Donna seminuda, inseguita da uomini armati durante il Pogrom di Leopoli

Con progrom, un termine di derivazione russa, generalmente si indica un insurrezioni popolare contro alcune minoranze etniche/culturali/religiose, ed è generalmente perpetuato da gruppi di ultra-nazionalisti, nelle regioni dell’europa orientale.

Ci troviamo a Lwowski (Leopoli), per ora, non vi dirò quando. Nella foto possiamo vedere una donna, ebrea, seminuda e sanguinante, inseguita da alcuni “uomini” e non credo serva spiegare quali sono le loro intenzioni o quale sarà il destino della donna, ma se proprio vi tenete, inizia con uno stupro e finisce con la un omicidio morte.

La colpa della donna? a quanto pare, essere nata donna Ebrea, a Leopoli, tra il 1881 ed il 1945, ed essere stata adulta durante un Poogrom.

“Pogrom” è una parola di derivazione russa che significa “devastazione” ed indica generalmente sommosse popolari ai danni di minoranze etniche e religiose, in particolare tra il 1881 e il 1943, nel mondo ai confini con la russia, si verificheranno numerosi pogrom/insurrezioni popolari, di matrice antisemita.

La popolazione ebraica di alcune città come Lwowski o Černobyl, nel novecento, fecero i conti con diversi pogrom, di matrice antisemita, alcuni dei quali in un clima sovietico ed altri, in un clima da terzo reich.

Nella foto, assistiamo alla ferocia di un pogrom, attraverso le sue vittime, vediamo una donna seminuda inseguita da uomini in armi, ma vediamo anche altro, oltre agli uomini vediamo anche bambino, con in mano un bastone, che insegue la donna divertito, il bambino è evidente dal suo sguardo che non sta capendo cosa sta accadendo in quel momento, ma avrebbe assimilato quell’odio, attraverso quello che per lui era un momento di gioco.

Non ho ancora detto quando la foto è stata scattata e non l’ho fatto per un motivo, scene come questa, ce ne sono state a migliaia, sia nel 1918, durante il Pogrom di Lwowski, ad opera dei polacchi, sia nel 1941, dopo l’ingresso degli Einsatzgruppen tedeschi nella città, ad opera dei collaborazionisti del Terzo Reich.

Nell’ottobre del 1918, geograficamente parlando, Lwowski si trova in Polonia, tuttavia, quell’anno, ad ottobre, fu creato il Consiglio nazionale ucraino di Leopoli, guidato da Jewhen Petruszewycz, un nazionalista ucraino che nel proprio suo manifesto proclamò la nascita della “Repubblica popolare dell’Ucraina occidentale”.

Jewhen Petruszewycz nella sua azione politica riconobbe l’esistenza di numerose minoranze nazionali, tra cui quella ebraica, cosa eccezionale ed estremamente rara per il tempo, poiché, non esistendo una nazione ebraica, gli ebrei non erano riconosciuti come un popolo da quasi nessuna nazione in europa.

Il 1 novembre 1918, venne creato a Leopoli il distretto ebraico, in cui, inizialmente era presente un presidio armato di milizie ebraiche filo ucraine, di circa 200 uomini e circa 100 civili (per lo più donne, anziani e bambini).

Leopoli, non va dimenticato, in questo momento è una città spaccata in due, attraversata da scontri armati tra due gruppi di nazionalisti, da una parte la città è “ucraina” e dall’altra parte è “polacca”, ed è proprio in questo clima di violenza, di divisione ed intolleranza, che iniziarono i problemi per la comunità ebraica di Leopoli o Lwowski o Lviv.

Senza dilungarmi troppo, gli ebrei, che erano riconosciuti come popolo dall’Ucraina, vennero accusati dalle milizie polacche di aver cospirato insieme alle milizie ucraine contro la Polonia, e si finì in pochissimo tempo a scaricare sulla popolazione ebraica ogni sorta di responsabilità per qualunque disastro mai avvenuto a Lwowski negli ultimi mille anni o giù di lì, innescando un escalation di violenza che si tradusse in un insurrezione popolare, di nazionalisti polacchi, contro gli ebrei di Leopoli.

Non conosciamo il numero esatto delle vittime, sappiamo però che almeno 2000 ebrei vennero assassinati e circa 4000 vennero ridotti in fin di vita, inoltre i testimoni parlano anche di numerosi stupri, spesso avvenuti in strada e sotto gli occhi di bambini.

Sappiamo inoltre che in quel momento, Leopoli era la terza città “polacca” per numero di cittadini ebrei, stando ai registri cittadini dell’epoca, Leopoli ospitava circa 100.000 ebrei. Sempre secondo i registri della città sappiamo anche che, nel 1941 (più di 20 anni dopo) a Leopoli vivevano circa 200.000 ebrei, e questo secondo dato ci porta al “secondo” pogrom di Leopoli, ovvero quello del 1941.

