Hitler era Bisessuale?

Hitler aveva una sessualità confusa, probabilmente bisessuale e con alcune tendenze sadomaso, ma di cui non abbiamo alcuna certezza. Sappiamo però che andava facilmente in escandescenza, non era vegetariano poiché amava il riso con il pollo e il salmone affumicato, e non era astemio poiché ogni giorno alle 05:00 p.m. era solito bere una tazza di tè caldo con del Rum.

Hitler aveva una sessualità confusa, probabilmente bisessuale e con alcune tendenze sadomaso. Andava facilmente in escandescenza, non era vegetariano poiché amava il riso con il pollo e il salmone affumicato come antipasto e non era astemio poiché ogni giorno alle 05:00 p.m. era solito bere una tazza di tè caldo con del Rum.

Queste sono solo alcune delle tante, nuove, informazioni su Hitler pervenuteci da un fascicolo risalente al dicembre 1942 compilato dalla OSS, l’Office of Strategic Service, recentemente declassificato e reso pubblico dalla CIA, ma andiamo con ordine e prima di parlare del contenuto del fascicolo, cerchiamo di capire qual’era la sua funzione e perché è stato compilato, così da poter anche capire se le informazioni da esso riportato possono considerarsi valide o meno.

Contestualizzare il fascicolo, il momento in cui è stato redatto e le sue finalità è molto importante per almeno due motivi, da un lato perché moltissime testate on-line hanno riportato alcuni passaggi del fascicolo, travisandone completamente il senso e dando informazioni parziali e fuorvianti, indicando il fascicolo come fonte ma senza fornire un link per poter effettivamente verificare e visionare questa fonte, e dall’altra parte perché non tutti si fidano della documentazione resa pubblica dalla CIA.

Cominciamo col dire che nelle ultime settimane in tantissimi mi avete segnalato post di vari blog in cui si parlava di questo fantomatico fascicolo pubblicato dalla CIA e dopo non poche ore di ricerche in cui sono rimbalzato tra un sito all’altro  in cui si riportavano le stesse quattro informazioni in croce, sono finalmente riuscito a risalire al fascicolo vero e proprio ed ho scoperto che il fascicolo in questione è effettivamente un fascicolo dell’Office of Strategic Services (OSS), un agenzia di servizi segreti statunitense che possiamo considerare come il più diretto predecessore della CIA, operativo in Europa durante la seconda guerra mondiale e successivamente dismesso nel 1945, con la fine della guerra. La CIA fu istituita soltanto nel 1947 e nei suoi archivi confluì gran parte della documentazione e del materiale raccolto durante la guerra dall’OSS. Tra le migliaia di fascicoli archiviati e spesso dimenticati negli anni a venire, vi era anche un fascicolo di circa 96 pagine diviso in 2 parti da 68 e 28 pagine, compilato dall’antropologo statunitense Henry Field che, nel dicembre del 1942 fu inviato al maggiore dell’aviazione statunitense John P. McDonough. In questo fascicolo etichettato come “Biographical Sketches of Hitler and Himmler” erano raccolte una serie di informazioni biografiche e personali relative alle persone di Hitler (68 pagine) ed Himmler (28).

Il motivo per cui l’OSS fece ricorso alla consulenza di un Antropologo e di alcuni esperti di psicologia dell’epoca per raccogliere queste informazioni, se bene non siano dichiarati, possiamo facilmente presumerli e supporre col senno di poi che l’intento della OSS fosse quello di ottenere informazioni e dati analitici, di natura scientifica più che militare, e solo in un secondo momento affidare questi dati strategici al comparto militare, al fine di utilizzarli per colpire alla testa il terzo Reich.

Le informazioni presenti nel fascicolo, ad una prima lettura superficiale possono sembrare banali e irrilevanti, ma dal punto di vista strategico militare, conoscere le abitudini di Hitler, i suoi gusti alimentari e sessuali, era qualcosa di fondamentale, l’OSS voleva conoscere Hitler meglio di quanto Hitler non conoscesse se stesso, così da poter prevedere e prevenire le sue mosse e poter vincere la guerra.

Il contenuto del fascicolo.

Hitler era Vegetariano?

La prima cosa che scopriamo leggendo questo fascicolo è che, la storia secondo cui Hitler fosse vegetariano, sostenuta da alcuni, è praticamente falsa, Hitler mangiava carne, non ne mangiava tantissima perché non ne gradiva il sapore ne la consistenza, ma comunque la mangiava e bastava partecipare ad un qualsiasi banchetto o cena di gala in cui era presente anche Hitler per notare come questi mangiasse di tutto in mancanza del suo amato salmone affumicato. All’epoca comunque questa informazione era ben nota, Hitler non impazziva per la carne di manzo o maiale e potendo scegliere preferiva mangiare pesce, pollo o tacchino. Su questo punto quindi, il fascicolo non ci da nessuna informazione aggiunge nulla di nuovo a quanto già sapevamo, ma ci fornisce l’ennesima testimonianza del fatto che Hitler non fosse vegetariano.

Hitler era astemio?

La seconda cosa che scopriamo leggendo il fascicolo è che Hitler non era astemio, anche questa in realtà non è una novità, che Hitler amasse bere una birra particolarmente dolce e fruttata prodotta in quel di Monaco è noto da tempo, tuttavia per molto tempo si è creduto che il consumo di alcolici da parte di Hitler si limitasse a qualche birra di frumento molto fruttata solo in occasioni speciali, e che non gradisse particolarmente il suo rapporto con liquori e superalcolici, ed è proprio qui che il fascicolo sconvolge il lettore introducendo un elemento realmente nuovo nel profilo di Hitler.

Hitler, ci viene detto nel fascicolo, era solito bere del tè nero caldo corretto con del Rum, ne beveva una tazza ogni giorno, alle 5 del pomeriggio, il suo era un rituale quotidiano in cui, molto probabilmente, il leader tedesco si prendeva qualche minuto per se, al culmine di una lunga ed impegnativa giornata. 

I personaggi storici che Hitler Amava

Uno dei capitoli del fascicolo è dedicato all’educazione e le letture di Hitler, un capitolo in cui emergono le fondamenta letterarie alla base del suo libro, il Mein Kampf, e tra queste letture incontriamo non pochi saggi storici scoprendo che Hitler nutriva un certo amore per alcuni personaggi storici non sempre legati al mondo tedesco, tra questi incontriamo, in ordine cronologico, il legislatore ateniese Solone, Alessandro Magno, Silla, Bruto, Catilina, Cesare, Gesù, Maometto, Henrico VIII, Oliver Cromwell, Federico II di Prussia, Kutusov, Napoleone,  Blucher, Richard Wagner e Otto Von Bismarck.

Possiamo osservare da questi personaggi come vi sia una grande attenzione per alcuni grandi personaggi storici, ma soprattutto come vi sia una linea diretta tra il mondo classico Greco Romano ed il mondo contemporaneo, la Germania ottocentesca in particolare, possiamo inoltre osservare come, tutti questi uomini furono in qualche modo protagonisti delle varie componenti del pensiero hitleriano.

Solone aveva riorganizzato la costituzione e lo stato ateniese, superando in qualche modo la tradizione aristocratica e sollevando le masse popolari contro gli antichi signori per diventare egli stesso il signore di Atene, Alessandro aveva costruito in pochissimi anni uno degli imperi più grandi mai conosciuti dall’uomo, Silla, Cesare e Catillina, erano stati protagonisti della repubblica romana, maestri nelll’eliminazione delle opposizioni (liste di proscrizione sillana) e nel combattere presunte minacce interne o esterne (guerre civili di Silla e Cesare), Cromwell e Napoleone, pur non avendo origini nobiliari, erano de facto, subentrati alla guida delle proprie nazioni, in momenti di caos istituzionale, ottenendo un enorme consenso popolare, e poi vi erano loro, gli uomini che avevano reso edificato e reso grande la Germania contemporanea, una Germania che era stata schiacciata ed oppressa da potenze straniere che ne temevano il potenziale.

Questi uomini, la cui vita era stata fonte di grande ispirazione per Hitler, ci dicono però anche altro, ci dicono perché Hitler aveva così tanta ammirazione per Benito Mussolini e allo stesso tempo, mettono in discussione la teoria del mito del popolo ariano. Lo mettono in discussione perché non vi sono eroi germanici tra gli eroi di Hitler, non vi sono i re barbari che avevano saccheggiato Roma, al contrario vi erano Cesare, Silla e Catillina, eroi romani che avevano combattuto i barbari invasori germanici. 

Hitler era Bisessuale?

Arriviamo così al punto focale dell’articolo, il motivo per cui avete aperto questo articolo e anche il motivo per cui lo sto scrivendo, fare i pettegoli e mettere il naso nella camera da letto di uno degli uomini più iconici e in un certo senso affascinanti del secolo scorso.

Hitler era Etero? era Gay o era Bisessuale? In realtà non lo sappiamo, o meglio, non abbiamo informazioni dirette e precise che possano fornirci una risposta netta, non abbiamo informazioni chiare che ci permettano di dire, Hitler era etero, Hitler era gay o Hitler era bisessuale, tuttavia, Field nella sua indagine ha intervistato alcuni esperti della psiche umana del tempo, tra cui il dottor Sedgwick.

Secondo il dottor Sedwick, la sessualità di Hitler era doppia, come lo era la sua politica e questo è dovuto ad alcuni episodi legati al suo passato ,in particolare al 1909/1910 e al periodo 1923/1925.

Procediamo in ordine cronologico, noi sappiamo e lo sapeva anche il dottor Sedwick che, tra il 1909 ed il 1910 Hitler attraversò un momento particolarmente difficile, il suo fratellastro Alois II fuggì a Liverpool insieme all’irlandese Bridget Dowling, mentre lui, Adolf, venne sfrattato per morosità per due volte da due abitazioni particolarmente degradate nel quartiere viennese di Alsergund e in quello stesso anno, secondo quanto riportato da un aneddoto presente nel Mein Kampf, contrasse una malattia venerea da una prostituta ebraica. Di questo periodo della vita di Hitler non sappiamo molto altro.

Per quanto riguarda il periodo 1923 – 1925 invece, sappiamo che questo è il periodo in cui Hitler partecipò ad un colpo di stato a Monaco e in seguito al fallimento del colpo di stato Hitler fu condannato a cinque anni di prigionia, per poi scontarne soltanto pochi mesi poiché il giudice non riteneva l’uomo particolarmente pericoloso.
In questo periodo, durante la prigionia nel carcere di Landsberg, Hitler conobbe Rudolf Hess e tra i due nacque una profonda e, per il dottor Sedwick, sospetta amicizia. La vita sessuale di Hess a differenza di quella di Hitler era molto meno riservata, sappiamo infatti che nel 1935 Hess partecipò vestito da donna ad una “festa”, con il nome di Fraelein Anna. 

Questa amicizia, al netto del passato di Hitler a Vienna e del rapporto con suo fratello Alois II, potrebbe essere stata molto più che una semplice amicizia. Per Sedwick, anche se non ci sono prove a sostegno di questa teoria, non vi sono dubbi, la sessualità di Hitler era doppia, era allo stesso tempo eterosessuale ed omosessuale, alternando queste sue tendenze in maniera involontaria.

