tesla, #SpaceX e #Neuralink, che puntano a trasformare settori chiave come la mobilità elettrica e l’esplorazione spaziale. Dall’altro, le sue recenti azioni sollevano preoccupazioni sul suo approccio al potere e alla libertà d’espressione.

Con l’acquisizione di #Twitter, ora #X, #Musk ha cercato di trasformare il social in una piattaforma per il “discorso libero”. Tuttavia, questa missione è stata oscurata da decisioni che sembrano minare i principi democratici che dice di sostenere.

La gestione arbitraria dei contenuti e l’interazione con forze politiche nostalgiche e con tendenze autoritarie hanno portato molti a chiedersi se Musk stia davvero promuovendo la libertà o se stia solo assumendo il ruolo del platonico coppiere che, al popolo assetato di liberà, ne versa sempre di più, fino ad ubriacarlo, al fine di facilitare il germogliare della tirannia.

Le sue posizioni, spesso esposte in modo diretto e provocatorio sui social, evocano immagini di un imprenditore che si considera al di sopra della critica e dei limiti. Le affermazioni polarizzanti e i comportamenti non convenzionali possono essere letti come un sintomo di un narcisismo che sfiora il culto della personalità. Banalmente, sembra voler ascendere al rango di nume vivente, impresa compiuta nella nostra storia solo da 3 uomini, Mussolini, Hitler e Stalin.

Questo lato oscuro si riflette anche in come Musk si rapporta alla politica globale. La sua influenza è cresciuta al punto da interferire in questioni geopolitiche delicate e ci si comincia a chiedere quali siano i suoi reali interessi. Cosa vuole realmente Musk? è davvero “solo” un miliardario annoiato che sta giocando con il destino del mondo, o quel mondo vuole controllarlo per il proprio tornaconto personale?

Personalmente credo che Elon Musk non sia un nazista. Ma questa non è una buona notizia, perché de facto, è il “grande fratello” orweliano, l’uomo che ci sta conducendo, acclamato dagli applausi di molti, verso una società inquietante, estremamente vicina ad una distopia moderna, e in questa trasformazione non è solo, con lui anche “insospettabili” rivali del miliardario alla guida di multinazionali e big tech, ma in questo articolo manterrò il focus sullo Sugar Daddy di Donald Trump.

Il miliardario patron di X, Space X e Tesla, non è un fautore ideologico della supremazia razziale né un teorico del totalitarismo, tuttavia, all’uomo più ricco del mondo, entrambi i punti “servono”.

Musk non è nazista, ma a lui i nazisti servono – o meglio, non è che gli servano proprio i nazisti, gli servono individui inclini ad una visione totalitarizzante e monopolistica del mondo, gli servono cittadini e politici che siano facilmente manipolabili, influenzabili, scettici nei confronti delle democrazie moderne, e i nostalgici del nazi-fascismo, cadono a pennello, sono esattamente ciò di cui ha bisogno per ottenere ciò che vuole, e allora ecco che si spiegano le bizzarre avventure del miliardario.

Musk nella sua ascesa pubblica, negli ultimi anni, ha rincorso vari estremismi radicali, senza però ottenere ciò che voleva. Per un periodo è stato un sostenitore dell’ideologia “gender”, poi della transizione ecologica e del green deal, poi ancora, è diventato un sostenitore del “reddito universale” e di un utopia umana in cui gli esseri umani non debbano più lavorare per vivere, potendosi dedicare solo alle proprie passioni e interessi, mentre macchine ed intelligenze artificiali lavorano al nostro posto. Poi improvvisamente ha iniziato a sostenere l’esatto contrario di tutto ciò, finanziando Trump che, nel proprio programma politico si opponeva a tutto ciò che negli ultimi anni per Musk era stato importante.

Può sembrare insensato, può sembrare incoerente, ma in realtà, è semplicemente ciò che Musk ha sempre fatto nella propria vita, ha testato varie strade, investito in varie direzioni per poi focalizzare le proprie energie e risorse in quei segmenti che gli garantivano un ritorno considerevole, e sul piano politico, quel segmento “vincente” si è rivelato nell’ultradestra di Donald Trump.

Ricapitolando quindi, Musk non è un nazista, ha solo degli interessi privati, per i quali, i nazisti gli tornano utili. Un po’ come accadde nell’Iinghilterra degli anni 30, quando Edward Wood, I conte di Halifax, segretario di Stato britannico tra il 1938 e il 1940, che non era un Fascista, ne tantomeno un Nazista, che si era scontrato duramente contro Oswald Mosley (il padre del fascismo britannico), in Germania, nel 1937, incontrò Hitler e, sintetizzando tantissimo uno dei discorsi più imbarazzanti della storia britannica, ebbe l’ardire di riconoscere che l’espansionismo tedesco era pericoloso, che la deportazione degli ebrei apolidi da mezza Europa era discutibile, ma finché questo fermare i comunisti, allora poteva essere giustificabile, perché in fondo, la Germania Nazista, era l’ultimo baluardo della civiltà europea contro la barbarie bolscevica, e il Führer era in prima linea in quello scontro di civiltà.

Halifax non era un Nazista, ma provò a servirsi dei nazisti per contrastare l’Unione Sovietica, e questo cinismo politico, che si piega a qualunque abominio pur di raggiungere i propri scopi, è lo stesso che vediamo in Musk, ma come dicevo, non è un invenzione di Musk o Halifax, non è una novità del nostro tempo ma anzi, la troviamo ampiamente descritta e codificata nelle teorie del realismo politico, in particolare negli scritti di Machiavelli e Hobbes, del XVI e XVII secolo.

Elon Musk è il “principe machiavellico” che mente pur di consolidare il proprio interesse.

AI miliardario in soldoni, non interessa quale sia il regime autoritario di cui servirsi per i propri interessi, ma gli va bene chiunque possa assecondare le sue ambizioni.

Quali sono questi interessi?

Cerchiamo allora di capire quali sono i reali interessi che hanno portato Elon Musk a strizzare l’occhio all’estrema destra globale, finanziandola e assumendo atteggiamenti che, come nel caso del nostro Vannacci, richiamano non troppo velatamente, simboli e gesti legati al Nazi-fascismo, per poi negare sia stato fatto e accusare la sinistra di accuse infondate.