Il pogrom iniziò il 25 luglio 1941, quando, in seguito all’omicidio del leader ucraino Symon Petliura, circa 2.000 ebrei persero la vita, in alcuni scontri “civili” in cui gli ebrei di Leopoli vennero attaccati da nazionalisti polacchi di lingua tedesca, collaborazionisti del Terzo Reich e costituiti in milizie cittadine armate. Sappiamo dai testimoni che moltissimi ebrei vennero costretti a marciare, sotto la minaccia delle armi, fino al cimitero ebraico o alla prigione di Lunecki, dove vennero assassinati. Questi eventi sono noti come “I giorni di Petliura“, e rappresentano sono solo l’inizio di ciò che sarebbe successo di li a poco alla popolazione ebraica di Leopoli.

Non troppo tempo dopo infatti, i collaborazionisti del terzo reich aprirono le porte della città alle truppe tedesche e agli einsatzgruppen, che entrarono in città ed istituirono dall’8 novembre 1941 il ghetto ebraico di Lwowski, in pratica una parte della città venne recintata, sorvegliata da guardie armate e all’interno del lungo corridoio in filo spinato, sarebbero stati rinchiusi circa 100/120 mila ebrei, tra il novembre del 41 e il giugno del 43.

Se ricordate, poco fa ho detto che nel 1941 la popolazione ebraica di Leopoli era di circa 200.000 persone, ma nel ghetto di Leopoli ne sarebbero finite circa 100 mila, ed è curioso notare che, centomila, è anche il numero degli ebrei di leopoli nel 1918. Questo dato ci dice molte cose, ma lascio a voi le dovute deduzioni.

Torniamo però alla foto che mi ha permesso di aprire una parentesi sui pogrom di Leopoli, del 1918 e del 1941. Sono partito da quella foto, ed ho voluto raccontare entrambi gli episodi perché sono collegati attraverso il bambino presente nella foto.

La fotografia è stata scattata durante il Pogrom del 1918, e come dicevo, quel bambino avrebbe assimilato quella violenza, quell’intolleranza, quell’odio viscerale per la popolazione ebraica, attraverso il gioco. Quel bambino è cresciuto odiando gli ebrei e da adulto, 20 anni dopo, quando si è trovato di fronte uno stato, come il Terzo Reich, che gli parlava di superiorità della razza ariana, e prometteva lo sterminio ebraico, avrebbe compiuto determinate scelte che lo avrebbero spinto ad arruolarsi volontario nelle milizie filo naziste, diventando un collaborazionista polacco del Terzo Reich.

Ho voluto raccontare entrambi i pogrom anche per un altro motivo, il pogrom di leopoli del 1918 è spesso indicato come un pogrom di matrice “sovietica”, anche se, come abbiamo visto, non è esattamente così.

Il motivo per cui spesso si parla del pogrom del 1918 come di un pogrom di matrice sovieticha è in parte dovuto al termine “pogrom”, è un termine russo e questo sposta automaticamente l’attenzione sull’Unione Sovietica, del resto, il pogrom del 1941, non sempre è chiamato pogrom. Inoltre, nel 1918 esisteva l’unione sovietica già, ma a differenza del 1941, non esisteva il Terzo Reich, e se è vero che, se si parla di ebrei nell’Unione Sovietica, questi, almeno fino agli anni 80 furono fortemente discriminati e spesso perseguitati ed è altrettanto vero che la Russia è ha dato i natali al falso storico dei protocolli dei Savi di Sion, è anche vero che, nonostante l’URSS sia stata una nazione fortemente antisemita, praticava l’antisemitismo lontano dai riflettori, e non lo sbandierava nelle piazze.

Tutte queste teorie speculative alla fine della fiera significano poco o nulla, e c’è un unico elemento realmente significativo in tutta la vicenda, ovvero che gli artefici del Pogrom del 1918 non furono militanti bolscevichi e filo-sovietici, ma nazionalisti polacchi di lingua tedesca.

E a mio avviso è importante sottolineare che proprio questi gruppi, negli anni trenta, avrebbero sposato totalmente le teorie antisemite del nascente nazional-socialismo tedesco, al punto da produrre un nuovo pogrom di matrice antisemita, al fianco delle SS, nel 1941, pogrom che avrebbe portato all’occupazione nazista di Leopoli e la nascita del ghetto ebraico della città.

Perché la Germania si vergogna del Nazismo mentre l’Italia non fa lo stesso con il Fascismo?

Perché in germania i tedeschi si vergognano del Nazismo, metre gli italiani non sembra si vergognino più del fascismo e in alcuni casi sembrano desiderare un suo ritorno?

