I fuorilegge non esistono più

Al di la dell’immagine romantica del fuorilegge dei vecchi film western, dove l’eroe era un bandito e lo sheriffo, il tutore della legge era un criminale al soldo dei funzionari della ferrovia, o dei pirati, che vivevano liberi in mare, veleggiando senza alcun padrone, andando dove volevano e facendo ciò che volevano quando volevano, quella del fuorilegge è in realtà una figura storica, o per meglio dire, uno status giuridico, molto complicato, proprio di un mondo che non esiste più da almeno 2 secoli.

Nel mondo moderno/contemporaneo, i “fuorilegge” non esistono più, o almeno, non nel senso originale del termine, poiché nel mondo moderno/contemporaneo si sono affermati una serie di principi per cui non è più possibile (a meno che non si viva in un regime criminale o comunque infrangendo la legge di un paese civile) porre un individuo al di fuori della legalità.

Ma chi sono i fuori legge? e perché non esistono più?

Originariamente per fuorilegge si intendeva non chi agiva al di fuori della legge e della legalità, ma chi veniva posto al di fuori della legge, essere marchiati come fuorilegge era una sorta di “scomunica” dall’ordinamento giuridico, essere fuori dalla legge significava non avere più alcun diritto legale e chiunque poteva fare di un fuorilegge ciò che desiderava, ivi compresi ucciderlo e ridurlo in schiavitù.

Questo antico concetto giuridico, ampiamente utilizzato in età moderna soprattutto nei confronti della pirateria, inizia a venir meno con la pace di Westfalia, al termine della guerra dei trent’anni.

Con Westfaliainizia un importante processo di trsformazione degli ordinamenti giuridici degli stati, degli stati stessi e dei rapporti tra essi.

Detto molto semplicemente, con la pace di Westfalia, si affermano in europa una serie di principi giuridici, interconnessi tra loro.

Il primo di questi principi è la definizione dello stato nazione, che non è più un insieme di terre controllate da un sovrano che ha il potere di disporre a proprio piacimento di quelle terre e di chi le abita, diventando invece una zona, un area, ben precisa, delimitata da confini ben definiti, entro i cui termini vigono determinate leggi e determinati rapporti di potere tra sovrano, rappresentanti dello stato, istituzioni e abitanti.

Questi confinu artificiali che delimitano gli stati nazione, implicano il riconoscimento reciproco di quei confini dalle varie nazioni e di conseguenza impongono i limiti del potere dei sovrani e delle loro corti, e si riflette sulla popolazione di quelle zone, ma anche sui rapporti di forza entro quei confini e soprattutto sulle leggi e sul concetto di fuori legge.

In un mondo in cui le nazioni si riconoscono tra loro, aprendo al concetto teorico per cui una nazione esiste solo se riconosciuta da altre nazioni, le leggi di quelle nazioni valgono entro i confini di quelle nazioni, ed in quei confini hanno valore universale. Inizia quindi ad affermarsi una prima forma embrionale del concetto di universalità delle leggi e dei diritti, ma a questo arriveremo con calma.

Nel momento in cui le leggi di uno stato hanno valore universale, non è più possibile, in un sistema ordinato, porre qualcuno al di fuori della legge, o almeno, in teoria è così, in pratica dovremmo aspettare ancora molto tempo per vedere abbandonata questa pratica barbarica e primitiva.

Il concetto di fuorilegge e l’annesso status giuridico, continuano ad esistere e sopravvivere nel “nuovo mondo“, nel contesto generale della lotta alla pirateria, mentre tende a sparire nell’europa continentale, dove, i “pirati di terra” o se preferite i banditi, iniziano a venir meno.

Le bande di predoni che per secoli avevano imperversato nelle campagne e saccheggiato i villaggie europei, erano formate da compagnie militari, milizie e soldati che, in tempo di guerra servivano i sovrani in guerra, ma in tempo di pace, si dedicavano ad altro tipo di attività. Tuttavia, questo tipo di attività inizia a svanire dopo la pace di Westfalia, poiché uno degli effetti della pace è la riorganizzazione degli eserciti europei.

Fino alla guerra dei trent’anni non esistevano eserciti permanenti, i soldati erano per lo più mercenari che, di volta in volta, sceglievano da che parte stare e al fianco di chi combattere, mossi ufficialmente da giuramenti vari, ma anche e soprattutto dalla promessa di maggiori ricompense espresse in terre e denaro.
Dopo Westfalia inizia ad affermarsi negli stati nazione europei, il concetto di esercito permanente, si ritorna quindi, come già accaduto in epoca romana con la riforma di Mario, alla creazione di eserciti statali, permanenti, formati da professionisti salariati e non più da mercenari al soldi del miglior offerente.

L’assenza, o meglio, la riduzione dei signori della guerra e di predoni, dall’europa continentale, contribuì a far cadere nel dimenticatoio, almeno in europa, lo status di fuori legge, ovvero di individuo posto al di fuori della legge.

Durante la Rivoluzione Francese, o meglio, dopo la rivoluzione francese, per intenderci, tra la rivoluzione e il “periodo del terrore” (perdonate la semplificazione), si dibattè ampiamente sulla questione del fuorilegge e si arrivò a proporre la scomunica giuridica dei nemici della rivoluzione, detto più semplicemente, si propose di porre fuori dalla legge i sostenitori dell’ancient regime, tuttavia, questa possibilità venne poi scartata in favore di posizioni più “morbide” che prevedevano la confisca dei beni e dell’applicazione di condanne a morte.

Lo stesso problema fu posto in essere circa un secolo e mezzo più tardi, in occasione dei processi di Norimberga, dove, tra le opzioni prese in considerazione e poi scartate, vi fu la possibilità di revocare lo status giuridico ai criminali nazisti, tuttavia, in quest’occasione, si affermò un vago principio di “superiorità morale” secondo il quale, porre fuori legge e alla stregua degli animali i criminali nazisti, non era diverso da ciò che era stato fatto dai criminali nazisti nei campi di concentramento e sterminio, e dunque si ripiegò sull’applicazione di nuove leggi create ad hoc, costruite sulla base del principio di hostis humani generis (nemico del genere umano), e delle leggi contro la pirateria, per definire quelli che sarebbero diventati, da quel momento in avanti, “crimini contro l’umanità”.

In termini storici lo status di “fuori legge” in europa ha smesso di esistere ufficialmente con la pace di Westfalia, tuttavia, dalla seconda metà del XVIII secolo, un nuovo attore continentale si sarebbe affacciato sulla scena globale, questo attore erano gli odierni Stati Uniti d’America, dove, lo status di Fuori Legge ha continuato ad esistere almeno fino agli inizi del XX secolo, nella fattispecie nelle zone rurali del “selvaggio west”.

In europa invece lo status di fuori legge, come sinonimo di scomunica dall’ordinamento giuridico e perdita di ogni qualsiasi forma di diritto, appare sporadicamente, nella prima metà del XX secolo nei regimi nazifascisti e in unione sovietica, dove, i “nemici” dello stato e del partito, vennero privati di ogni diritto, e lo stesso sarebbe accaduto, nel XX e XIX secolo, in ogni regime dittatoriale.

Per approfondire

J.Elster, Chiudere i conti. La giustizia nelle transizioni politiche, 2008, editore il Mulino

Riapre la tomba di Mussolini: il 28 luglio corteo di nostalgici fascisti

I Mussolini, in particolare Caio Giulio Cesare Mussolini, pronipote di Benito Mussolini ed esponente del partito Fratelli d’Italia, ha annunciato, senza troppa vergogna, che il prossimo 28 luglio, la tomba di predappio del suo antenato, criminale di guerra e traditore italiano, oltre che ex dittatore e capo di stato, verrà aperta per rendere omaggio alla 136 anniversario dell’importante personaggio storico.

Ora, al di la della presa in giro, perché 136 è un numero totalmente casuale, e non c’è ragione alcuna di celebrare questo anniversario particolare, e che dunque, celebrare questo anniversario significa inaugurare una tradizione nostalgica, in cui sarà possibile ogni anno rendere omaggio al criminale Benito Mussolini, in piena e aperta violazione dei reati di Apologia del fascismo, poiché Benito Mussolini non è semplicemente un fascista o il fondatore del fascismo o il capo politico del fascismo, no, lui è il fascismo, lui è l’incarnazione stessa del fascismo, di quel culto della persona che ruotava attorno alla sua figura, alla sua immagine, al suo ruolo.

Se mussolini fosse stato un semplice fascista, al momento della sua scomunica da parte del partito, i fascisti italiani sarebbero rimasti fedeli al partito, ma così non è stato e in moltissimi hanno preferito seguire Mussolini, voltando le spalle al partito, all’italia e al Re, per seguire Mussolini nella RSI.

Senza retorica, senza giri di parole, senza prenderci in giro, celebrare mussolini significa celebrare il Fascismo, e questo è un fatto gravissimo e vergognoso, e se questo, oggi, può avvenire impunemente, la responsabilità è in larga parte anche della taciturna sinistra italiana, che quando parla, parla a sproposito.

A furia di parlare di Fascismo, per qualsiasi cosa non sia totalmente di sinistra, e vedere come risposta osservazioni come “vedete il fascismo in qualsiasi cosa” la sinistra ha fornito al fascismo, quello reale, un arma estremamente potente, quale l’indifferenza. Oggi i fascisti possono accusare i non fascisti di averli definiti fascisti, anche quando le loro azioni e i loro gesti sono dichiaratamente fascisti, e per assurdo, la richiesta di celebrazione dell’uomo simbolo del fascismo, non appare poi così grave.

Celebrare Mussolini significa celebrare il fascismo, è c’è poco da opinare su questo punto, Mussolini e il Fascismo sono la stessa cosa, Mussolini è il fascismo e il fascismo è Mussolini, e dunque, il 28 luglio, ci sarà una grande celebrazione, in favore del fascismo e del suo fondatore. E questo è un qualcosa di gravissimo, oltre ad essere illegale (sai com’è, il reato di apologia del fascismo è scritto nero su bianco).

