Solo di fronte alla morte gli uomini sono tutti uguali

Non c’è strumento migliore della guerra, per conseguire la pace, in fondo, solo di fronte alla morte gli uomini sono davvero tutti uguali.

Non c'è strumento migliore della guerra, per conseguire la pace, l'Europa ne è testimone, dopo secoli insanguinati da conflitti e scontri di popoli e civiltà, ha conosciuto uno dei massimi momenti di pace (interna) solo dopo aver sfiorato l'annichilimento totale.

L’Europa ha conosciuto una primordiale forma di pace (interna) solo in seguito ai due conflitti mondiali, solo dopo aver visto le porprie città bruciare, ridotte in macerie dai bombardamenti aerei dei vari partecipanti al conflitto, solo dopo aver visto intere generazioni mandate al macello, a morire di stenti, freddo e fame, in una qualche linea di frontiera ai confini del mondo, o in qualche campo di lavoro e di morte, in un inferno glaciale, dove il ghiaccio stesso e la neve, non erano abbastanza freddi se paragonati ai cuori degli uomini, aguzzini, che sorvegliavano quei campi.

Di questo mondo inquietante che sembra uscito dalla perversa mente di uno scrittore in preda ad un trip allucinogeno, ne abbiamo, purtroppo, infinite testimonianze, uomini, donne e bambini sopravvissuti all’inferno, esseri umani che avevano perduto la propria umanità ed erano diventati spettri, meri contenitori vuoti, di un anima ormai perduta. Le loro menti erano state annientate, i loro corpi deturpati, ed i più fortunati tra loro, avevano conosciuto il privilegio della morte.

L’europa, dopo quell’esperienza ha deciso di voltare pagina, di andare avanti, di costruire un mondo nuovo fondato non più sulla guerra, ma sulla pace, sul compromesso, sul dialogo, un mondo al cui vertice era posto un delicato ed effimero intreccio di istituzioni internazionali e sovranazionali a cui venne affidato il compito di sorvegliare, se pur in modo limitato, sui rapporti tra le nazioni, nel vano tentativo di trovare e proporre soluzioni diplomatiche ai conflitti.

Italia, Francia, la Germania Regno Unito e ancor di più il Giappone, videro con i propri occhi la fine inesorabile dell’umanità, videro l’atomo dare voce alla propria collera, videro la morte affacciata ai balconi e nelle strade, acclamata da folle festanti, sentirono il suo sospiro, la sua ferma carezza, ed il suo fetido odore, che per puro caso aveva lo stesso odore di un corpo umano che brucia tra i ghiacci del nord.

Alcuni dei paesi che sopravvissero, a fatica, a questo scempio, decisero di rivolgere lo sguardo al futuro e di consegnare alla storia quei terrificanti momenti, fu un tentativo estremo di esorcizzare quel crimine immane che fu l’indifferenza totale, ma questo non è bastato.

Quei demoni umani, dalle fattezze di uomini comuni, mediamente intelligenti ed estremamente stupidi, rimasero dormienti, nell’ombra, approfittando della più grande fallacia della democrazia, la sua natura democratica ed inclusiva. E fu così, che uomini intolleranti pretesero di essere accolti in un mondo che puntava a diventare civile, ad emanciparsi, e in quel mondo, iniziarono, di nuovo, a sfasciare ogni cosa, a reprimere nel sangue qualunque visione del mondo diversa dalla propria, e si sa, la stupidità è più contagiosa di un raffreddore.

La guerra ha costretto l’europa ad abbracciare la pace, o almeno a provarci, ma la pace forse non appartiene all’uomo, e come sosteneva Hobbes, è solo un momento di transizione, di recupero delle energie e di riorganizzazione prima di una nuova guerra. L’umanità sembra ancora incastrata in quel sistema di guerra permanente dalla quale Hobbes non vedeva scampo, e forse aveva ragione, perché in fondo, all’umanità la pace piace, ma piace di più la guerra, e la guerra appare come necessaria per il conseguimento di brevi momenti di riposo e di pace.

C’è quasi la necessità, per gli uomini, di sacrificare periodicamente qualche generazione affinché i posteri possano vivere in un apparente armonia. Sembra quasi, che l’unico modo reale per conseguire la pace, sia attraverso la guerra, attraverso la paura, attraverso la repressione del diverso.

E allora, solo in un mondo dove non c’è più libertà di espressione ne di pensiero, dove l’opposizione politica è repressa nel sangue, solo lì, può prospera la pace. Certo, è una pace armata, fittizia, una pace apparente in cui non vi è serneità e la paura regola i più elementari rapporti umani, ma in fondo è pur sempre pace no?

Nel secolo scorso persino Hitler e Mussolini, a modo loro, sono stati portatori di pace… non arrabiatevi, è una provocazione… dopo aver eliminato e fatto assassinare i propri oppositori politici, dopo aver chiuso in cella, messo a tacere o fatto sparire chiunque la pensasse diversamente da loro, e dopo aver provato a sterminare un intera etnia (forse più di una), avrebbero sicuramente condotto ciò che restava dell’umanità, il popolo eletto, eletto da chi poi boh, verso una società più salda e sicura (applausi e ovazioni dal senato intergalattico della repubblica appena trasformata in Impero).

E del resto cosa vuoi che sia qualche milione di esseri umani ridotti in schiavitù e assassinati nei campi, cosa vuoi che sia qualche migliaio di morti in mare, in fondo, se sono nati nella parte “sbagliata” del pianeta la colpa non è mica di noi altri più fortunati che siamo nati con le chiappe al caldo. E se sono morti, in fondo se la sono cercata, potevano stare più attenti al momento della nascita e da adulti potevano adeguarsi alla visione unica di chi deteenva il potere… se hanno scelto di opporsi e cercato di cambiare il proprio status, che se ne assumano la responsabilità.

E allora, W il pensiero unico, poiché solo in un mondo totalmente privo di ogni diversità, dove l’umanità è ridotta ad un insieme di automi accondiscendenti e privi della propria volontà, privi della propria individualità, solo lì, quel mondo distopico che neanche Orwell avrebbe mai osato immaginare, può prosperare la pace reale… tutti gli altri possono anche morire.

Sotto l’occhio vigile del signore oscuro di mordor, dove il potere oscuro dei Sith si estende ben oltre l’orizzonte, in un mondo oscuro e selvaggio, dove vige la legge della paura, dove vige la legge del più forte, solo lì può esistere la pace, certo, una pace fittizia, illusiria, silenziosa, ma pur sempre pace… poiché è solo nell’ombra che gli uomini sono davvero tutti uguali, lì, nel buio più totale, dove l’oscurità è così fitta da impedire alla luce di passare, dove gli occhi sono chiusi e non vedono, dove le orecchie non sentono e le bocche non parlano, lì, dove non è possibile percepire alcun che, non esistono differenze, del resto, come scriveva anche Totò “A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella”.

Sono tentato di chiedere asilo politico alla Cina, che di questi tempi sembra essere forse il paese più progressista del globo.

A.De Curtis, A livella
H.Aarendt, Le origini del totalitarismo
H.Arendt, La banalità del male
I.Kant, Per la pace perpetua
J.R.R.Tolkien, Il signore degli Anelli
Star Wars
T.Hobbes, Leviatano

Diovremmo lottare per chiedere diritti, ma preferiamo negarne.

L’umanità, nella sua storia, ha sempre cercato di migliorare la propria condizione, ogni popolo, ogni villaggio, ogni nazione della storia ha sempre cercato di ottenere un vantaggio sugli altri, sia all’esterno che all’interno delle mura. E da sempre, nella storia dell’umanità, le “masse popolari” si sono battute per ottenere maggiori diritti, mentre l’aristocrazia, la classe privilegiata, cercava di non concedere diritti per non perdere i propri privileggi che, se concessi anche ad altri, non sarebbero più stati tali.

L’umanità, nella sua storia, ha sempre cercato di migliorare la propria condizione, ogni popolo, ogni villaggio, ogni nazione della storia ha sempre cercato di ottenere un vantaggio sugli altri, sia all’esterno che all’interno delle mura. E da sempre, nella storia dell’umanità, le “masse popolari” si sono battute per ottenere maggiori diritti, mentre l’aristocrazia, la classe privilegiata, cercava di non concedere diritti per non perdere i propri privileggi che, se concessi anche ad altri, non sarebbero più stati tali. E dall’altra parte, l’aristocrazia, pur di non concedere questi diritti alle masse popolari, ha sempre cercato di deviare l’attenzione su un “altro” esterno, un nemico alieno alla propria società, contro cui puntare il dito, riconoscendo ad essi, agli altri, barbari venuti da lontano, la responsabilità di ogni male della società.

Ed è sempre stato così, sempre, fin dalla notte dei tempi, e pure, negli ultimi decenni, qualcosa è cambiato.

Nel XIX e successivamente in gran parte del XX secolo, gli esseri umani hanno portato avanti lotte e battaglie per il riconoscimento e l’ampliamento dei propri diritti. Il principio alla base di queste battaglie era uno ed uno soltanto, se qualcosa, qualsiasi cosa, è un diritto per qualcuno, allora deve esserlo per tutti.

Si tratta di un principio semplice, giusto, ed è giusto perché è semplice, perché ha valore universale e non richiede sforzi particolari per essere compreso o messo in atto. diciamo che per la messa in atto ciò che serve è solo un po’ di buona volontà.

Il nostro secolo è differente, il nostro tempo è differente.

Una nebbia tenebrosa e oscura sta avvolgendo il nostro tempo, il nostro mondo, siamo all’alba di un lungo inverno, ma privi eroi carismatici in grado di fermare l’avanzata dei morti, siamo soli, in un mondo sempre più oscuro in cui si lotta per sopravvivere litigando per un pezzo di pane stantio istigati da chi dall’alto addenta un cosciotto di pollo fumante.

Stiamo vivendo una guerra tra poveri, cercando di raccattare pochi spicci, mentre ignoriamo il grande tesoro che si cela in bella vista a pochi passi da noi.

Oggi, ormai ad un passo dallo scoccare della campana che segnerà la fine del primo quarto del XXI secolo, le battaglie e le lotte per i diritti, hanno cambiato volto, sembrano non essere più battaglie per il riconoscimento dei propri diritti, ma, almeno per quanto riguarda le istanze di un certo ambiente politico, sembrano battaglie volte a negare e addirittura togliere diritti. Oggi, per assurdo non ci si batte più un aumento dello stipendio minimo, ma per ridurre lo stipendio di qualcun altro.