Come mai in Germania, l’opinione pubblica, si vergogna di essere stati nazisti (nonostante qualche rare eccezione), mentre da in italia, l’opinione pubblica, molto spesso è spesso nostalgica di quegli anni e addirittura nel nostro paese ci sono forze politiche, non irrilevanti, dichiaratamente simpatizzanti per la politica fascista, pur non dichiarandosi apertamente fascisti perché fortunatamente la costituzione lo impedisce?

Perché in Italia il Fascismo non è universalmente percepito come una macchia nel nostro passato, un qualcosa di cui vergognarsi e da cui mantenere le distanze, ostracizzando quelle idee, quelle proposte e quegli elementi propri della politica fascista?

Detto più banalmente, perché gli eredi di Hitler, Himmler e degli altri gerarchi nazisti si vergognano dei propri antenati, mentre in italia gli eredi di Mussolini e degli altri gerarchi fascisti vanno fieri dei propri antenati e in alcuni casi, ne esaltano la memoria, cercando in ogni modo di evidenziare le “cose buone” fatte dal fascismo… come se aver bonificato una palude potesse giustificare omicidi, pestaggi, deportazioni ed eccidi…

La risposta a queste domande non è semplice, ma voglio provare comunque a rispondere.

La ragione è politica, ma non parlo della politica odierna, mi riferisco invece alla politica del dopoguerra, perché è in quegli anni, tra il 1945 ed il 1948 circa, che il problema del fascismo nostalgico, affonda le proprie radici.

Finita la guerra, finita la seconda guerra mondiale, la Germania ed i tedeschi, hanno dovuto prendere coscienza del proprio passato, di ciò che era successo, di ciò che era stato fatto e di ciò che la popolazione tedesca aveva permesso al Nazismo di fare. Mentre in Germania il nazismo è stato ufficialmente condannato, sia politicamente che giuridicamente, e la popolazione tedesca ha in qualche modo “pagato il conto” dell’esperienza nazista, in italia tutto questo non è successo e la popolazione italiana è stata in un certo senso assolta. Complice anche la guerra civile (1943-1945) e le operazioni di “resistenza” al fascismo da un lato, e la mancata volontà politica di parlare di guerra civile per decenni, facendo invece percepire il conflitto avvenuto nella penisola tra il 1943 ed il 1945 come una guerra tra italiani e stranieri (americani o tedeschi che siano), creando così, sul piano politico dell’epoca un vero e proprio divario tra “italiani” e “fascisti”.

Nel 1945, la Germania prendeva cosicenza che i tedeschi avevano appoggiato e voluto il Nazismo, e chi non lo voleva si era banalmente voltato dall’altra parte o era scappato, dando de facto la percezione che, tutti i tedeschi erano nazisti e dovevano pentirsi di ciò che avevano fatto. In Italia invece, questo non avviene, gli italiani, per via della guerra civile, nonostante per circa un ventennio non abbiano mosso un dito, improvvisamente non sono più fascisti, e dunque non c’era motivo di vergognarsi delle azioni dei fascisti, solo i fascisti erano colpevoli… dimenticando forse troppo facilmente che per oltre vent’anni il fascismo aveva regolato ogni aspetto della vita degli italiani, e che, salvo pochissime eccezioni, quasi nessuno prima del 43 si era opposto in modo incisivo. Gli italiani, esattamente come i tedeschi, avevano scelto il fascismo, ma, una volta che il fascismo non c’era più, semplicemente si voltarono dall’altra parte, così come per vent’anni si erano voltati dall’altra parte mentre il fascismo imperava nel paese.

Detto più semplicemente, all’epoca, nell’immediato dopoguerra, il discorso politico in Germania si impostò sul concetto che in Germania, i tedeschi avevano scelto volontariamente il nazismo, e quindi erano complici del Nazismo. Diversamente, in Italia, l’impostazione fu che gli italiani subirono il fascismo, partito da un colpo di stato, e dunque non ne erano complici, e non avevano di che vergognarsi… avevano semplicemente chinato il capo all’uomo col manganello e l’olio di ricino.