Il prossimo 28 luglio, e temo i prossimi 28 luglio, vedremo ondate di fascisti e nostalgici del fascismo sfilare, invocare un ritorno della dittatura e la morte degli oppositori politici, e tuttto questo impunemente… e la cosa assurda è che, se avvenisse il contrario, se per qualche motivo qualcuno decidesse di aprire la tomba di Matteotti o di Gramsci, o di di qualcuno dei padri del PCI o leader della resistenza, probabilmente qualcuno, molto in alto e con il potere di farlo, darebbe l’ordine alla Digos, di schedare tutti i nostalgici che parteciperebbero alla manifestazione. Ma lo stesso non accadrà con la celebrazione del fascismo, ed i nostalgici fascisti, in barba alle origini antifasciste della repubblica e della costituzione, saranno liberi di defecare sulla repubblica e sulla costituzione, celebrando e omaggiando quello che è a tutti gli effetti il più grande Criminale e Traditore della storia italiana.

Celebrare Mussolini è un qualcosa di vergognoso, oltre che illegale, chiunque andrà a Predappio per rendergli omaggio (familiari esclusi) è un criminale, e in quanto tale andrebbe identificato dalle autorità… Ma purtroppo questo non accadrà, e anzi, credo che gli unici che verranno schedati, saranno gli antifascisti che certamente manifesteranno contro l’evento.

In ogni caso, a scanso di equivoci. Personalmente reputo che la soluzione migliore sia tenerla sempre aperta, circoscritta come museo.
Al momento è un santuario e la sua apertura è un insulto alla costituzione, se fosse un museo sarebbe tutt’altra cosa, perché sarebbe semplicemente un elemento storico , memoria di un passato oscuro e doloroso, ma pur sempre storia. Ma al momento così non è, quel passato è tutt’altro che storico.

Stregoneria e sottomissione della donna in età moderna.

I processi per stregoneria hanno prodotto nei secoli diverse migliaia di morti, principalmente donne, che vennero giustiziate per stregoneria, tra il XVI e il XIX secolo.
L’apice dei processi per stregoneria si ebbe nel XVII secolo, quando, secondo lo storico Edward Bever (ma non solo lui), nel saggio Witchcraft, Female Aggression, and Power in the Early Modern Community, pubblicato sulla rivista Journal of Social History, Vol. 35, No. 4 (Summer, 2002), pp. 955-98, vennero bruciate vive diverse decine di migliaia di donne.

L’ultimo processo ufficiale per stregoneria, in Europa, si tenne nel regno unito, più precisamente in Essex, nel villagio di Sible Hedingham, nel 1863.

Secondo la teoria di Baver, teoria poi modulata da numerosi altri storici, sociologi e antropologi, i processi per stregoneria in età moderna, furono utilizzati principalmente per reprimere le istanze di emancipazione femminile ed imporre un modello di società maschile in cui, ogni “stranezza”, “particolarità”, incluse quelle che oggi definiremmo come manifestazione di individualismo e volontà, da parte delle donne, insomma, tutto ciò che usciva “dall’ordinario e non rientrasse a pieno nella cultura dominante maschile in cui la donna è succube e sottomessa all’uomo/marito.

In quel mondo “moderno” tra il XV ed il XIX secolo, ciò che non apparteneva al modello standardizzato e “universalmente” accettato di dominazione maschile, veniva punito prima in privato e poi, in extremis, con l’accusa di stregoneria, qualora vi fosse una perpetuante resistenza da parte della donna.

Questa interpretazione, oggi tra le più accreditate, prende le basi dagli innumerevoli documenti dei tribunali che al tempo si occuparono di processare e condannare streghe, demoni e vampiri, e, proprio sulla base di questi documenti, è emerso che, la maggior parte delle denunce/accuse di stregoneria, avvenne ad opera di familiari o di amanti respinti e, solo in misura, le denunce arrivarono anche da uomini o donne totalmente esterne al contesto familiare/relazionale, la maggior parte dei quali però, erano impegnati in querelle di carattere economico, con gli accusati.

Per dirla molto semplicemente, amanti gelosi, amanti respinti, e protagonisti di dispute sui terreni, erano soliti ricorrere all’accusa di stregoneria, così da liquidare i propri rivali/avversari in amore, o semplicemente i propri ambiziosi vicini sulla cui terra avevano messo gli occhi.

I processi per stregoneria ebbero anche importanti risvolti politici e spesso furono utilizzati da ambiziosi politicanti, per acquisire potere e influenza, soprattutto nel’america del XVIII secolo (ma non solo).

I processi alle streghe di Salem

Tra gli esempi certamente più eclatanti, noti e significativi, come non citare i processi alle streghe di Salem, del 1692, che coinvolse più di 200 imputati accusati di stregoneria o comunque di avere un qualche legame con l’occulto, gli imputati erano principalmente donne e al termine del processo, circa 150 sospettati furono imprigionati con l’accusa di stregoneria e 19 vennero impiccati, mentre un uomo venne condannato a morte per “schiacciato”, per essersi rifiutato di testimoniare contro la propria compagna accusata di stregoneria dalla cognata.

In termini prettamente statistici, i processi alle streghe di Salem, sono uno dei più grandi processi della storia per numero di persone coinvolte in proporzione alla popolazione della regione che, nel 1692, nell’area del New England, contava circa 100 000 abitanti.

Fonte

E.Bever, Witchcraft, Female Aggression, and Power in the Early Modern Community, Journal of Social History, Volume 35, Issue 4, Summer 2002, Pages 955–988, https://doi.org/10.1353/jsh.2002.0042, 01 July 2002

Protetto: Le sette guerre mondiali

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Perché la Germania si vergogna del Nazismo mentre l’Italia non fa lo stesso con il Fascismo?

Perché in germania i tedeschi si vergognano del Nazismo, metre gli italiani non sembra si vergognino più del fascismo e in alcuni casi sembrano desiderare un suo ritorno?

Come mai in Germania, l’opinione pubblica, si vergogna di essere stati nazisti (nonostante qualche rare eccezione), mentre da in italia, l’opinione pubblica, molto spesso è spesso nostalgica di quegli anni e addirittura nel nostro paese ci sono forze politiche, non irrilevanti, dichiaratamente simpatizzanti per la politica fascista, pur non dichiarandosi apertamente fascisti perché fortunatamente la costituzione lo impedisce?

Perché in Italia il Fascismo non è universalmente percepito come una macchia nel nostro passato, un qualcosa di cui vergognarsi e da cui mantenere le distanze, ostracizzando quelle idee, quelle proposte e quegli elementi propri della politica fascista?

Detto più banalmente, perché gli eredi di Hitler, Himmler e degli altri gerarchi nazisti si vergognano dei propri antenati, mentre in italia gli eredi di Mussolini e degli altri gerarchi fascisti vanno fieri dei propri antenati e in alcuni casi, ne esaltano la memoria, cercando in ogni modo di evidenziare le “cose buone” fatte dal fascismo… come se aver bonificato una palude potesse giustificare omicidi, pestaggi, deportazioni ed eccidi…

La risposta a queste domande non è semplice, ma voglio provare comunque a rispondere.

La ragione è politica, ma non parlo della politica odierna, mi riferisco invece alla politica del dopoguerra, perché è in quegli anni, tra il 1945 ed il 1948 circa, che il problema del fascismo nostalgico, affonda le proprie radici.

Finita la guerra, finita la seconda guerra mondiale, la Germania ed i tedeschi, hanno dovuto prendere coscienza del proprio passato, di ciò che era successo, di ciò che era stato fatto e di ciò che la popolazione tedesca aveva permesso al Nazismo di fare. Mentre in Germania il nazismo è stato ufficialmente condannato, sia politicamente che giuridicamente, e la popolazione tedesca ha in qualche modo “pagato il conto” dell’esperienza nazista, in italia tutto questo non è successo e la popolazione italiana è stata in un certo senso assolta. Complice anche la guerra civile (1943-1945) e le operazioni di “resistenza” al fascismo da un lato, e la mancata volontà politica di parlare di guerra civile per decenni, facendo invece percepire il conflitto avvenuto nella penisola tra il 1943 ed il 1945 come una guerra tra italiani e stranieri (americani o tedeschi che siano), creando così, sul piano politico dell’epoca un vero e proprio divario tra “italiani” e “fascisti”.

Nel 1945, la Germania prendeva cosicenza che i tedeschi avevano appoggiato e voluto il Nazismo, e chi non lo voleva si era banalmente voltato dall’altra parte o era scappato, dando de facto la percezione che, tutti i tedeschi erano nazisti e dovevano pentirsi di ciò che avevano fatto. In Italia invece, questo non avviene, gli italiani, per via della guerra civile, nonostante per circa un ventennio non abbiano mosso un dito, improvvisamente non sono più fascisti, e dunque non c’era motivo di vergognarsi delle azioni dei fascisti, solo i fascisti erano colpevoli… dimenticando forse troppo facilmente che per oltre vent’anni il fascismo aveva regolato ogni aspetto della vita degli italiani, e che, salvo pochissime eccezioni, quasi nessuno prima del 43 si era opposto in modo incisivo. Gli italiani, esattamente come i tedeschi, avevano scelto il fascismo, ma, una volta che il fascismo non c’era più, semplicemente si voltarono dall’altra parte, così come per vent’anni si erano voltati dall’altra parte mentre il fascismo imperava nel paese.

Detto più semplicemente, all’epoca, nell’immediato dopoguerra, il discorso politico in Germania si impostò sul concetto che in Germania, i tedeschi avevano scelto volontariamente il nazismo, e quindi erano complici del Nazismo. Diversamente, in Italia, l’impostazione fu che gli italiani subirono il fascismo, partito da un colpo di stato, e dunque non ne erano complici, e non avevano di che vergognarsi… avevano semplicemente chinato il capo all’uomo col manganello e l’olio di ricino.