Hitler Sadomaso?

Sempre secondo le osservazioni di Sedwick, Hitler aveva una certa inclinazione per il sadomaso, e come per il suo orientamento sessuale anche questa è solo una teoria speculativa priva di prove a supporto.

Il motivo per cui Sedwick sospetta questa inclinazione è perché, stando a quanto riportato nel fascicolo, Hitler aveva un carattere particolarmente aggressivo, andava facilmente in escandescenza e questa sua indole violenta, unita ad una personalità dominante, potevano scaturire in alcune perversioni in ambito sessuale quali il sadomasochismo.

Fino a che punto queste informazioni sono valide?

Per quanto riguarda la validità delle informazioni raccolte, non credo vi siano particolari dubbi in merito, se Field ha ritenuto opportuno inserirle nel proprio rapporto al maggiore McDonough è perché evidentemente reputava valide e veritiere queste informazioni, e si fidava dell’interpretazione degli esperti che aveva consultato, va fatta però una precisazione di carattere analitico.

Le teorie del dottor Sedwick vanno prese con i guanti poiché si tratta per lo più di congetture legate alle credenze psichiatriche del tempo, congetture e teorie ormai superate e considerate errate. Per essere più precisi secondo Sedwick, e di conseguenza secondo il fascicolo, Hitler era bisessuale e incline al sadomaso perché aveva avuto un rapporto complicato e controverso con la famiglia, in particolare con la madre e con il suo fratellastro, aveva amici gay, aveva vissuto in un quartiere in cui vi era una casa di appuntamenti per omosessuali e tra i suoi personaggi storici preferiti vi erano Alessandro Magno e Cesare, la cui bisessualità è un fatto noto. Per quanto riguarda la sua inclinazione al sadomaso invece, questa sarebbe evidente per via del suo temperamento irruento, una personalità dominante, ed un carattere particolarmente violento e aggressivo.

Queste osservazioni sul carattere, la personalità e la vita sessuale di Hitler, sono presenti nel rapporto, non perché informazioni verificate, ma perché informazioni potenzialmente utili per fini strategici e militari.

Al netto di tutte le osservazioni fatte fino a questo punto, possiamo dire che da questo fascicolo emergono alcune informazioni ed ipotesi sulla personalità di Hitler, più precisamente possiamo dire che forse aveva una sessualità confusa, probabilmente bisessuale e con alcune tendenze sadomaso, ma di cui non abbiamo alcuna certezza. Sappiamo però che andava facilmente in escandescenza, non era vegetariano poiché amava il riso con il pollo e il salmone affumicato, e non era astemio poiché ogni giorno alle 05:00 p.m. era solito bere una tazza di tè caldo con del Rum.

Fonte:

Fascicolo OSS declassificato dalla CIA
https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/HITLER%2C%20ADOLF_0001.pdf

Le liste di Proscrizione Sillana

Nell’82 a.c. Silla pubblicò le liste di Proscrizione per eliminare i propri oppositori politici.

Sono passati 2100 anni da quando nell’82 a.c. Lucio Cornelio Silla pubblicò le liste di Proscrizione, ovvero delle liste in cui erano inseriti nomi di cittadini romani, per lo più oppositori politici dell’allora Dittatore romano, con cui si dichiaravano quei cittadini romani “hostes publici” ovvero nemici di Roma e di tutti i suoi cittadini.
Gli uomini inseriti nelle liste di proscrizione furono privati dei propri diritti politici e civili, furono sollevati dai propri incarichi pubblici, i loro beni ed i loro averi furono conquistati diventando proprietà di Roma.

Ma i nomi inseriti in quella lista erano realmente una minaccia per Roma o lo erano solo per Silla?

Per capirlo bisogna contestualizzare l’accaduto, le liste di Proscrizione furono pubblicate nell’82 a.c. poco dopo la nomina di Silla come Dittatore romano, magistratura straordinaria dalla durata di 6 mesi, che conferiva poteri eccezionali, superiori a quelli del Senato e dei Consoli romani. Insomma, una carica che dava un potere assoluto su roma per un periodo limitato di tempo.

Prima di essere nominato Dittatore, Silla aveva ricoperto ripetutamente la carica Pretore nel 97, propretore nel 96 e console nell’88. Tra il 91 e l’88 Roma era stata attraversata dal fenomeno delle guerre sociali, preludio a quelle che sarebbero state le successive guerre civili e se sul piano politico le guerre sociali terminarono ufficialmente nell’88 con l’elezione di Silla al Consolato, in termini pratici, l’insofferenza continuò ad esistere e diverse insurrezioni si manifestarono anche negli anni successivi costituendo il causus belli per la guerra civile dell’83, guerra civile che Roma avrebbe provato a frenare nominando Silla Dittatore.

Tra i vari elementi che costituiscono il causus belli per le guerre civili vi sono diversi episodi che progressivamente spostarono le tensioni dal piano politico a quello militare.
Nell’87, grazie all’appoggio delle legioni a lui fedeli, Silla riuscì ad allontanare i mariani dall’Urbe ed ottenne il comando militare per la guerra contro a Mitridate, successivamente riuscì ad ottenere il comando militare per le operazioni in Asia Minore. Con Silla impegnato sul campo, lontano da roma, la corrente politica dei populares, guidata da Gaio Mario, principale oppositore politico di Silla, riuscì a prendere il controllo di Roma, almeno fino al ritorno di Silla.

Senza inoltrarci troppo nelle vicende della guerra civile tra Silla e Gaio Mario, di cui abbiamo parlato in un video pubblicato su youtube, gli episodi della guerra civile, in particolare gli episodi dell’87 e dell’82 (in piena guerra civile), furono il punto d’origine che spinse Silla alla redazione delle liste di proscrizione, non a caso, i nomi presenti nelle liste appartenevano tutti, senza eccezioni, ad uomini che erano stati coinvolti proprio negli episodi dell’87 e dell 82.

Silla quindi ha usato i poteri straordinari derivanti dalla dittatura per epurare roma dai propri rivali e dai propri oppositori politici al fine di consolidare e mantenere il potere il più a lungo possibile.

Silla aveva ottenuto la dittatura in seguito alla vittoria di Porta Collina del novembre dell’82 a.C., poiché, in quella occasione il Senato romano era rimasto in disparte, non intervenendo per impedire ulteriori disordini, dal canto suo Silla, grazie alle legioni a lui fedeli, decise di intervenire autonomamente e di occuparsi personalmente della situazione ristabilendo l’ordine a Roma.

Dopo il trionfo degli uomini di Silla a Porta Callina, Silla convocò il Senato nel tempio di Bellona, situato situato all’esterno del pomerium a sud del Campo Marzio. Lì chiese al senato di essere riconosciuto Proconsole e di conseguenza che gli venisse riconosciuta l’autorità per poter esercitare il potere militare, successivamente questo potere sarebbe stato ampliato enormemente con la nomina di Silla alla carica di dittatore.
Mentre Silla spiegava al senato la propria strategia per porre fine alla guerra civile e riportare la pace a Roma e nella penisola italica, i suoi uomini giustiziavano i prigionieri dell’esercito vinto nella villa pubblica non lontana dal tempio di Bellona.

Terminata l’assemblea Silla fece proclamare dal banditore, il praeco, un editto che successivamente venne affisso al foro e in tutti i luoghi deputati all’affissione pubblica di editti dei magistrati, in tutta la penisola italica.

Insieme a questo editto, Silla fece affiggere anche tre liste di nomi, in cui furono inclusi tutti i nomi degli abitanti dell’Etruria e del Sannio di qualche importanza. Entrambe le regioni si erano opposte a Silla durante gli scontri e per questo furono duramente punite, del resto lo stesso Silla, all’assemblea con il Senato aveva dichiarato che non avrebbe concesso il perdono a nessuno di quelli che si erano opposti a lui durante la guerra.

Il destino dei Etruria fu durissimo, furono confiscate tutte le terre delle famiglie più importanti, ma in Sannio la repressione fu anche maggiore in quanto si procedette con l’eliminazione di tutti gli esponenti delle famiglie più eminenti della regione al fine di evitare la nascita di nuovi oppositori politici.

Una volta epurate l’Etruria e il Sannio ed eliminati tutti i prigionieri, la sete di sangue e vendetta di Silla era ancora lontana dall’essere saziata e per completare in maniera definitiva l’eliminazione dei suoi oppositori, furono pubblicate le liste di Proscrizione.

Nella prima lista erano presenti 80 nomi di esponenti del ceto senatorio, di parte mariana, magistrati o ex magistrati. Successivamente furono pubblicate altre due liste contenenti entrambe 220 nomi di esponenti di famiglie senatorie e cavalieri, per un totale di 520 nomi di magistrati, ex magistrati, senatori e cavalieri, divisi in tre liste e colpevoli di essersi opposti a Silla.

History Fact:

Se bene sappiamo quanti nomi furono inseriti nelle liste di Silla, non sappiamo esattamente quante furono le vittime e le morti effettive causate dalla proscrizione ed i vari autori che hanno affrontato la questione ci danno stime molto diverse.

Secondo Appiano, per effetto delle liste di proscrizione furono uccisi 60 senatori e circa 1600 tra cavalieri ed altri personaggi dal ceto non precisato.
Altri autori invece sono stati meno accurati di Appiano, non specificando il censo di appartenenza delle vittime, facendo quindi un discorso unico tra senatori, cavalieri, magistrati eccc, e in questi autori le stime sono molto più importanti.
Per Floro ci furono circa 2000 morti per effetto delle liste di proscrizione..
Per Valerio Massimo, le morti sono 4700.
Per Orosio, i morti sarebbero stati addirittura più di 9000.

Fonti: 
E.Gabba, Introduzione alla storia di Roma
E.Lo Cascio, Storia Romana, antologia delle fonti

L’Italia prima dell’Italia – Storia del Regno d’Italia

Il 17 Marzo 1861 avvenne la proclamazione ufficiale della nascita del regno d’italia, in quel momento il Re di Piemonte e Sardegna, Vittorio Emanuele II di casa Savoia, assunse per se e per i propri discendenti il titolo di Re d’Italia, acclamato dal popolo italiano e legittimato da una norma del neonato parlamento Italiano.

La storia del regno d’Italia inizia in questo momento, i vari moti rivoluzionari e indipendentisti, le varie insurrezioni e le guerre di indipendenza che si erano succedute nei decenni immediatamente precedenti il 17 marzo 1861 erano stati un importante preludio alla storia di unità nazionale di uno degli ultimi paesi europei ad aver conosciuto la propria unificazione, con un ritardo di appena quattro secoli rispetto al resto d’europa, e pure, in quei quattro secoli di età moderna, se bene l’Italia unitaria politicamente non esistesse, ed i suoi territori erano divisi tra le varie nazioni europee e le innumerevoli corti, repubbliche e signorie italiche, la sua storia culturale continuava ad essere al passo con il resto dell’europa ed i suoi protagonisti, nobili, notabili, filosofi e papi, continuarono a giocare un ruolo centrale nella storia europea.