La principale fonte di rendita di Elon Musk è legata all’industria automobilistica e al valore di mercato di Tesla, entrambi fortemente minacciati da asset cinesi. Musk teme la concorrenza cinese che punta su un abbattimento dei costi, abbattimento che Tesla non può sostenere, o meglio, potrebbe, rinunciando ad una quota significativa dei ricavi per azionisti e dirigenti, ma che non è conveniente per chi “vive di quei ricavi”, ma non solo, tra i motivi per cui la Cina può essere maggiormente competitiva, abbiamo una politica del lavoro molto poco attenta ai lavoratori, e alle emissioni.

Per fare un esempio ipotetico, se un operaio cinese fa turni di 18 ore, 7 giorni su 7, senza ferie o indennità di malattia e viene pagato 0,5$ l’ora, l’azienda avrà costi di produzione molto più bassi rispetto ad un azienda i cui operai, per forza di cose possono lavorare massimo 8 ore, con straordinari pagati, indennità varie, malattie, ecc e salari di almeno 8$ l’ora.

Allo stesso tempo un azienda che non ha alcuna limitazione sulle emissioni, che può inquinare liberamente, anche a costo di rendere tossica l’acqua e l’aria nelle zone adiacenti lo stabilimento, avrà costi di produzione notevolmente più bassi di chi invece deve necessariamente adeguarsi a standard sulle emissioni e garantire che i propri operai e chi vive nei pressi dello stabilimento, non si ammali.

Questi sono solo due dei “vantaggi” che l’industria automobilistica cinese ha rispetto all’industria automobilistica euro-statunitense, e per chi opera nel settore automobilistico, mettere un freno a questo divario, è prioritario. Musk ha quindi bisogno di limitare l’influenza cinese sul mercato automobilistico occidentale e per farlo ha bisogno di avere al suo fianco governi disposti a intraprendere guerre economiche e a mettere in discussione il libero mercato quando non giova alle sue aziende.

Qualcuno potrebbe osservare che per anni Tesla è stato una sorta di “sponsor” di politiche ambientali e sostenibili, e non avrebbe torto, parte del marketing di Tesla si fonda sulla maggiore sostenibilità delle auto elettriche, il problema tuttavia è che in realtà, la sostenibilità, per Musk, è solo un marketing tool, non un reale impegno etico. De facto, il motivo per cui Tesla produce auto elettriche e non tradizionali, fa parte di una strategia di mercato a lungo termine, è una scommessa sul futuro, ma che non parte dal desiderio di abbattere le emissioni, e se si guarda agli impianti di produzione Tesla, e le numerose problematiche che questi hanno riscontrato in termini di politica ambientale, se ne ha una conferma. A tale proposito, proprio su questo tema, il 24 novembre 2024, il Wall Street Journal, ha pubblicato un interessante articolo in cui osservava come lo stabilimento Tesla di Austin ha subito sanzioni per emissioni di sostanze tossiche e scarico di acque reflue pericolose non trattate, causando danni ambientali significativi. Inoltre, per rispettare i ritmi di produzione imposti, Tesla avrebbe trascurato le normative ambientali, minimizzando i rischi e i problemi segnalati dagli ispettori, con una notevole Dissonanza con la mission aziendale. Nell’articolo si evidenzia come l’azienda, che si promuove come leader nella sostenibilità e nell’innovazione ecologica, è accusata di agire in modo incoerente con questi valori.

Ci sono poi altri interessi che spingono Musk, e altri miliardari come lui, ad avvicinarsi a movimenti reazionari, facilmente influenzabili, ma non credo sia necessario elencarli tutti. Ad esempio la volontà di rimuovere limitazioni e controlli relativi allo sviluppo di intelligenze artificiali, o ridurre le limitazioni anti monopolistiche, o ancora, abbattere le tasse che le multinazionali miliardarie devono pagare, ecc.

Musk non è nazista, ma forse è qualcosa di più pericoloso

Alla luce dei dati analizzati fino ad ora, possiamo dire che no, Elon Musk non è un nazista, ma questa forse non è una buona notizia, poiché il nazismo è un concetto che associamo automaticamente a qualcosa si malvagio, di sbagliato, qualcosa da respingere. Ma Musk non promuove direttamente i valori del nazional socialismo, e anzi, si presenta come un qualcosa di profondamente diverso, è un innovatore, un visionario, e questo è proprio ciò che lo rende pericoloso, perché dietro questa maschera si nasconde un monopolista miliardario che sfrutta a proprio vantaggio la retorica e la visione radicale di ideologie che distruggono la democrazia dall’interno.

Musk non ha bisogno di indossare una svastica per piacere ai nostalgici del Reich e servire interessi che finiscono per alimentare sistemi oppressivi. Lui è un maestro della provocazione con la capacità di usare tecnologia e innovazione come una cortina di fumo per nascondere un sistema che concentra sempre più potere e ricchezza in poche mani.

La sua visione del futuro non è una società equa, aperta e progressista. Ed è sempre più evidente come, il mondo che sta progettando, è un mondo fortemente gerarchizzato, in cui tutto è in vendita e la libertà stessa è un bene di consumo. Nel mondo che si presenta dinanzi a noi, la libertà non è piiù un diritto universale, ma un bene di lusso, accessibile solo a chi può permetterselo e se sei povero, se non hai i mezzi per comprare la tua fetta di “libertà”, allora sei escluso, etichettato come un “clandestino”, un parassita, una “zecca comunista”, e per quanto ciò possa sembrare evidente, in realtà non lo è per tutti e molti si lasciano distrarre da promozioni, offerte e pacchetti di diritti civili in saldo durante il Black Friday, libertà di espressione a rate, disponibili solo per i fedeli cittadini tesserati. come nel ventennio, se sei iscritto al partito bene, altrimenti, fame e manganellate.

Immaginate un mondo in cui la cittadinanza non è un diritto di nascita ma un abbonamento premium, dove il valore di un individuo è determinato dalla sua capacità di contribuire ai profitti dei pochi al comando. Può sembrare una visione distopica del mondo, ma se ci pensiamo, in parte è già così, guardiamo ai migranti, clandestini e carne da macello che può essere sacrificata in mare o in zone di guerra, se non abbastanza produttivi, ma benvenuti se hanno tra le tasche un libretto degli assegni e un conto in banca con liquidità in dollari o euro.