Questo tipo di impostazione, permise all’Italia e agli italiani, da un lato di “ripulire le coscienze” degli italiani, che de facto non dovettero mai fare i conti con il fascismo e i suoi crimini, non erano stati gli italiani ad assassinare Matteotti, erano stati i fascisti, non erano stati gli italiani a tacere quando i fascisti andaro a prendere Gobetti, ma gli era stata tappata la bocca, non erano gli italiani ad aver accettato le leggi raziali, erano state imposte dai fascisti. Ma non solo, questa operazione di “pulizia delle coscienze”, si trasferì anche nelle aule dei tribunali e dei tribunali militari, aule vuote in cui dovevano essere processati i i criminali di guerra italiani, i fascisti, ma de facto, ciò non avvenne, non ci furono processi ne condanne, e questo perché, sulla base del principio di reciprocità, l’Italia accettò di processare i propri criminali, ma solo se anche francesi, jugoslavi e americani, vincitori della guerra, avessero processato i propri criminali, e i vincitori della seconda guerra mondiale questo non lo avrebbero mai fatto, mai si sarebbero piegati, da vincitori, alle richieste degli sconfitti, e dunque, l’Italia, ottenendo di poter processare autonomamente i propri criminali, de facto non li processò mai.

La mancata norimberga italiana, per usare un termine coniato nei primi anni duemila da diversi storici italiani che affrontarono la vicenda, è in larga parte responsabile del fatto che, gli italiani non hanno mai fatto i conti col fascismo e che il fascismo non è mai stato completamente consegnato alla storia.

Nel dopoguerra, tutti i partecipanti alla seconda guerra mondiale stilarono enormi liste di criminali di guerra, e dopo anni di trattative e richieste respinte, alla fine si accettò di far ricorso al principio di reciprocità, così da mettere fine, una volta per tutte, alla seconda guerra mondiale. Ogni paese accettò di farsi carico dei processi ai propri criminali, accusati da altre nazioni, così fece anche l’italia, i cui processi furono in qualche modo avviati, i fascicoli furono aperti, le indagini preliminari iniziarono, ma poi accadde qualcosa e tutto venne archiviato e dimenticato in quello che Franco Giustolisi intorno alla metà degli anni 90, definì l’“armadio della vergogna” .

Si tratta di un armadio rimasto chiuso per oltre quarant'anni, in cui, nel 1994 vennero trovati gli incartamenti dei processi mai computi ai criminali di guerra italiani.

Viene da chiedersi, perché, al di la del principio di reciprocità, l’italia non portò a termine quei processi, e la risposta a questa domanda ci arriva direttamente dal materiale trovato in quell’armadio.

Analizzando i documenti, oggi liberamente consultabili da chiunque e conservati presso gli uffici dell’ex tribunale militare di La Spezia, emerge che all’epoca, sul finire degli anni quaranta, a ormai qualche anno di distanza dalla fine della seconda guerra mondiale, in italia si manifersò la precisa volontà politica, dell’allora classe dirigente italiana “dimenticare il fascismo”, di lasciarselo alle spalle, senza però mai farci realmente i conti, senza mai affrontarlo realmente e concretamente, e non affrontandolo il fascismo è rimasto lì, a sedimentare e fermentare.

Oggi, col senno di poi, possiamo dire che ignorare quei fascicoli ed evitare quei processi è stato un gravissimo errore, e volendo cercare dei responsabili, non è difficile individuarli. Tra il materiale emerso dall’armadio della vergognia vi è infatti anche un appunto di un giovane Giulio Andreotti, all’epoca appena un sottosegretario di un ministero senza poetafogli, in cui si invita a ignorare la questione dei processi, per evitare eventuali problemi politici sia interni che internazionali.

Erano anni in cui alcune città italiane, come Trieste, erano sotto il controllo non dello stato italiano ma di forze internazionali, e vi erano pressioni politiche da parte della Jugoslavia per cui le aree liberate dai Jugoslavi durante la guerra, diventassero territori Jugoslavi, e l’unico modo per evitare che questo accadesse era trovare un accordo tra Italia e Jugoslavia.

L’Italia decise quindi, per mantenere l’integrità e l’unità dei propri territori, di non richiedere alla Jugoslavia di processare i propri criminali, tra cui i responsabili degli eccidi delle Foibe, che nel nuovo asset del governo di Tito ricoprivano incarichi di rilievo e posizioni centrali.

L’Italia, o meglio, la sua leadership politica, scelse di non processare i fascisti per ragioni politiche e geopolitiche.

Va detto che, già tra 45 e 48, sulle pagine de l’unità, queste scelte politiche furono aspramente criticate, l’unità fu, fino ai primi anni cinquanta, l’unico giornale in italia che continuò a chiedere apertamente di processare i criminali italiani, ma la sua voce rimase inascoltata. Principalmente perché, per una fetta importante dell’opinione pubblica, queste richieste mascheravano la volontà politica dei comunisti italiani di proseguire la guerra o comunque di aiutare i comunisti Jugoslavi a danno dell’Italia.

Ad ogni modo, ignorata o meno, già all’epoca, sulle pagine dell’unità e tra le fila del PCI (e in larga parte anche del PSI) si teorizzava (e col senno di poi, possiamo dire che si prevedeva e la loro previsione era molto oculata) che ignorare i criminali italiani e non affrontare seriamente il problema del fascismo, fingendo che questi non fosse mai esistito, avrebbe avuto l’effetto pericoloso, in un futuro non troppo reoto, di far sbocciare nuovamente il fiore del fascismo e di riportare alla luce quella pericolosa interpretazione politica della realtà.

Insomma, si diceva chiaramente che, se l’italia non avesse condannato i fascisti, in futuro questi sarebbero potuti tornare, facendo le vittime, poiché non essendo “colpevoli”, visto che nessun fascista era stato condannato da un equo tribunale, e che, i soli fascisti condannati erano stati condannati da tribunali popolari del CLN, potevano, colpevolizzare le scelte dell’Italia antifascista, e, associando l’antifascismo al comunismo, rimettere in discussione l’intera struttura repubblicana ed i suoi equilibri istituzionali, poiché, in questa chiave interpretativa, i fascisti non vennero condannati per i propri crimini di guerra e contro l’umanità, ma, apparentemente, solo per ragioni politiche, rendendo quelle condanne apparentemente inique.

Fonti :

C.Pavone, Una guerra Civile.
M.Battini, Peccati di memoria.
L.Paggi, Il popolo dei morti.
Michele Battini, Peccati di memoria. La mancata Norimberga italiana.
Jon Elster, Chiudere i conti. La giustizia nelle transizioni politiche.
Jacques Sémelin, Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi
Joanna Bourke, Le seduzioni della guerra. Miti e storie di soldati in battaglia.
Carlo Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia.
Einaudi.Danilo Zolo, La giustizia dei vincitori.

4 Luglio 1776, il trionfo della Borghesia nel nuovo Mondo

4 Luglio 1776, con la dichiarazione di indipendenza nascono gli Stati Uniti dAmerica, la prima nazione totalmente borghese nella storia.

4 Luglio 1776, con la dichiarazione di indipendenza, le tredici colonie britanniche della costa orientale dell’america settentrionale davano il via ad una nuova nazione, oggi nota come Stati Uniti d’America.

Gli Stati Uniti si configurano come la prima nazione totalmente borghese della storia, la cui presenza nel mondo innaugura (direttamente o indirettamente) un nuovo capitolo della storia dell’umanità che noi oggi chiamiamo Età Contemporanea.

In realtà è un po’ più complicato di così, ciò che innaugura è un periodo intermedio tra il mondo “moderno” dell’antico regime ed il mondo “contemporaneo” degli stati nazione in cui, in teoria, il sovranon non è più il Re o l’Imperatore, ma il popolo.

Ciò che è certo è che, con la dichiarazione di indipendenza, l’umanità incontra un principio che sarebbe presto diventato universale, ovvero che tutti gli uomini sono uguali ed hanno pari diritti. Principio fondamentale, di stampo illuminista, che pur essendo messo nero su bianco sulla dichiarazione stessa, l’atto fondativo della nuova nazione, e sulle successive carte costituzionali europee e più in avanti sulle varie carte dei diritti fondamentali, è rimasto spesso inascoltato o peggio, ignorato, e pur avendo sulla carta pari diritti, de facto, nell’america post indipendenza esisteva ancora la schiavitù. De facto tutti gli uomini erano uguali ed avevano pari diritti, ma solo se maschi, bianchi, benestanti, e nati in america settentrionale o al massimo in europa.

Quel giorno il 4 luglio 1776 la borghesia americana e le idee dell’illuminismo trionfavano sull’antico regime, segnando il primo duro colpo alle aristocrazie tradizionali che, nel corso del secolo seguente sarebbero cadute o comunque costrette a ristrutturarsi nella forma di monarchie parlamentari.

Con la nascita degli USA per molti storici inizia l’età Contemporanea, secondo altri inizia con la rivoluzione francese, anch’essa una rivoluzione borghese, la prima in europa di una lunga serie che avrebbe impegnato l’europa almeno fino al 1848.

Questo periodo, tra il 1776 ed il 1848 si trova in un limbo storiografico, a metà tra l’età moderna e l’età contemporanea, avendo allo stesso tempo sia elementi moderni che contemporanei, ma questa è un altra storia.

Tornando alla dichiarazione di indipendenza americana, questo documento ha un valore importantissimo nella definizione dei principi che avrebbero regolato il nuovo mondo e la nuova epoca emergente.

Il trionfo borghese segna l’ascesa di una nuova classe dirigente nel mondo, prima negli USA e poi in europa, prima con Napoleone (che però, pur essendo totalmente figlio della rivoluzione, è ancora legato ai principi e valori dell’antico regime contro il quale si scaglia, cercando allo stesso tempo di scardinarlo e riorganizzarlo, cercando di ritagliare un posto per se e i suoi sodali in quel mondo elitario, ristretto e generalmente inaccessibile) e poi con le diverse ondate rivoluzionarie degli anni 20, 30 e 48.