Esiste una storia italiana, una storia dell’Italia che va da Roma all’unificazione ottocentesca, ed è una storia di continuità, influenza e potere, sia culturale che economico, e questa storia è la base, il punto d’origine di quella che sarebbe stata, successivamente la storia del regno d’Italia.

In questo articolo non voglio entrare nel merito delle guerre di indipendenza, di quello parleremo in altri articoli e post, ma voglio introdurre un discorso che ci accompagnerà nelle prossime dieci settimane, attraverso la prima stagione della serie sulla storia del regno d’Italia, una serie che inizia oggi, con un video dedicato alla nascita del regno di italia e che potete trovare di seguito, e si concluderà esattamente il 12 dicembre, in un certo senso con la fine del regno d’Italia.

Ogni video sarà accompagnato da un articolo come questo, saranno articoli di ampio respiro volti ad introdurre l’argomento del video, affiancandolo con informazioni apparentemente sconnesse che tuttavia reputo fondamentali per la piena comprensione delle dinamiche storiche di cui si parlerà nel video.

Eli Rezkallah inverte i ruoli in vecchie pubblicità sessiste

Eli Rezkallah inverte i ruoli in vecchie pubblicità sessiste degli anni 50. Apri la gallery per vedere tutte le foto

Osservando quanto, ancora oggi razzismo, sessismo, omofobia ecc siano profondamente radicati in un importante fetta della popolazione mondiale, e osservando la natura sessista, omofoba e razzista di alcuni spot e immagini pubblicitarie, il fotografo Eli Rezkallah ha deciso di immaginare un universo parallelo in cui le cose sarebbero potute andare diversamente, in cui i ruoli di uomo e donna fossero invertiti, ha quindi realizzato un servizio fotografico in cui ha letteralmente ribaltato queste pubblicità.

Rezkallah ha dichiarato di aver avuto l’idea per questo servizio fotografico durante il giorno della festa del Ringraziamento trascorsa coi parenti in New Jersey.

Rezkallah ha dichiarato:

«Sentii alcuni miei zii parlare di come le donne debbano cucinare e svolgere i ruoli che “appartengono loro”. Anche se so che non tutti gli uomini la pensano così, rimane vero che queste idee rimangono in piedi e che l’essenza di certe pubblicità degli anni ’50 sia sopravvissuta nel tessuto sociale moderno. Così ho provato a creare delle opere che dessero un’idea di quello stesso accanimento di genere, solo a ruoli invertiti».

L’iniziativa portata avanti da Eli Rezkallah invertendo i ruoli di uomini e donne nelle vecchie pubblicità degli anni 50 è meravigliosa, ma se non accompagnata da una narrazione (anche superficiale) delle battaglie e dei movimenti per i diritti civili delle donne e di tutte le minoranze, gay, zingari, afroamericani, africani, polacchi, storipi e gente a cui non piaceIl Signore degli Anelli, questa iniziativa rischia di diventare soltanto un mero esercizio stilistico.

Ecco alcuni degli scatti realizzati da Rezkallah e la sua controparte pubblicitaria degli anni 50.

In principio Razzismo, Sessismo, Omofobia, Xenofobia ecc erano all’ordine del giorno, storie di l’intolleranza e discriminazione di chiunque non coincidesse perfettamente con l’immagine iconica dell’uomo bianco, etero e di successo, erano all’ordine del giorno, poi arrivarono le insurrezioni popolari ottocentesche, la rivendicazione di diritti universali che trascendevano l’aspetto fisico e la condizione sociale delle persone.

Così, già dalla metà del XVIII secolo, fondamentalmente con l’illuminismo, prima i ceti “borghesi” e poi le classi popolari iniziarono a rivendicare la propria autonomia, la propria libertà in quanto uomini e donne uomini libere, in quanto cittadini.

In principio fu la rivoluzione americana che portò alla nascita della prima nazione borghese del mondo, una nazione libera dai retaggi del passato, libera dalle antiche aristocrazie e dagli antichi dogmi, ma in cui, il superamento del modello dell’uomo bianco, etero e di successo, era ancora lontano dal divenire, di fatto diritti e libertà valevano solo per l’uomo bianco, dalla pelle candida e chiara e già chi aveva tratti somatici più “mediterranei“, chiamiamoli così, era considerato diverso, Italiani, Polacchi, Slavi, Ebrei, Messicani erano si uomini bianchi, ma non proprio bianchi bianchi, e poi c’erano coloro dalla pelle scura per i quali ancora valeva la schiavitù.

Passano gli anni e le stesse idee sfociano in europa prima nella rivoluzione francese e conducono all’ascesa di Napoleone che per primo, metterà fine alla schiavitù. Con napoleone per la prima volta nella storia tutti gli uomini sono veramente uguali ed hanno le stesse possibilità, le stesse potenzialità, senza alcuna distinzione legata al proprio aspetto fisico, o quasi.

La strada verso diritti civili universalmente riconosciuti e valida per tutti gli individui è in realtà ancora molto lunga, soprattutto per le donne e per chi ha la pelle un po’ più scura degli altri o si credeva in un dio diverso dal dio dei cristiani. Se bene Napoleone avesse cancellato la schiavitù dall’Europa,  la donna era ancora discriminate, così come lo erano gli islamici e chi aveva la pelle scura, ma qualcosa stava cambiando, qualcosa di nuovo stava nascendo.

Verso la metà del XIX secolo in america ci si inizia a battere per l’abolizione della schiavitù e per il riconoscimento dei diritti civili per tutti gli uomini liberi, e senza la schiavitù tutti gli uomini sono liberi, compresi nativi americani ed ex schiavi. Dopo la guerra la battaglia continua e si sposta dal diritto alla libertà al riconoscimento di una condizione che ponesse l’uomo bianco e l’uomo nero sullo stesso piano, il colore della pelle non poteva essere una fonte di discriminazione, e pure lo era ancora.

Nascono così i primi movimenti per i diritti civili degli afroamericani e sul modello di questi sarebbero nate negli anni numerose associazioni per i diritti civili, non solo degli afroamericani, ma per tutte le minoranze, comprese le donne.

Viste le importanti conquiste degli afroamericani, a partire dagli anni cinquanta anche le donne iniziarono a gran voce i propri diritti, portando avanti battaglie importanti volte a superare l”immagine tradizionale della “della perfetta casalinga americana” devota e sottomessa al marito, come piace a Diego Fusaro. Nascono movimenti volti a superare l’immagine della donna dal fisico asciutto, sempre in ordine e pronta a far trovare la casa splendente e la cena pronta al marito che rientra da lavoro, stanco e affamato.
Nonostante le mille battaglie combattute in quegli anni, queste immagini continuavano ad esistere e ad essere riproposte nelle pubblicità, almeno fino agli anni 90 del novecento e i primi anni 2000.

I processi di Norimberga tra vincitori e giustizia

Norimberga, un tribunale dei vincitori travestito da corte internazionale, tra irregolarità e giustizia.

I processi post-bellici sono spesso utilizzati dai vincitori come strumento di pressione sugli sconfitti, per proseguire la guerra ben oltre il cessate il fuoco, ne abbiamo parlato in un articolo sulle nuove guerre e voglio parlarne in maniera più approfondita in questo articolo riguardante i processi di Norimberga.

Durante i processi di Norimberga, sul piano giuridico, vi furono molte irregolarità, a partire dal fatto che sotto la veste della corte internazionale vi fosse in realtà un classico tribunale dei vincitori sui vinti e che furono introdotte nuove leggi per punire vecchi crimini le cui dimensioni erano diventate troppo grandi per essere punite secondo i canoni tradizionali, tuttavia, questo procedimento ha portato ad un contraddittorio giuridico che fece venir meno uno dei principi fondamentali del diritto, la non retroattività dei crimini, creando un precedente pericoloso nel mondo che si andava a costruire da quel momento in avanti.

Finita la seconda guerra mondiale con la sconfitta del Terzo Reich da parte delle Nazioni Unite (meglio note come Alleati), ovvero Stati Uniti, Unione Sovietica e Regno Unito, fu costituito un tribunale internazionale nella città di Norimberga. Norimberga fu scelta per il suo valore simbolico in quanto era una delle città più iconiche del Reich ed era una delle città simbolo della dittatura nazista, inoltre era la città in cui, nel 1935 in occasione del 7° raduno nazionale del partito Nazista, furono varate la “legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco” (RGBl. I S. 1146), la “legge sulla cittadinanza del Reich” (RGBl. I S. 1146) e la “legge sulla bandiera del Reich”, note al mondo come le leggi di Norimberga.

Tavola illustrata del
Tavola illustrata del Blutschutzgesetz (Leggi sulla purezza della razza) del 1935

Il tribunale militare, costituito dagli alleati a Norimberga si proponeva al mondo come una corte internazionale, giusta e imparziale che tuttavia si componeva esclusivamente di membri delle potenze vincitrici della guerra, configurandosi de facto come un vero e proprio tribunale dei vincitori.

History Fact:


Inizialmente fu scelta la città di Berlino (presidiata dall’Unione Sovietica) come sede del Tribunale Militare Internazionale, successivamente si decise di svolgere i processi a Norimberga pur mantenendo la sede del TMI a Berlino.
Le principali ragioni per cui i processi si svolsero a Norimberga e non a Berlino sono le seguenti:

1) Norimberga era situata nel settore statunitense di competenza degli USA in base a quanto stabilito durante la conferenza di Potsdam (in cui i territori del terzo Reich furono divisi in quattro settori controllati dalle nazioni vincitrici, USA, UK, URSS e Francia).
2) Il palazzo di Giustizia di Norimberga era molto spazioso e quasi completamente illeso dai bombardamenti, era uno dei pochi edifici presenti in Germania a non essere stato distrutto, inoltre ospitava al proprio interno un grande prigione.
3) Norimberga era stata riconosciuta dalle potenze alleate e dallo stesso popolo tedesco come la città delle “Celebrazioni del Partito del Reich” (Reichsparteitag), aveva quindi un grande valore simbolico per la storia tedesca e svolgendo lì i processi, si volle rendere Norimberga come la sede della sconfitta finale del partito nazista.

Le quattro principali potenze vincitrici della guerra, Francia Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica, nell’organizzare il tribunale stabilirono che ognuno dei vincitori avrebbe nominato due giudici, uno principale ed un sostituto, e furono nominati due procuratori, che avrebbero avuto il compito di giudicare e punire i criminali di guerra del terzo Reich.

Elenco dei Giudici:


Geoffrey Lawrence (britannico, giudice principale e presidente)
Norman Birkett (britannico, sostituto)
Henri Donnedieu de Vabres (francese, giudice principale)
Robert Falco (francese, sostituto)
Francis Beverley Biddle (statunitense, giudice principale)
John Parker (statunitense, sostituto) 
Iona Timofeevič Nikitčenko (sovietico, giudice principale)
Aleksandr Fëdorovič Volčkov (sovietico, sostituto)
Robert Houghwout Jackson (statunitense, procuratore)
Hartley Shawcross (britannico, procuratore).