Musk non è un nazista, ma questa non è un assoluzione, poiché sta contribuendo a costruire un mondo molto simile ad una distopia fururistica, in cui il progresso e la libertà sono esclusiva di una minoranza privilegiata, e la cosa più pericolosa è che tutto questo ci appare lontano, poiché ci viene lasciato credere, falsamente, che anche noi potremmo essere parte di quella minoranza. Ci viene promessa la libertà totale, una libertà pericolosa come osservava Platone nel libro V della repubblica in cui può facilmente germogliare una mala pianta, la tirannia.

Quando un popolo, divorato dalla sete dI libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a sazietà, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati despoti.
E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani.
In questo clima di libertà,nel nome della libertà,non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia

$TRUMP, il token crypto di Donald Trump, quanto vale? Opportunità e rischi

Il 17 gennaio 2015, a 3 giorni dal proprio insediamento alla Casa Bianca, il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, sostenuto dal miliardario Elon Musk, ha lanciato sul mercato la propria cryptovaluta, un vero e proprio meme-coin che in pochi giorni è arrivato a valere circa 40 miliardi di dollari.

Andiamo per gradi e definiamo, per chi non lo sapesse, cos’è un meme coin e da cosa dipende il suo valore e quanto Trump ha da guadagnare o perdere dallo $Trump.

Memecoin, cosa sono e quanto valgono?

Un memecoin una cryptovaluta, generalmente ispirato ad un meme o temi virali, generalmente ironici, parodistici e con più o meno diretti riferimenti culturali che, in alcune rare occasioni, hanno raggiunto un elevata capitalizzazione di mercato, mentre, per la maggior parte dei memecoin, il loro valore è rimasto irrisorio.

Sebbene siano cryptovalute, i memecoin non sono cryptovalute tradizionali come Bitcoin ed Ethereum, nel senso che, i loro obbiettivi, le loro funzioni, e le tecnologie su cui si basano, sono diverse.

Basandoci sulla “storia del web” il primo “memecoin” degno di tale nome fu Dogecoin, il cui debutto nel mercato crypoto risale al 2013, da allora il suo valore è mutato innumerevoli volte, con picchi di capitalizzazione quando il più ricco e influente alleato di Donald Trump, ovvero Elon Musk, ha acquistato ingenti quantità di Dogecoin ed ha sponsorizzato la valuta, suggerendo possibili utilizzi sul suo social X.

Ad oggi sul mercato ci sono circa 146.615.606.383,705 Doge coin, dal valore di circa 0,15€ ciascuno, dando alla valuta un valore complessivo di circa 20 miliardi di euro. Non male per un memecoin, ma del resto, parliamo del più popolare e fortunato tra i meme coin, almeno, fino ad oggi.

Come per la maggior parte delle cryptovalute, i memecoin sono particolarmente volatili, e la loro volatilità è accentuata proprio dal loro legame con meme e fenomeni virali. Per quanto riguarda lo $trump quindi possiamo facilmente intuire come il token avrà un valore fintanto che trump avrà un valore, una rilevanza, e degli “sponsor” facoltosi. Il coin quindi può essere un arma a doppio taglio per il presidente, perché in parte, riflette l’effettivo apprezzamento globale nei confronti di Trump.

$trump, opportunità e rischi

Come ogni cryptovaluta, anche lo $trump si porta dietro numerose opportunità e rischi che, in questo caso specifico, sono accentuati dal fatto che questo token è legato al presidente degli stati uniti, alle sue mosse politiche, alle sue decisioni e, più di tutto, alle sue provocazioni.

Banalmente, più Trump farà parlare di se, più il suo coin acquisterà valore, e questo rappresenta allo stesso tempo un incredibile opportunità per gli investitori, ma anche un terrificante rischio per gli Stati Uniti e il mondo in generale.

Il secondo mandato di Trump parte in maniera bellicosa e belligerante, con minacce di intervento diretto in medio oriente al fianco di Israele, in America Latina per il controllo del canale di Panama, oltre che in un conflitto economico e non solo contro Europa, in particolare la Danimarca, Canada e ovviamente l’evergreen asiatico, la Cina. E ognuna di queste mosse, estremamente destabilizzanti per la pace globale, potrebbero portare a Trump un enorme fortuna privata legata proprio al valore di $trump.

Investire in $trump significa investire su Trump, e come anticipato, questa è sia un opportunità di investimento, che un rischio, perché il token, per la sua natura decentralizzata e libera, è uno strumento incredibilmente potente per aggirare qualsiasi limitazione su eventuali investimenti e finanziamenti.

Faccio un esempio per assurdo, Bytedance, la holding cinese proprietaria di TikTok, potrebbe investire miliardi di Yuan cinesi in $Trum, a seguito della dichiarazione di Trump di sbloccare TikTok in USA. Questo investimento porterebbe ad un incremento immediato e visibile del valore di $Trump, il cui valore dipende esclusivamente da domanda ed offerta, e potrebbe essere utilizzato per influenzare, indirettamente, le scelte del presidente.

Ora, l’esempio fatto è estremo, ma più in generale, Trump può usare come strumento e indice di gradimento delle proprie dichiarazioni, il valore dello $trump, e allo stesso tempo, quell’indice può essere facilmente influenzato da chi dispone di ingenti capitali, dando così una percezione falsata del gradimento nei confronti delle decisioni di Trump.

Lo $Trump in effetti nasce proprio con questa finalità, è infatti un token che si pone principalmente due obbiettivi, consolidare il personal Brand “Donald Trump” e finanziare direttamente Trump. Trump infatti dispone di una significativa quota di mercato dello $trump, e questo significa che, variazioni positive del valore dello $trump possono tradursi in una monetizzazione immediata e diretta per il presidente.

Inoltre, la criptovaluta punta ad essere un punto di contatto tra il presidente e la sua base, di fatto, chi possiede lo $trump possiede una “quota” di Trump, e questo riguarda sia elettori, che investitori, che governi stranieri.

Possiamo quindi asserire, senza troppe difficoltà, che, lo $trump, non è una semplice criptovaluta, si tratta invero di una mossa strategica, in un contesto geopolitico molto più ampio e che unisce obiettivi economici, politici e mediatici.

Criticità della crypto presidenziale

Il principale problema legato allo $trump è il suo legame estremamente forte e diretto con il presidente degli USA, che, come abbiamo visto, spiana la strada ad innumerevoli rischi e problematiche legate a conflitti d’interesse. Le leggi USA impongono al presidente di prendere le distanze dalle proprie aziende e investimenti privati, tuttavia, il segmento Crypto negli USA si trova ancora in un limbo normativo, de facto permettendo al presidente di continuare ad operare con lo $trump senza infrangere le leggi attualmente esistenti. Vi sono poi enormi rischi legati a ingerenze straniere, influenza su mercati finanziari, violazione delle norme sulla finanza pubblica, donazioni e finanziamenti, riciclaggio di denaro, implicazioni sull’imparzialità, per non parlare dei rischi per la sicurezza nazionale e cybersecurity.