L’europa borghese, rafforzata anche dalla rivoluzione industriale, da al mondo un nuovo volto, un mondo fondato su radici illuministiche in cui tutti gli uomini (in teoria) sono uguali, anche se, esiste ancora, almeno negli USA la schiavitù vera e propria, ed in europa si insedia una nuova forma di “servilismo“, una sorta di feudalesimo moderno, in cui le masse popolari non sono più subordinate ai capricci dei nobili, ma alle ambizioni dei nuovi padroni borghesi [cit.], la cui ricchezza non deriva dalle proprietà terriere, ma dall’intensità dei propri scambi commerciali.

Il mondo borghese nato dal 1776 è un mondo in cui vi è una sempre maggiore interconnessione degli stati e le nazioni del mondo, e una sempre maggiore intensificazione degli scambi commerciali.

Questo apre le porte ad una nuova visione sociale e politica che si manifesta nel mondo con la nascita dell’ideologia comunista e punta ad una rivalsa delle classi subordinate, le masse popolari, un tempo dimenticate da dio e dalla storia diventano in qualche modo elementi centrali nelle vicende politiche del XIX secolo e con il tempo avrebbero assunto un ruolo ed una dimensione, apparentemente centrale nella definizione del potere, con tutti i rischi, evidenziati in modo particolare nel XX secolo, che questo comporta.

ONU e diritto internazionale, una questione spinosa

Il diritto internazionale, in teoria, è superiore al diritto nazionale, tuttavia, il diritto internazionale non è stato redatto da legislatori eletti più o meno democraticamente, ma da funzionari nominati dagli stati, e dunque, ha un deficit democratico che lo pone al di sotto del diritto nazionale.

È in giorni come questi, di grande turbamento, ambiguità e confusione sul piano internazionale e del diritto internazionale che l’ONU mostra la stessa fallacia che fu per la Società delle Nazioni quasi un secolo fa, e diventa sempre più evidente la necessità, oltre che l’urgenza di una profonda e sincera riflessione, sul ruolo e il funzionamento di questa organizzazione, de iure un istituzione internazionale, de facto, un mero accozzaglio di politicanti e burocrati senza alcun potere o autorità reale.

L’ONU oggi non ha il potere necessario ad imporre le norme del diritto internazionale ai propri membri, poiché afflitta da un male originale, quale un profondo deficit democratico e di natura politica, che accompagna l’istituzione sin dalla propria fondazione nell’immediato dopoguerra.

All’epoca l’ONU, il cui compito principale, la cui missione fondativa, la cui ragione d’essere, è la prevenzione dei conflitti tra le nazioni e la creazione di canali diplomatici in cui confrontarsi e dialogare in cerca di soluzioni alle controversie internazionali, quando venne creata, non aveva la possibilità di diventare pienamente il luogo della risoluzione delle controversie internazionali, perché il mondo, in quegli anni, stava ancora piangendo le vittime della seconda guerra mondiale e si stava preparando ad un conflitto politico e ideologico tra i due principali vincitori del conflitto.

La divergenza di visione tra USA e URSS, non è un segreto, ha mutilato l’ONU alle sue origini, che, con la creazione di un meccanismo di salvaguardia per le due super potenze ed i vincitori della seconda guerra mondiale, ha de facto reso nulla ogni possibile risoluzione onu che partisse da principi universali, limitando l’efficacia dell’organizzazione alle sole operazioni congrue alla volontà dei cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza.

I membri permanenti del consiglio di sicurezza hanno un potere enorme nell’istituzione, che non è il potere di decidere dove intervenire, ma qualcosa di molto più importante, il potere di decidere dove e quando l’ONU non può intervenire.

Nel mio podcast “l’osservatorio” su spotify e su youtube, ho parlato diverse volte dell’onu, delle sue origini e dei suoi limiti, e in questo articolo voglio soffermarmi ancora una volta sui limiti dell’ONU.

Il motivo per cui l’organizzazione delle nazioni unite ha poteri limitati è principalmente politco, oltre che storico e intreccia insieme la volontà dei vincitori della Seconda guerra mondiale, di ritagliarsi uno spazione nel nuovo ordine mondiale, e dall’altro lato, lanecessità, di rispettare la sovranità delle singole nazioni membre delle nazioni unite, e a scanso di equivoci, questa necessità, è a sua volta frutto della seconda guerra mondiale e dell’imminente guerra fredda.

L’onu delle origini doveva trovare un modo per permettere all’ONU stessa di collocarsi nel mondo al di sopra delle nazioni, affinché potesse rappresentare, come dicevo, quel luogo di confronto, in cui risolvere le controversie internazionali, senza ricorrere all’uso delle armi, ma, allo stesso tempo, doveva configurarsi come un istituzione subordinata alla volontà politica delle singole nazioni.

Il punto di incontro tra queste due necessità venne trovato nella creazione del consiglio di sicurezza dall’altro, e nella configurazione di un assemblea generale che avesse natura nominativa e non politica.

Detto più semplicemente, l’ONU, nel 1945, ha scartato la possibilità di creare la prima forma di un ipotessi di parlamento internazionale, preferendo creare un assemblea rappresentativa degli stati i cui membri non sono cariche elettive, ma nominali, e affidando ai singoli paesi piena autonomia sui modi e i mezzi per nominare i propri rappresentanti presso le nazioni unite, creando in questo modo un interessante paradosso.

Non avendo alcuna carica elettiva (nessun membro, commissario, rappresentante ecc, dell’ONU viene eletto) l’ONU non alcun tipo di potere politico, e sul piano giuridico, se bene rappresenti in un certo senso la sede centrale del diritto internazionale, e se bene , in un ordine gerarchico teorico, il diritto internazionale si pone al di sopra del diritto nazionale, in realtà, quel diritto non ha la forza di imporsi sul diritto nazionale che, prodotto da legislatori eletti, pur trovandosi gerarchicamente più in basso rispetto al diritto internazionale, politicamente è legittimamente e paradossalmente più in alto del diritto internazionale.

Va però precisato che, i singoli stati membri delle nazioni unite, hanno accettato implicitamente di riconoscere, sottoscrivendo i vari trattati, il diritto internazionale di cui l’ONU è depositario, riconoscendolo quindi, superiore al diritto nazionale.

Detto così sembra molto caotico e confusionario, e in effetti lo è, la questione del diritto internazionale è estremamente confusa, ma può essere semplificata in questo modo.

Il diritto internazionale è superiore al diritto nazionale, nei limiti concessi dal diritto nazionale, insomma, la legge internazionale esiste, ha valore, gli stati hanno l’obbligo di rispettarla e se non viene rispettata ci possono essere delle ripercussioni, a meno che non si abbiano le spalle coperte, come ad esempio facendo parte del consiglio permanente o più ambiguamente, tenendosi ben cari amici ed alleati che fanno parte del consiglio permanente.

Circa trent’anni fa, con la fine della guerra fredda, il mondo iniziava una prima riflessione sull’ONU e paventava la possibilità oltre che la necessità di una riforma dellorganizzazione, con una svolta di natura politica che segnasse il primo passo verso la costruzione di un primo tassello di quello che un giorno sarebbe potuto diventare un governo mondiale, nel quale tutti i popoli si sarebbero uniti in un unica nazione, nel nome del diritto internazionale dal valore universale.

Negli ultimi trent’anni questa riforma non c’è stata e anzi, l’ONU negli ultimi anni ha perso molta della propria autorità, sempre più spesso messa all’angolo dalle grandi potenze mondiali che de facto, dell’ONU e del diritto internazionale, perdonate il termine tecnico, se ne sciacquano le palle.

Carola Rackete, una donna meravigliosa, con più palle della nazionale maschile di Rugby, e la volontà di lottare e morire per i propri ideali di giustizia universale.

Carola Rackete, una donna con più Palle della nazionale maschile di Rugby, Simbolo di un mondo in cui lottare per i propri ideali è ancora possibile, simbolo di un mondo in cui cè ancora speranza di salvezza per lumanità

Paura del diverso e del contrario, di chi lotta per cambiare,
paura delle idee di gente libera, che soffre, sbaglia e spera.

Con queste parole, nel 1994 Francesco Guccini descriveva gli USA per aver arrestato “preventivamenteSilvia Baraldini, accusata di star pianificando una rapina per finanziare il terrorismo in italia.
In quella canzone Guccini evidenzia un concetto fondamentale “non è possibile rinchiudere le idee in una prigione” e soprattutto che “da sempre l’ignoranza fa paura, ed il silenzio è uguale a morte” , e direi che questi due concetti, si adattano perfettamente al caso di Carola Rackete, arrestata più per le sue idee che per le sue azioni, e portatrice di valori ed idee che al bigotto mondo ultranazionalista fanno decisamente troppa paura. E nel suo caso, il suo silenzio, inteso come un non far nulla, sarebbe costato la vita ad oltre 40 persone, persone che oggi nessuno vuole, ma che se ci piaccia o meno, se non fosse stato per l’intervento di Carola, oggi sarebbero mangime per pesci.

Questi sono i miei due centesimi per Carola Rackete, una donna che non posso fare a meno di ritenere meravigliosa e non posso non associare alla figura di Silvia Baraldini, cantata da Francesco Guccini nel brano “canzone per Silvia“, ed approfitto di questo articolo per dedicare a Carola, questa meravigliosa canzone.

L’ONU è nata come istituzione volta a risolvere le controversie internazionali senza necessità di passare per l’uso della forza e delle armi, è nato come istituzione volta a bandire la guerra, ed è per questo che l’ONU non si è mai dotata di un proprio, reale, esercito, scegliendo invece la via delle “forze di pace“, ma l’ONU per essere il luogo di risoluzione delle controversie, deve avere anche la forza e gli strumenti per risolvere le controversie, e questi strumenti al momento non li ha, e dalla sua istituzione non li ha mai avuti.