Già dalle premesse il tribunale di Norimberga appariva come un tribunale politico, sembrava più un tribunale dei vincitori volto a proseguire in aula la guerra, più che un tribunale internazionale volto a fare giustizia, fu tuttavia concesso agli imputati che non vollero ricorrere ad un avvocato difensore privato, di poter disporre di un avvocato “d’ufficio”, e vista l’entità e la portata delle imputazioni e dei capi d’accusa, la vita degli avvocati difensori non fu semplice e in previsione degli anni a venire, avere nel proprio curriculum la difesa di un ex gerarca nazista di sicuro non avrebbe giovato agli affari. Ad ogni modo, i processi si svolsero con una certa regolarità, in quell’aula di tribunale era presente il mondo intero, tutti aspettavano la sentenza e nessuno si aspettava assoluzioni o perdoni, possiamo anzi dire che l’esito dei processi di Norimberga era già scritto prima ancora che si iniziasse a pensare a Norimberga, prima ancora che si iniziasse a pensare ai processi, tuttavia fu necessario realizzare uno show internazionale e svolgere un regolare processo farsa.

Se da una parte l’esito dei processi non sorprende, non sorprende la severità con cui furono puniti gli imputati e non sorprendono le condanne emesse, ciò che sorprende è il modo in cui si giunse a quelle sentenze, poiché a Norimberga non si fece ricorso a leggi vigenti in Germania, anche perché secondo la legge tedesca del terzo Reich i nazisti avevano agito nel pieno della legalità, ne si fece ricorso ai codici militari statunitensi, francesi, britannici o sovietici, nei quali erano previste punizioni per i crimini commessi dai nazisti durante la guerra, tuttavia i vari codici militari e civili prevedevano pene differenti per lo stesso crimine e in quel determinato contesto politico utilizzare un codice penale anziché un altro aveva un enorme peso politico, gli statunitensi non volevano che venissero applicate le norme statunitensi, i sovietici le norme sovietiche, i francesi volevano che i criminali nazisti fossero privati dello stato di diritto e messi fuori dalla legge, ma mentre si dibatteva e si discuteva per decidere cosa fare c’era la necessità impellente di processare, giudicare e punite i criminali tedeschi e allora si trovò una soluzione “alternativa” particolarmente originale, si decide di fare ricorso alle norme internazionali contro la pirateria, definendo così i criminali nazisti come hostis generis humani, nemici del genere umano, e partendo da questo principio si costruirono nuove leggi per punire vecchi crimini che avevano raggiunto una dimensione tale da rendere sproporzionata ogni possibile condanna tradizionale.

Nacque così il concetto di crimini contro l’umanità e fu stabilita la natura retroattiva delle norme volte a perseguire e punire i criminali che si erano macchiati di quei crimini. I crimini contro l’umanità erano nati nel 1946 ma si applicavano a chiunque, o quasi, si applicarono agli sconfitti, si applicarono a Norimberga prima e Tokyo poi.
La natura retroattiva di queste norme che si applicavano quindi a crimini commessi prima che quelle stesse leggi stabilissero l’esistenza di quei crimini, ha rappresentato una problematica etica e giuridica, da una parte si sentiva la necessità di punire quelli che il mondo intero riconosceva come crimini, tuttavia erano crimini senza precedenti erano crimini compiuti nel rispetto della legge e della legalità dello stato in cui erano stati compiuti, ed era difficile decidere come comportarsi. Il mondo chiedeva giustizia, le vittime chiedevano giustizia ma il confine tra giustizia e vendetta era molto sottile, quasi impercettibile e per molti era difficile concepire una giustizia ottenuta violando le leggi.

Alla fine comunque si decise di rendere effettivamente retroattive quelle nuove norme e di punire i criminali nazisti sulla base di un neonato diritto internazionale che in quell’occasione sarebbe stato retroattivo.
questa decisione produsse condanne importanti, molti furono condannati a morte, altri all’ergastolo, altri ancora furono condannati a scontare 20 e 10 anni di carcere e solo pochissimi imputati alla dei processi fine furono assolti.

I sette condannati da pene detentive (dai dieci anni al carcere a vita) dalla corte militare internazionale di Norimberga, furono trasferiti nel 1947 nel carcere di Spandau dove avrebbero scontato la propria condanna.

Il primo a varcare in uscita i cancelli di Spandau fu Konstantin von Neurath, condannato a 15 anni di detenzione e rilasciato per motivi di salute nel 1954,  von Neurath morì 2 anni più tardi, nel 1956, e sempre per motivi di salute, nel 1955 Erich Raeder lasciò la prigione nonostante la sua condanna a vita. Nel 1956 fu il turno di Karl Dönitz, uscito dal carcere dopo aver scontato per intero la propria condanna a 10 anni di detenzione e l’anno dopo, nel 1957 a lasciare la prigione fu Walter Funk, condannato al carcere a vita e uscito anch’esso per ragioni di salute.
Gli ultimi due prigionieri a lasciare Spandau furono Albert Speer e Baldur von Schirach, entrambi condannati a 20 anni di detenzione ed entrambi rilasciati nel 1966 una volta scontata la pena.
L’unico condannato a vita che non avrebbe mai lasciato fu Rudolf Hess, che scontò la sua pena fino al 1987, anno della sua morte in carcere.

History Fact:


Rudolf Hess è stato l’unico detenuto del carcere di Spandau per più di 20 anni e dopo la sua morte il carcere fu demolito

Fonti :
L.Baldissara, P.Pezzino, Giudicare e Punire
R.H. Jackson, Il tribunale dell’umanità. L’atto di accusa del processo di Norimberga
C.Schmitt, Risposte a Norimberga
D.Zolo, La giustizia dei vincitori, da Norimberga a Baghdad

La fine della Cultura di Eric Hobsbawm | Recensione

La fine della cultura di Eric Hobsbawm, guida alla lettura

Eric Hobsbawm lo sapete, è il mio storico preferito, amo le sue opere in maniera quasi morbosa e tra i tanti libri che ha scritto, il secolo breve è sicuramente il più iconico e famoso, ma probabilmente è anche il meno importante.

Hobsbawm è stato uno storico sociale, di formazione marxista, significa che nel suo lavoro ha sempre tenuto gli occhi puntati sull’elemento sociale, sulla società, in particolar modo sulla società ottocentesca che poi è stato l’oggetto privilegiato di gran parte della letteratura prodotta dallo stesso Hobsbawm e solo negli ultimi anni di attività, diciamo negli ultimi 2 decenni, Hobsbawm ha in qualche modo dipanato le ali e dato uno sguardo dall’alto anche al Novecento.
Il secolo breve rappresenta in qualche modo un punto di rottura con il passato, il 1991 rappresenta la fine di un epoca ma anche di un modo di scrivere. Senza girarci troppo intorno, dopo il Secolo Breve Hobsbawm ha iniziato a rivolgere lo sguardo su temi più ampi, producendo opere più intime e personali, in un certo senso più riflessive che analitiche.

Nell’età degli Imperi che cronologicamente copre il periodo immediatamente precedente l’inizio del secolo breve, Hobsbawm propone una ricostruzione storica delle dinamiche sociali, economiche e politiche del mondo in quegli anni, propone un analisi storica e critica di quel mondo, mentre, in opere come il secolo breve e ancora di più in “la fine della cultura” Hobsbawm si lascia andare molto di più alle proprie osservazioni e considerazioni personali, il tutto sempre condito da un profondo rispetto per l’argomento studiato e con la maestria di cui solo uno dei più grandi storici del secolo scorso potrebbe fare, e questo ci porta al soggetto di questo post.

Il libro “La fine della cultura. Saggio su un secolo in crisi d’identità” pubblicato nel febbraio 2012, pochi mesi prima della sua scomparsa nell’ottobre di quello stesso anno.

Si tratta de facto dell’ultimo libro di Eric Hobsbawm, della sua ultima fatica, del suo ultimo capolavoro, e in quanto tale ha per me, che amo Hobsbawm, un enorme valore affettivo e significativo, al di la del suo contenuto sul quale sono state spesso mosse critiche di varia natura, dal fatto che il libro sia “troppo personale” molto più giornalistico che storico, per intenderci, al fatto che sembra quasi un opera incompiuta e data in stampa prematuramente.

E se per quanto riguarda la prima osservazione posso essere in parte d’accordo, considerando però, questa soggettività che ci viene dichiarata esplicitamente dall’autore nella prefazione del libro, come un valore aggiunto e non un elemento discriminatorio, poiché si tratta del punto di vista di un icona della storiografia del novecento, non condivido invece la seconda critica, il libro a mio avviso è completo e preciso, puntuale, pungente e ironico, tratto distintivo della penna di Hobsbawm che è forse uno dei motivi principali per cui ho iniziato ad amare questo grandissimo storico.

Per quanto riguarda il libro in se comunque, non è un libro semplice da leggere, non è un libro per tutti gli utenti e di sicuro non per lettori inesperti, per comprenderlo a pieno è necessario conoscere Hobsbawm, conoscerlo bene e conoscere il suo pensiero, un pensiero espresso più o meno velatamente nelle varie prefazioni ai suoi libri e in maniera dichiarata nella sua autobiografia “Anni interessanti” pubblicata nel 2002, autobiografia che almeno nella sua cronologia editoriale si colloca esattamente a metà strada tra “il secolo breve” (1992) e “La fine della cultura” (2012), e che nella sua cronologia interna condivide gran parte della strada percorsa con il secolo breve, nella cui prefazione lo stesso Hobsbawm ci dice che quel periodo (1914-1991) coincide quasi completamente con la sua vita.

Uno dei motivi per cui “la fine della cultura” non è un libro semplice è perché fondamentalmente non è un vero e proprio libro, si tratta più di una raccolta di saggi, circa venti saggi elaborati dall’autore nel corso della sua vita, e che condividono un tema comune, i ragionamenti, le osservazioni, le osservazioni e le critiche espresse da Hobsbawm sul suo tempo, sul tempo in cui viveva e la società in cui viveva, e alla luce di ciò appare evidente perché conoscere la chiave di lettura del mondo adottata da Hobsbawm.

Leggere la fine della cultura consapevoli del fatto che Hobsbawm sia uno storico sociale, inglese e di formazione marxista, ci permette di comprendere quei saggi fin nel profondo del loro essere e se ci soffermiamo a riflettere sul fatto questo libro è il frutto di quasi mezzo secolo di riflessioni storiche dell’autore, può viene quasi naturale commettere l’errore di ricercare un qualche un parallelismo con “l’apologia della storia” di March Bloch, che ricordiamo essere un opera postuma data alle stampe per volontà di Lucien Febvre, in cui sono raccolte le riflessioni e le osservazioni che hanno accompagnato la vita di Bloch sul mestiere di storico e non è su questo che riflette il testo di Hobsbawm.