Tutte problematiche che affondano nella mancanza di una regolamentazione chiara delle criptovalute.

Un precedente pericoloso per la democrazia

C’è dell’altro, l’adozione del presidente di una crypto personale il memecoin $trump, a cui ha fatto eco lo $melania, lanciato da Melania Trump, rappresenta un precedente pericolosamente inquietante, che permette di investire concretamente sul leader degli USA, e in quanto investitori, avere indirettamente voce in capitolo sulle decisioni del presidente.

Qualcuno potrebbe dire che ciò non è dissimile dalle donazioni elettorali e il sistema lobbistico statunitense, che tuttavia, sono regolamentati a differenza delle cryptovalute in questo momento, il cui valore di mercato è soggetto esclusivamente alla differenza tra domanda ed offerta. Le Crypto in questo senso sono espressione pura del libero mercato, privo di qualsivoglia forma di regola e regolamentazione, e se questo può rappresentare un “pregio” per gli investitori, se si parla di democrazia, si va verso un terreno oscuro e pericoloso.

Il BAN di TikTok, un semplice Redirect 301

il 19 Gennaio 2025 è scaduto l’ultimatum dato dalla corte suprema a ByteDance per la vendita di TikTok, e questo ha portato al “ban” della piattaforma dagli USA, così, al loro risveglio, milioni di utenti statunitensi, provando ad accedere al social cinese si sono ritrovati di fronte questa pagina.

Alcuni hanno provato ad aggirare il Ban di TikTok utilizzando una VPN, ma senza successo, e su internet, reddit e altri social, si trovano numerosi messaggi di utenti che lamentano di non essere riusciti ad accedere, anche con l’ausilio di una VPN. Abbiamo quindi fatti alcuni test. Ci siamo recati su TikTok tramite Opera, senza usare la VPN integrata e come ovvio che sia, dall’Italia nessun problema, abbiamo quindi attivato la VPN sugli Stati Uniti e il social ci ha detto “TikTok is temporarily unavailable. We’re working hard to resolve this issue. Thank you for your patience.” impedendoci la navigazione.

Ok, quindi, il ban c’è, la VPN funziona e quando accediamo dagli USA ci dice che non possiamo. A questo punto abbiamo provato a disattivare la VPN, ipotizzando che avremmo potuto utilizzare normalmente TikTok, ma ciò che ci siamo trovati di fronte era questo.

Come è possibile? Nonostante la VPN disattivata, TikTok continuava a risultare inaccessibile.

Prestando attenzione alla pagina, abbiamo notato che, l’URL di destinazione era il seguente https://www.tiktok.com/us-landing e non https://www.tiktok.com abbiamo quindi cliccato sulla barra degli indirizzi, rimosso “/us-landing” dall’URL e TikTok ha ripreso a funzionare regolarmente.

Come funziona (in questo momento) il ban di TikTok negli USA?

In questo momento, al 19 gennaio 2025, il ban da tiktok dagli USA è un semplice redirect 301, che si attiva quando la piattaforma rileva un IP statunitense, reindirizzando così gli utenti, qualunque sia l’indirizzo di tiktok, sulla pagina https://www.tiktok.com/us-landing.

Se si accede da PC o da Browser quindi, aggirare il ban con una VPN è relativamente semplice, è sufficiente attivare una VPN su una località diversa dagli USA e accedere a TikTok, se per qualche motivo viene mostrata la pagina us landing, è sufficiente cancellarla per poter navigare liberamente sul social.

Per quanto riguarda l’app di tiktok invece, è leggermente più complesso. L’app del social è infatti una Web App, semplificando tantissimo (informatici e sviluppatori mi perdoneranno) si tratta di una pagina web “camuffata” da applicazione che però, non permette di modificare liberamente l’URL.

Cosa è successo agli utenti USA?

TikTok, una volta loggato, mantiene in memoria l’ultimo url visitato, questo fa sì che, ogni volta che avviamo l’app, ci ritroviamo sull’ultimo video, o sul video successivo, all’ultimo video visualizzato. Una funzione di utility e quality of life, che in questo caso però, sembra bloccare TikTok anche a chi ha una VPN attiva. Se infatti l’app di tiktok si trova sulla pagina us-landing che ci comunica la temporanea disattivazione dagli USA, anche aggiornando l’app, rimarremo su quella pagina, dando così agli utenti USA l’impressione che TikTok non sia utilizzabile dagli USA neanche utilizzando una VPN.

In realtà non è così, semplicemente si sta aggiornando una pagina web in cui ci viene detto che non è possibile, ma, modificando l’URL, se si ha una VPN attiva, è possibile navigare liberamente sul social.

Ma come fare a modificare l’URL dall’app?

Come anticipato, l’app non permette una modifica “diretta” dell’url, ma ci sono alcune soluzioni alternative.

La più “brutale” consiste nell’attivare la VPN, disinstallare TikTok, reinstallare TikTok ed effettuare il login. In questo modo, accederete dal paese indicato dalla VPN, ma bisognerà stare attenti a non andare su TikTok senza VPN attiva, o, ogni volta, bisognerà disinstallare e reinstallare l’applicazione.

Una soluzione decisamente più semplice è attivare la VPN, aprire il browser dello smartphone, andare su un video qualsiasi di TikTok, e aprirlo tramite app. A quel punto si verrà reindirizzati sul link del vide, e non sulla pagina “us landing” , e da lì, si potrà navigare senza problemi, almeno in questa versione del ban, e utilizzando una VPN.

Se per qualche motivo non volete cercare video di tiktok su google o altri motori di ricerca, c’è un ulteriore soluzione ,è infatti sufficiente inviarsi un link ad un video di tiktok con una qualsiasi app di messaggistica, e il gioco è fatto, a patto di avere una VPN attiva.