Oggi l’ONU è un luogo di dialogo e confronto, ma la cui legge, che dovrebbe essere superiore a qualsiasi altra legge è in realtà solo fumo, molto fumo, un fumo così denso che fa lacrimare gli occhi e impedisce di vedere la realtà, ma pur sempre fumo, intangibile, e può essere spazzato via agitando qualche foglio di carta, come ad esempio un decreto legge ministeriale che de facto rende illegale quello che per il diritto internazionale dovrebbe essere un dovere universale. Soccorrere chi è in difficoltà e portare in salvo chi viene recuperato in mare.

Il ruolo del diritto internazionale rispetto al diritto nazionale non è chiaro e cristallino come sembra, e nei fatti si colloca in una zona grigia molto ambigua e complessa da decifrare, e nel tentativo di fare un po’ di chiarezza ho scritto questo articolo “ONU e Diritto Internazionale, una questione spinosa”

Qui c’è il paradosso di Carola Rackete, le cui azioni sul piano del diritto nazionale italiano, si sono compiute in una zona grigia al limite della legalità, tuttavia, secondo il diritto internazionale, secondo la convenzione di ginevra e la carta dei diritti fondamentali dell’uomo, non vi erano molte altre strade percorribili e le sue azioni sono per il diritto internazionale, pienamente legittime. Ma come dicevamo, il diritto internazionale, molto spesso, come in questo caso, è solo fumo.

In ogni caso comunque, Carola ha più palle di tutti gli italiani messi insieme, e al di la di ciò che verrà deciso dalla magistratura, non posso fare a meno di provare una profonda sttima per una donna, che in nome di un ideale ha deciso di mettere a rischio se stessa, la propria vita e la propria libertà.

Paura del diverso e del contrario, di chi lotta per cambiare,
paura delle idee di gente libera, che soffre, sbaglia e spera.
Nazione di bigotti! Ora vi chiedo di lasciarla ritornare
perché non è possibile rinchiudere le idee in una galera.

Come dicevo, non riesco a non associare Carola, questa donna a mio avviso meravigliosa, alla figura di Silvia Baraldini cantata da Guccini, riascoltando la Canzone per Silvia, ogni strofa, ogni verso, ogni singola parola, sembra scritto ora ed oggi e sembra raccontare e parlare di lei, di Carola, di questa donna che di fatto, ha commesso il grande crimine di essere una donna Libera guidata da una legge morale che si trova più in alto di qualsiasi altra legge terrena.

Come cantava Guccini, non è possibbile rinchiudere le idee in una prigione, e se all’epoca Guccini immaginava Silvia con indosso una maglietta con su scritte le parole “da sempre l’ignoranza fa paura, ed il silenzio è uguale a morte” io oggi vedo quella stessa maglietta indossata con fierezza da Carola, perché oggi come allora, il silenzio è uguale a morte, e il suo silenzio avrebbe significato la morte di oltre 40 persone.

Persone che se oggi sono vive è solo grazie a lei e alla sua precisa volontà di rispondere ad una legge superiore, per la quale la vita di ogni essere umano, viene prima di qualsiasi altra cosa, indipendentemente dal luogo in cui quelle persone sono nate, dal colore della loro pelle, dalla loro religione o dal fatto che i loro organi genitali siano interni anziché esterni.

ONU e diritto internazionale, una questione spinosa

È in giorni come questi, di grande turbamento, ambiguità e confusione sul piano internazionale e del diritto internazionale che l’ONU mostra la stessa fallacia che fu per la Società delle Nazioni quasi un secolo fa, e diventa sempre più evidente la necessità, oltre che l’urgenza di una profonda e sincera riflessione, sul ruolo e il funzionamento di questa organizzazione, de iure un istituzione internazionale, de facto, un mero accozzaglio di politicanti e burocrati senza alcun potere o autorità reale.

L’ONU oggi non ha il potere necessario ad imporre le norme del diritto internazionale ai propri membri, poiché afflitta da un male originale, quale un profondo deficit democratico e di natura politica, che accompagna l’istituzione sin dalla propria fondazione nell’immediato dopoguerra.

All’epoca l’ONU, il cui compito principale, la cui missione fondativa, la cui ragione d’essere, è la prevenzione dei conflitti tra le nazioni e la creazione di canali diplomatici in cui confrontarsi e dialogare in cerca di soluzioni alle controversie internazionali, quando venne creata, non aveva la possibilità di diventare pienamente il luogo della risoluzione delle controversie internazionali, perché il mondo, in quegli anni, stava ancora piangendo le vittime della seconda guerra mondiale e si stava preparando ad un conflitto politico e ideologico tra i due principali vincitori del conflitto.

La divergenza di visione tra USA e URSS, non è un segreto, ha mutilato l’ONU alle sue origini, che, con la creazione di un meccanismo di salvaguardia per le due super potenze ed i vincitori della seconda guerra mondiale, ha de facto reso nulla ogni possibile risoluzione onu che partisse da principi universali, limitando l’efficacia dell’organizzazione alle sole operazioni congrue alla volontà dei cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza.

I membri permanenti del consiglio di sicurezza hanno un potere enorme nell’istituzione, che non è il potere di decidere dove intervenire, ma qualcosa di molto più importante, il potere di decidere dove e quando l’ONU non può intervenire.

Nel mio podcast “l’osservatorio” su spotify e su youtube, ho parlato diverse volte dell’onu, delle sue origini e dei suoi limiti, e in questo articolo voglio soffermarmi ancora una volta sui limiti dell’ONU.

Il motivo per cui l’organizzazione delle nazioni unite ha poteri limitati è principalmente politco, oltre che storico e intreccia insieme la volontà dei vincitori della Seconda guerra mondiale, di ritagliarsi uno spazione nel nuovo ordine mondiale, e dall’altro lato, lanecessità, di rispettare la sovranità delle singole nazioni membre delle nazioni unite, e a scanso di equivoci, questa necessità, è a sua volta frutto della seconda guerra mondiale e dell’imminente guerra fredda.

L’onu delle origini doveva trovare un modo per permettere all’ONU stessa di collocarsi nel mondo al di sopra delle nazioni, affinché potesse rappresentare, come dicevo, quel luogo di confronto, in cui risolvere le controversie internazionali, senza ricorrere all’uso delle armi, ma, allo stesso tempo, doveva configurarsi come un istituzione subordinata alla volontà politica delle singole nazioni.

Il punto di incontro tra queste due necessità venne trovato nella creazione del consiglio di sicurezza dall’altro, e nella configurazione di un assemblea generale che avesse natura nominativa e non politica.

Detto più semplicemente, l’ONU, nel 1945, ha scartato la possibilità di creare la prima forma di un ipotessi di parlamento internazionale, preferendo creare un assemblea rappresentativa degli stati i cui membri non sono cariche elettive, ma nominali, e affidando ai singoli paesi piena autonomia sui modi e i mezzi per nominare i propri rappresentanti presso le nazioni unite, creando in questo modo un interessante paradosso.

Non avendo alcuna carica elettiva (nessun membro, commissario, rappresentante ecc, dell’ONU viene eletto) l’ONU non alcun tipo di potere politico, e sul piano giuridico, se bene rappresenti in un certo senso la sede centrale del diritto internazionale, e se bene , in un ordine gerarchico teorico, il diritto internazionale si pone al di sopra del diritto nazionale, in realtà, quel diritto non ha la forza di imporsi sul diritto nazionale che, prodotto da legislatori eletti, pur trovandosi gerarchicamente più in basso rispetto al diritto internazionale, politicamente è legittimamente e paradossalmente più in alto del diritto internazionale.

Va però precisato che, i singoli stati membri delle nazioni unite, hanno accettato implicitamente di riconoscere, sottoscrivendo i vari trattati, il diritto internazionale di cui l’ONU è depositario, riconoscendolo quindi, superiore al diritto nazionale.

Detto così sembra molto caotico e confusionario, e in effetti lo è, la questione del diritto internazionale è estremamente confusa, ma può essere semplificata in questo modo.

Il diritto internazionale è superiore al diritto nazionale, nei limiti concessi dal diritto nazionale, insomma, la legge internazionale esiste, ha valore, gli stati hanno l’obbligo di rispettarla e se non viene rispettata ci possono essere delle ripercussioni, a meno che non si abbiano le spalle coperte, come ad esempio facendo parte del consiglio permanente o più ambiguamente, tenendosi ben cari amici ed alleati che fanno parte del consiglio permanente.

Circa trent’anni fa, con la fine della guerra fredda, il mondo iniziava una prima riflessione sull’ONU e paventava la possibilità oltre che la necessità di una riforma dellorganizzazione, con una svolta di natura politica che segnasse il primo passo verso la costruzione di un primo tassello di quello che un giorno sarebbe potuto diventare un governo mondiale, nel quale tutti i popoli si sarebbero uniti in un unica nazione, nel nome del diritto internazionale dal valore universale.

Negli ultimi trent’anni questa riforma non c’è stata e anzi, l’ONU negli ultimi anni ha perso molta della propria autorità, sempre più spesso messa all’angolo dalle grandi potenze mondiali che de facto, dell’ONU e del diritto internazionale, perdonate il termine tecnico, se ne sciacquano le palle.

Casapound lascia la politica, ma non l’attivismo politico.

Dopo il pessimo risultato alle europee e una crescente impopolarità, Casapound Italia ha deciso di lasciare la politica, lo dice Simone di Stefano, per dedicarsi alla politica.

Dopo il pessimo risultato elettorale conseguito da Casapound Italia alle ultime elezioni europee, dove il partito di estrema destra ha ricevuto appena lo 0,3% dei consensi, e forte di una massiva impopolarità derivante dalla linea politica estremamente dura e intollerante del partito, spesso associato per linguagio, operato e ideologia al fascismo, Casapound Italia ha deciso di chiudere i battenti e lasciare la via politica, almeno quella ufficiale, ma questo non significa abbandono reale della politica.