In questa raccolta, a differenza dell’Apologia della Storia, si pone l’attenzione sulla società, sul mondo e sulla cultura, osservando da una parte sulle nuove forme di espressione artistica nell’era della globalizzazione, sull’esiguo spazio che oggi resta alla cultura del passato e dall’altra parte riflette su moltissimi altri aspetti dell’arte e della cultura contemporanea, dal ruolo degli intellettuali a quello della scienza, dai rapporti tra arte e politica alla pop art, all’emancipazione femminile al ruolo delle religioni nel mondo contemporaneo, sul fallimento delle avanguardie e su quella che definisce come la “tradizione inventata” del cowboy americano, tema a cui è dedicato un intero saggio, posizionato in chiusura del libro, quasi come se questo saggio volesse essere la sua ultima sfida dello storico inglese, la sua ultima grande provocazione, l’ennesimo scossone dato alla storiografia dall’uomo che aveva inventato il secolo breve.

L’autore non a caso osserva che la rivoluzione scientifica e tecnologica del ventesimo secolo ha totalmente mutato le tradizionali modalità con cui si scandiva il ritmo delle giornate e gli uomini comuni si guadagnavano da vivere e se in questo nuovo mondo dalle infinite potenzialità le masse popolari, dopo aver fatto la propria irruzione nella storia nel secolo precedente ora, nel novecento, fanno la propria irruzione sulla scena politica. Per Hobsbawm questa irruzione ha abbattuto «il muro tra cultura e vita, tra venerazione e consumo, tra lavoro e tempo libero, tra corpo e spirito», ed ha portato ad un progressivo svuotamento del ruolo privilegiato riservato alle arti nel passato, in quella che definisce come la vecchia società borghese.
Nel mondo contemporaneo per Hobsbawm è venuta a mancare l’estetica tradizionale, l’estetica borghese e di conseguenza, la cultura dell’accezione borghese deve «lasciare il posto alla cultura nel significato antropologico puramente descrittivo» spingendo verso un progressivo imbarbarimento della cultura, della politica e della società, anticipando, con estrema lucidità quello che sarebbe successo su scala globale negli anni successivi, con l’avvento e l’affermazione dei vari e numerosi partiti populisti, spesso di estrema destra, in Europa e nelle Americhe.

La fine della cultura è un libro che inizia la sua storia editoriale nel 1964 e che vede la sua stampa soltanto nel 2012, raccogliendo al proprio interno le considerazioni e le osservazioni di uno dei più fini e attenti osservatori del novecento nonché uno dei più grandi storico del ventesimo e della prima decade del ventunesimo secolo.

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Oscurare la stampa per uccidere la democrazia – Le regole del colpo di stato perfetto

La Regola delle tre M ovvero la teoria secondo cui per compiere il “colpo di stato perfetto” è necessario il controllo di tre elementi strategici quali definiti come “military”, “money” e “media”, deriva direttamente dalla teoria del Potere espressa da Max Weber nella sua “sociologia del potere”, in cui indicava tre tipologie di potere intrecciate tra di loro e subordinate al potere politico che per Weber era la forma definitiva del potere.
In questo articolo cercheremo di capire come e perché questi tre elementi sono considerati strategici e fondamentali per giungere ad un perfetto colpo di stato.

Per Weber esiste infatti il potere economico (Money), il potere Militare (Military) e il potere carismatico (Media) e tutti questi poteri sono componenti fondamentali, subordinati al potere Politico che, nella sua piena applicazione ha la capacità di influenzare e controllare direttamente il potere economico, militare e il potere carismatico.
Ma non è tutto, perché per Weber il potere, in senso più ampio, è la combinazione di due elementi quali la “potenza” ovvero la capacità di imporre la propria volontà, e il “carisma”, ovvero la capacità di convincere gli altri ad accettare spontaneamente la propria volontà.
Per quanto riguarda il potere militare, la componente della potenza è quella predominante, mentre per quanto riguarda il potere mediatico, la componente predominante è quella della potenza, il potere economico si colloca nel mezzo, il denaro è infatti un potente mezzo di “persuasione forzata” ovvero uno strumento che permette di convincere gli altri ad accettare la propria volontà in cambio di un qualcosa.

Tornando alla regola delle tre M, coniata nel contesto generale della guerra fredda nel mondo americano (negli uffici della CIA), l’applicazione delle teorie di Weber ha portato alla definizione di questa strategia estremamente efficiente per compiere il colpo di stato perfetto.
Parlo di colpo di stato perfetto perché se si ha il controllo di tutti e tre gli elementi strategici, il colpo di stato può essere eseguito in maniera estremamente efficace e pulita, senza quasi che la popolazione si accorga del suo compimento. Diversamente, un colpo di stato effettuato con il controllo di due o uno soltanto di questi tre elementi, pensiamo ad un golpe militare ad esempio, la popolazione si accorge immediatamente che c’è qualcosa che non va.

Ma perché questi tre elementi sono così importanti per un colpo di stato?

La risposta a questa domanda ci arriva direttamente da Weber. Partiamo quindi dal potere economico, questo è un elemento importantissimo per “corrompere” i propri oppositori o comunque gli indecisi e portarli dalla propria parte, il potere economico, la capacità di mantenere le promesse effettuate è infatti un elemento importantissimo per ottenere consensi che in un sistema democratico sono fondamentali nel processo di legittimazione del potere, ma sulla legittimazione del potere ci siamo già dilungati in un altro articolo che potete recuperare qui.

Una volta acquistati consensi e corrotto gli oppositori meno polarizzati, il potere mediatico, la capacità di manipolare, nascondere, distorcere e distribuire l’informazione diventa un elemento centrale, il controllo dei media permette di controllare e limitare la circolazione delle informazioni dando così l’idea che “vada tutto bene” e “tutto proceda per il verso giusto” e nel pieno rispetto delle regole, delle leggi e della costituzione, nascondendo quindi eventuali irregolarità o abusi.

A questo punto, una volta che l’opposizione è inesistente e i media sono sotto il proprio controllo, l’impalcatura su cui edificare un regime dispotico è pronta anche se non esente da minacce. La minaccia più grande infatti sono le idee, e come cantavano i nomadi nella canzone “Salvador” in cui si racconta il colpo di stato del cileno Augusto Pinochet, “ma un popolo non può morire, non si uccidono idee” e la libera circolazione delle idee è forse l’elemento più pericoloso per chi progetta un colpo di stato, perché da esse può nascere una reale opposizione, da esse può nascere la “resistenza”, occorre quindi trovare un modo per arginare il problema sul nascere e in realtà un modo c’è ed è ampiamente collaudato, questo modo è l’epurazione degli oppositori mediante quelle che al tempo di Silla nell’antica Roma erano note come liste di proscrizione, e grazie al controllo della terza M, grazie al controllo diretto delle forze militari e di polizia, è possibile mettere agli arresti o far sparire i più assennati e determinati oppositori, basti pensare al fenomeno dei “Desaparesidos” oppure, se vogliamo restare in italia, alla figura di Antonio Gramsci, arrestato per le sue idee con l’accusa di terrorismo e cospirazione, ed identificato dal regime Fascista come un pericolosissimo criminale. 

Le origini della civiltà romana

Roma è uno dei rari casi nella storia in cui di una città si conosce il giorno di fondazione (il 21 Aprile) ma non se ne conosce l’anno.
Ci sono molte teorie riguardanti le origini di Roma, sia per quanto riguarda l’anno di fondazione che per quanto riguarda il gruppo “etnico” di appartenenza.
Secondo la tradizione roma è stata fondata nel 753 a.c. e questo significa che l’età monarchica sia durata circa 250 anni, che sono decisamente troppi per l’epoca, soprattutto se si considera che ci sono stati soltanto sette re. Secondo altre teorie, molto più verosimili, la fondazione di roma risalirebbe alla seconda metà del VII secolo, approssimativamente tra il 635 ed il 600 a.c., e questo è molto più probabile.

Per quanto riguarda l’origine “etnica” invece, qui le teorie sono tra le più disparate, la teoria più accreditata e maggiormente accettata è quella secondo cui Romolo, il mitico fondatore della città, fosse di origini Latine, altri sostengono che le origini di Romolo siano Sabine, secondo altre tesi le origini di Romolo sarebbero Etrusche e qualcuno azzarda l’ipotesi che Romolo fosse di origini Greche, e la cosa interessante è che, ognuna di queste teorie è supportata da una diversa variante del mito delle origini e della fondazione di Roma, ma, qual è la verità dietro Romolo la fondazione di Roma? che rapporto c’era tra i romani e le vicine popolazioni di sangue latino ?

Lo Spread spiegato facile – Spread For Dummies

Oggi voglio provare a lanciarmi in un impresa ardua degna delle fatiche di ercole, voglio provare a spiegare nella maniera più semplice possibile la questione del deficit e dello spread, e voglio provare a spiegarlo in maniera così semplice che alla fine di questo articolo, spero, persino un piccione, creatura che è stato scientificamente dimostrato essere stupida oltre ogni limite (vedi test di Skinner), possa essere in grado di capire che cos’è lo Spread, che non è uno spauracchio, non è pura illusione e non nasconde alcun complotto massonico, ma è semplicemente un termine tecnico che per qualche ragione nessuno ha mai provato a spiegare in maniera semplice.

Per rendere tutto più semplice voglio utilizzare il grande potere dell’astrazione e farvi degli esempi pratici attingendo alla quotidianità.

Immaginiamo che per qualche ragione tu lettore, hai bisogno di soldi, perché sei al verde e senza lavoro e allora vai da un tuo amico e gli chiedi in prestito 500€, quando gli chiedi questi soldi gli dirai che intendi utilizzarli per acquistare un PC e che con quel PC potrai impegnarti attivamente nella ricerca di un lavoro, quindi guadagnare e ripagare il debito.
Il tuo amico ti sentito il tuo proposito decide di aiutarti e ti presta quanto gli hai chiesto ma impone alcune condizioni, dovrai restituirgli quel denaro entro un anno e con l’impegno da parte tua nel cercare effettivamente un lavoro in quell’anno, utilizzando come da programma il PC che acquisterai con i soldi che ti sono stati prestati, e per venirti in contro il tuo amico ti proporrà una soluzione, ti dirà che se ti impegnerai realmente nella ricerca di lavoro, non dovrai pagargli alcun interesse, dovrai semplicemente restituirgli 500€ così come te li ha prestati, se però vedrà che in quell’anno non hai cercato lavoro allora dovrai pagare anche un piccolo interesse dell’1%.