Ban e Redirect

Per quanto riguarda la soluzione trovata da TikTok per disattivare la piattaforma negli USA, va detto che non c’è nulla di anomalo, la maggior parte dei web tool e portali localizzati, il cui utilizzo è consentito solo in determinati paesi, generalmente effettua un redirect, da qualunque indirizzo, per gli utenti che accedono al portale tramite IP di paesi in cui il servizio non è attivo. Altri servizi invece operano al contrario, reindirizzando verso la pagina di utilizzo, solo gli IP degli utenti che accedono da paesi in cui il servizio è attivo. Come ad esempio Google Whisk, di Google Labs, un tool IA per la generazione di immagini, disponibile solo negli USA e che mostra a chiunque altro il seguente URL e messaggio.

E invece si dispone di una VPN attiva sugli USA ci viene mostrata questa pagina.

Irma Grese, tra storia e attualità

Irma Grese, soprannominata la Bestia bionda di Belsen, carceriera nazista, agì in un sistema che glorificava odio e crudeltà.

Oggi, mentre facevo un po’ di manutenzione al sito, ho scoperto che il tool del “contattaci” era rotto, e negli ultimi 3 anni, non ci è stato inoltrato via mail un singolo messaggio che ci avete lasciato.

Colpa mia che non ho controllato che funzionasse bene e che mi sono affidato ad un servizio terzo, in ogni caso, ho deciso di approfittare di questo incidente per produrre una rubrica con cui rispondo ai vostri messaggi e le vostre richieste, dando priorità ai messaggi archivio da qualche anno.

Il primo messaggio a cui voglio rispondere ce lo manda Cristina, anzi, ce lo ha mandato Cristina quasi 3 anni fa, il 14 febbraio 2022, ed era un interessante risposta ad un articolo questo nostro articolo del 23 settembre 2020 su Irma Grese, la temuta Bestia Bionda di Belsen.

Cristina Scrive:

Caro Historicaleye,
Mi chiamo Cristina, ho 45 anni e sono madre. Sono laureata. Sono come te profondamente amante della storia. Sono indignata dall’articolo letto sul tuo portale, relativo a Irma Grese. Questa bestia prese una scelta. Leggere contenuti di questo livello mi fa paura.

Dal basso della mia ignoranza, lascio ad uno scritto di Primo Levi, tratto dal suo libro Sommersi e Salvati, quanto io non trovo le parole per esprime:

“Non so, e non mi interessa sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti, non solo in Germania, e ancora esistono, e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetistico o un sinistro segnale di complicità; soprattutto, è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità. […] “

Spero queste mie poche righe possano portare ad una riflessione.

Ciao Cristina, scusami ancora per la risposta estremamente tardiva. Come ti ho scritto anche via mail, se lo avessi letto prima ti avrei risposto da tempo, ma purtroppo, ci sono stati un po’ di problemi con i messaggi, quindi, ti rispondo ora, e ti chiedo pubblicamente scusa per il ritardo.

Ho riletto l’articolo e non ci vedo nulla di inquietante o sconvolgente, anzi, ammetto di essere estremamente orgoglioso di come ho trattato l’argomento nell’articolo, nel quale non vi è alcun tentativo di assoluzione di una donna che nel proprio lavoro da carceriera del Reich in un campo di concentramento fu estremamente crudele.

Mi rendo però conto che c’è una parte dell’articolo che può essere facilmente “fraintesa”, ossia la parte in cui dico che, da volontaria, Irma Grese, era convinta di fare “del bene” e di servire il proprio paese, passaggio che però non vuole assolvere, ma anzi, far riflettere anche sull’attualità.

La Germania degli anni 30, del Terzo Reich, è una Germania, ma in generale l’Europa gli anni 30 del novecento rappresentano una realtà molto lontana da noi sul piano etico e morale, poiché appartengono ad un mondo cui l’odio era profondamente radicato mentre violenza e intolleranza erano considerate dei valori, e per una persona che viveva in quel mondo, i principi morali che determinavano le sue scelte, erano altri rispetto ai nostri, ed erano un qualcosa di aberrante e terrificante. Di fatto l’uomo comune di quel tempo, nella sua ignoranza, per citare un aneddoto tratto dalla Banalità del Male di Hannah Arendt, era convinto che gli affamati che rubavano il cibo ai porci, fossero delle bestie, e non riuscivano a rendersi conto che quei disperati, che si cibavano di ghiande rubate ai porci o cibo ai cani, mentre erano condotti ai lavori forzati, lo fa perché affamati.

Il nostro articolo, anzi, il mio articolo, serviva anche a far riflettere sull’attualità, sul mondo in cui viviamo, un mondo in cui odio e intolleranza, sono sempre più presenti e spesso “giustificati”, spingendoci a guardare dall’altra parte quando ci vengono presentati episodi sconcertanti.

Il senso dell’articolo, non era quello di giustificare o condannare il comportamento individuale di una persona nello specifico, anche perché siamo “storici” non giuristi, il nostro non è un processo volto ad assolvere o condannare Irma Grese, ma un articolo volto ad inquadrarla storicamente. Il nostro obiettivo era quindi quello di analizzare e contestualizzare, rimanendo il più possibile super partes, un episodio storico, e più nel profondo, cercare di capire perché Irma Grese ha agito in quel modo e in che modo la società e il mondo in cui viveva hanno influenzato le sue scelte e le sue idee. E non è facile, perché, fortunatamente, non viviamo in quel mondo, e abbiamo valori e regole morali profondamente diversi da quelli del tempo.

Tu suo messaggio tuttavia, Cristina dice qualcosa che condivido profondamente, dice che Irma Grese ha fatto una scelta, fu lei a scegliere di agire in quel modo e non può essere in alcun modo assolta. Fu lei a scegliere di essere una carceriera sadica e crudele, “esemplare” in quel sistema malato. E va detto che questo principio, ai processi di Norimberga, è stato scolpito nella pietra. Di fato, è stato “perdonato” chi ha guardato dall’altra parte, chi ha finto di non vedere, ma non chi ha partecipato attivamente nel compimento di crimini atroci.

A Norimberga e ancora di più a Gerusalemme, nel 1961 durante il processo di Adolf Heichmann, però, è stato sancito anche un ulteriore principio, ovvero, si è stabilito che quella scelta, non fosse in realtà libera.