Non ci battiamo per avere più diritti, ma assecondiamo chi punta ad una limitazione e riduzione dei nostri stessi diritti, giustificando queste limitazioni dietro un finto senso di diversità tra gli esseri umani in base alle proprie origini e al proprio credo religioso o peggio, alla propria visione politica. Come se credere in un dio invece che in un altro, possa essre un fattore discriminante per il riconoscimento dei propri diritti civili in uno stato laico.

L’umanità sembra aver rinunciato alla propria progressiva emancipazione e almeno nel mondo occidentale, sembra aver messo da parte i principi dell’illuminismo e i valori di pace e armonia universale, per stringersi nel fatale abbraccio di Marte, il cui sospiro si traduce in venti di guerra tra gli uomini, la cui stessa esistenza si fonda sullo scontro tra uomini e l’annientamento reciproco.

Non so se è per la poca memoria storica, o per la poca memoria in generale, so solo che gli esseri umani hanno iniziato, negli ultimi tempi, una frettolosa corsa verso il baratro, desiderosi di compiere quel salto nel vuoto, senza paracadute o elastico, desiderosi di schiantarsi, nella speranza che durante il precipitoso volo possano spuntare loro dele ali, come qualcuno ha promesso loro dall’alto di un balcone, mentre sotto la camicia nera indossava il proprio paracadute.

Viviamo nell’epoca della menzogna tollerata, dove non importa davvero ciò che è o ciò che stato, importa invece ciò che ci viene raccontato, e se non è vero è indifferente, perché potrebbe essero e dunque la verità perde di ogni valore e vero viene sovrascritto dal plausibile, e tanto basta per legittimare pensieri e richieste di limitazione di diritti altrui. Per legittimare disonestà, menzogne e falsità raccontate per puro interesse politico.

Viviamo in un epoca in cui una fetta importante della popolazione mondiale, punta, senza vergogna, a miglirare la propria condizione di vita a discapito degli altri, in una paradossale dinamica per cui l’ampio divario tra ceto medio e ultramilionari, sembra inesistente, mentre il divario estremamente effimero tra poveri e ceto medio, sembra abnorme, e la povertà diventa una colpa, diventa sinonimo di inadeguatezza, qualcosa di cui vergognarsi, mentre la criminalità vera e pericolosa viene perdonata, tollerata e a tratti, subdolamente tutelata, fino al punto estremo in cui chi cerca di sopravvivere, banalmente chiedendo l’elemosina o appoggiandosi a centri d’assistenza, viene percepito dalla società come una piaga, come un male da estirpare, come un parassita, come un feroce criminale di cui liberarsi il prima possibile. Chi cerca di avviare un attività legale, facendo sacrifici enormi per pagare le tasse, viene percepiro dalla società come un inetto, uno sciocco, un servo dell’europa. Mentre chi ruba milioni, chi truffa lo stato, chi evade il fisco, sfrutta disperati e giovani pagando loro una miseria per innumerevoli ore di lavoro al limite dell’umano, al di fuori della legalità e rasentando la schiavitù, viene percepito come un benefattore, un paladino, un eroe, qualcuno che non ha paura di sfidare i poteri forti.

E in mezzo a tutta questa licenza, chi salva vite umane o sfugge dall’inferno in cui viveva, viene perseguito dalla politica e portato d’avanti alla legge, come fosse un criminale della peggior specie, mentre dall’altra parte, contemporaneamente, si applaude e si conferiscono medaglie ai trafficanti di morte, venditori d’armi, droghe e schiavi, acclamandoli come risorse e benefattori.

Questa è la sporca progene del nostro tempo, figlia malata di un mondo al limite delle proprie energie, immersa in una pericolosa e precipitosa discesa verso il baratro, al cui fondo gli uomini lottano come barbari selvaggi per un pezzo di pane e degli avanzi, gentilmente concessi dai signori della guerra che alle nostre spalle e a nostre spese, banchettano su ricche tavole imbandite, con caviale, ostriche e champagne, inneggiando al nazionalismo, alla gloria e al valore del proprio popolo, mentre i propri risparmi sono al sicuro investiti investiti all’estero.

Questa è l’età della falsità, è il secolo dell’ipocrisia, il tempo della memoria corta, in cui si applaude per convenienza a chi appena pochi minuti prima ti insultava.

Quando in futuro gli storici racconteranno il nostro tempo, lo faranno con parole impietose, dure, forti. Parole pure e forse stranite, di chi guardandosi alle spalle, rivolgendo con distacco il proprio sguardo al nostro tempo, non potrà evitare di chiedersi come tutto ciò è stato possibile.

L’umanità è dormiente, ipnotizzata da pifferai, le cui subdole melodie si insinuano nelle coscienze e risveglia mostri sempre pronti a colpire, uccidendo amore, rispetto, tolleranza e solidarietà.

Chi era Giulio Cesare?

Gaio Giulio Cesare fu un personaggio chiave nella storia romana, proprio grazie alla sua dittatura ci fu un primo avvicinamento alla monarchia, inoltre fu un grande condottiero che guidò i suoi eserciti alla conquista della Germania, Britannia, Gallia, Grecia, Egitto e Ponto.

Gaio Giulio Cesare fu un personaggio chiave nella storia romana, proprio grazie alla sua dittatura ci fu un primo avvicinamento alla monarchia, inoltre fu un grande condottiero che guidò i suoi eserciti alla conquista della Germania, Britannia, Gallia, Grecia, Egitto e Ponto.

Formò il primo triumvirato con Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso.

Dopo la morte di Crasso iniziò la sua salita al potere, nel 49 a.C. risalì il Rubicone con le sue legioni e con la frase “alea acta est” diede inizio alla guerra civile che vinse definitivamente del 48 a.C. diventando dittatore.

Della sua dittatura due sono i gesti estremamente forti attraverso i quali viene ricordato, il primo episodio si svolse in una mattinata, qualcuno aveva posto ai piedi della statua di Cesare un diadema, simbolo della regalità romana, due tribuni della plebe lo accusarono di volersi proclamare re di Roma, Cesare convocò immediatamente il senato e accusò i due tribuni di aver messo loro il diadema per incastrarlo e creare scompiglio nel popolo, per punizione gli tolsero la carica di tribuni.
Il secondo episodio, il più importante, è ricordato come l’episodio dei Lupercali, durante questa festa romana, alla quale cesare assisteva dai rostri, Licino gli depose un diadema d’oro sui piedi, il popolo esortò Lepido di incoronare Cesare, quest’ultimo esitò, allora Cassio gli pose il diadema sulle ginocchia senza il consenso di Cesare, Antonio infine lo mise sulla testa del dittatore salutandolo come re, Cesare lanciò via il diadema e disse al popolo che il suo nome era Cesare e non Re e ordinò che fosse posto sul capo della statua di Giove.

Nel 44 a.C. Cesare nominò console Marco Antonio, questo gesto provocò rancore in cassio che iniziò a cercare tutti i nemici che Cesare si era fatto durante la sua dittatura, con le altre persone che volevano Cesare morto iniziò ad organizzare un omicidio che si consumò il 15 marzo del 44 a.C., nel giorno delle Idi di marzo.

Si racconta che prima dell’assassinio si Cesare ci furono vari segni, si udirono rumori strani nella notte, durante un sacrificio Cesare non riuscì a trovare il cuore della bestia che stava uccidendo, segno di malaugurio. la tradizione vuole che la notte prima dell’omicidio la moglie di Cesare avesse sognato di tenere fra le braccia il marito morto, lo stesso Cesare sognò di stare con Giove nel cielo, avvolto dalle nuvole.

Ma il segno più impressionante fu l’iscrizione sulla tomba del fondatore di Capua Capi che recitava: “Quando verranno scoperte le ossa di Capi, un discendente di Iulo verrà assassinato per mano dei suoi consanguinei, e subito sarà vendicato con grandi stragi e lutti per l’Italia. Questo discendente fu Cesare.

Daenerys Targaryen è Napoleone! e come tale va amata per ciò che è stata e odiata per ciò che ha fatto.

Il personaggio di Daenerys Targaryen è ispirato a Napoleone, e questo legame con l’imperatore francese è sufficiente a spiegare quelle che ad alcuni osservatori possono sembrare incoerenze del personaggio.

Deanerys Targaryen non è impazzita troppo velocemente nell’ultima stagione, è sempre stata “pazza”, parliamo della stessa donna che ha chiuso un uomo in una cassaforte, ucciso il fratello versandogli dell’oro fuso in testa e si è fatta bruciare viva insieme al marito.

Stasera voglio parlarvi di Daenerys Targaryen del trono di spade, ma non preoccupatevi, non vi farò spoiler, principalmente perché userò la scusa di Daenerys e di Game of Thrones, per parlare di storia e Napoleone… più o meno.

Prima di cominciare con l’articolo, se pensi che il paragone tra Napoleone e Daenerys sia azzardato ti propongo un gioco, dimmi a chi tra Daenerys e Napoleone, si riferisce questa descrizione, e se non riesci a rispondere, forse il paragone non è così azzardato come pensavi.

Napoleone o Daenerys ?

Portatore di ideali rivoluzionari e moderni, immerso in un mondo a metà tra due epoche che si è ritrovato quasi costretto ad affrontare una minaccia spettrale proveniente dal vecchio mondo. Un personaggio che è allo stesso tempo sogno ed incubo per gli abitanti di un intero continente, le cui gesta riecheggiano anche fuori da quel continente.

Negli ultimi giorni ho letto molti commenti e critiche agli ultimi episodi, in cui si diceva che il personaggio è stato snaturato, rovinato ecc, beh, la mia magari sarà una voce impopolare, una voce fuori dal coro, ma non credo che sia così.

Tutte le volte che mi è capitato di parlare del trono di spade e di Daenerys, ho sempre detto, e sul mio canale youtube c’è un video di tre anni fa a testimonianza di ciò, che il suo personaggio era profondamente ispirato alla figura storica di Napoleone, e a tratti a quella della regina Vittoria, e alla luce delle ultime vicende narrative dell’ottava ed ultima stagione, non posso che confermare questa mia antica tesi, stabilendo in via definitiva che Daenerys è Napoleone. Senza se e senza ma, è Napoleone in tutto e per tutto, negli atteggiamenti, nelle idee, nella politica, nella strategia e nella simbologia, e proprio come Napoleone il suo personaggio è ricco di contraddizioni, e fondamentalmente è da amare per ciò che è stata e da odiare per ciò che ha fatto.

Napoleone nella storia europa è stato un punto di rottura che ha dato inizio, nel bene o nel male, ad un vero e proprio mondo nuovo, un nuovo modo di vivere e concepire la società, e lo stesso fa Daenerys nel proprio mondo, soprattutto ad Essos, ma anche a Westeros.