Questo tipo di impostazione, permise all’Italia e agli italiani, da un lato di “ripulire le coscienze” degli italiani, che de facto non dovettero mai fare i conti con il fascismo e i suoi crimini, non erano stati gli italiani ad assassinare Matteotti, erano stati i fascisti, non erano stati gli italiani a tacere quando i fascisti andaro a prendere Gobetti, ma gli era stata tappata la bocca, non erano gli italiani ad aver accettato le leggi raziali, erano state imposte dai fascisti. Ma non solo, questa operazione di “pulizia delle coscienze”, si trasferì anche nelle aule dei tribunali e dei tribunali militari, aule vuote in cui dovevano essere processati i i criminali di guerra italiani, i fascisti, ma de facto, ciò non avvenne, non ci furono processi ne condanne, e questo perché, sulla base del principio di reciprocità, l’Italia accettò di processare i propri criminali, ma solo se anche francesi, jugoslavi e americani, vincitori della guerra, avessero processato i propri criminali, e i vincitori della seconda guerra mondiale questo non lo avrebbero mai fatto, mai si sarebbero piegati, da vincitori, alle richieste degli sconfitti, e dunque, l’Italia, ottenendo di poter processare autonomamente i propri criminali, de facto non li processò mai.

La mancata norimberga italiana, per usare un termine coniato nei primi anni duemila da diversi storici italiani che affrontarono la vicenda, è in larga parte responsabile del fatto che, gli italiani non hanno mai fatto i conti col fascismo e che il fascismo non è mai stato completamente consegnato alla storia.

Nel dopoguerra, tutti i partecipanti alla seconda guerra mondiale stilarono enormi liste di criminali di guerra, e dopo anni di trattative e richieste respinte, alla fine si accettò di far ricorso al principio di reciprocità, così da mettere fine, una volta per tutte, alla seconda guerra mondiale. Ogni paese accettò di farsi carico dei processi ai propri criminali, accusati da altre nazioni, così fece anche l’italia, i cui processi furono in qualche modo avviati, i fascicoli furono aperti, le indagini preliminari iniziarono, ma poi accadde qualcosa e tutto venne archiviato e dimenticato in quello che Franco Giustolisi intorno alla metà degli anni 90, definì l’“armadio della vergogna” .

Si tratta di un armadio rimasto chiuso per oltre quarant'anni, in cui, nel 1994 vennero trovati gli incartamenti dei processi mai computi ai criminali di guerra italiani.

Viene da chiedersi, perché, al di la del principio di reciprocità, l’italia non portò a termine quei processi, e la risposta a questa domanda ci arriva direttamente dal materiale trovato in quell’armadio.

Analizzando i documenti, oggi liberamente consultabili da chiunque e conservati presso gli uffici dell’ex tribunale militare di La Spezia, emerge che all’epoca, sul finire degli anni quaranta, a ormai qualche anno di distanza dalla fine della seconda guerra mondiale, in italia si manifersò la precisa volontà politica, dell’allora classe dirigente italiana “dimenticare il fascismo”, di lasciarselo alle spalle, senza però mai farci realmente i conti, senza mai affrontarlo realmente e concretamente, e non affrontandolo il fascismo è rimasto lì, a sedimentare e fermentare.

Oggi, col senno di poi, possiamo dire che ignorare quei fascicoli ed evitare quei processi è stato un gravissimo errore, e volendo cercare dei responsabili, non è difficile individuarli. Tra il materiale emerso dall’armadio della vergognia vi è infatti anche un appunto di un giovane Giulio Andreotti, all’epoca appena un sottosegretario di un ministero senza poetafogli, in cui si invita a ignorare la questione dei processi, per evitare eventuali problemi politici sia interni che internazionali.

Erano anni in cui alcune città italiane, come Trieste, erano sotto il controllo non dello stato italiano ma di forze internazionali, e vi erano pressioni politiche da parte della Jugoslavia per cui le aree liberate dai Jugoslavi durante la guerra, diventassero territori Jugoslavi, e l’unico modo per evitare che questo accadesse era trovare un accordo tra Italia e Jugoslavia.

L’Italia decise quindi, per mantenere l’integrità e l’unità dei propri territori, di non richiedere alla Jugoslavia di processare i propri criminali, tra cui i responsabili degli eccidi delle Foibe, che nel nuovo asset del governo di Tito ricoprivano incarichi di rilievo e posizioni centrali.

L’Italia, o meglio, la sua leadership politica, scelse di non processare i fascisti per ragioni politiche e geopolitiche.

Va detto che, già tra 45 e 48, sulle pagine de l’unità, queste scelte politiche furono aspramente criticate, l’unità fu, fino ai primi anni cinquanta, l’unico giornale in italia che continuò a chiedere apertamente di processare i criminali italiani, ma la sua voce rimase inascoltata. Principalmente perché, per una fetta importante dell’opinione pubblica, queste richieste mascheravano la volontà politica dei comunisti italiani di proseguire la guerra o comunque di aiutare i comunisti Jugoslavi a danno dell’Italia.