Casapound esce dai palazzi (nei quali fortunatamente non è mai entrata completamente), abbandona la via politica delle elezioni, e torna, a suo dire, a fare attivismo politico per, cito le parole del leader del partito

Simone di Stefano su Twitter

“tornare ad essere il laboratorio di avanguardia politica, culturale e solidaristica che era un tempo”

Avanguardia politica, culturale e solidaristica… parole forti, parole grosse, e in questo caso parole ingombranti.

Ingombranti perché non riflettono neanche lontanamente quella che è l’attività di Casapound Italia, un organizzazione politica che da sempre vive al margine della legalità e tra i cui militanti figurano individui con la fedina penale più sporca della carta igienica usata da qualcuno che è intollerante al lattosio, dopo aver mangiato da solo un inera zizzona di battipaglia.

Sono giorni duri per la democrazia, sono giorni oscuri per la nostra repubblica, sono giorni dannati per la nostra libertà, una libertà pericolosa a volte, ma sacra. Una libertà culturale e di espressione che CPI da sempre rivendia per se, ma non per altri, e da sempre, è pronta a negare ad altri quelle libertà fondamentali garantite dalla nostra costituzione.

Che CPI non mi piaccia non credo sia un segreto, e personalmente credo che chiunque abbia un briciolo di dignità, buon senso, e intelligenza, condivida la mia poca simpatia per questa organizzazione politica a tratti criminale, a tratti paramilitare, che in passato, in più occasioni, ha cercato di sostituirsi alle istituzioni statali, agendo autonomamente con atti di squadrismo, pestaggi e atti di vandalismo.

Per CPI la cultura non è cultura, è un dogma, valida solo se risponde a determinati requisiti e allineata ad un preciso orientamento politico, oltre il quale la cultura non esiste esiste e non può esistere.

Sinceramente non so cosa intendano quando parlano di cultura, probabilmente incontri a porte chiuse, in cui ricordare con nostalgia il ventennio e vomitare odio su qualsiasi altra cosa ed espressione culturale. Sicuramente non è una cultura storica, poiché la “loro” idea di storia è distorta dalla propaganda politica di estrema destra e rigettano sistematicamente ogni qualsiasi altra narrazione, o interpretazione storica, per non parlare dell’avulsione della storiografia.

Voglio sperare che l’abbandono della politica “ufficiale” da parte di CPI non si traduca nell’inizio di un attività di “militanza attiva” in altri partiti, più grandi e rilevanti sul piano nazionale, deviando ulteriormente la politica italiana verso l’estrema destra, che già una volta ha devastato l’italia e causato innumerevoli vittime civili, ma soprattutto, voglio sperare che il loro abbandono della politica sia reale, e non solo di facciata. Ma viste le premesse e l’intento di “tornare” ad essere un laboratorio di avanguardia politica (fossilizzato sulla politica del ventennio) con un ideologia di forndo fortemente intollerante, xenofoba e omofoba, mi è estremamente difficile pensare che adesso CPI resterà in silenzio, e anzi, fuori dalla politica “ufficiale” temo che cercheranno di far sentire ancora di più la propria voce, e la mia preoccupazione più grande è che si trasformeranno in uno strumento esterno ad altri partiti, con i cui leader CPI è in ottimi rapporti, per promuovere e sviscerare i sentimenti di intolleranza che li accomunano, trasformandosi a tutti gli effetti in una primigena forma di squadrismo asservita ad altre forze politiche di estrema destra.

Questa visione catastrofista e puramente speculativa prende le battute dal nostro recente passato. Già una volta è accaduto qualcosa di molto simile e lo scotto da pagare per l’italia e gli italiani è stato un regime dittatoriale rimasto in carica per un ventennio e successivamente una guerra civile che non ha risparmiato nessuno nell’intera penisola.

Dai Blocchi Nazionali a CPI, passando per il ventennio fascista e la guerra civile.

Nel 1920 diversi gruppi politici (partiti minori) di estrema destra, si sciolsero ed i loro militanti confluirono in un macrogruppo noto come Blocchi Nazionali, il cui referente politico era Giovanni Giolitti, alle politiche del 1921 questi blocchi nazionali ottennero un importante risultato elettorale, se bene non fu tale da garantire loro la possibilità di governare e dopo circa un anno di esitazioni e tentennamenti, venne organizzata una marcia dei militanti dei blocchi nazionali, che nel frattempo aveva cambiato nome in Partito Nazionale Fascista, questa marcia, nota come Marcia su Roma.

La marcia su roma, non fu improvvisata come molti credono, ma ci fu una lunga e oculata preparazione, di cui ho parlato in un precedente articolo, qui mi limito a dire che fu un elemento di enorme pressione politica per il Re che fu “forzato” a nominare Benito Mussolini, leader del PNF nuovo capo di stato, con l’incarico, ben preciso, di riformare il parlamento e produrre una legge elettorale in grado di garantire un governo forte e autonomo.

La legge arrivò nel 1924 ed è nota come Legge Acerbo che conferiva un premio di maggioranza di oltre il 60% al primo partito, a condizione che questi superasse il 20% dei voti. In un altro articolo ho parlato nel dettaglio della Legge Acerbo, spiegando come si è giunti ad essa.

Con la Legge Acerbo il PNF riesce ad ottenere la maggioranza dei seggi, grazie a qualche broglio, il pestaggio degli oppositori e la distruzione sistematica delle sedi dei partiti diversi dal PNF, con un escalation di violenza che confluì nel rapimento e omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti. Tutto questo portò alla nascita del regime fascista, l’inizio della dittatura e la fine della libertà in italia.

L’aria che si respirava all’epoca era fetida, più fetida di un sacchetto dell’umido lasciato a riposare per 2 settimane sotto il sole di agosto, per andare avanti, per vivere, per sopravvivere in italia bisognava tapparsi il naso, buttare giù un cucchiaio di olio di ricino, e sperare di non essere pestati per aver pensato qualcosa di sbagliato.

Oggi, catastrofismi a parte, non siamo neanche lontanamente vicini a quel livello, e se bene nell’aria inizi a sentirsi un po’ di puzza, e si respira un sempre maggiore clima di violenza e l’intolleranza, ed i sentimenti di razzismo e odio viscerale per il diverso sono sempre più forti, in realtà c’è ancora una fetta importante di italia civile, che, si spera, questa volta resisterà e non sceglierà la più comoda via dell’ignavia, manifestando il proprio dissenso senza però muovere un dito, come invece accadde all’alba del ventennio.

5 Regole doro per riconoscere una Vera cospirazione dalla Fuffa.

Complotti, congiure, cospirazioni, esistono da sempre, ne abbiamo traccia, testimonianza e memoria nei libri di storia. Credere nei complotti non è sbagliato, il problema è quando si crede a complotti finti, inventati ad hoc, e che non hanno ragione d’essere.

In questo articolo voglio spiegarvi, in modo semplice, come distinguere un complotto vero (perché di complottiveri è pieno il mondo e la storia) ed un complotto falso.

Prometto che non sarà un articolo troppo lungo, anche perché le “regole d’oro” da seguire per riconoscere un vero complotto e distinguerlo dalla fuffa, sono davvero poche, diciamo che sono solo 5.

Regola numero 1 – Un complotto per essere vero deve essere semplice

A meno che non siate i protagonisti di un film o di un romanzo di spionaggio, vi assicuro che la maggior parte dei complotti reali sono estremamente semplici, non ci sono svolte improvvise, colpi di scena, e generalmente richiedono pochi passaggi, poche azioni, e soprattutto coinvolgono poche persone, e questo ci riporta alla regola numero dure.

Regola numero 2 – Pochi partecipanti

Si avete letto bene, un complotto per essere vero deve avere pochi partecipanti, deve coinvolgere poche persone, perché si sa, gli esseri umani sono teste di cazzo, e se invitando la persona sbagliata ad una festa a sorpresa, questa rischia di far saltare la sorpresa, immaginate i rischi del coinvolgere in una cospirazione globale qualcuno che non è in grado di gestire la situazione e per errore divulga informazioni fondamentali sulla cospirazione.

Troppe persone coinvolte possono mettere a rischio il buon esito del complotto, e sicuramente rappresentano una falla enorme nella sicurezza, ed se si sta complottando per assumere il controllo del pianeta, magari è meglio stare attenti alla sicurezza, soprattutto la propria.

Regola numero 3 – Un complottodeve essere segreto

Si lo so, può sembrare strano, ma è così, un vero complotto è segreto, e chi sta cospirando è disposto a tutto pur di mantenere il segreto, anche ad eliminare fisicamente chiunque possa causare una qualche fuga di informazioni.

Nel momento in cui un complotto non è più segreto, ha perso la sua efficacia, diventa un azione pubblica ricondicubile a delle persone, ed è questo il motivo per cui i cospiratori (quelli veri) ci tengono alla segretezza, perché non vogliono essere ricondotti al complotto e ai suoi effetti.

Per fare un esempio pratico, se una persona cospira per assumere il controllo di un paese, difficilmente andrà a candidarsi alle politiche, ma resterà nelle retrovie e diriggerà dall’esterno, con finanziamenti, pressioni e altro, cercando di influenzare il più possibile determinate figure chiave dello stato, senza però farsi coinvolgere nella vita politica ufficiale.

Regola numero 4 – un vero complotto non ha parametri casuali

Quando qualcuno cospira per ottenere qualcosa , prende in esame ogni possibile soluzione, ogni variabile, ed alla fine avrà due e soltanto due esiti possibili, o il complotto ha successo e si ottiene ciò che si desiderava, o il complotto fallisce, e in quel caso, essere rimasti nell’ombra può salvare la vita ai cospiratori. Nel mezzo non c’è nulla, non ci sono sfumature e soprattutto, non ci sono parametri casuali.

Prendo ad esempio il “complotto dell’11 settembre” per cui gli USA avrebbero organizzato l’attentato perché in quel modo, il valore del dollaro sarebbe aumentato.

Questa teoria è fallata, perché chi ipoteticamente ha ordito il complotto, non poteva sapere se quell’effetto ci sarebbe stato o meno.