Passa un anno e tu non hai cercato lavoro, rimandando continuamente la ricerca perché tanto c’era tempo e alla fine ti ritrovi ad avere un debito da saldare che equivale a 500€ + 1% di interessi, ovvero 505€. Visto che non hai trovato lavoro tu quei soldi non li hai e allora decidi di ripagare il debito in deficit, ovvero chiedendo altri soldi in prestito, ti rivolgi quindi ad un altro amico chiedendo in prestito questa volta 505€ e questo secondo amico ti chiederà le stesse condizioni del precedente, ma, visto che nell’anno precedente non sei stato affidabile, il tuo spread è aumentato e quindi ti chiederà un interesse del 2%.
Passa ancora un anno, stessa situazione di prima, tu sei ancora senza lavoro e quindi senza soldi ed il tuo debito questa volta è di 515€. Come prima decidi di pagare il debito a deficit e chiedi ancora soldi in prestito per pagare i precedenti debiti, lo spread aumenta ancora e questa volta gli interessi arrivano al 4% quindi alla fine dovrai restituire non 515€ ma 535€.
Passa un altro anno, attingi ancora al deficit, aumenta ancora lo spread, continui insomma a chiedere soldi in prestito per pagare i precedenti debiti e gli annessi interessi che ti vengono richiesti come conseguenza della tua poca affidabilità finanziaria. Per i tuoi amici prestarti soldi è un rischio visto che in questi anni non hai cercare lavoro e continui a pagare i tuoi debiti contraendo altri debiti, gli interessi quindi salgono all’8% e poi al 16% (li sto raddoppiando di anno in anno per una questione di rapidità), quindi dovrai restituire pagare prima 577€ e poi 699€.
In questo modo sono passati circa 5 anni e in questi cinque anni in cui non hai continuato a prendere soldi in prestito per pagare i precedenti debiti, hai pagato soltanto in interessi 5€ il primo anno, 15€ il secondo anno, 35 il terzo anno, 77€ il quarto anno e 169 il quinto anno, per un totale di 300€,  ovvero più della metà di quello che avevi chiesto in prestito all’inizio. Per nostra fortuna gli interessi sui titoli di stato non crescono in maniera esponenziale raddoppiando di anno in anno ma è rapportato allo spread, e questo significa che all’aumentare dello spread aumentano gli interessi che lo stato deve pagare sull’emissione di titoli di stato, ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire perché lo spread aumenta.

Pagare il nostro debito abbiamo chiedendo in prestito altri soldi, abbiamo quindi finanziando manovre in deficit, spendendo dei soldi che non avevamo e che ci erano stati prestati, in questo modo abbiamo provocato un aumento del debito e di conseguente un incremento degli interessi su quello che ci viene prestato poiché prestarci dei soldi non è sicuro, e non è sicuro proprio perché stiamo chiedendo soldi in prestito per saldare precedenti debiti (chiedo soldi ad un amico per saldare un debito con un altro amico), per uno stato, per una nazione questo prestito viene richiesto attraverso l’emissione di titoli di stato che quindi vengono acquistati e sui quali lo stato dovrà pagare un piccolo interesse che è il rendimento di quei titoli. Uno stato con uno spread molto altro emetterà titolo ad alto rendimento, significa che dovrà pagare tanti interessi su quei titoli di stato, ma facciamo un esempio pratico.

Se il nostro spread è basso, come ad esempio in Germania, nel momento in cui andremo a chiedere un prestito di 1000€, che più o meno è il valore minimo spendibile per l’acquisizione di titoli di stato, visto che il nostro spread è molto basso, allora pagheremmo un interesse annuo bassissimo, facciamo dell’1%, come in Germania, questo significa che in dieci anni per aver chiesto in prestito 1000€ ci ritroveremo a ripagarne 1010€.
Se invece il nostro spread è alto, come ad esempio in Italia, nel momento in cui andremo a chiedere un prestito di 1000€, che come sopra, è sempre il valore minimo spendibile per l’acquisizione di titoli di stato, proprio perché il nostro spread è alto, allora gli interessi annui che dovremmo pagare saranno alti, per mantenere un parallelismo con l’italia dove lo spread è a quota 260/280 circa, dovremmo pagare interessi che oscillano introno poco al di sotto del 5%, facciamo 5 per comodità anche se in realtà sarebbe circa 4,5%. Con interessi al 5% in 10 anni dovremmo ripagare circa 1500€ e se in questi anni lo spread continua ad aumentare, continueranno ad aumentare gli interessi annui, e questo significa che per gli investitori, se da una parte ci sono maggiori margini di profitto, perché 500€ sono più di 10€, dall’altra parte va considerato che questo maggiore profitto è dovuto al fatto che il rischioso di investire sui nostri titoli è molto alto, e c’è la concreta possibilità che quei soldi alla fine in realtà non li riotterranno. Insomma, si pagano tanti interessi per per convincere gli investitori ad investire nonostante le poche garanzie di ritorno economico di quell’investimento.

Con uno spread simile a quello italiano, tra i 200 ed i 300 punti gli interessi sono tra il 3 e il 5% circa, ma se dovesse aumentare ancora, arrivando all’ipotetica e assurda quota +500, questo provocherebbe un raddoppio degli interessi rispetto a quello attuale, arrivando quasi al 10% e questo significa che in 10 anni dovremmo restituire praticamente il doppio di quanto abbiamo chiesto in prestito. E visto che chiedere prendere 1000€ e restituirne 1500€ non è facile, figuriamoci prenderne 1000 e restituirne 2000 e mantenendo questo parallelismo, potete facilmente immaginate quanto debba essere difficile chiedere 10 Miliardi in prestito e dover restituire 15 Miliardi, praticamente 5 Miliardi di soli interessi, figuriamoci chiederne 10 e restituirne 20…
5 Miliardi non sono monetine, sono una vera e propria manovra finanziaria e se già oggi non è facile trovare 10 miliardi per una manovra finanziaria e siamo costretti a ricorrere al deficit, quindi chiedere soldi in prestito, figuriamoci in futuro quanto sarà difficile e costoso ripagare questi debiti e finanziare nuovi progetti. A meno che le cose non cambino e non avvenga un qualche miracolo, è molto probabile che da qui a 10 anni (nel migliore dei casi, ma probabilmente anche prima) l’italia si ritroverà a dover affrontare una manovra finanziaria soltanto per pagare i debiti contratti nel 2019.

Spero di essere riuscito a fare un po’ di chiarezza su che cos’è lo spread e cosa implica ricorrere al deficit con uno spread molto alto.

Il revisionismo storico di Kurz, un insulto alla storiografia.

Il revisionismo austriaco riscrive la storia del risorgimento italiano ed europeo, distorcendo la storia per fini politici.

Se c’è una cosa che ho sempre odiato è chi utilizza la storia distorcendola per fare propaganda politica. Ed è proprio questo che sta facendo Sebastian Kurz con il sostegno dato al revisionismo storico che punta a riscrivere il risorgimento seguendo una nuova chiave interpretativa filo germanica e decisamente antistorica.

Ma andiamo con ordine perché il revisionismo interpretativo del
risorgimento , qualcosa di sensato l’ha anche detta, il problema è questo revisionismo è estremamente politicizzato e utilizza parametri diversi per definire ed etichettare situazioni politiche estremamente simili tra loro, ovvero l’Unificazione Italiana e l’Unificazione Tedesca, e a scanso di equivoci va precisato che i due processi unitari, per quanto simili, sono anche molto diversi tra loro, l’unificazione tedesca è un unificazione prima economica e poi politica mentre quella italiana affonda le proprie radici nel sangue delle guerre di indipendenza, ma come dicevo, andiamo con ordine.

Iniziamo col dire che è vero che le guerre di indipendenza italiane furono guerre di aggressione e di conquista, l’italia, o meglio il piemonte entra in guerra contro l’Austria per ragioni espansionistiche prima di qualsiasi altra ragione e al di la di tutte le nobili giustificazioni date dai Savoia e da Cavour, è innegabile che il fine ultimo di quelle guerre fosse un ampliamento territoriale dello stato sabaudo. Dall’altra arte dire che Cavour voleva dividere l’Austria, è assolutamente falso e privo di ogni logica, detto molto semplicemente, a Cavour non fregava un cazzo dell’Austria e della sua unità o della sua dissoluzione, aveva in testa un progetto espansionistico che affondava le proprie radici in una visione nazionalistica che oggi potremmo identificare con una qualche nazionalismo di destra, va però precisata l’inutile e superfluo dettaglio che, questo progetto di espansione, non aveva il fine ultimo di disgregare l’impero Austro Ungarico, anche perché a quello ci stavano già pensando gli austriaci, e a tal proposito, in questo contesto bisogna stare estremamente attenti a non invertire causa ed effetto, confondendo l’una con l’altro, poiché in questo caso, le preesistenti crisi interne all’impero Austoro-Ungarico, impegnato in un lungo e lento processo di disgregazione dell’impero non è dovuto all’attivismo di Cavour e attribuire alla politica di Cavour la responsabilità della disgregazione dell’impero asburgico, significa attribuire a Cavour un ruolo nella storia enormemente più grande di quello che ha realmente giocato.
Cavur, non fu l’artefice dell’inizio della disgregazione austriaca, ma approfittò della disgregazione in corso d’opera per dare all’Italia la possibilità di espandersi strappando terreno all’Austria. Dire che Cavour voleva distruggere l’Austria significa invertire la causa (la disgregazione dell’impero) con l’effetto (l’espansione del Piemonte) mentendo spudoratamente e creando un terribile equivoco storiografico.

Quanto a Mazzini e Garibaldi, che, secondo il revisionismo austriaco promosso da Kurz, sono indicati come nazionalisti di estrema destra… parliamone, perché qui la questione si fa interessante.

Faccio l’ennesima premessa, ribadendo ancora una volta un concetto storiografico elementare, è folle e terribilmente sbagliato (per non dire assolutamente antistorico) utilizzare categorie moderne per definire la corrente politica di uomini del passato, in questo caso uomini del XIX secolo, tuttavia il revisionismo lo fa e quindi lo facciamo anche noi e se proprio vogliamo utilizzare le etichette moderne, cerchiamo perlomeno di essere accurati e di utilizzare l’etichetta giusta.

Come dicevo, secondo il revisionismo austriaco, Mazzini e Garibaldi sarebbero stati dei nazionalisti di estrema destra. Questa cosa in realtà non è del tutto sbagliata, ma cerchiamo di capire perché.

E’ infatti vero che Mazzini e Garibaldi erano nazionalisti, e in realtà in questo non vi è alcuna revisione, sono tra i padri della nazione italia, gli ideatori e gli esecutori materiali dell’unificazione italiana, se non erano nazionalisti loro non riesco ad immaginare chi possa essere definito nazionalista, tuttavia il loro era un nazionalismo estremamente diverso da quello moderno, da quello che oggi concepiamo come nazionalismo, il loro, in particolare quello di Mazzini era un nazionalismo libertario, in cui il popolo italiano si riconosceva come un popolo senza stato e vittima di nazioni straniere che lo opprimevano, ritrovandosi ad essere de facto una minoranza in casa propria.

A questo punto vi chiedo la cortesia di non fare inadeguati parallelismi con l’italia contemporanea oppressa dall’europa, perché no, non è la stessa cosa, siamo completamente su un altro livello.


L’italia pre-unitaria, soprattutto nei territori controllati dall’Impero Asburgico era praticamente terreno coloniale dell’impero, era una periferia dell’impero priva di autonomia, priva di libertà e soprattutto priva di una reale rappresentanza politica ai vertici dell’impero. Erano popoli che risiedevano in territori totalmente immersi in dinamiche feudali e che rispondevano ad un imperatore che neanche parlava la loro stessa lingua. Erano fondamentalmente degli esclusi, degli emarginati che rivendicavano una propria identità nazionale e questa ricerca di identità fu la base su cui uomini come Mazzini e Cavour costruirono il proprio nazionalismo e, nel caso di Cavour, la propria politica espansionistica.
Per quanto riguarda quindi il nazionalismo di Mazzini e Garibaldi, possiamo dire che il loro era un nazionalismo che puntava alla nascita di una nazione libera e indipendente, formata dall’unione di popoli con una lingua comune, una tradizione culturale comune ed una storia comune.