Daenerys della casa Bonaparte, si è fatta portatrice di valori ed ideali rivoluzionari, nuovi e moderni per il mondo in cui è cresciuta ed ha vissuto ed ha incarnato la visione di un governo illuminato, stando alla testa di un impero, costruito in maniera fulminea, grazie a fiumi di sangue versato, e di sangue la platinata ad Essos ne ha versato parecchio.

Non prendiamoci in giro, fatta eccezione per i fedelissimi, ai quali ha concesso molte libertà, questo personaggio è sempre stato spietato e implacabile, con chiunque, soprattutto con i propri oppositori, rivali e nemici. O forse avete dimenticato cosa ha fatto ai padroni e schiavisti di Astapor, Yunkai, Meereen? Quale destino ha riservato ai capi dei Kalasar Dothraki che non le hanno riconosciuto la guida del popolo Dothraki quando è stata portata (prigioniera) a Vaes Dothrak.? e non ultimo, avete forse dimenticato cosa ha fatto a quell’inetto di suo fratello Viserys? O sono l’unico a ricordare la colata di oro fuso sulla testa del biondino e le innumerevoli vite umane spezzate dai draghi, su ordine di Daenerys, nel continente orientale?

Certo, qualcuno potrebbe osservare che “loro” se lo meritavano, in fondo Viserys l’aveva venduta a Khal Drogo, e gli schiavisti di Astapor, Yunkai e Meereen, non erano proprio dei santi… ed è vero, non lo erano, non erano dei santi, ma non dimentichiamo che i suoi fedeli ed i draghi, hanno continuato, uccidere e affondare navi nemiche, anche dopo la resa, nonostante fosse una resa incondizionata.

Quando si parla di Daenerys Targaryen nata dalla tempesta, la madre dei draghi e Khaleesi del grande mare d’erba, non bisogna dimenticare che quei titoli non se li è dati per caso, e non li rinfacciava a chi aveva di fronte solo per allontanare la conversazione, ma li ostentava come medaglie dei propri traguardi politici e militari.

Daenerys ha conquistato l’obbedienza di un popolo di schiavi spartani, che conoscevano solo il linguaggio della forza e della guerra, non perché era carina e dolce, ma perché dimostrò loro di essere una donna forte e inflessibile.

Non è diventata Khaleese per diritto di nascita o perché si scopava il personaggio di Jason Momoa, ma perché ha dimostrato, ad un popolo di feroci e crudeli razziatori mongoli, che ricordiamolo, si ammazzavano per divertimento e mangiavano cuori di cavallo crudo per dimostrare quanto ce l’avevano grosso (il codino), di essere più feroce e crudele di loro e soprattutto di avercelo più grosso di loro, sia il codino che la cavalcatura.

Il personaggio di Daenerys sul piano storico, non è mai stato un personaggio totalmente positivo o negativo, apparentemente poco profondo ma in realtà è forse uno dei tre personaggi più complessi di tutta la serie, insieme a Sansa Stark e John Snow, all’anagrafe di Westeros Aegon Targeryan, figlio di Rhaegar Targeryan.

Daenerys credo ormai sia chiaro, è un personaggio che mi è sempre piaciuto, anche se non proprio il mio preferito. Ad ogni modo, la platinata mi piace principalmente per due motivi, il primo è che si rifaceva a Napoleone e a tratti alla regina Vittoria (che adoro, soprattutto nell’interpretazione data da Jenna Coleman), e il secondo è che si tratta di uno dei pochissimi personaggio in tutto il trono di spade a non essere mai stato realmente definito in modo chiaro, l’altro personaggio a non essere mai stato definito in modo chiaro è Sansa Stark.

Personalmente credo che questa ambiguità sia stata una scelta soprattutto narrativa e condizionata dal fatto che, autori e sceneggiatori, per quanto potessero essere aiutati da Martin, non siano mai effettivamente riusciti a comprendere questi personaggi.

A parte questo, a rendere ancora più complicata l’interpretazione di Daenerys è il fatto che il suo personaggio sia de facto una riproposizione della figura di Napoleone nel mondo del trono di spade, e come tale deve avere necessariamente due volti, uno “dolce” con il volto ed il sorriso di Emilia Clarke (sorriso che personalmente apprezzo molto, anche se preferisco quello di Jenna Coleman) e l’altro duro e impietoso, incazzato a bestia come Ronon Dex (Jason Momoa) su Sateda, e se non sapete cosa è successo a Ronon Dex su Sateda, beh, diciamo che vi siete persi un molto capitolo importante del percorso artistico di Momoa, senza il quale probabilmente non sarebbe diventato Khal Drogo.

Tornando alla madre dei draghi, questo personaggio, così ambiguo e ambivalente, da sempre criptico e inespressivo, che in più di un occasione ha dimostrato di essere al limite della sociopatia, tra l’altro, dichiarando apertamente di non essere in grado di provare empatia per altri esseri umani, e forse uno dei pochissimi che, nonostante l’evoluzione personale estremamente profonda, come dicevo, non ha mai visto un reale cambiamento del proprio essere, è uno dei pochi personaggi che non è mutato nel tempo (gli altri due l’ho già detto, sono Sansa e Jon, e ovviamente non è un caso se è così), a differenza di un Jaime Lannister o di un Tyrion Lannister o chiunque altro che, nonostante tutto, è rimasto coerente e fedele a se stesso ed a se stesso soltanto, o al massimo ai propri draghi, per i quali avrebbe distrutto intere città e tutti i loro abitanti… non dimentichiamo che a Pentos ha chiuso un uomo in una cassaforte gigante e bruciato vivo uno stregone perché aveva minacciato i suoi draghetti.

Giudicare il passato con parametri moderni, è antistorico.

Non so perché ma moltissimi hanno un idea statica, statuaria della storia, e commettono l’errore di valutare (e giudicare) gli avvenimenti del passato con i moderni parametri della civiltà e del mondo occidentale, dimenticando, forse troppo facilmente, che molti di quei diritti che oggi diamo per scontati, appena qualche secolo fa (e in alcuni casi, appena qualche decennio fa) erano tutt’altro che scontati.
La storia è anche e soprattutto questo, è la narrazione non solo degli avvenimenti, ma del sistema di valutazione e di giudizio morale dei contemporanei di quegli avvenimenti.

Prendiamo ad esempio l’Italia, oggi l’italia è una repubblica, retta dalla democrazia, in cui esistono numerosi e importanti diritti civili che poco più di 70 anni fa erano inpensabili, e non perché all’epoca in italia vi fosse una dittatura, ma perché all’epoca l’italia era una repubblica, bensì una monarchia, una monarcia parlamentare in cui il re, come si diceva all’epoca, regnava ma non governava, ma pur sempre una monarchia, e per quanto limitati potessero essere i poteri del re, questi erano abbastanza da permettere al sovrano, in qualsiasi momento, di scegliere in maniera arbitraria e senza prestare alcuna attenzione alla volontà degli italiani, di nominare un qualsiasi uomo capo del governo.

E Vittorio Emanuele III re d’Italia agirà proprio in questo modo, per ben due volte durante il suo regno, verranno nominati capi del governo uomini che de facto non avevano “vinto” le elezioni. Il primo di questi uomini fu Benito Mussolini, che, in seguito ad un colloquio privato tra il leader del PnF ed il Re, usando come strumento di pressione un popolo in armi accampato fuori dalla capitale, riuscì ad ottenere un incarico di governo, nonostante il proprio partito di appartenenza potesse contare su un numero di parlamentari estremamente esiguo, parliamo di poco più di un quarto dei parlamentari italiani.

Il secondo uomo ad essere nominato capo del governo, in maniera arbitraria, fu Pietro Badoglio, il quale fu nominato capo del governo, su richiesta del PnF e dei suoi organi istituzionalizzati, quali l’alto consiglio e la camera dei fasci, organi che avevano disconosciuto il precedente primo ministro Mussolini, e proposto come capo provvisorio dello stato, fino a nuove elezioni, un uomo di spicco del Partito, vicino al re, e che appoggiasse la decisione di arrendersi alle forze angloamericane e porre fine alla guerra.

Quando il re accolse la richiesta del “parlamento italiano” che non era un vero e proprio parlamento, ma più un organo di partito sovrascritto alle istituzioni italiane, lo fece nel pieno dei propri poteri e nel totale rispetto delle leggi vigenti all’epoca.

Oggi quelle leggi ci appaiono assurde e insensate, oggi alla luce di oltre quasi tre quarti di secolo in una repubblica, quel sistema istituzionale ci appare fallace e sbagliato, per alcuni è addirittura inconcepibile e totalmente incompatibile con i nostri odierni parametri morali, ma quelli che sono oggi i nostri paradigmi di valutazione, non possono modificare quello che è stato, e non possiamo, alla luce della repubblica.

Mettere in discussione la legittimità di azioni, decisioni e sistemi di valori compiute in quello che fondamentalmente era un mondo diverso, sulla base dei nostri principi occidentali e moderni è, dal punto di vista storico, la cosa più sbagliata che si possa fare, perché nel farlo si esprime un giudizio a posteriori su avvenimenti di cui non si comprende a pieno il contesto.

Uno dei compiti più importanti dello storiografo a mio avviso, non è quello di ricostruire i fatti del passato, ma quello di collocare quei fatti, quegli avvenimenti, in un preciso contesto, storico, politico, culturale, il compito dello storico è cercare di definire e comprendere un mondo che ormai non esiste più, le cui meccaniche sono regolate da idee che oggi non sono più applicabili e in alcuni casi possono apparire disumane.

Prendiamo ad esempio la schiavitù nelle americhe nel XIX secolo o la germania nazista. I valori ed i principi degli schiavisti e dei nazisti, da un certo punto di vista sono molto simili, ed oggi, il buonsenso comune vorrebbe che quei valori e quelle idee di superiorità di un popolo o un etnia su di altre, siano considerate abominevoli. Ma all’epoca, non era così, quelle idee erano ampiamente diffuse e accettate, sia nel mondo in cui la schiavitù e il razzismo erano diffusi, sia fuori da quel mondo, in cui magari non c’erano piantagioni di schiavi o campi di concentramento, ma quelle idee erano tollerate, e la loro tolleranza al di fuori di quel mondo, ne permetteva l’esistenza.