Ad ogni modo, ignorata o meno, già all’epoca, sulle pagine dell’unità e tra le fila del PCI (e in larga parte anche del PSI) si teorizzava (e col senno di poi, possiamo dire che si prevedeva e la loro previsione era molto oculata) che ignorare i criminali italiani e non affrontare seriamente il problema del fascismo, fingendo che questi non fosse mai esistito, avrebbe avuto l’effetto pericoloso, in un futuro non troppo reoto, di far sbocciare nuovamente il fiore del fascismo e di riportare alla luce quella pericolosa interpretazione politica della realtà.

Insomma, si diceva chiaramente che, se l’italia non avesse condannato i fascisti, in futuro questi sarebbero potuti tornare, facendo le vittime, poiché non essendo “colpevoli”, visto che nessun fascista era stato condannato da un equo tribunale, e che, i soli fascisti condannati erano stati condannati da tribunali popolari del CLN, potevano, colpevolizzare le scelte dell’Italia antifascista, e, associando l’antifascismo al comunismo, rimettere in discussione l’intera struttura repubblicana ed i suoi equilibri istituzionali, poiché, in questa chiave interpretativa, i fascisti non vennero condannati per i propri crimini di guerra e contro l’umanità, ma, apparentemente, solo per ragioni politiche, rendendo quelle condanne apparentemente inique.

Fonti :

C.Pavone, Una guerra Civile.
M.Battini, Peccati di memoria.
L.Paggi, Il popolo dei morti.
Michele Battini, Peccati di memoria. La mancata Norimberga italiana.
Jon Elster, Chiudere i conti. La giustizia nelle transizioni politiche.
Jacques Sémelin, Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi
Joanna Bourke, Le seduzioni della guerra. Miti e storie di soldati in battaglia.
Carlo Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia.
Einaudi.Danilo Zolo, La giustizia dei vincitori.

Il ruolo della propaganda nella storia

La propaganda è oggetto di studi dal XX secolo circa. Ma è un fenomeno nuovo?
Essa nasce con la società e quindi, nel momento in cui l’uomo ha deciso di organizzarsi con una struttura sociale ben definita e con un sistema di potere. Ma com’è cambiata e soprattutto quando la propaganda ha cominciato ad assumere un ruolo centrale nella storia?
Proprio questi sono gli interrogativi da porsi per capire l’essenza di uno strumento da sempre fondamentale per la gestione del potere sulle grandi masse, che ha sempre mantenuto un alto livello di efficienza ed ancora oggi viene utilizzato.

Già in epoca pre-romana la propaganda era uno strumento diffuso per la conquista del consenso, per la costruzione dell’opinione pubblica ed il mantenimento di un equilibrio sociale. Emblema del suo utilizzo è Pisistrato, tiranno di Atene. Tra l’altro la propaganda di Pisistrato è, paradossalmente, più vicina a quella moderna che a quella utilizzata in epoca romana. Egli utilizzò elementi moderni quali il nemico pubblico e quelle che oggi definiamo fake-news. I Romani invece, nonostante l’inserimento dell’informazione all’interno della propaganda quale elemento nuovo, si concentrarono di più su messaggi di adorazione verso l’imperatore di turno.

Oggi sappiamo che questo tipo di propaganda non funziona, ma funziona invece quella più vicina a Pisistrato e cioè mascherata dietro un’informazione apparentemente libera ed indipendente, che utilizza la tecnica del nemico pubblico, delle fake news e che prende dai Romani l’utilizzo dell’elemento informativo.

Il passaggio significativo da una propaganda di questo genere, ovvero efficace, ma comunque antica ad una moderna c’è stato con la Prima Guerra Mondiale. Rappresentavano l’avanguardia in questo campo le grandi potenze europee e gli Stati Uniti. La Germania, sarà maestra della propaganda nella Seconda Guerra Mondiale. Con questo strumento si riuscì a far passare una guerra come un qualcosa di doveroso, necessario, addirittura sacro.

La Grande Guerra fu il banco di prova del potere della persuasione: oltre al fronte fisico vero e proprio e cioè le trincee, si costituì in ogni paese coinvolto un fronte interno con lo scopo di mantenere l’equilibrio sociale e giustificare, in qualche modo, i sacrifici che si chiedevano alla popolazione. La propaganda fu lo strumento centrale per reclutare soldati giovani da mandare in trincea.

Senza lo Zio Sam con “I Want You” probabilmente nessuno si sarebbe mai arruolato volontariamente per andare a combattere con il 50% delle possibilità di non tornare a casa. Senza lo slogan “Fare il mondo sicuro per la democrazia”, probabilmente il popolo americano non avrebbe mai accettato la decisione del governo di entrare in guerra nel 1917 e si sarebbe organizzato per ribellarsi. Invece, con un’ottima propaganda si riuscì addirittura a rendere gli americani contenti ed orgogliosi dell’azione militare intrapresa. In Inghilterra nel solo primo anno di guerra si arruolarono circa 200.000 giovani grazie ad un’azione propagandistica fatta di 12.000 riunioni, 8 milioni di lettere, 54 milioni di manifesti e volantini: un ingente investimento che diete i frutti attesi. Co

n azioni di propaganda si finì per far credere alle masse che la guerra fosse un atto sacro e pian piano s’instaurò una vera e propria religione basata sulla guerra: altari della Patria, sepoltura del milite ignoto, cimiteri di guerra, monumenti ai caduti, spade accomunate a croci, soldati morti considerati martiri della Patria. Insomma, una vera e propria religione civile arricchita dagli elementi della sacralità della guerra e del militarismo.