Sul piano economico, quando sono state attaccate le torri gemelle, è come se fosse stata tirata una moneta, ed è stato solo un caso che il dollaro, grazie all’azione degli speculatori finanziari, abbia acquisio valore. Poteva accadere, come poteva accadere l’esatto contrario, e in quel caso non solo sarebbe stato un totale fallimento, ma sarebbe stato anche controproducendo, provocando un danno agli stessi cospiratori, e questo ci conduce al prossimo punto.

Quando un cospiratore agisce, lo fa per uno scopo, e questo scopo è materiale, sempre.

Regola numero 5 – un vero complotto ha un fine ed una fine.

Questa è forse la regola più importante, un complotto, per essere reale deve avere un fine ultimo tangibile, reale quanto il complotto stesso.

Avere un fine, avere una finalità, avere uno scopo, significa che da quel complotto, una volta che si è compiuto ciò che si stava cercando di ottenere clandestinamente, c’è un ritorno di qualche tipo. Questo ritorno nella maggior parte dei casi è economico o politico, ma può anche essere strategico, in tutti i casi comunque, è un ritorno reale, misurabile.

Quando ci parlano di una teoria del complotto, chiediamoci sempre “perché lo fanno?” e vi assicuro che di fronte a questa domanda, ogni cospirazione falsa cade.

Non esistono complotti fine a se stessi, ecco le prove

Non esistono complotti fine a se stessi, se non nella mente di chi crede ai complotti. Prendiamo ad esempio la teoria della terra piatta e chiediamoci se questo complotto per farci credere che la terra è sferica ha un effetto pratico, o è fine a se stessa.

La risposta è semplice, questo complotto, se fosse reale, non avrebbe alcuna utilità pratica e non ci sarebbe alcun ritorno per i cospiratori, e già questo basterebbe per etichettare la cospirazione come falsa e insensata ma, per anare sul sucuro, vediamo all’atto pratico, su questa teoria, quante delle tre regole sono rispettate.

Il “complotto” per nascondere la reale forma della terra non è un complotto semplice, ha richiesto la cooperazione di USA e URSS nel vivo della guerra fredda, per la produzione di materiale fotografico che ritraeva una terra sferica dallo spazio, inoltre ha coinvolto innumerevoli agenzie spaziali di tutto il mondo, nella produzione di materiale “falso” per un costo esorbitante.

Questa complessità si riflette anche sul numero enorme di persone coinvolte nella cospirazione che, tra piloti di aerei, civili e militari, professionisti e amatoriali, di tutto il mondo, che quotidianamente vedono dal cielo un orizzonte curvo dai, astronauti e cosmonauti, ingegneri aereospaziali, fisici, matematici, ecc per non parlare poi di politici e diplomatici. Insomma, una quantità infinita di persone coinvolte in un complotto per nascondere la forma della terra, in cambio di … nulla. All’umanità, in fin dei conti non cambia nulla se la terra è piatta o tonda o ha la forma di un fallo gigante, ma andiamo con ordine e torniamo alle regole del complotto.

Eravamo arrivati alla terza regola, la segretezza, ma con così tante persone coinvolte nella cospirazione, parlare di segretezza sarebbe superfluo, passiamo quindi alla quarta regola, ovvero i parametri casuali.

Ogni persona coinvolta nella cospirazione è una variabile casuale, che mina la sicurezza e la segretezza, e di riflesso, troppe persone coinvolte rappresentano un rischio enorme e insostenibile, qualunque sia il complotto. Mantnere viva e segreta una cospirazione con così tanti partecipanti e così tante variabili, per così tanto tempo, senza che venga rivelata, è impensabile, persino per il più geniale autore di romanzi distopici.

Arriviamo quindi all’ultima regola, lo scopo, il fine e la fine. è evidente che una cospirazione volta a nascondere la forma della terra, non ha una fine, e non ha un vero fine. Ha un obiettivo certo, un obbiettivo chiaro, dire alla popolazione mondiale che la terra è tonda e non è piatta, ma questo obiettivo diciamocelo, è fine a se stesso, e non comporta alcun vantaggio per i cospiratori.

Spero di essere stato chiaro e illuminante, e spero che grazie a questa guida sarete in grado di scindere i veri complotti dalla fuffa, e vi assicuro che di complotti reali ce ne sono e ce ne sono stati tantissimi, e nessuno di questi è stato mantenuto segreto per più di un paio d’anni, qualche decennio al massimo e tutti avevano uno scopo ben preciso che desse ai cospiranti un qualcosa. Complotti che coinvolgono milioni di persone e che sono in corso da decenni o addirittura secoli senza dare nulla ai cospiratori… beh, traete voi le vostre conclusioni, le mie credo siano fin troppo evidenti.

La Germania restituisce di sua iniziativa all’Italia una testa marmorea di II sec. d.C. trafugata dai Nazisti

La Germania restituisce di sua iniziativa all’Italia una testa marmorea di II sec. d.C. La scultura era stata trafufata dall’italia durante la seconda guerra mondiale, probabilmente durante l’occupazione tedesca, e successivamente venduta, nel 1964, da un privato cittadino di Amburgo al direttore del Museo Archeologico dell’Università di Münster, che all’epoca non aveva sospettato della provenienza illecita del reperto archeologico.

A tal proposito, il ministro dei beni culturali Alberto Bonisoli ha dichiarato

«si tratta di un atto dal valore altamente simbolico, in quanto testimonia la piena adesione di Italia e Germania a principi e valori di carattere universale e il nostro approccio condiviso al concetto di tutela del patrimonio culturale. L’atteggiamento dell’Italia non è solo quello di un Paese che rivendica la restituzione di opere d’arte trafugate, ma siamo in prima fila quando ne ricorrono le circostanze, nella restituzione di opere d’arte appartenenti al patrimonio culturale di altri Paesi. È così che intendiamo combattere il fenomeno del mercato illegale del patrimonio culturale».

La restituzione ha avuto luogo durante la cerimonia organizzata nella residenza romana dell’ambasciatore tedesco, Viktor Elbling ed hanno preso parte all’evento l’attuale Rettore dell’Università di Münster, Johannes Wessels, il capo dell’Ufficio Legislativo del Mibac, Lorenzo D’Ascia, il Comandante del Comando Carabinieri TPC, Gen. Fabrizio Parrulli e il sindaco del Comune di Fondi, Giuliano Carnevale.

La testa trafugata

Le prime notizie uffiziali riguardante questa scultura risalgono agli anni trenta, quando vennero svolti degli scavi archeologici nella città di Fondi, e nel 1937 si ha una notizia certa della sua esistenza, poi il nulla, almeno fino al 1964 quando la testa marmorea è entrata a far parte della collezione del museo archeologico di Münster, in germania, acquistata dall’allora direttore, in un momento non ben precisato tra il 1944 ed il 1964.

Stando alla dichiarazione dell’attuale direttore del Museo, all’epoca non si conosceva la natura illecita dell’acquisizione, o, per essere meno diplomatici, ufficialmente l’allora direttore del museo, non sapeva che la testa era stata trafugata.

Noi oggi sappiamo che, durante l’occupazione nazifascita dell’italia, nella seconda parte della seconda guerra mondiale, molti musei, collezioni e siti archeologici (e non solo) vennero saccheggiati ed innumerevoli opere, più o meno importanti, vennero trafugate in Germania (e non solo), ed è presumibile che questa testa sia solo una delle tante opere trafugate dai nazifascisti dagli scavi di Fondi.

Voglio aggiungere qualche considerazione personale alla vicenda.

Anche se la scultura era stata trafugata (e poi venduta), l’Italia non ha mai fatto richiesta alla Germania per la restituzione di questo specifico bene culturale, probabilmente perché un artefatto “minore” che ha sicuramente un enorme valore storico culturale, ma che in termini economici e politici, non ha molta rilevanza, ed è presumibile che l’Italia degli anni 60, abbia preferito non investire tempo, risorse e denaro per ottenere la restituzione di una testa marmorea di cui il 99,99999% della popolazione, ignorava l’esistenza.

Detto più semplicemente, l’Italia di allora ha semplicemente ignorato il fatto che molte opere “minori”, o comunque di recente scoperta, vennero trafugate durante la guerra, più che altro per convenienza politica. Questa testa, trafugata durante la guerra, e scoperta pochi anni prima, per l’Italia poteva restare al museo di Münster, così come altre, innumerevoli opere, potevano restare in altri musei e collezioni private.

Ed è proprio per questo che la decisione tedesca di “restituire” la scultura all’italia e ai suoi legittimi proprietari, in maniera totalmente spontanea, senza che quindi vi siano state richieste o pressioni da parte dell’Italia per la sua restituzione, da, alla restituzione, un valore enorme.

Perché enorme?

Perché da quanto riportato, dal 1964 (anno in cui si è compiuta la vendita ed è stata ufficializzata la presenza della testa nella collezione del museo Archeologico dell’Università di Münster) ad oggi, l’Italia, pur avendone la possibilità (e ipotizzo il diritto) non ha mai fatto esplicita richiesta di restituzione per la scultura marmorea. Ed è improbabile che l’Italia non sapesse che quest’opera era lì, parliamo pur sempre di un museo universitario in cui la scultura è stata esposta per decenni, non di una collezione privata, segreta e accessibile a pochi eletti di una qualche cerchia ristretta.

La restituzione è avvenuta in maniera totalmente spontanea da parte della Germania e del museo archeologico dell’Università di Münster, che si è privato volontariamente di un pezzo della propria collezione, pezzo che, stando a quanto riportato dalle varie riviste che hanno dato la notizia e le dichiarazioni dello stesso direttore del museo, era stato acquistato “legalmente” se pur, non se ne conoscesse la provenienza illecita.

Non entro nel merito della vicenda giudiziaria, perché non è il mio campo, se volete approfondire vi rimando alle pagine facebook Lost Archeology e Italica Res, che si occupano di archeologia e beni culturali in modo molto più approfondito (e competente) di quanto io non potrò mai fare.