Concludo dicendo che noi “storici” non possiamo schierarci e giudicare sulla base dei nostri moderni valori, gli avvenimenti del passato, perché questo non rientra nelle nostre mansioni. Noi storici abbiamo il compito di preservare la memoria del mondo, nel modo più congruo e oggettivo possibile, senza contaminare gli avvenimenti del passato con le nostre idee politiche o con il nostro sistema di valori.

Le pizze di Saddam Hussein

Racconto ucronico/ironico di Antonio Coppola

Antefatto

Correva l’anno 1991 e il mondo intero guardava con il fiato sospeso le lancette dell’orologio, perché sapeva che allo scoccare della mezzanotte del 16 gennaio, qualcosa, nel mondo, sarebbe cambiato forse per sempre.

Erano già trascorsi diversi mesi da quel fatidico 2 agosto 1990, quando l’Iraq di Saddam Hussein aveva invaso il Qwait proclamandolo diciannovesima regione iraquena, in barba al diritto internazionale, ed erano trascorsi quasi due mesi da quando, sul finire di novembre del 1990, le nazioni unite avevano imposto al rais iraqueno un ultimatum per il proprio ritiro da Qwait, ma nulla era successo, a nulla valsero sanzioni, embarghi ed il congelamento dei conti esteri del governo, e Saddam, sembrava intenzionato più che non mai, ad intraprendere la via della guerra contro il mondo intero.

Quella sera, al cavallo tra il 15 ed il 16 gennaio, la coalizione internazionale fissava impaziente le lancette, ed i generali alleati, rintanati al pentagono, attendevano con ansia l’arrivo delle oltre 100 pizze da asporto, ordinate da Domino’s pizza e altre pizzerie di Washington, e giuro che questa cosa, non me la sono inventata. Nelle ore che precedettero l’inizio delle operazioni della missione Desert Storm, al pentagono furono consegnate più di 100 pizze, consegnate da oltre 20 fattorini, la maggior parte dei quali provenienti da Domino’s Pizza.

Così, mentre il mondo aspettava con il fiato sospeso lo scadere dell’ultimatum e un po’ ovunque sul globo ci si chiedeva se quella stessa notte sarebbero iniziate le operazioni militari o se a Saddam Hussein sarebbe stato concessa qualche ora in più, al pentagono, nelle sale dell’alto comando alleato, i generali e ufficiali incaricati di coordinare le operazioni, semplicemente aspettavano le loro pizze.

Ucronia

Nell’attesa che le lancette dell’orologio sintonizzate sull’orario iraqueno, scoccassero la mezzanotte, orario in cui sarebbe iniziate le operazioni, alcuni ufficiali avevano allestito, su un tavolo secondario, una planimetria della città di Washington, identificato la posizione delle varie pizzerie sulla carta, ed attivato un centro operativo secondario, volto a coordinare l’esercito di fattorini che di lì a poco, si sarebbe levato in direzione pentagono, per consegnare la preziosa merce alimentare. Venne persino attivata una linea diretta con le pizzerie, così da sapere esattamente a che ora sarebbe partito ogni fattorino e quali pizze trasportava, e sembra anche che, in via del tutto eccezionale, quella sera, Domino’s Pizza decise di omaggiare il ghiotto cliente con diverse porzioni di frittura in omaggio.

La tensione nella sala coordinamento pizze era assimilabile per intensità, alla tensione della sala operativa principale, quella che per intenderci, aveva il compito di coordinare le operazioni nel deserto in medio oriente, e sembra che in quel clima estremamente rigido e carico d’ansia, qualcuno abbia fatto confusione richiedendo un incursione in pizzeria e una capricciosa ad una portaerei, il cui comandante, in preda al panico per non aver riconosciuto il codice missione, decise di simulare delle interferenze, utilizzando l’allora infallibile sistema della carta stagnola sfregata a poca distanza dalla cornetta del telefono satellitare. Falsa interferenza che nei rapporti ufficiali della missione venne descritta come un attacco con dei missili provenienti dall’Iraq che erano stati opportunamente intercettati e distrutti, prima che potessero raggiungere l’imbarcazione militare.

Questo inconveniente causò la perdita di alcune ordinazioni, tra cui la capricciosa senza olive ordinata dal vice direttore generale delle operazioni, che, quella sera, pur di non restare a digiuno, finì con lo spiluccare pezzi di pizza da alcuni sotto ufficiali e ingozzarsi di crocchette, ma questa, è un altra storia.

Il dispiegamento di forze, messo in campo quel giorno, non aveva precedenti nella storia, mai prima erano state ordinate così tante pizze dallo stesso luogo se non per qualche scherzo telefonico, e sembra che il titolare di quella prima pizzeria contattata quel giorno, abbia in realtà ignorato la telefonata del pentagono, pensando si trattasse proprio di uno scherzo, costringendo il Pentagono, dopo alcune ore di famelica attesa, a rivolgersi ad una seconda pizzeria, e per non correre rischi, sembra siano stati mobilitati alcuni agenti dei servizi segreti, incaricati di recarsi in pizzeria, ordinare le pizze, pagarle e aiutare i titolari delle pizzerie nelle operazioni di consegna, coordinandosi proprio con il centro operativo del pentagono.

Quando allo scoccare della mezzanotte (ora irachena) dal ponte di alcune portaerei disseminate nelle calde e umide acque del mediterraneo orientale e del golfo persico, si levò la prima ondata di mezzi aerei, pronti a colpire una serie di obiettivi strategici in iraq, anche la prima ondata di fattorini lasciò le pizzerie disseminate per la città in direzione pentagono.

I due mondi erano tra i più insoliti e diversi, da un lato una metropoli da milioni di abitanti ed un esercito silenzioso di fattorini in sella a scooter rosso fiammante, con in caldo un infinità di pizze calde da consegnare, tra il ghiaccio e la neve, nel mezzo di un gelido inverno, dall’altro, un deserto spoglio e arido, con appena qualche cammello all’orizzonte ed uno sciame di aerei progettati per volare a bassa quota, al cui passaggio si formavano dei piccoli tornado di sabbia, con in caldo, un infinità di ordigni esplosivi, da sganciare tra sabbia e pulviscolo, nel mezzo di un afoso deserto, e pure, nonostante le diversità, le somiglianze tra le due operazioni potevano lasciare senza parole.

Uomini da tutto il mondo erano stati mobilitati per quell’operazione estremamente delicata e complessa, il cui svolgimento avrebbe segnato in maniera estremamente significativa le sorti del mondo.

Pizzaioli egiziani, fattorini indiani, italiani e portoricani, ognuno dava il proprio contributo, ognuno rappresentava una pedina fondamentale sullo scacchiere e nessuno di loro era sacrificabile, non per l’alto comando che su quelle pizze aveva scommesso l’esito dell’operazione. Certo, anche l’operazione nel deserto aveva una sua importanza, ma lì a Washington, la priorità era consegnare quelle pizze in tempo, anche perché con la politica dei 18 minuti o pizza gratis e con più di 100 pizze ordinate, alcune pizzerie rischiavano il fallimento.

Le prime pizze giunsero perfettamente in orario, appena in tempo per l’inizio delle operazioni e la visione delle prime immagini degli scontri che giunsero nella sala operativa.

Tutti gli schermi mostravano quelle scene incredibili, il cielo notturno delle città irachene era illuminato a giorno dalle luci dei missili che sfrecciavano all’orizzonte ed esplodevano sui tetti e a pochi chilometri di distanza dalle città, a volte intercettati dalla difesa contraerea, altre volte perché mancarono l’obbiettivo. Quelle immagini che mostravano in diretta la guerra in corso dall’altro lato del mondo, erano purtroppo prive di audio, perché le telecamere utilizzate erano sprovviste di microfono, tuttavia, al comando operativo di Washington, impiegarono diverse ore prima di scoprire che l’audio era assente e sembra che, per buon parte del tardo pomeriggio, alcuni ufficiali abbiano osservato l’impressionante qualità di quella tecnologia che permetteva loro, non solo di vedere le immagini dei bombardamenti, ma persino di sentirne il frastuono e l’odore.

Nella sala operativa si era infatti diffuso in poco tempo un forte odore sulfureo, che i generali identificarono immediatamente come l’odore acre delle esplosioni, odore che li riportava ai giovanili anni da pilota in ben altri conflitti.

Un colonnello sembra abbia commentato la scena dichiarando “che frastuono queste esplosioni, non si può abbassare il volume degli altoparlanti”, abbassate anche l’aromatore replicò un generale, è la peperonata, rispose il sergente di guardia italo americano che quel giorno aveva portato con se il pranzo al sacco pur di non mangiare quelle pizze decisamente poco invitanti.

Perché festeggiamo il primo maggio?

La rivolta di Haymarket del 1886 è spesso indicata come il punto d’origine della festa dei lavoratori e anche se si tratta di un avvenimento drammatico e molto importante, è in realtà solo uno, dei tanti, tasselli di una storia iniziata già da molto tempo e che parte almeno dalla rivoluzione industriale, o comunque dal tracollo della società feudale.

Si tratta di una storia di scontri, lotte, scioperi, morti e arresti, una storia in cui i lavoratori di tutto il mondo reclamavano maggiori diritti salariali e sociali, coordinati da sindacati e partiti di sinistra, ed erano osteggiati dai propri datori di lavoro a loro volta appoggiati dai partiti e sindacati di destra.

L’opposizione delle destre alle rivendicazioni dei lavoratori si è manifestata in vario modo, attraverso minacce di licenziamenti in massa, in un epoca in cui il lavoro era poco, i lavoratori tanti, ed essere licenziati in favore di qualcuno che costava meno, lavorava di più e non si lamentava, era all’ordine del giorno. Attraverso l’arresto, in un epoca in cui dichiarare la propria appartenenza a determinate correnti politiche, costituiva un reato, ecc ecc.

che ci piaccia o meno, il primo maggio è una “festività” , anzi, una ricorrenza di sinistra, e non si tratta di una strumentalizzazione politica, ma di un attribuzione storica.

Il primo maggio, la festa dei lavoratori, la giornata internazionale dei lavoratori, spesso oggetto di critiche politiche per il proprio legame (molto forte) con la sinistra. Un legame che ha profonde radici storiche, oltre che politiche, e forse è il caso di presentare più attenzione alla storia che si cela dietro il primo maggio che alle sue rivendicazioni politiche per capire esattamente cosa si celebra e ricorda in questa data.

Approfitto di questa giornata particolare per fare una precisazione sulla giornata internazionale dei lavoratori e comincio con il dire che al di la della politica, questa giornata “celebra” tutti i lavoratori, a prescindere quindi dal proprio orientamento politico (e religioso), ma questo non significa che possiamo ignorare oltre un secolo di storia che questa giornata si porta dietro.