Ma perché dalla propaganda si arrivò poi a delineare una vera e propria religione? Semplice, basta rifarsi alla definizione naturale del termine “propaganda”:

ciò che della fede deve essere propagato, cioè le credenze, i misteri, le leggende dei santi, i racconti dei miracoli.

Non si trattava di trasmettere quindi una conoscenza obiettiva e accessibile a tutti tramite il ragionamento, ma di convertire a verità nascoste che promanano dalla fede, non dalla ragione.

Nonostante quello appena descritto sia stato un significativo passaggio da una propaganda antica ad una moderna, essa non era ancora oggetto di studio vero e proprio e soprattutto non era ancora uno strumento largamente diffuso. Divenne una vera e propria scienza dopo la Grande Guerra, in particolar modo con Edward Bernays, nipote di Freud, che sfruttò la teoria freudiana della psicanalisi rendendo la propaganda uno strumento ancora più potente. Successivamente, con una geniale intuizione lo sfruttò anche in campo commerciale. Numerose aziende si affidarono a Bernays per accrescere il proprio volume di affari.

Perché gli inglesi oggi fanno colazione con uova e pancetta? Perché Bernays ricevette da un’azienda produttrice di pancetta l’incarico di fare una propaganda affinché aumentasse il consumo del loro prodotto. E. B. riuscì a trasmettere alla popolazione il messaggio secondo cui la mattina è necessaria, nonché consigliata dai medici, un’abbondante colazione, quindi cosa meglio di uova e pancetta?

È incredibile come con un semplice messaggio propagandistico si riesca a controllare una massa e a portarla a fare ciò che si vuole, a prescindere da tutto.

La propaganda, largamente diffusa ed utilizzata anche in ambito commerciale, assunse un particolare rilievo e raggiunse il suo apice di sviluppo nell’epoca dei totalitarismi e della Seconda Guerra Mondiale. Emblema di questo apice fu il  manifesto “Es Lebe Deutschland” della propaganda Nazista, che contiene tutti gli elementi della propaganda moderna e soprattutto della religione che con i totalitarismi da civile divenne politica. Ad oggi maestro della propaganda è il califfato islamico, che con tale strumento è riuscito a mettere in uno stato di continua tensione l’intero occidente. Per quanto possiamo essere informati e consapevoli circa il potere della propaganda, questa funzionerà sempre, perché agisce sull’inconscio.

Fonti:

M.Regnedda, Propaganda
G.Sabatucci, V.Vidotto, Storia Contemporanea, novecento
Marco Montemagno, la propaganda
L’invenzione della propaganda
N.Ferguson, Verità taciuta

Hitler: il prodotto di una pedagogia nera


La proiezione del vissuto infantile nella storia mondiale


Le gesta di Adolf Hitler sono note, in modo più o meno dettagliato, a tutti. Quello che c’è stato dietro quelle gesta, ciò che ha prodotto quel risultato: se lo chiedono in pochi. In molti si soffermano sulle date, sugli avvenimenti, sulle invasioni, sulle alleanze. In pochi si chiedono chi sia stato veramente A. Hitler, e ancora meno si soffermano a capire il ragionamento di un dittatore o di un folle, come alcuni lo definiscono. In molti si affrettano a dare giudizi: il nazismo un bene o un male? Hitler, bravo o cattivo? Non diamo giudizi, cerchiamo di capire.