Vorrei poter dire il contrario, che le scelte di Irma Grese, dei Nazisti, dei Fascisti, dei Comunisti, ecc, che collaborarono con i regimi Totalitari del novecento, furono libere, vorrei dire che Irma Grese in fondo era una “volontaria”, ma mentirei a me stesso e a voi, perché in realtà, la sua formazione, a cui è stata sottoposta dalla famiglia fin da bambina, non le lasciava realmente scelta, ponendola de facto, di fronte ad una scelta obbligata: Servire fedelmente il Reich, diventando complice di quei crimini che nel Reich erano considerati qualcosa di cui andare fieri, o tradire famiglia, amici e uno stato estremamente presente, in ogni aspetto della quotidianità. E una giovane donna, indottrinata fin da bambina a vedere il mondo in un certo modo, difficilmente cambierà il proprio punto di vista.

Oggi, nel 2025, sembra facile condannare il modo di agire di Irma Grese, quel comportamento, quel modo di fare, quel modo di vedere il mondo, eppure, non sempre lo facciamo, anzi, ci sono innumerevoli episodi che quotidianamente, spingono molti di noi a guardare dall’altra parte, colpevolizzando le vittime. Guardiamo alle vittime del mare, migranti che quotidianamente perdono la vita nel mediterraneo, alla guerra in Palestina, che in poco più di un anno ha fatto più di 46mila vittime, guardiamo alla Somalia, alla Costa d’avorio, al Burkina Faso e Nigeria, di questi ultimi i media neanche ci parlano.

Guardiamo a chi si oppone al soccorso in mare dei naufraghi perché “clandestini”, a chi sostiene la guerra in Palestina, una guerra che ha tutti i tratti di un genocidio e giustifica tacitamente la morte di migliaia di palestinesi per mano del governo Israeliano, per poi etichettare chi critica le scelte del governo israeliano di essere antisemita.

Torno a citare Hannah Arendt, che è stata testimone diretta del processo di Gerusalemme ad Adolf Heichmann, e dico che tutto ciò, non fa di loro dei mostri, quel modo brutale a tratti disumano di vedere il mondo, non fa di loro l’incarnazione del male, semplicemente fa di loro delle persone stupide, incapaci di mettersi concretamente nei panni degli altri.

Perché in un mondo in cui odio e intolleranza sono serviti quotidianamente alla popolazione, in un mondo in cui ci viene detto quotidianamente di odiare qualcuno e che tutte le nostre sofferenze sono causate da quel qualcuno, odiare è estremamente facile, abbiamo odiato gli Ebrei ed i Comunisti, poi i Nazisti ed i Fascisti, poi nuovamente i Comunisti, poi è venuto il tempo degli Islamisti ed i clandestini, e poi i Cinesi e così via.

C’è sempre qualcuno contro cui puntare il dito, e odiare quel qualcuno, quando la società, gli amici, la famiglia, i media, il cinema, tutti ci dicono di farlo, diventa naturale, e quel male diventa banale. Così finisce per odiare anche un bambino di 6 anni, che non sa cosa o perché, sa solo che è giusto odiare. Come ci viene mostrato divinamente in quel capolavoro di JoJo Rabbit di Taika Waititi.

Diversamente, capire, contestualizzare, mettersi nei panni degli altri, è complicato, è difficile, richiede uno sforzo che non sempre vogliamo fare, soprattutto se siamo i soli a pensare di poterlo fare, uno sforzo non indifferente, uno sforzo che però è alla base della ricerca storiografica e questo mi riporta ad Irma Grese, la bestia bionda di Belsen.

Una donna che fu senza ombra di dubbio crudele, spietata, sadica, disumana e disgustosa, una donna imperdonabile, le cui azioni furono aberranti, ma pur sempre una donna che visse in un mondo che imponeva di essere in un certo modo, e in quel mondo lei fu una donna “esemplare”. Un esempio di spietatezza e crudeltà, che oggi, non in quel mondo, possiamo condannare con facilità.

Bando di TikTok dagli USA, chi decide?

Qualche giorno fa ho scritto un articolo in cui parlavo dei rumors relativi alla possibile vendita dei servizi USA di TikTok ad Elon Musk da parte di ByteDance, come ancora di salvataggio per rimanere attiva sul mercato USA, e oggi torniamo sul possibile bando di Tik Tok dagli USA, bando che è sempre più vicino a meno che ByteDance non venda ad una società con sede in USA.

Il 19 gennaio infatti, l’ultimo giorno di presidenza Biden, potrebbe anche essere l’ultimo giorno in cui si potrà accedere a TikTok dagli USA , senza una VPN, questo perché la corte suprema, il 17 gennaio 20925 ha confermato la validità della legge, varata nell’aprile 2024, con cui si impone a Bytedance la vendita di TikTok, pena il bando dagli USA.

Questa legge, che nasce nel timore che il governo cinese possa sfruttare TikTok per spiare i cittadini USA è stata contestata da Bytedance, la holding cinese proprietaria di TikTok, secondo la Holding, questa legge violerebbe il primo emendamento, con cui si sancisce la libertà di parola, di stampa, di religione, ecc, e in quanto piattaforma mediatica, TikTok secondo Bytedance godrebbe della libertà di parola e di stampa, e sostiene che, il governo statunitense, voglia limitare questa libertà, impedendo di utilizzare una piattaforma “libera” e non sotto il controllo degli USA.

La corte suprema tuttavia ha respinto il ricorso di Bytedance, sostenendo la legittimità e la costituzionalità della legge, poiché questa non vuole limitare la libertà di espressione, ma evitare il possibile utilizzo dei dati dei cittadini USA da parte di un governo straniero. La legge in soldoni, si fonda sulla necessità di garantire e tutelare la sicurezza nazionale, che, grazie all’articolo II sezione 2, in cui sono elencati i poteri e le responsabilità del presidente, si conferisce al presidente USA il ruolo di comandante in capo delle forze armate, nonché il potere di gestire crisi che minacciano la sicurezza nazionale. Inoltre, il presidente può adottare misure urgenti per proteggere il paese e i suoi cittadini. L’articolo I della sezione 8 invece consente al congresso di approvare leggi necessarie per la difesa nazionale e il potere di regolare il commercio con nazioni straniere.

Ed è proprio in questi poteri del congresso che si fonda il RESTRICT Act del 2023, ancora in discussione al congresso e non completamene approvato, si tratta di una legge finalizzata a regolamentare e mitigare eventuali rischi derivanti dalla tecnologia e da piattaforme digitali, una legge che, senza girarci troppo attorno, è stata costruita ad hoc, per mettere un freno a Tik Tok e altre piattaforme digitali non statunitensi, e che ha portato all’ordine esecutivo e la sentenza che dal 20 gennaio 2025 mettono al bando, proprio TikTok, se questi non venderà i servizi USA ad una società statunitense.