Per quanto concerne invece le loro idee, anche qui, in realtà non c’è alcun revisionismo, nessuno ha mai messo in discussione l’idea che, soprattutto Mazzini, fossero identificabile con un ideologia “di destra” , il problema è capire di che destra stiamo parlando. Parliamo di una destra estrema e conservatrice o di una destra più moderata, progressista e liberale?

Questa è una cosa che va assolutamente chiarita perché il fatto che siano entrambe Destra, non significa assolutamente che siano la stessa cosa, sono in realtà due mondi totalmente diversi e se proprio vogliamo indicare Mazzini e Garibaldi con le moderne etichette politiche, quella più adatta è certamente quella della destra moderata, progressista e liberale, del resto basta fare un leggero sforzo di memoria per ricordare che la destra storica italiana nasce proprio dalla corrente politica Mazziniana ed evolve nel partito liberale costituzionale, attraversa la fase del trasformismo che vedrà il confluire tra le proprie fila di uomini provenienti anche dalla sinistra storica, per poi diventare il Partito Liberale Italiano. Un partito di cui si può dire di tutto, tranne che fosse un partito di estrema Destra.

Concludo con una breve parentesi sul Kaiser Guglielmo I di Prussia, che grazie ad Otto Von Bismark fu protagonista dell’unificazione tedesca e anch’esso vittima del revisionismo austriaco promosso da Kurz.
Secondo le nuove chiavi interpretative Guglielmo I era un re “Buono e globalista”.
Personalmente non so cosa significhi quel “buono”, in termini storici questa parola non ha senso, in storia non esistono buoni o cattivi, ma esistono uomini, idee, dinamiche, ed eventi, ma non buoni o cattivi, non siamo alle elementari, non siamo in un film dei Marvel Studios, non c’è l’eroe e il cattivo di turno, esistono al più vincitori e vinti e nel caso di Guglielmo possiamo dire senza timore che fu un vincitore, fu un vincitore perché, soprattutto grazie a Bismark, riuscì a ricostruire il sacro romano impero, dissolto con il congresso di Vienna, dando vita al secondo reich, riuscendo a costruire le basi per una nazione prospera, ricca e forte, che in pochissimi anni avrebbe raggiunto e superato i livelli britannici e americani. Quanto al “globalista” invece, beh, lì ho qualche riserva.

Ho qualche riserva sul fatto che Gugliemo I fosse un globalista, al più fu un nazionalista liberale, esattamente come lo furono anche Cavour e Mazzini, e forse fu anche più moderato di loro, ma comunque non fu un globalista e sinceramente non riesco a capire come questi uomini che avevano visioni estremamente simili tra loro vengano identificati in correnti politiche così diverse tra loro.
In ogni caso, per quanto riguarda il Kaiser Guglielmo, ricordiamo che durante il suo regno, oltre al congresso di Berlino (voluto dall’Austria) che ipotizzo sia la ragione per cui è stato definito un globalista, ci fu anche la famosa conferenza di Berlino, non so se avete presente la conferenza in questione, nel caso scusatemi se mi dilungo sulla questione ma prometto che sarò breve, fu la conferenza in cui le potenze europee ripartirono tra loro il controllo dei territori dell’Africa occidentale partendo da una disputa commerciale sul fiume Congo. Insomma, la conferenza di Berlino è la conferenza della ripartizione dell’Africa che segna l’inizio del colonialismo europeo in Africa.

Non so voi ma io da parte di Guglielmo non vedo questa grande spinta propulsiva verso il globalismo, vero l’integrazione di tutti i popoli del mondo sotto un unica nazione e aventi tutti gli stessi diritti, e dovendo dare un giudizio morale sull’uomo, non ci vedo neanche tutta questa bontà soprattutto se si guarda al modo in cui amministrò le sue colonie. Certo, qualcuno potrebbe opinare dicendo che comunque è stato promotore di relazioni internazionali e di importanti vertici diplomatici internazionali volti a scongiurare imminenti guerre tra nazioni europee, e questo è assolutamente vero, ma non significa essere globalisti, significa semplicemente cercare di evitare nuove guerre in un secolo in cui tra le campagne napoleoniche e le innumerevoli rivoluzioni e guerre successive al congresso di Vienna, era stato versato già abbastanza sangue europeo, e parlo di sangue europeo perché il sangue africano beh, a giudicare dal trattamento che subirono le popolazioni indigene del Congo e degli altri territori che finirono sotto il controllo europeo, in particolare sotto il controllo Belga e Tedesco, ma questa è un altra storia, quello continuò ad essere versato senza troppi problemi morali da parte di Guglielmo.

 

La storia del Negroni, un eccellenza italiana.

Secondo la tradizione il Negroni sembra essere stato ideato a Firenze tra il 1919 ed il 1920 dal conte Camillo Negroni nel Caffè Casoni, dove un giorno il conte stanco dei soliti drink, ordinò un Americano con una piccola variante, ovvero la sostituzione del Seltz con il Gin e il risultato piacque così tanto che da quel momento molti preferirono “l’americano al modo di Negroni” al solito Americano.

Negroni Cocktail con i suoi ingredienti principali: Gin, Vermut Rosso e Campari,   
Foto di Achim Schleuning.

Negroni Cocktail con i suoi ingredienti principali: Gin, Vermut Rosso e Campari,
Foto di Achim Schleuning.
Fonte Wikimedia

Precisiamo che non è il primo cocktail della storia, anzi, i cocktail in europa si bevevano già da oltre un secolo, il termine cocktail utilizzato per definire una bevanda alcolica frutto di una miscela proporzionata ed equilibrata di diversi ingredienti tra cui liquori, bevande alcoliche e non alcoliche e vari aromi, venne utilizzata per la prima volta in un’edizione del 1806 del Balance and Columbian Repository e la sua prima definizione fu di una “una bevanda stimolante composta da superalcolici di vario tipo, zucchero, acqua e amari”.

Chiusa la parentesi più generale sui cocktail e tornando al negroni, questi, come dicevamo sembra essere stato ideato dal conte fiorentino Camillo Negroni e secondo la tradizione tradizione, all’inizio degli anni’ 20 era solito frequentare il Caffè Casoni in via de’ Tornabuoni a Firenze, non lontano dalla sua città Fiesole. Il caffè Casoni era stato fondato nel 1815 ed ha chiuso dopo oltre 2 secoli di attività nel 2017, negli anni venti il Caffè Casoni era uno dei locali più famosi e frequentati di Firenze, uno dei principali centri di aggregazione fiorentini in cui era possibile incontrare artisti, filosofi, notabili e imprenditori provenienti da tutto il mondo, era un vero e proprio punto di ritrovo, molto accreditato e popolare nonostante la poca varietà nella selezione di aperitivi disponibili, come un po’ tutti i bar dell’epoca anche il Casoni si limitava ad offrire alcuni aperitivi, una vasta selezione di liquori, superalcolici e amari ed una modesta selezione di vini, ma nulla di troppo complicato, anche perché all’epoca i cocktail in circolazione erano pochissimi. Comunque sia, secondo la tradizione il conte Camillo Negroni un giorno ordinò un Americano, un drink ottenuto dalla miscelazione di vermut rosso, bitter campari e Seltz, il Seltz era la marca di un acqua fortemente gassata, in pratica la denominazione comunemente utilizzata in italia per indicare quella che oggi, più comunemente chiamiamo acqua tonica, tuttavia, Negroni quel giorno chiese una leggera modifica, si racconta infatti che in quell’occasione chiese al barman del locale di sostituire la Seltz con del Gin, in onore dei recenti viaggi fatti a londra, ottenendo così un nuovo drink preparato con vermut rosso, bitter campari e per l’appunto Gin, meno gassato ma molto più alcolico del classico Americano.

A questo punto la storia si divide in due varianti, secondo alcuni il barista che effettuo la sostituzione del Seltz con il Gin, preparando così il primo “negroni della storia” era Angelo Tesauro, secondo altri invece era Fosco Scarselli, è una variante minima e assolutamente irrilevante ed è dovuta al fatto che all’epoca entrambi i barman erano dipendenti dello storico locale di via de’ Tornabuoni. In ogni caso, secondo la tradizione, da quel momento in poi la maggior parte dei clienti del caffè iniziò ad ordinare l’Americano al modo del conte Negroni e nel tempo il drink fu rinominato in onore del conte Negroni che per primo lo aveva assaporato, diventando semplicemente Negroni.

Anche se non ci sono fonti documentarie che possano attestare direttamente la veridicità di questa storia, alcuni elementi narrativi ce ne confermano indirettamente la veridicità, anzitutto perché sappiamo che tra il 1919 e 1920 Fosco Scarselli e Angelo Tesauro lavorarono effettivamente per il Caffè Casoni, inoltre il caffè casoni esisteva realmente e per molto tempo, è stato l’unico locale a servire l’americano al modo di Negroni, inoltre sappiamo che il conte Camillo Negroni è realmente esistito ed era solito frequentare la città di Firenze ed il Caffè Casoni, Negroni era un nobile italiano e volendo essere più precisi, era un nobile toscano, nato a Fiesole, una piccola cittadina parte del territorio fiorentino.

Al di la di questi dettagli ambientali estremamente precisi, l’informazione più importante ed interessante di questa storia riguarda la sostituzione del Seltz con il Gin in onore dei recenti viaggi a Londra effettuati dal conte negroni. Anzitutto sappiamo da altre fonti che il conte Negroni era un assiduo viaggiatore e nella sua vita si recò molto spesso a Londra ed è quindi estremamente plausibile che dopo la prima guerra mondiale passò del tempo a Londra, e in secondo luogo, ma non meno importante, e anzi, forse questa è l’informazione più importante in assoluto, all’inizio degli anni 20 il Gin era uno dei superalcolici più consumati nella capitale britannica, e questa informazione, oggi facilmente riscontrabile e verificabile all’epoca non era particolarmente diffusa al di fuori di Londra e dunque solo chi era realmente un frequentatore della metropoli britannica poteva sapere della grande popolarità del Gin a Londra e quindi richiedere il suo utilizzo “in onore dei viaggi a Londra“.

Concludendo, la storia del Negroni ci racconta tantissimo sugli anni 20, ci racconta della vita movida fiorentina e delle abitudini, dei gusti e delle mode dei fiorentini e in minima misura dei Londinesi, ci apre una finestra sulla natura cosmopolita della città e toscana e dei suoi frequentatori, e ci racconta il panorama storico del primo dopoguerra in italia, oltre a raccontarci, ovviamente, un capitolo interessantissimo della storia fiorentina nel 20 secolo, una storia testimoniata, almeno fino a qualche anno fa, dallo storico locale di via de’ Tornabuoni.