L’Infanzia

Adolf Hitler era figlio di Kiara Polzi e Alois Hitler, entrambi austriaci, di probabile origine ebrea e quasi sicuramente consanguinei. Adolf era il quarto ed unico figlio della coppia, sopravvissuto sano fino all’età adulta. Proprio per questo motivo la madre, Kiara, si dice che lo amò profondamente. Ma se ragioniamo sul concetto di amore vero e puro, sappiamo tutti che questo corrisponde ad un’apertura e ad un’attenzione nel comprendere quelli che sono i veri bisogni di un figlio. Il comportamento di Kiara non corrisponde a questo concetto, perché in lei non c’era quest’apertura e attenzione e proprio quando manca questa disponibilità, il bambino viene viziato, vale a dire colmato di concessioni e sommerso di oggetti di cui non ha affatto bisogno, solo come surrogato per ciò che non gli si può dare a causa dei propri problemi personali. Se Adolf fosse stato davvero amato, avrebbe acquisito anch’egli la capacità di amare. Le sue relazioni con le donne, le perversioni dimostrano che non aveva ricevuto affetto da nessuno dei due genitori. Ma come Kiara poteva amare Adolf, dopo che gli erano morti tre figli? Lei visse questi decessi come uno shock, che la portarono così ad aver paura di amare. Una paura inconscia derivante dal costante timore che anche quest’ultimo figlio potesse andare incontro alla stessa sorte degli altri tre. Neanche Alois amò Adolf, al contrario lo picchiava spesso e picchiava anche la moglie. Alois rappresentava la figura dominante della famiglia, tutti dovevano essere sottomessi alla sua volontà ed alla sua eccessiva intransigenza, specialmente in pubblico. Bello, affascinante, forte, feroce: questo era il padre di Adolf Hitler.

La proiezione

Sulla scena della politica mondiale egli recitò senza rendersene conto il vero dramma della sua infanzia. La struttura della sua famiglia si può descrivere come il prototipo di un regime totalitario. Il suo unico e incontrastato signore è il padre. La moglie e i figli sono completamente sottomessi al suo volere, l’obbedienza è la loro principale regola di vita. Il regime totalitario istituito da Adolf Hitler non è quindi altro che il prodotto della pedagogia nera, ovvero di un’infanzia tragica e segnata da continue violenze ed abusi. Proprio nelle gesta di Hitler, nell’istituzione del suo regime, si vede come egli per reagire a questa pedagogia nera abbia scomposto il proprio sé reagendo con la proiezione ovvero con l’attribuire a persone o oggetti esterni i propri impulsi e desideri proibiti; l’intolleranza dell’individuo nei riguardi degli altri è accompagnata dalla severità verso sé stesso; l’effetto di questo meccanismo è la rottura del legame tra gli istinti inaccettabili e l’io. Un regime totalitario che probabilmente non sarebbe mai nato se Hitler avesse avuto un’infanzia diversa. Egli, inconsciamente, incarnò quindi il padre. Alois era rappresentato da Hitler in entrambe le sue forme: il ridicolo dittatore in uniforme, così come lo vedeva Adolf ed il grande dittatore, ammirato ed amato dalle masse, visione che invece aveva la madre Kiara di Alois. Ma se da un lato Adolf incarnò, inconsciamente, la figura del padre, sul piano conscio egli voleva vendicarsi di lui. Il sospetto che il padre fosse ebreo, fece in modo che Adolf identificò negli ebrei il nemico da estirpare e su cui consumare la propria vendetta. Egli trasferì alle masse, ovvero a se stesso e a sua madre, tale concetto. Possiamo, in conclusione, affermare che anche dietro lo scenario più folle ed abominevole della storia c’era una logica, criminale, ma neanche tanto complessa e strana. Hitler non è stato quindi un semplice dittatore, un folle, un malato, bensì il risultato di un’educazione sbagliata e del tentativo di correggere il proprio passato non gradito, attraverso la proiezione del proprio vissuto infantile in uno scenario mondiale. A farne le spese sono stati milioni di uomini e donne che hanno avuto la sfortuna di appartenere a quel target che Hitler identificò come nemico. Adolf adulto e nelle vesti del führer rappresentava il padre nel senso autoritario, le masse erano identificate come Kiara ed Hitler bambino e gli ebrei come il padre nel senso del nemico da cui Hitler bambino doveva a tutti i costi difendersi e difendere sua madre. E tutto torna, tutto ha una sua logica.

Fonti:

I Meccanismi di Difesa secondo A. Freud (http://www.igorvitale.org/2015/01/27/9-meccanismi-di-difesa-secondo-anna-freud/)

Psicopatologia di Hitler (http://www.igorvitale.org/2016/06/04/psicopatologia-di-hitler/)

Il profilo psicologico di un criminale (http://www.igorvitale.org/2016/07/05/psicologia-di-hitler-profilo-psicologico-criminale/)
L’ascesa al potere di Adolf Hitler (http://www.raistoria.rai.it/articoli/l%E2%80%99ascesa-di-hitler/32524/default.aspx)

 

Le olimpiadi dei Nazisti

Nell’agosto del 1936 per circa due settimane, dal primo al sedici del mese, la città di Berlino avrebbe ospitato, per quell’anno, i giochi olimpici.