Il presidente eletto Donald Trump tuttavia, non sembra essere d’accordo al bando, è molto legato alla piattaforma e alla propria cerimonia di insediamento che avrà luogo il 20 gennaio 2025 e alla quale è stato invitato anche Shou Zi Chew, il CEO di TikTok.

Con la sentenza del 17 gennaio 2025 la corte suprema ha ribadito il bando, a partire dal 20 gennaio, per Tik tok se questi non venderà i propri servizi USA ad una società statunitense e a questa sentenza, ha fatto immediatamente eco una dichiarazione dello stesso Trump, che sostiene il congresso gli ha dato il potere di decisione, e quindi sarò lui a decidere sul bando di tik tok, lasciando quindi intendere che cercherà di evitarlo, ma cosa può effettivamente fare? Vediamo cosa dice il RESTRICT Act.

Cosa dice il Restrict Act?

Il RESTRICT Act ha come obbiettivo quello di identificare, valutare e mitigare rischi legati alla tecnologia straniera su suolo USA, questi rischi includono la compromissione di dati personali e sensibili dei cittadini USA, l’utilizzo dei suddetti dati al fine di manipolare l’informazione o per fini di spionaggio e analisi, e, più di tutti, creare vulnerabilità nelle infrastrutture.

Prendiamo ad esempio Tik Tok, che, se installato su un dispositivo, può fornire dati sulla posizione, o raccogliere dati personali dell’utente, esattamente come fanno Google, Apple, Meta, X, Microsoft, Amazon, ecc, ma a differenza di queste big tech statunitensi, essendo controllata da una società vicina ad un governo straniero, può rappresentare un rischio alla sicurezza nazionale. Motivo per cui, molti dei servizi delle big tech sopracitate sono bandite dalla Cina, e al contrario, molti fornitori di tecnologia cinesi sono banditi dagli USA.

Tornando al RESTRICT Act, questi punta a sorvegliare le tecnologie straniere conferendo al Segretario al Commercio, il potere di esaminare e intervenire su Applicazioni, Software, Hardware, ecc. Dal 20 gennaio, il segretario al commercio USA sarà Howard Lutnick, a capo dei Cantor Fitzgerald e grande sostenitore dei dazi alla Cina, che potrebbero arrivare al 60%, e all’Europa. Il RESTRICT Act stabilisce inoltre che il segretario al commercio debba collaborare con il dipartimento di sicurezza nazionale e l’ufficio del direttore della National Intelligence, per valutare eventuali minacce.

Possibile revoca del bando?

Allo stato attuale, TikTok è stata considerata una possibile minaccia per la sicurezza nazionale dal governo federale guidato da Joe Biden, e il futuro presidente Trump, una volta in carica, potrà procedere su diverse strade per annullare l’ordine esecutivo di Biden.

Più precisamente, in quanto presidente in carica, Trump potrà emettere un nuovo ordine esecutivo e annullare o modificare il precedente. Questa procedura può tuttavia portare a dei controlli da parte delle autorità federali.

Vi è però una seconda strada, più lenta, meno diretta, ma più sicura per il presidente, che passa per il CFIUS, il Comitato sugli Investimenti Esteri negli Stati Uniti. Il presidente può autorizzare un riesame di una data tecnologia al CFIUS per una nuova valutazione, e la nuova valutazione potrebbe confermare o ribaltare il precedente status di minaccia alla sicurezza nazionale.

In entrambi i casi comunque, la revoca dello status di minaccia deve basarsi su una documentazione chiara e dati che attestino tale circostanza, in caso contrario, sia il congresso che la corte suprema, possono bloccare la revoca, mantenendo il bando.

TikTok verrà bandita dagli USA?

In questo momento, al 17 gennaio 2025, la corte suprema si è espressa a favore del bando di Tik Tok dagli USA, mentre il presidente eletto Trump sembra essere intenzionato a revocare tale bando, ed è molto probabile che, uno sei suoi primi ordini esecutivi andrà proprio in quella direzione, tuttavia, come osservato poco sopra, l’ultima parola non spetta al presidente. Spetterebbe al Presidente se si dovesse decidere di bandire tik tok, ma, visto che il bando è già stato autorizzato e bisogna autorizzare la revoca del bando, il presidente potrebbe avere le mani legate, anche in vista della sua posizione conflittuale nei confronti della corte suprema. Di fatto, il congresso ha dato al presidente il potere per bandire, TikTok, ma non il potere di riammetterlo. Potrà farlo, quasi certamente lo farà, ma non nei primi giorni di mandato e non con un ordine esecutivo.

Pozzuoli dice addio alla storica tratta della ferrovia Cumana

Sono passati più di 13 anni dall’ultima volta che mi sono interessato a ciò che accadeva alla Linea cumana, dell’EAV in Campania, una linea ferroviaria locale che mi ha accompagnato per tutti gli anni delle scuole superiori e i primi anni di università, in particolare l’anno trascorso ad ingegneria informatica alla Federico II ed il triennio in Storia, sempre alla Federico II, poi mi sono trasferito, e ammetto ,con un certo sollievo dovuto al fatto che non avrei più preso la cumana… poi le cose sono cambiate ed ora la linea Cumana fa di nuovo parte della mia vita, e il 2025 si è aperto con un interruzione della linea a tempo indeterminato, seguita da alcune informazioni “divergenti” mettiamola così.

Da qualche giorno, alcuni giornali e blog dell’area flegrea (periferia di Napoli) stanno rilanciando la notizia per cui, EAV starebbe per dire addio ad una tratta storica della linea Cumana, interrompendo in maniera definitiva, la tratta Gerolomini-Pozzuoli, a causa del rinvenimento nell’area sottostante la linea ferroviaria, di antiche fogne di epoca romana, che minerebbero la sicurezza della linea ferroviaria e sarebbe alla base del recente cedimento che dal 1 gennaio ha portato all’interruzione della linea, sostituita temporaneamente con navetta.