La giornata internazionale del lavoratore è nata in un contesto storico e politico ben definito, è nata in un epoca in cui “la lotta di classe” invocata dai comunisti era qualcosa di molto sentito da operai e contadini e le differenti condizioni sociali dei lavoratori dipendenti, identificati come proletari, rispetto a quella che in genere era identificata come la borghesia, e non necessariamente alta borghesia, ma anche la piccola e media borghesia, erano enormi e si riflettevano sulle condizioni, la qualità, e la speranza di vita.

Il quel preciso contesto storico, nella seconda metà del XIX secolo, il socialismo internazionale prima, ed il comunismo internazionale poi, hanno dato fiato a quel disagio sociale, hanno dato fiato alle richieste dei lavoratori, che, attraverso scioperi e manifestazioni hanno visto un (se pur lieve) miglioramento delle proprie condizioni lavorative e sociali, ed hanno visto riconoscere il proprio ruolo fondamentale nella società, con la nascita della giornata internazionale del lavoratore.

La “sinistra” non ha fatto propria questa giornata, la sinistra internazionale, l’ha creata dal nulla, l’ha costruita mattone dopo mattone, al costo di enormi sacrifici (dei lavoratori) che durante le manifestazioni e scioperi hanno rinunciato ad ore di lavoro retribuite e in alcuni casi hanno messo a rischio il proprio lavoro, la propria dignità, la propria libertà e la propria vita. Manifestare la propria ideologia politica orientata “troppo” a sinistra poteva portare al licenziamento o addirittura all’arresto, scioperare significava rischiare di perdere il lavoro, quando si era fortunati, in alcuni casi (come ad esempio l’italia fascista), scioperare comportava l’arresto, se si scioperava per motivi non graditi al governo o ai suoi “sostenitori e finanziatori”.

I sacrifici di questi uomini, coordinati da partiti e sindacati di sinistra ha costituito la pietra angolare su cui sarebbe stata costruita la giornata internazionale dei lavoratori.

Questa giornata è stata concepita e voluta dal socialismo internazionale, e riconoscere ad esso la paternità di questa celebrazione, non è una questione politica, ma di correttezza storica, e questo perché nell’ultimo secolo e mezzo, mentre i sindacati (di sinistra) coordinavano i lavoratori nei loro scioperi, dall’altra parte, i sindacati (di destra) appoggiati dai partiti politici dello stesso orientamento, nell’interesse dei datori di lavoro, li osteggiavano apertamente.

Quando parliamo del primo maggio non dobbiamo limitarci a pensare alla giornata in cui ci sono concerti in piazza, braciate e sventolano bandiere del PSI, ma dobbiamo tenere presente la storia che c’è dietro questa giornata, e anche se oggi a qualcuno vedere quelle bandiere con la rosa nel pugno può dar fastidio e vorrebbe una festa dei lavoratori senza appartenenze politiche, forse è il caso che ripassi un po’ di storia del XX secolo.

Per oltre un secolo il primo maggio non è stato un giorno di festa, in quella data, per decenni ci sono stati scioperi e manifestazioni di massa, dei lavoratori dipendenti, operai e contadini, coordinati da sindacati e sezioni locali del partito socialista, che richiedevano e reclamavano maggiori diritti sociali, attenuazione delle ore di lavoro, aumenti di salario, assistenza e tutele sul lavoro. tutte richieste che, per essere esaudite, avrebbero incrementato i “costi” dell’azienda e di conseguenza, ridotto i profitti dei proprietari e azionisti.

Per oltre un secolo, i “sindacati” di destra, nell’interesse dei datori di lavoro (che per semplicità chiameremo borghesia), che non volevano rinunciare alla propria posizione di privilegio sociale, appoggiati dai partiti di orientamento a destra a loro volta finanziati dalla stessa borghesia di cui tutelavano gli interessi, si sono opposti con forza e fermezza a questi scioperi e manifestazioni, minacciando licenziamenti in massa e arresti degli scioperanti, in fondo, in anni in cui il lavoro era poco, e i lavoratori tanti, alle imprese non sarebbe servito troppo tempo prima di trovare un rimpiazzo ai lavoratori licenziati che, pur di avere il lavoro, avrebbero accettato condizioni lavorative più sfavorevoli e salari più bassi.

La storia del primo maggio, è una storia di sinistra, in cui i lavoratori dipendenti sono stati impegnati in una lotta sociale contro i datori di lavoro più avidi e senza scrupoli, ed è una storia di scontro politico tra la sinistra, dalla parte dei lavoratori e la destra, dalla parte dei datori di lavoro, in anni in cui le manifestazioni potevano facilmente degenerare in insurrezioni, rivolte e scontri armati, molti dei quali sono stati sedati nel sangue e così è stato per oltre un secolo, a partire dagli anni della rivoluzione industriale, anche se la giornata dei lavoratori è stata “istituita soltanto” nel 1889, (1890 in italia).

E a proposito dell’italia, ricordiamo che in Italia, durante gli anni del regime fascista, questa giornata internazionale venne sospesa e sostituita da una giornata “analoga” ideata dal partito fascista che cadeva il 21 aprile e non il 1 maggio come invece accadeva nel resto del mondo.

E le cose andarono in questo modo almeno fino al 1945, quando, con la nascita delle Nazioni Unite, il primo maggio divenne ufficialmente la giornata internazionale dei lavoratori.

La storia di questa giornata è una storia di rivendicazioni, scioperi e manifestazioni, indette dai sindacati e partiti di sinistra, ed osteggiata dai sindacati e partiti di destra, scioperi e manifestazioni in cui molti uomini persero la vita o la libertà, ed è una storia che non possiamo ignorare per opportunismo politico.

La giornata dei lavoratori è, nell’atto pratico, la “festa” di tutti i lavoratori, a prescindere dal loro orientamento politico e religioso, ma è anche una ricorrenza voluta e creata dalla sinistra socialista, che ha compiuto un enorme sforzo di “democrazia” creando una manifestazione universale che avesse valore non soltanto dai propri sostenitori, ma anche per tutti gli altri, ma da qui al negare il legame tangibile e storico tra la giornata dei lavoratori e la sinistra e fingere che questa giornata non sia nata per i diritti di lavoratori, operai e contadini, il passo è lungo, e se fatto, comporta un’enorme e pericolosa mancanza di rispetto per la storia.
Fingere che la giornata dei lavoratori non sia stata creata dalla sinistra, significa cancellare un pezzo della nostra storia, nel tentativo di distorcerla e piegarla ad interessi politici ben definiti.

Detto questo, buona storia e buon primo maggio a tutti.

Imperator Rome | un parere da Storico

Imperator Rome, è uno strategico a turni, ambientato nel mondo romano che condurrà il giocatore alla formazione del più grande impero dell’antichità.

Buongiorno a tutti, oggi volevo spendere qualche parola a proposito di Imperator Rome, il nuovo strategico a turni di casa Paradox, gli sviluppatori di Europa Universalis <3, Victoria e altri strategici a turni che hanno accompagnato gran parte della mia vita videoludica.

Più che una recensione, la mia è un opinione a caldo, perché non ho ancora giocato ad Imperator Rome, ma sono intenzionato a giocarlo quanto prima (magari anche in live su twitch se volete), mi limiterò quindi ad alcune considerazioni sul gioco, basandomi sul trailer, le prime immagini promozionali e la mia esperienza con i precedenti titoli della Paradox (che ho sempre apprezzato avendo totalizzato circa 140 ore di gioco su Europa Universalis IV e più di 200 ore su Victoria II).

Questa tipologia di giochi mi è sempre piaciuta molto e uno strategico ambientato nel mondo romano, confesso che mi attira e mi attrae particolarmente, e prima di cominciare ci tengo a sottolineare che l’accuratezza storica del titolo non è uno dei parametri che prenderò in considerazione, perché sono dell’opinione che in alcuni titoli (come gli strategici a turni) dove il giocatore ha molta libertà d’azione, troppa accuratezza storica tolga libertà al giocatore. L’accuratezza va bene in un avventura grafica, in un punta e clicca, in un titolo con una storia ben precisa da seguire, ma se c’è libero arbitrio e il giocatore può interagire con il mondo come e meglio crede, un eccessiva accuratezza storica rischia di uccidere il gameplay rendendo il gioco noioso e a nessuno piacciono i giochi noiosi.

Parto commentando questa immagine che è a mio avviso stupenda, perché racchiude in poco spazio gran parte della storia di roma, dalla fondazione alla caduta, e lo fa in modo fighissimo.

L’immagine è costruita su uno colle, e già qui meritano un applauso, ai piedi del colle sono raffigurate alcune immagini che richiamano eventi chiave della storia di roma, c’è la lupa che allatta gli infanti Romolo e Remo, immagine iconica della fondazione della città, c’è l’assassinio di cesare, c’è l’affissione delle leggi o delle liste di proscrizione di Silla (credo sia l’affissione delle leggi) ci sono i nemici di roma che puntano le loro armi contro Roma, ci sono degli uomini che cercano di fermare la caduta di una colonna, probabilmente un sacco di Roma o la caduta stessa di Roma, e in fine, ma non meno importante, in cima al colle, c’è l’imperatore di roma, ispirato ad Ottaviano, che si erge sulla storia di roma, e invito chiunque pensi che quella statua raffiguri Giulio Cesare a riflettere su due cose, la prima, il cesare assassinato poco più in basso ha fattezze diverse da quelle dell’uomo in alto e in secondo luogo, dare un occhiata all’Augusto di Prima Porta o Augusto loricato, perché il richiamo a quella statua, nella posa dell’imperatore di roma, è a mio avviso più che palese.

Augusto di Prima Porta, noto anche come Augusto loricato

Da quel che ho letto sul sito di paradox, il gioco copre un arco temporale molto ampio, che va dall’impero ellenico di Alessandro all’apice dell’impero romano, di conseguenza quindi abbiamo almeno 4 secoli giocabili, e da quel che si può vedere nei trailer (che in questo video commento a caldo, mentre li vedo per la prima volta) sarà possibile giocare con più di 400 nazioni (per la maggior parte popolazioni elleniche e tribù celtiche e germaniche) collocate geograficamente tra l’india orientale e la penisola scandinava, passando per il nord africa e le isole britanniche.