Come da tradizione, i giochi olimpici estivi si svolgono ogni quattro anni, e saranno ospitati da una città designata già prima dell’inizio dell’edizione precedente, e il 1936 non venne meno a questa tradizione. La scelta della capitale tedesca di fatto risaliva al 1931, si tratto di una scelta di natura politica, un segno di riavvicinamento alla Germania che nel primo periodo dopo la fine della grande guerra era stata messa al bando dalla comunità internazionale.

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La scelta tuttavia avvenne ben prima dell’avvento al potere di Adolf Hitler e del partito Nazionalsocialista, e quando il cancelliere tedesco iniziò ad accentrare nelle proprie mani numerosi poteri, in diversi paesi europei ed extraeuropei sorsero numerosi movimenti di protesta che avrebbero portato alla decisione di un boicottaggio dei giochi olimpici berlinesi.

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Il boicottaggio tuttavia fallì quando nel 1935 l’Associazione degli atleti dilettanti degli stati uniti d’America, votò a favore della partecipazione, il suo voto fu immediatamente seguito da quello di altre associazioni e organizzazioni negli USA e in Europa.

L’organizzazione e la promozione dei giochi olimpici nazisti fu molto meticolosa e curata nei minimi dettagli, Hitler e la Germania approfittarono di questa opportunità per mostrarsi al mondo con un abito nuovo, nascondendo alle apparenze l’ideologia razzista ed antisemita. Per questi motivi, vista la grande presenza a Berlino di turisti e giornalisti provenienti da tutto il mondo, in previsione delle olimpiadi la città si ripulì di ogni simbolo e riferimento razzista, portando avanti le proprie operazioni nella maniera più cauta possibile, e in questo senso riuscì a nascondere il rastrellamento di Rom avvenuto proprio a Berlino in quei giorni. E ci si assicurò che gli ospiti stranieri non sottoposti alla legge tedesca contro gli omosessuali, evitando loro le eventuali conseguenze penali.

Furono costruiti palazzetti dello sport, stadi e quant’altro, il tutto adornato in maniera fatiscente con stendardi, bandiere e svastiche.

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Per quanto riguarda la promozione e la propaganda, il Reich non mancò di fare largo uso dei mezzi a propria disposizione. Fu creato un legame mitico tra la Germania e l’Antica Grecia, la quale rappresentava visivamente il mito nazista della superiorità della civiltà tedesca come “l’erede di diritto dell’antica cultura classica Ariana”.

Quella visione dell’antichità classica enfatizzava i caratteri somatici “Ariani”

Portamento eroico, occhi azzurri, capelli biondi e lineamenti finemente cesellati.”

Lo sforzo propagandistico continuò ben oltre la conclusione dei giochi e raggiunse il suo culmine nel 1938, con la proiezione del film “Olympia” diretto da Leni Riefenstahl, un film commissionato dal regime prima dell’inizio dei giochi e che aveva il compito di documentare lo svolgimento delle olimpiadi.

L’XI edizione dei giochi olimpici estivi fu inaugurata ufficialmente, da Hitler in persona, il 1 agosto 1936 quando un atleta giunse nello stadio con in mano una fiaccola che con un sistema di staffe era arrivato da Olimpia in Grecia.

Presero parte a quella edizione 49 squadre e un totale di circa 15.000 atleti, la squadra più numerosa fu schierata dalla Germania nazista con un totale di 348 atleti, seguita a ruota dagli Stati Uniti d’America con i suoi 312 atleti di cui 18 afro-americani.

Le olimpiadi si conclusero con un trionfo tedesco in quasi tutti i giochi, e non solo, l’ospitalità tedesca fu particolarmente apprezzata dai visitatori giunti in città ed i giornali di tutto il mondo si espressero in favore del finalmente avvenuto rientro della Germania nella comunità internazionale.

Il New York Times scrisse che, grazie ai giochi, la Germania aveva riavuto “il suo posto tra le nazioni” e “un volto nuovamente umano”.

Purtroppo però, si trattò solo di una bella facciata, e gli scheletri nazisti furono tirati fuori dagli armadi già all’indomani della conclusione dei giochi.

 

Non appena gli articoli post-olimpici furono archiviati Hitler e la leadership nazista accelerarono l’attuazione dei propri progetti espansionistici e ricominciarono epurazioni, rastrellamenti e persecuzioni. Il 18 agosto 1936 appena due giorni dalla fine delle XI Olimpiadi, il capitano Wolfgang Fuerstner, responsabile del villaggio olimpico, fu espulso dall’esercito perché discendente di Ebrei, questa espulsione avrebbe portato al suo suicidio.

L’accelerazione subita dall’autoritarismo nazista si tradusse nella trasformazione in fuorilegge di rom ed ebrei, i quali furono considerati “nemici dello stato” e in quanto tali, sistematicamente perseguitati e privati dei propri averi e dei propri diritti.

Fonte
L’enciclopedia dell’Olocausto