Tutto parte da un post di Ferrovie.it, rilanciato da Pozzuolinews24, in cui vengono rilanciati alcuni “rumors” sulla futura gestione della linea cumana, in particolare della tratta Pozzuoli-Gerolomini che potrebbe non essere mai più riattivata, non come la conosciamo al momento, ma vedrebbe l’attivazione di una galleria che copre il tratto Gerolomini-Cantieri e in un prossimo futuro vedrebbe l’attivazione della nuova stazione di Pozzuoli, che, come ci insegna la storica “Stazione di Baia” i cui lavori sono iniziati in vista dei mondiali Italia 90 e non è ancora stata aperta, l’apertura della nuova stazione di Pozzuoli potrebbe avvenire in un arco temporale che va da qui ai prossimi 35 anni.

Ironia a parte, facciamo un po’ di fact checking su questa news locale, anche perché, per come è stata descritta la nuova linea, una galleria che va da Gerolomini a Cantieri, passerebbe “sotto” la solfatara”, e non è proprio la scelta ideale, ma andiamo con ordine.

Per quanto riguarda EAV, le ultime informazioni ufficiali note, ovvero comunicati stampa pubblicati da EAV sul proprio sito web, risalgono al 3 gennaio, giorno in cui è stato rilasciato il Comunicato “EAV – Interruzione linea Cumana – Servizi sostitutivi” con cui si comunicava l’impossibilità di riaprire in tempi brevi la circolazione ferroviaria presso la stazione di Pozzuoli, e la conseguente attivazione di linee sostitutive su gomma, i cui percorsi ed orari sono stati pubblicati e aggiornati, l’ultimo aggiornamento dei servizi automobilistici sostitutivi, nella tratta Bagnoli-Arcofelice, che comprende quindi la tratta danneggiata Gerolomini-Pozzuoli, risale al 14 gennaio 2025.

In data 9 Gennaio 2025 si è tenuta, come riporta Fanpage, un incontro tra i vertici di EAV ed i sindaci di Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida, ovvero i comuni interessati dai disagi dovuti all’interruzione della linea cumana presso la stazione di Pozzuoli. Durante l’incontro è stata evidenziata la necessità di riattivare la linea nella sua interezza (da Montesanto a Torregaveta) entro la fine di Gennaio, ed è stata avanzata la possibilità di una riattivazione della linea con alcune limitazioni, ovvero la sospensione delle attività presso la stazione di Pozzuoli (in altri termini, la linea ripartiva ma avrebbe fermato a Pozzuoli), a causa di una serie di problematiche tecniche e di sicurezza che de facto rendono inagibile la stazione ed i binari tra le stazioni di Cappuccini e Cantieri.

Stando alle prime rilevazioni e ipotesi comunicate da EAV, la voragine che ha interessato la stazione di Pozzuoli, profonda 4,5 metri e larga 4, potrebbe essere stata causata dai numerosi terremoti che negli ultimi anni hanno interessato i campi flegrei nella loro interezza, e, indagini tecniche più approfondite hanno ricondotto tale voragine alla presenza di una cavità sotterranea, presumibilmente parte di un’antica rete fognaria inutilizzata, la cui presenza rende impossibile l’utilizzo di Ponti Essen e altre soluzioni temporanee per il ripristino, in tempi brevi, della stazione di Pozzuoli. Inoltre i rilevamenti hanno evidenziato anche diversi cedimenti strutturali presso gli edifici della stazione cumana di Pozzuoli che, al momento risulta inagibile.

Vista l’impossibilità di riaprire la Stazione di Pozzuoli e ripristinare il servizio in sicurezza, sembra che EAV abbia chiesto l’autorizzazione all’ANSFISA per accelerare la procedura che dovrebbe permettere l’attivazione di una nuova galleria di Monte Olibano, comprensiva della nuova stazione di Pozzuoli.

Qui le informazioni rilanciate dai vari giornali locali si fanno confuse e divergenti, poiché alcuni parlano come anticipato di una galleria che andrebbe da Gerolomini a Cantieri, ma di questa galleria, non esiste traccia, tuttavia alcuni giornali locali parlano di lavori a buon punto indicando come fonte un comunicato stampa di EAV datato 18 Marzo 2024.

Anche di questo comunicato non sembra esserci traccia nell’archivio comunicati stampa del portale eavsrl.it, il sito web di EAV ed i comunicati più vicini a tale data sono il comunicato datato 21 febbraio 2024 “ Comunicato EAV – Sasso contro autobus di EAV” che ha interessato il comune di Bacoli, ed il comunicato datato 6 aprile 2024 “Comunicato EAV – Lavori di ammodernamento della linea Cumana – modifica della tratta interrotta – da Lunedì 8 interruzione soltanto tra Bagnoli e Torregaveta”. Nessun comunicato ufficiale, di EAV sul proprio sito, riporta invece la data 18 marzo 2024, in cui si parla di questa galleria sostitutiva.

Le informazioni sullo stato di avanzamento di questi lavori tuttavia scarseggiano, sappiamo che manca l’autorizzazione da parte di ANSFISA, ma non sappiamo se si tratta dell’autorizzazione all’attivazione o all’inizio dei lavori, si presuppone tuttavia che si tratti di autorizzazione all’attivazione poiché in data 2 aprile 2024, il sindaco di Pozzuoli, Gigi Manzoni, rendeva noto che, i lavori per il nuovo tracciato della Cumana ed i lavori per la nuova stazione di Pozzuoli in Via Fasano, al ridosso del porto e degli ex cantieri, erano alle fasi finali.

Dichiarazione ottimistica, visto che in quasi un anno, non si è ancora giunti ad un autorizzazione per la quale ora si chiede un accelerazione della procedura dio attivazione. Ma ammetto che in questo c’è poca sorpresa, EAV e la linea cumana, che ricordiamo, nel 1989, annunciavano, 35 anni fa, annunciavano l’imminente apertura della nuova stazione di Baia per i mondiali Italia 90, stazione terminata più volte e che non è stata ancora aperta, e forse non lo sarà mai.

Ma comunque, ironia a parte, ci auguriamo comunque che in questo caso, i tempi siano più stretti e che l’ANSFISA fornisca al più presto le autorizzazioni per l’attivazione del nuovo tracciato e della stazione, poiché questo permetterebbe ai comuni di Bacoli e Monte di Procida, di rimanere collegati “al resto del mondo”.

Entrambi i comuni, la cui natura è prevalentemente residenziale e turistica, vivono la mobilitazione quotidiana di migliaia di lavoratori diretti verso Napoli ed Oltre, una quantità di pendolari che i pochi autobus attualmente attivi nei due comuni, non sono in grado di smaltire, rendendo necessario lo spostamento con mezzi propri, causando quindi ingorghi, traffico, rallentamenti e ritardi.