Tanta giocabilità quindi e potenzialmente tanta rigiocabilità, sia in single player che in multiplayer on-line

Per quanto riguarda le meccaniche di gioco, avendo giocato diversi titoli di paradox come i victoria ed europa universalis, mi permetto di fare una previsione e dire che quasi certamente a livello di gameplay, Imperator Rome, non si discosterà molto dai suoi predecessori, è uno strategico a turni in cui il giocatore dovrà imporsi sulle varie altre nazioni in game attraverso la gestione di economia, politica e guerra, e da questo punto di vista, la sola differenza rispetto ad un Victoria è che questa volta l’ambientazione sarà il mondo romano o meglio, il mondo classico, vista la presenza di nazioni giocanti e giocabili i cui contatti con roma, storicamente, sono quasi inesistenti.

La grande varietà di nazioni giocabili mi fa temere per una scarsa caratterizzazione delle stesse che de facto potrebbero avere ben poche differenze le une dalle altre, se non per pochi casi come Roma, sicuramente caratterizzata in modo forte (essendo la civiltà protagonista del titolo), Cartagine, l’Egitto, e i regni ellenici in generale, civiltà mostrate nei trailer, temo invece (e spero di sbagliarmi) una moltitudine di popolazioni più o meno identiche tra loro, caratterizzate semplicemente da skin di colore differente e racchiuse in quattro o cinque macro categorie, insomma, temo che fatta eccezione per Roma e poche altre popolazioni giocabili, tutte le altre avranno una caratterizzazione riducibile a popolazioni germaniche, popolazioni druidiche, popolazioni “orientali” e popolazioni elleniche.

Il Gameplay

L’obbiettivo del gioco è la conquista del mondo conosciuto in un anacronistica guerra totale, sarà però interessante trovare la via più efficace per questa conquista.

Si dice che tutte le strade portino a Roma, e in uno dei trailer ci viene mostrata proprio l’edificazione di strade che da roma si diramano in tutto il mondo di gioco, e in questo caso, a proposito di questo gioco, possiamo dire che molte strade portano alla gloria di Roma, e che quasi certamente il giocatore potrà provare a raggiungere questa gloria percorrendo strade diverse a seconda della popolazione scelta e di come vorrà giocare, ad esempio incentrando la propria campagna sulla gestione dell’economica, facendo del commercio il proprio punto di forza e creando così un impero economico che non ha bisogno di combattere per soggiogare i propri rivali, oppure attraverso la diplomazia, creando una vasta rete di alleati da unire poi in un unica nazione, oppure seguendo la via tradizionale della guerra, saccheggiando le città nemiche e annientando tutte le nazioni che si opporranno alla propria.

Da questo punto di vista Imperator Rome promette molta varietà e mi auguro che questa varietà si traduca in alcune nazioni più adatte alla guerra rispetto ad altre più inclini alla diplomazia o all’economia, come già accadeva in Victoria ed Europa Universalis.

In ogni caso, sono fiducioso del fatto che Paradox abbia sviluppato un titolo all’altezza dei precedenti.

Il 25 Aprile è la Pasqua della Repubblica Italiana

Il 25 Aprile (festa della liberazione) rappresenta la Pasqua dell’Italia, poiché segna la resurrezione dello stato dalla morte e proprio come nella pasqua cristiana, dove il Cristo muore e risorge per “cancellare” i peccati dell’umanità, così con il 25 aprile l’italia risorge, ed il suo sacrificio (durante la guerra civile) assolse gli italiani dai loro peccati. Così come la Pasqua è la festa più importante del cristianesimo, allo stesso modo e per le medesime ragioni, l’anniversario della liberazione è la festa più importante della repubblica italiana.

Il 25 Aprile (festa della liberazione) rappresenta la Pasqua dell’Italia, poiché segna la resurrezione dello stato dalla morte e proprio come nella pasqua cristiana, dove il Cristo muore e risorge per “cancellare” i peccati dell’umanità, così con il 25 aprile l’italia risorge, ed il suo sacrificio (durante la guerra civile) assolse gli italiani dai loro peccati. Così come la Pasqua è la festa più importante del cristianesimo, allo stesso modo e per le medesime ragioni, l’anniversario della liberazione è la festa più importante della repubblica italiana.

Il 25 aprile è la festa della Liberazione, ed ogni anno il web viene infestato di post, articoli e commenti di utenti che chiedono “ma liberati da chi” ? ed altri che dichiarano di non festeggiare o di non avere motivo per festeggiare la liberazione perché non c’è stata nessuna liberazione, anzi, l’italia “prima” era libera e poi è stata “occupata” dagli Americani.

Allora forse è il caso di mettere un po’ in ordine le idee e cercare di inquadrare al meglio che cos’è l’anniversario della liberazione e perché celebriamo e festeggiamo questo anniversario, ma soprattutto, perché questa ricorrenza rappresenta la prima, nonché una delle più importanti (se non addirittura la più importante), festività laiche della storia dell’Italia repubblicana. Perché una cosa è certa, se qualcuno non conosce o non comprende il significato di questa data, evidentemente non molta familiarità con la storia italiana, soprattutto quella recente.

Cominciamo col dire che il 25 aprile non si festeggia, ma si celebra la liberazione dell’italia, da due piaghe che avevano afflitto il paese negli ultimi anni, l’occupazione militare tedesca e il fascismo.

L’occupazione tedesca

In seguito all’armistizio del settembre del 1943, con cui il regno d’Italia ruppe l’alleanza con la Germania, concordando in un certo senso una pace separata con le forze alleate, de facto l’Italia lasciò ufficialmente l’asse per arrendersi alle Nazioni Unite (il nome con cui era nota all’epoca la coalizione USA, UK e URSS, oggi ricordata come “alleati”), ed uscire dal conflitto, tuttavia la resa incondizionata dell’italia agli “alleati” non comportò la tanto sperata fine della guerra, bensì, ne mutò il volto.

L’Italia, nel settembre del 43, con la resa alle nazioni unite si proclamava “non belligerante”, tuttavia la non belligeranza dell’italia non fu rispettata dalle restanti forze dell’asse che, invece di lasciare il bel paese, nel quale erano state stanziate durante il conflitto per supportare le forze italiche, decisero di restarvi e rendere vana la resa italiana, volta a porre fine al conflitto sulla penisola.

Tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945 l’italia, ormai occupata dalle forze dell’asse, e gli italiani, sono costretti a continuare a combattere, in chiave difensiva, nel tentativo di allontanare gli ex alleati dalla penisola, e ripristinare lo status di unità nazionale. Unità che venne meno a partire dallo stesso settembre 1943, più precisamente dal 23 settembre, quando venne istituita, in parte del paese, la Repubblica Sociale Italiana, nota anche come repubblica di Salò poiché la città di Salò, sul lago di como, divenne la capitale provvisoria del nuovo “stato” dotato di un governo autonomo, alieno all’autorità del re, de facto un governo autoproclamato e illegittimo, di una nuova entità statale interna ai confini dell’Italia.

La nascita della RSI

La nascita della RSI inaugura una guerra di secessione tra la Repubblica (che di repubblicano aveva solo il nome) retta da Benito Mussolini, ed il Regno d’Italia, in cui Pietro Badoglio esercitava la funzione di capo provvisorio dello stato, incarico che gli venne riconosciuto da tutti gli organi politici e istituzionale del regno d’italia, compreso lo stesso Re Vittorio Emanuele III, che, per quanto ricoprisse un ruolo fortemente depotenziato dalla dittatura fascista, era pur sempre il Re, di un regno, per l’appunto il Regno d’Italia, la cui forma di governo riconosciuta e legittima era una monarchia parlamentare, e di conseguenza era compito del Re indicare il capo del governo/primo ministro, ovviamente in funzione dell’esito delle elezioni politiche, con cui i cittadini italiani aventi diritto di voto, avevano eletto il parlamento e da un certo momento in poi, la camera dei fasci.

Vittorio Emanuele III affidando il governo al Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, su proposta della camera dei Fasci, aveva agito in piena legittimità, meno legittima fu invece la decisione di Mussolini di ignorare l’autorità del Re e del “parlamento/camera dei fasci” e di autoproclamarsi capo del governo e dello stato.

Discorso sulla legittimità a parte, come dicevo, la nascita della RSI e l’occupazione dell’Italia da parte delle forze dell’asse (alleate della RSI e di Mussolini), segna l’inizio di una guerra civile con i tratti di una guerra di secessione che, per un breve periodo, interruppe la storia unitaria italiana.

La Italia non è più unita, non è più una

Tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945 esistono, sul piano politico, almeno due italie, qualcuno dice anche tre.

Abbiamo nell’Italia meridionale un governo (legittimo) di Badoglio nominato dal Re, riconosciuto e appoggiato dagli alleati, in esilio a brindisi, mentre nell’Italia settentrionale, vi era da un lato il governo (illegittimo) di Mussolini, riconosciuto e appoggiato dalla Germania, insediatosi a Salò, e dall’altra, i vari gruppi del Comitato di Liberazione Nazionale, CLN, diviso in sezioni e supportato dagli alleati, ma che, pur non riconoscendo totalmente l’autorità del Re, perché ritenuto responsabile dell’avvento del Fascismo e colpevole di aver lasciato che Mussolini governasse e rovinasse l’Italia trascinandola in quel conflitto, si contrapponevano direttamente e attivamente alle forze dell’asse.

Nel computo generale delle forze in gioco in italia tra il 1943 ed il 1945, appaiono quindi almeno tre fazioni e circa cinque “giocatori”.

Dall’esterno vi erano gli angloamericani e le forze del terzo reich, mentre all’interno vi erano il regno d’italia, la repubblica sociale italiana ed il comitato di liberazione italiana, quest’ultimo, di ispirazione antifascista, era più che altro una coalizione di vari gruppi, più o meno vicini tra loro sul piano politico e ideologico, che avevano l’obbiettivo comune di liberare l’italia dal fascismo e dall’occupazione tedesca.

Vi è inoltre una terza italia, un italia silenziosa, ignava e in un certo senso passiva, un italia contadina che andava da nord a sud e alla quale non importava nulla di chi fosse al governo, fascisti, antifascisti, liberali, comunisti, ecc, questi uomini e queste donne, immersi in una guerra che non avevano chiesto e che in quella guerra, come nella precedente guerra mondiale, avevano perso amori e familiari, e in questo scontro anche la casa ed il lavoro a causa dei bombardamenti, senza un apparente ragione.

CLN e Antifascismo

Tra gli antifascisti del CLN, a differenza di quanto si crede e si dice, non vi erano solo “comunisti”, e anzi, vi erano anche numerosi fascisti, o meglio, ex fascisti, personaggi che avevano spinto il primo fascismo, quello del manifesto degli intellettuali fascisti pubblicato nell’aprile del 1925 e che si erano allontanati dal partito questi aveva mutato la propria vocazione a partire dalla svolta autoritaria del 1929.