La guerra dopo la guerra

Qualcuno potrebbe dire che la vera guerra inizia solo quando la guerra è fatta e conclusa e si inizia a lavorare ai trattati di pace, e questo qualcuno potrebbe anche avere ragione.

Siamo portati a fingere che una volta conclusa una guerra, per qualsiasi ragione, ad esempio una delle due fazioni viene sconfitta in battaglia, il capo di una delle due fazioni viene assassinato da una congiura, o si arrende stipulando un trattato di pace, ecc, che la guerra termini ed inizi una fase di pace, tuttavia, questa pace, come osservava Hobbes nel Leviatano è illusoria e transitoria e nella maggior parte dei casi, da quando esiste la guerra, una volta “conclusa l’ultima battaglia” in realtà la pace non arriva realmente e la guerra continua, in forme e modi diversi a seconda delle epoche e delle dinamiche storiche e politiche di quel tempo.

Sono innumerevoli gli storici, i filosofi ed i comandanti militari che nel corso dei secoli hanno parlato della “guerra dopo la guerra”, e uno degli ultimi ad aver trattato la questione, per quanto riguarda l’età contemporanea è stato Fabio Mini, un militare italiano, che fu uno dei comandanti sul campo della NATO durante la guerra del Kosovo al cavallo tra anni novanta e primi anni duemila. Nel 2003 Mini diede in stampa il libro “La guerra dopo la guerra: soldati, burocrati e mercenari nell’epoca della pace virtuale” in cui partendo dalla propria esperienza sul campo osserva, con grande lucidità la realtà postbellica del nostro tempo, una realtà di pace apparente estremamente turbata ed inquieta, una vera e propria pace armata imposta con la forza ma che de facto non è reale e nelle zone di guerra spesso non è neanche percepita come una pace.

In questo articolo non voglio entrare nel merito dell’opera di Mini, di cui a breve pubblicherò una guida alla lettura, ma voglio partire da questa idea, dal concetto di guerra dopo la guerra per presentare una serie concreta di esempi in cui, nella storia, la guerra non si è affatto conclusa con i trattati di pace, ed anzi, in realtà la guerra è continuata dopo la pace, in modi e forme “non convenzionali”.

Soprattutto in età medievale e nella prima fase dell’età moderna, almeno fino alla riorganizzazione militare dell’europa avvenuta dopo la pace di Westfalia, possiamo osservare come in realtà nessuna guerra sia mai realmente finita. Questo nelle società feudali è particolarmente evidente, soprattutto per la natura organizzativa degli eserciti, eserciti che sono generalmente mercenari, radunati all’occasione da un qualche capo militare o politico che, grazie al proprio carisma, grazie alla propria influenza o più banalmente grazie alle proprie ricchezze, riusciva a radunare attorno a se una vasta schiera di “alleati”, tendenzialmente suoi vassalli, ma non necessariamente, che durante la guerra combattevano al suo fianco e molto spesso queste milizie continuavano a combattere, in proprio, anche in tempo di “pace”, quando non c’era un nemico da combattere e di conseguenza non c’era oro da guadagnare o terre da conquistare strappandole al controllo nemico.
Questi “soldati”, questi signori della guerra, in tempo di pace molto spesso si tramutavano in veri e propri predoni, dediti al saccheggio e alle razzie, di piccoli villaggi sparsi in giro per l’europa, e grazie a queste attività “criminose” in alcuni casi riuscivano ad ottenere grandi ricchezze, prestigio e influenza che si traducevano, in tempo di guerra, in posizioni di comando.

Hobbes nel suo leviatano sostiene che il mondo vive uno stato di guerra permanente e che questa guerra sia intervallata periodicamente da momenti di pace apparente in cui i capi hanno il dovere di riorganizzare le proprie forze in preparazione di una nuova imminente fase bellica. Durante la pace i capi espongono le proprie forze, le proprie armate, al fine di scongiurare il più possibile nuove guerre, le milizie che vagano per l’europa hanno il compito di dissuadere i rivali dall’iniziare una nuova guerra, ci è quindi un esibizione reciproca di forza, in maniera non dissimile da quanto accaduto nel mondo contemporaneo con la corsa agli armamenti dopo la seconda guerra mondiale e durante tutta la guerra fredda (e anche oltre).

Ma saccheggiare e depredare villaggi, costruendo una pace fondata sulla paura non è l’unico modo noto di continuare una guerra dopo la guerra e dopo Westfalia, nuovi sistemi più elaborati hanno assolto a questa funzione in maniera in un certo senso più creativa ed estremamente efficace.
Un esempio “moderno” di guerra continuata dopo la guerra lo incontriamo nel 1945/1946 con i processi di Norimberga e di Tokyo, ufficialmente dei tribunali internazionali aventi il compito di punire i crimini compiuti durante la seconda guerra mondiale, ma de facto dei veri e propri processi dei vincitori che altro non fecero che, continuare la guerra dopo la guerra.

A Norimberga, durante i processi, si continua a combattere la seconda guerra mondiale, ma a combattere non saranno più soldati e uomini in armi, ma burocrati, avvocati e colletti bianchi, incaricati dai vincitori della guerra, che avevano il preciso compito di punire gli sconfitti, qualcuno potrebbe dire, infierendo ulteriormente sull’ex nemico. 
Questo clima di tensione e di prolungamento della guerra ben oltre i trattati di pace, è uno dei motivi alla base (ovviamente non l’unico e sicuramente non il più importante e significativo) della successiva guerra fredda, una guerra che non è altro che il prosieguo della seconda guerra mondiale.

La seconda guerra mondiale, si diceva all’inizio degli anni novanta, forse non è mai realmente finita, la struttura dell’ONU con enormi poteri affidati ai vincitori del conflitto sembra esserne la riprova di ciò, a conferma delle teorie di Hobbes sulla guerra permanente.

Ragionando in questi termini possiamo osservare come anche la Rivoluzione Francese non sia mai realmente conclusa, spingendo molti a vedere nella storia europea un unica rivoluzione francese, iniziata nel 1789 e conclusa, forse soltanto nel 1848. In quest’ottica il periodo del terrore non sarebbe altro che il prosieguo della rivoluzione, in cui i vincitori continuano ad infierire e punire gli sconfitti, passando poi all’età Napoleonica e in fine al congresso di Vienna che, come sappiamo, riaccende il dibattito sulla rivoluzione stessa provando a cancellarne gli effetti e le conseguenze, provando a riconsegnare l’Europa al vecchio ordinamento pre-rivoluzionario, quindi in piena continuità con quella sorta di “lunga guerra civile francese” che non si era mai realmente conclusa e, come sappiamo, il congresso di Vienna ebbe ripercussioni sull’organizzazione europea per almeno 30 anni, tutta l’età delle rivoluzioni borghesi, la famosa primavera dei popoli segnata dai moti del 20/21, 30/21 e 48 non è altro che una conseguenza della rivoluzione stessa e del congresso di Vienna, una rivoluzione mai realmente conclusa, almeno fino al 1848.

Sempre ragionando in questi termini possiamo ragionare anche sulla seconda guerra mondiale, le cui cause scatenanti affondano nei trattati di pace seguiti alla prima guerra mondiale.
Una volta conclusa la guerra il Kaiser Guglielmo accettò la resa incondizionata, ma questa accettazione in realtà non fu immediata, in sede ai trattati di pace, Guglielmo minacciò più volte un possibile ritorno alle armi e quindi una riapertura delle ostilità, apertura che fu poi arginata dalla decisione statunitense di stipulare una pace separata con la Germania, molto meno stringente e oppressiva della pace voluta da britannici e francesi. Ed è proprio la pace “estremamente dura” voluta da britannici e francesi (soprattutto francesi) che impose alla sconfitta Germania enormi sanzioni, restrizioni e limitazioni territoriali che, già nei primissimi anni dopo la fine della guerra, si tradusse in malumore e scontento da parte del popolo tedesco, scontento che alla fine sfociò nell’ascesa del Nazismo spianando così la strada alla seconda guerra mondiale.

Vi è indubbiamente un legame indissolubile tra la Grande Guerra e la Seconda guerra mondiale, e vi è un altrettanto indissolubile legame tra la seconda guerra mondiale e la guerra fredda, di conseguenza, per la proprietà transitiva, vi è un legame diretto tra il 1914 e il 1991, tra l’inizio della Grande guerra e la fine della guerra fredda. Legame che non sono ovviamente il primo ad osservare e che anzi, negli anni novanta fu terreno controverso di importanti dibattiti ed oggetto di innumerevoli opere letterarie tra cui, forse la più illustre e nota è “Il secolo breve” di Eric Hobsbawm.
Non è assolutamente un caso se questa fase storica, ribattezzata col nome di “secolo breve” da Hobsbawm, parte dal 1914 e si conclude nel 1991, e basta sfogliare anche solo superficialmente il testo, leggendo appena la prefazione libro per rendersene conto.

Il secolo breve non è un secolo nel senso cronologico del termine, anche perché si compone di circa 75 anni e per fare un secolo ne servirebbero almeno altri 15 poiché, come giustamente osservava qualche tempo fa Emilio Gentile nel suo saggio introduttivo alla raccolta “Novecento Italiano”, un secolo è fatto da 100 anni, non uno di più non uno di meno, e parlare di un secolo di 75 anni è sul piano cronologico inesatto, tuttavia, non stiamo parlando di un vero e proprio secolo, ma di un etichetta periodizzante che racchiude in un insieme definito una serie di eventi e avvenimenti che, nel bene e nel male, sono l’uno la conseguenza dell’altro e nella maggior parte dei casi, abbiamo a che fare con un prosieguo della guerra dopo la guerra.

Da queste osservazioni e da questi esempi emerge una verità storica, ossia che la gestione delle dinamiche postbelliche, se non realmente finalizzate alla pace e utilizzate come un arma per proseguire la guerra ben oltre la sua fine, possono dar vita a nuove guerre spesso più violente e feroci delle precedenti e in questo senso il caso della seconda guerra mondiale nata dalla cattiva gestione dei trattati di pace, dopo la fine della prima guerra mondiale, da parte delle potenze vincitrici della guerra è esemplare.

Nella canzone del bambino nel vento (Auschwitz) Francesco Guccini scrive “Io chiedo quando sarà, che l’uomo potrà imparare, a vivere senza ammazzare, e il vento si poserà…” e aggiungo che quel giorno, forse arriverà quando gli uomini impareranno a dimenticare, lasciandosi il passato e le vendette alle spalle, così che le guerre possano finire in maniera definitiva, permettendo così una reale ricostruzione post bellica in grado di condurre ad un mondo più tollerante e pacifico in cui non ci sia più alcuna ragione per combattere nuove guerre. Ma queste sono solo le considerazioni finali, estremamente soggettive e personali.

 

Bibliografia consigliata:

F.Mini,La guerra dopo la guerra: soldati, burocrati e mercenari nell’epoca della pace virtuale
E.Hobsbawm, Il secolo breve
E.Gentile, Novecento Italiano
T.Hobbes, Il Leviatano