Quando sul finire di aprile del 1945, iniziò la ritirata tedesca e molte città italiane vennero liberate dall’occupazione e Mussolini cadde nelle mani del CLN, quella guerra che avrebbe dovuto concludersi già nel settembre del 43 e che si era protratta in modo innaturale per quasi due anni e mezzo, finalmente cessò, e gli italiani poterono finalmente tirare un sospiro di sollievo, consapevoli che nei giorni a venire non sarebbero più stati svegliati nel cuore della notte da sirene, allarmi antiaerei ed il frastuono delle bombe e degli spari che esplodevano in lontananza e l’unico suono che si sentì in quei giorni, in tutta italia, fu quello di campane che suonavano a festa.

Perché si festeggia il 25 Aprile?

Gli italiani erano finalmente liberi, liberi dall’occupazione tedesca ma erano anche tornati ad essere liberi, ed era una libertà che molti italiani non conoscevano o avevano dimenticato, una libertà che viveva nelle sole memorie di chi era sopravvissuto alla grande guerra, e per molti era strano pensare che da quel momento avrebbero potuto vivere come desideravano e con chi desideravano. Inoltre, per le famiglie che erano state separate dalla guerra si apriva uno spiraglio di pace e speranza perché padri, figli e mariti partiti in forze o volontari per la guerra ora potevano tornare, e sono innumerevoli in questo senso i racconti di giovani e bambini, che avevano conosciuto poco o non avevano conosciuto affatto i propri padri, che per giorni, settimane, mesi, qualcuno anche per anni, rimasero con il naso appiccicato alle finestre in attesa che una qualche sagoma apparisse al loro orizzonte e da lontano una voce anziana o materna, dicesse loro “papà è tornato a casa”. Purtroppo per molti, moltissimi, questa speranza fu solo una speranza che non si concretizzò mai.

L’anniversario della liberazione è stato istituito, come festività laica a partire dal 1946, venne, quell’anno si celebrò l’anniversario della fine di quel conflitto atroce e malsano, e fu insieme un giorno di lutto, ma anche di sollievo, per ché i propri cari non aveva visto tornare e di festa, per chi li aveva visti tornare.

Quando venne celebrato il primo anniversario della liberazione l’Italia era ancora Regno d’Italia, lo storico referendum del 2 giugno che avrebbe trasformato il paese in una repubblica si sarebbe tenuto appena un mese più tardi, e con la trasformazione in Repubblica, molte delle festività e celebrazioni laiche del paese, legate alla nascita del Regno d’Italia, vennero a mancare, molte, ma non tutte, una infatti sopravvisse, sopravvisse il 25 aprile, sopravvisse il giorno in cui l’Italia era tornata ad essere una.

Il 25 Aprile rappresenta la pasqua della repubblica

Il 25 Aprile rappresenta la pasqua della repubblica segna la resurrezione dello stato dalla morte, una morte che si era protratta per un po’ più di tre giorni, e proprio come nella pasqua cristiana, il Cristo, era morto per cancellare i peccati dell’umanità, così il 25 aprile la liberazione, assolse gli italiani dai loro peccati.

Il ventennio fascista, i crimini di guerra, la guerra al fianco dell’asse ed in fine la guerra civile venivano consegnati alla storia e per l’Italia iniziava un nuovo capitolo, nel segno della repubblica, della libertà e della democrazia e così come la pasqua è la festa più importante del cristianesimo, così l’anniversario della liberazione è la festa più importante della repubblica italiana.

Del resto, l’italia repubblicana che sarebbe nata dal referendum del 2 giugno, come sappiamo sarebbe stata un’italia forgiata nel segno della cristianità e sorretta per oltre quarant’anni dalla Democrazia Cristiana, la cui impronta nella definizione del 25 aprile è, a mio avviso, particolarmente evidente.

La Lega contro un libro “anti-Salvini” utilizzato dall’Università di Bologna

Ho una domanda apparentemente politica, ma legata al mondo universitario.

Secondo voi fino a che punto le università sono e devono essere luoghi in cui la politica non dovrebbe entrare (che poi ci entra da sempre anche a livello di nomine, concorsi e via discorrendo, ma non voglio fare polemica) ?

Questa domanda sorge da due avvenimenti recenti, uno all’università di Bologna ed uno all’università di Pisa.

Nell’ordine, nel programma di un corso all’università di Bologna, è stato inserito un libro che “critica” in un certo senso la Lega di Salvini, e per questo, il consiglio regionale e lo stesso partito nazionale (lega) hanno richiesto la rimozione di quel testo dal programma, considerandolo un attacco politico ed una forma di propaganda anti Salvini, ribadendo che, le università non devono essere luoghi di propaganda politica (affermazione con cui sono assolutamente d’accordo).

Fonte :

https://www.tpi.it/2019/04/16/lega-vieta-libro-universita-bologna/?fbclid=IwAR3cEt88oRxfBpkSfQMtfWwkX3JVBbjVsVqV2VQ1wGJSYk-IfGRKCaxas_g

Alla luce di queste osservazioni però, è importante citare anche l’altro episodio, quello legato all’università di Pisa, dove, non molto tempo fa è stato approvato il finanziamento di un intervento del vicepremier Matteo Salvini, in vista delle elezioni europee, all’interno della stessa università.Un intervento dunque politico, visto che Salvini è, non solo un ministro e parlamentare, ma anche il leader di un partito nazionale.

Vista la poca distanza tra il suo intervento e le elezioni europee, mi chiedo, perché, in quel caso, la regola del “le università non devono essere luoghi di propaganda politica” non è valsa, e anzi, è stata proprio la Lega a fare, dichiaratamente, propaganda? (tra l’altro, a spese degli studenti, ma ripeto, non voglio fare polemica).

https://www.nextquotidiano.it/universita-pisa-salvini-finanziamento-comizi/

A mio personale avviso, un libro in un programma, è solo un tassello, di un puzzle più grande, e lo spirito critico che aleggia sul mondo accademico, mi induce a pensare che quel libro è in quel programma, in parte anche per ragioni politiche, ma anche, e soprattutto, perché ha un senso nel programma generale del corso.

Trovo altresì estremamente incoerente che la richiesta di rimozione del libro arrivi da un partito che a non poca distanza da questo episodio ha organizzato un proprio comizio all’interno di una università pubblica.


Sembra che, il motivo per cui il libro è stato considerato “politicamente scorretto” dalla lega, è che in un paragrafo viene definita un partito “che ha assunto i tratti di una formazione di estrema destra, con tratti razzisti, xenofobi, politicamente e socialmente violenti”.

C’è una profonda differenza tra critica e propaganda, il libro in questione non l’ho letto, e suppongo non lo abbia fatto neanche chi ha proposto la sua rimozione, ipotizzo invece che il docente che lo ha selezionato lo abbia letto, e che abbia deciso di inserirlo nel programma del proprio corso, in virtù dello spirito critico che aleggia sul mondo accademico.

Ciò che penso, non che sia rilevante, e probabilmente non importa a nessuno, è che la richiesta di rimozione di questo libro sia un semplice (ed allarmante) tentativo di censura del mondo accademico e della libertà di pensiero e di espressione rivendicati dal docente, che purtroppo, non so per quanto ancora rimarrà docente.Sembra quasi che sia diventato “vietato” criticare determinate formazioni politiche, ma sono sicuro che non sia così, sono invece sicuro che la stessa richiesta di rimozione del libro, sarebbe è stata mossa al professor Savona, oggi Ministro, quando non molto tempo fa, nei propri corsi universitari, in altri atenei, inseriva testi critici nei confronti del governo monti e dell’europa.

Se questo libro che critica la Lega, è considerato politicamente scorretto e non può essere utilizzato, cosa ci impedisce di utilizzare lo stesso parametro per rimuovere qualsiasi altro libro, a questo punto, parlo da “storico”, cosa ci impedisce di reputare “politicamente scorretto” un libro critico sul fascismo, magari un libro sui crimini di guerra degli italiani durante il secondo conflitto mondiale o sulle brigate rosse?

Lascio a voi le risposte, perché, come ho già detto, non voglio fare polemica.

La verità sul Nuovo Ordine Mondiale

Sicuramente avrete sentito parlare di Nuovo Ordine Mondiale, di teorie cospirazioniste, complotti (e puttanate varie), beh, mi sono stancato e ora parlo io.
Ho ho deciso di raccontarvi, con un video, che cos’è davvero il Nuovo Ordine Mondiale o New World Order, che in inglese è sempre più figo.

Se vi interessa ho scritto una guida pratica con le 5 regole d’oro da seguire per riconoscere una vera cospirazione dalla fuffa, e, a scanso di equivoci, il complotto del nuovo ordine mondiale rientra a pieno nella Fuffa.

Va però detto che il concetto di nuovo ordine mondiale, non è un concetto cospirazionista e non è nato per dar fiato a strampalate teorie del complotto, quelle sono arrivate dopo. Il concetto di nuovo ordine mondiale è un concetto storico, nato dal lessico storiografico e poi politico, prima ancora che filosofico, e solo di recente (non più di una ventina d’anni) è stato adottato dai complottisti.

La verità è che, in qualità di storico (o presunto tale), sono un ingranaggio della macchina che ha prodotto il concetto stesso di Nuovo Ordine Mondiale, ma ho deciso di smetterla di restare in silenzio e di parlare, e vi dirò la verità che nessuno osa raccontare.

Ho deciso di raccontarvi la vera storia del nuovo ordine mondiale, fin dalle sue prime apparizioni nel XIX secolo, anche se all’epoca vestiva un abito diverso e non si usavano questo termine. E vi assicuro che quello che sentirete nel mio video, quando verrà pubblicato, esula da qualsiasi cosa abbiate mai sentito in precedenza sul NWO, perché la verità è molto diversa da quella che siete abituati a sentire pronunciare da gente che parla a sproposito, senza cognizione di causa, senza sapere di cosa parla e solo per dare aria alla bocca (mi riferisco ai cospirazionisti ovviamente).

Quando loro, i cospirazionisti (questi buffoni), parlano del nuovo ordine mondiale, citano attori, leader politici, musicisti, influencer e ogni sorta di ubriacone o disagiato che abbia mai parlato o fatto dichiarazioni a proposito del NWO.

Nelle loro “inchieste” – mi sento male solo al pensiero di usare la parola inchiesta per definire le loro opere di fantasia – citano le dichiarazioni di George H.W. Bush e Michail Sergeevič Gorbačëv, di Tony Blair e Woodrow Wilson, di Jim Carrey e papa Giovanni Paolo II, ma nel citarli, sono sempre attenti a non dire, mai, in che momento e in che contesto hanno pronunciato quelle magiche tre parole, sono estremamente cauti nel selezionare frammenti ed estratti di interventi pubblici, dichiarazioni e discorsi, pur di non mostrare al lettore cosa effettivamente stavano dicendo, perché rivelare di cosa stavano effettivamente parlando quando hanno pronunciato quelle parole, significherebbe confutare a monte la teoria della cospirazione, e allora io farò tutto ciò che loro non fanno, che non osano fare, e dirò tutto quello che loro non vi dicono a proposito del nuovo ordine mondiale.

Vi racconterò la storia segreta di questo termine, di questa idea, di questo concetto, e vi accompagnerò, tenendovi per mano, lungo tutto il processo evolutivo che questo concetto ha vissuto fin dalla sua prima apparizione nel XIX secolo, partendo da Napoleone e passando per le rivoluzioni borghesi fino ai giorni nostri, senza tralasciare la prima bozza della società delle nazioni, la definizione delle nazioni unite e la fine della guerra fredda.

Il video verrà pubblicato il 5 Maggio, nell’anniversario della morte di Napoleone Bonaparte, l’uomo, la cui vita e la cui morte, segnarono l’inizio della leggenda del nuovo ordine mondiale.I

Mussolini, Giù le mani dalla storia!

Il nipote di Mussolini parla di storia, ma forse confonde la storia con la fiaba della buona notte in cui il suo antenato non era uno dei criminali più disonorevoli della storia d’italia.

Scusami se oggi parlo di politica ed attualità su una blog di storia, ma è la storia stessa che mi impone di esprimermi a riguardo, perché nell’immagine che vedete si fa riferimento alla storia, ed è un qualcosa che da storico non accetto.

Da storico mi fa ribrezzo una tale strumentalizzazione politica della storia e sempre da storico, mi sento violato, offeso e in questa immagine, vedo buttare al casso il lavoro di storici che per decenni hanno cercato di ricostruire con efficacia e razionalismo, cosa è realmente successo nel ventennio, con tutte le enormi difficoltà del caso e al di la delle proprie opini personali.

Da “storico“, trovo aberrante questa strumentalizzazione della storia che propone il ricordo di un passato falsato e distorto, di una storia imposta dall’alto e non per amor di conoscenza, ma per interesse politico, una storia che viaggia a senso unico, senza competenza, senza alcuna forma di comparazione delle fonti, senza indagini approfondite, senza contestualizzazione, senza storia.

Una narrazione storica falsata che parte da un opinione personale e attorno ad essa rielabora gli avvenimenti del passato, un opinione per cui, Mussolini è passato dall’aver fatto “anche” cose buone, (osservazione opinabile ma non del tutto errata) che col tempo è evoluta ed invertito il trend. Mussolini negli ultimi anni non è più stato il dittatore che nell’ampiezza del proprio regime, compì anche cose buone, ma è diventato un uomo giusto e buono, che nella sua lunga carriera politica, ha commesso qualche errore, e tutti successivi all’alleanza con la Germania, insomma, oggi, l’idea sempre più diffusa è che Mussolini abbia fatto “solo” cose buone.

E se “ha fatto anche cose buone” era un osservazione opinabile, la nuova chiave interpretativa, è semplicemente disgustosa.

Questo post si intitola “Già le mani dalla storia” anche se inizialmente pensavo di chiamarlo “Tenete la Storia fuori dalla politica“, perché la storia, la nostra storia non è una componente politica e non appartiene all’una o all’altra corrente di pensiero, all’una o all’altra fazione, ma è di tutti, vincitori e vinti, giusti e malvagi, vittime e carnefici e in questo caso specifico, possiamo dire, con coscienza storica che la storia richiamata dal nipote del dittatore è tutt’altro che dalla loro parte, e farebbe meglio pensarci due volte prima di richiamare un passato di cui il nostro paese dovrebbe vergognarsi ma di cui, a quanto pare, ultimamente va sempre più fiero.

Il futuro verso cui viaggiamo, verso cui viaggia l’umanità non ha spazio per gli spettri di un passato burrascoso, barbarico ed incivile, in cui non esistevano libertà ne diritti, ma solo doveri, e la storia ci insegna, attraverso i propri corsi e ricorsi, che chiunque abbia provato a cancellare i diritti altrui, prima o poi è stato sopraffatto. Da Giulio Cesare a Benito Mussolini, passando per Oliver Cromwell e Napoleone, e non escludendo ovviamente il regime Sovietico, quello Maoista e quello Castrista, o le innumerevoli giunte militati che nel corso dell’ultimo secolo hanno preso il potere in america Latina e Africa o i vari imperi coloniali.
Aggiungo inoltre che il tempo inasprisce i sentimenti di chi è stato privato dei propri diritti e generalmente più questo tempo aumenta, più brutale e violenta stata la sopraffazione degli oppressori da parte degli oppressi, vedi la sorte di dello stesso Mussolini o più recentemente Gheddafi.

Reputo del tutto irrazionale che un uomo, candidato in un partito improntato sulla staticità e che cerca di contrastare la storia, osi parlare di “storia” e si riempia la bocca di parole e frasi assurde sul fascismo e sul proprio antenato, dicendo allo stesso tempo di non avere idee vicine a quelle del proprio avo, ma allo stesso tempo, difendendolo e dicendo di “aprire un libro di storia”, a chi osserva che quel regime totalmente nelle mani di Mussolini, compì crimini immani in tutto il proprio corso e al di fuori dell’alleanza con la Germania.

Personalmente mi reputo una persona che i libri di storia, non si è limitata ad aprirli, ma li ha studiati, sviscerati, analizzati fino al midollo, e non ho dubbi su chi abbia e chi non abbia mai aperto un libro di storia tra chi critica e chi difende il regime fascista e nel caso ci fossero dubbi a riguardo, chi difende il fascismo, evidentemente non ha idea di cosa sia stato il fascismo in italia.

Dire che Mussolini fece anche cose buone, è opinabile, ma accettabile, perché è assolutamente vero. In vent’anni di governo qualcosa di buono l’ha effettivamente fatto, è una questione puramente statistica, nella maggior parte dei casi, queste cose buone furono il frutto di continuità con il passato e il proseguimento di politiche “positive” che precedono (in alcuni casi di qualche decennio) l’avvento del fascismo, in altri casi, furono operazioni originali e proprie del governo fascista, ma nel computo generale di positivo e negativo, dubito che aver bonificato qualche palude, edificato qualche casa popolare e completato parte dell’infrastruttura ferroviaria, possa essere solo minimamente sufficiente a giustificare o rendere tollerabili gli immani crimini compiuti dal regime, i quali, per portata e varietà, va precisato, furono nettamente superiori alle “cose positive”. E se da un lato dire che Mussolini fece anche cose buone è opinabile, ma nel complesso generale vero, negare i suoi crimini e dire che il suo unico errore fu l’alleanza con Hitler, è frutto o di malafede o ignoranza, in entrambi i casi però, significa mentire spudoratamente.

Evidentemente i pestaggi, gli eccidi, i massacri, i brogli, la corruzione, la speculazione edilizia, i sequestri di persona e gli omicidi, compiuti dalle squadre fasciste nei primissimi anni dell’esperienza fascista, e fino almeno al 1929, per chi ha determinate idee, sono probabilmente atti dovuti, sono dei valori, dei pregi, sono un qualcosa di positivo di cui andare fieri, del resto, tutto questo è avvenuto non solo prima dell’alleanza con Hitler, ma addirittura prima dell’apparizione stessa di Hitler sulla scena politica tedesca. Insomma, di cose discutibili il Fascismo ne ha fatte ben prima dell’alleanza con Hitler. Non parliamo poi degli arresti, dei pestaggi e degli omicidi politici, che colpirono esclusivamente chi aveva un opinione o idea diversa da quella unica imposta dal regime, e stendiamo un velo pietoso sul modo in cui l’italia trattò gli indigeni nei propri possedimenti coloniali, perché non voglio aprire la questione sui crimini di guerra, i linciaggi, la riduzione in schiavitù e la compravendita di esseri umani, per decenni negati non solo dal regime, ma anche di illustri figure della stampa italiana negli anni della repubblica (ogni riferimento a Montanelli è puramente voluto). Restando quindi all’Italia e fingendo che le colonie non esistono e che quindi i crimini compiuti nelle colonie sono solo un invenzione degli storici. Ricordiamo che, in Italia, durante gli anni del regime fascista, per godere dei pochi diritti rimasti, essere italiani era una condizione necessaria ma non sufficiente, e se non sie era iscritti al Partito Nazionale Fascista, essere “cittadini italiani” era solo una formalità retorica, ma serviva a ben poco, di fatto, chi non era iscritto al partito, era come se non fosse un cittadino, o peggio, era un cittadino di serie B, al quale erano negati assistenza sociale, diritti civili e lavoro. Da questo punto di vista fa sorridere che nei suoi discorsi pubblici, Mussolini stesso ripetesse più volte “italiani”, riferendosi però, non a tutti gli italiani, ma solo a quelli tesserati.

Se oggi alcuni leader di partiti che in un modo o nell’altro sono eredi del partito fascista, ritengono opportuno e lecito dichiarare pubblicamente che “il pensiero unico ci impone di ascoltare tutti” facendolo passare quasi come un qualcosa di negativo, di vergognoso e assolutamente “antidemocratico”, è forse solo un eredità di quegli anni in cui, il partito fascista si era sostituito allo stato, ed aveva il potere di decidere arbitrariamente chi potesse e chi non potesse godere dei pochi diritti costituzionali ancora esistenti.

Mi permetto di aggiungere un ultima riflessione personale, a mio avviso, da storico ed osservatore attivo del mio tempo, il pensiero unico non è quello internazionalista e in un certo senso sancito dalla nostra stessa costituzione, costituzione che ricordiamo, parla di diritti universali per tutti (e sottolineo tutti) i cittadini, senza distinzione di sesso, etnia, origini, religione o pensiero politico. Il pensiero unico è, a mio avviso, quello di chi censura, denigra, minaccia, zittisce ed uccide chiunque la pensi diversamente, e questo, oltre ad essere in aperta violazione di uno dei principi fondamentali della nostra costituzione, è anche e soprattutto antistorico e non accetto che, fautori del pensiero unico, nostalgici di un tempo in cui in italia non esisteva alcuna forma di libertà, si permettano di distorcere la realtà storica, per le proprie finalità politiche. Di fatto, sparando cazzate senza ritegno, ne rispetto per la storia.