Voglio però soffermarmi sull’uso politico e diplomatico di questa vicenda e sull’effetto che, in teoria, dovrebbe avere sul piano delle relazioni internazionali, perché questa vicenda ha dei risvolti a mio avviso molto interessanti.

So che molti dubiteranno della versione ufficiale, per cui l’allora direttore del museo Archeologico dell’Università di Münster non conoscesse la natura illecita dell’acquisto, e personalmente sono il primo a non credere a questa narrazione ma, facciamo finta che sia così, facciamo finta che il direttore non sapesse che quell’opera proveniente dall’Italia nell’immediato dopoguerra, fosse stata trafugata e accettiamo la versione ufficiale.

In favore del direttore tedesco degli anni 60, voglio dire che, a parte un breve riferimento apparso nel 1937, di questa testa marmorea, nessuno sapeva nulla, non era stata neanche inserita nella lista dei beni e reperti archeologici e artistici trafugati dall’italia durante la guerra. Insomma, era un opera fantasma, e, anche se trafugata, l’acquisto è avvenuto in maniera legittima, o almeno così sembra essere secondo i registri. Detto più semplicemente, chi ha venduto la scultura al museo, non ha venduto un opera rubata al mercato nero, ma ha presentato la testa come un proprio ritrovamento, e la quasi totalità di riferimenti precedenti all’ritrovamento, la catalogazione ecc, questa narrazione potrebbe essere semrata plausibile al direttore.

La scelta tedesca di restituire la scultura marmorea all’italia è una decisione molto importante, ed è chiaramente un segno di collaborazione istituzionale, amicizia e rispetto reciproco, tra la Germania e l’Italia, un gesto di “buona fede” come ha definito lo stesso ministro Bonisoli, che de facto la Germania non era tenuta a fare, ma che ha fatto ugualmente.

Come dicevo, accettando la versione ufficiale, questa scultura, trovata in italia negli anni trenta, da archeologi italiani, era in un certo senso, proprietà dell’Italia, ma in realtà, sembra che questa attribuzione all’Italia sia qualcosa di estremamente recente, sembra quasi che l’Italia neanche sapesse che questa testa era stata trafugata.

Una decisione di questo tipo quindi, in cui un museo decide di rinunciare ad un opera della propria collezione, che comporta una “perdita” di valore per la collezione stessa del museo e non è mai una scelta facile, non è facile quando c’è un esplicita richiesta di restituzione, figuriamoci quando la richiesta non c’è.

Personalmente sono molto felice che il museo di Münster abbia preso questa decisione, perché, come ha osservato il ministro, è un esempio di collaborazione e cooperazione che va oltre gli interessi economici. Quell’opera è stata realizzata in italia, ha riposato in italia nel sottosuolo di Fondi per centinaia di anni prima di essere ritrovata e pochi anni dopo è stata trafugata durante la guerra.

Quella testa appartiene alla città di Fondi, appartiene ai suoi abitanti ed è importantissimo che ritorni a casa, dalla propria gente, e che quella comunità possa ammirarla “quotidianamente” o quasi.

Fonte : https://journalchc.com/2019/06/22/la-germania-restituisce-di-sua-iniziativa-allitalia-una-testa-marmorea-di-ii-sec-d-c/

Gli articoli che hanno rotto il cazzo, secondo la scienza.

è ufficiale, lo disce la scienza, gli articoli che nel titolo dichiarano che lo dice la scienza, per poi non presentare reali argomentazioni scientifiche, hanno rotto il cazzo.

In effetti è proprio la frase “lo dice la scienza” che ha rotto il cazzo, principalmente perché non è vero, non lo dice la scienza, la scienza è muta, non parla, non si esprime, chi parla, chi scrive, chi si esprime non è la scienza, e se vogliamo essere pignoli, non sono neanche gli scienziati, quelli con il camice bianco, asiciali oltre ogni limite, esperti in qualsiasi cosa tranne che nelle relazioni umane, e nel prendersi cura delle proprie piante, come dimostra la pianta grassa morta da dodici anni sulla loro scrivania. Questo perché gli scienziati così descritti in realtà non esistono.

La scienza, non è una scienza unica e univoca, a meno che non mi sia perso il momento in cui è stata dimostrata la teoria del tutto, ma, a quanto ne so, quel momento è ancora lontano dall’essere.

Prendiamoci un attimo e cerchiamo allora di capire che cos’è la scienza e cosa la scienza dice e cosa non dice, ma soprattutto cerchiamo di capire la scienza, qualunque cosa essa sia, come si esprime e attraverso chi e quali strumenti comunica al mondo.

Come dicevo, la scienza non è una scienza unica e univoca, esistono infinite scienze diverse tra loro, ma per comodità, e un po’ di pigrizia, tendiamo ad accumulare sotto la macrocategoria scienza e scienziati, qualunque cosa abbia a che fare, in un modo più o meno diretto, con il metodo scientifico, avete presente? quello formulato ufficialmente da galilei e perfezionato da mille altre persone prima e dopo di lui.

Il metodo scientifico è ciò che si trova alla base delle scienze, ed è l’elemento più ampio e generico, che indica fondamentalmente il metodo di lavoro degli scienziati. Possiamo quindi dire che , in un certo senso, chi su approccia ad un problema utilizzando il metodo scientifico è uno scienziato. Volendo essere pignoli e scrupolosi, potremmo dire che questa affermazione non è del tutto esatta, e vi sono innumerevoli persone che, quotidianamente, nel proprio lavoro o nella propria vita, applicano il metodo scientifico, magari inconsciamente, ma questo non rende loro degli scienziati, degli uomini di scienza.

Per quanto possa voler bene al mio pizzaiolo di fiducia, il fatto che lui, prima di mettere sul menù una nuova pizza, teorizzi il sapore che potrebbe avere una certa combinazione di ingredienti, la sperimenti e dopo alcuni tentativi e qualche errore, arrivi a definire la pizza che poi metterà in commercio, di fatto applicando il metodo scientifico alla creazione di una nuova pizza, non lo rende uno scienziato, lo rende un ottimo pizzaiolo, non a caso è il mio pizzaiolo di fiducia, ma, con tutto il rispetto e la stima che posso provare per lui, ciò non lo rende un biologo, ne un chimico organico o un ingegnere della pizza.

La scienza, quella vera, necessita di alcuni passaggi aggiuntivi necessari affinché possa essere ritenuta tale. Ed uno di questi passaggi, anche se molti non sono d’accordo, è la competenza dell’uomo di scienza.

Prendendo ancora ad esempio il nostro pizzaiolo, lui è estremamente competente in quella che possiamo definire “scienza gastronomica”, e questa competenza pratica, oltre che teorica, sviluppata attraverso lo studio di libri, manuali, o attraverso la sperimentazione, è il primo passo, insieme alla sperimentazione stessa, che il nostro pizzaiolo può compiere verso la trasformazione da un comune puzzaiolo ad un pizzaiolo di scienza.

Il nostro pizzaiolo, per essere un uomo di scienza deve quindi acquisire ed accumulare conoscenze e competenze specifiche per il proprio settore, affiancarle al metodo scientifico, e in fine, dare in pasto al pubblico le proprie scoperte, che nel suo caso sarà letterale come passaggio visto che le sue scoperte saranno probabilmente ricette e il modo in cui il mondo avrà esperienza delle sue scoperte sarà assaporando le sue pizze.

Ed è qui, che avviene l’acclamazione a scienziato, qualunque cosa significhi questa parola.

La competenza, la sperimentazione, la produzione di risultati ecc infatti da soli non bastano ancora, e il nostro pizzaiolo, per essere riconosciuto come scienziato della pizza ha la necessità che altri esperti nel suo settore e nei settori complementari, ne riconoscano il valore, e la credibilità, insomma, è necessario che altri pizzaioli dicano che la sua pizza è buona, ma non solo, è necessario anche che esperti nutrizionisti dicano che la sua pizza è sana, ecc ecc ecc.

A queto punto, quando la sua pizza sarà riconosciuta valida dal mondo scientifico, sia accademico che privato, il nostro pizzaiolo potrà essere riconosciuto a sua volta come uno scienziato, e in quel caso, parlando della sua pizza e citando gli studi fatti dal pizzaiolo, i suoi esperimenti riusciti e falliti, alla luce del riconoscimento “accademico”, potremmo asserire che la scienza dice che la sua pizza è buona e sana, o quello che vi pare.

Il punto è che, quando la scienza parla, quando la scienza si esprime, lo fa in un modo e in un modo soltanto, ovvero attraverso la pubblicazione di studi e ricerche riconosciuti da altri esperti nel settore, ai quali magari, chi ha compiuto determinate ricerche, sta anche un po’ sul cazzo.

Questo riconoscimento generalmente avviene attraverso quelle che in gergo vengono definite “review”, una sorta di recensioni o revisioni, che vengono pubblicate da altri “scienziati”, su una o più riviste, e sono queste “review” la vera voce della scienza, l’elemento cardine che costituisce e compone la comunità scientifica.

Per ogni settore esistono innumerevoli sottocategorie estremamente specifiche e centinaia di riviste più o meno specifiche.

Nel caso del nostro amico pizzaiolo, una rivita di settore potrebbe essere una rivista sulle pizze, su cui scrivono solo pizzaioli, in cui il nostro pizzaiolo ha pubblicato un suo studio sulla lievitazione, sui lieviti e i tipi di farina da utilizzare, o qualsiasi altra cosa. Ma potrebbe anche essere una rivista molto pià specifica, che si occupa esclusivamente di tecniche di lievitazione, e sulla quale non scrivono solo pizzaioli ma anche fornai, panettieri, pasticcieri ecc.

Tornando alle origini, perché secondo la scienza gli articoli che dicono “lo dice la scienza” hanno rotto il cazzo ?

Semplice, perché la maggior parte degli articoli che hanno un titolo del genere, non presentano al proprio interno nessuno degli elementi sopracitati.

Non si basano su articoli, studi, ricerche, e quando lo fanno, non citano gli autori della ricerca ne dove è stata compiuta la ricerca, insomma, parlano a caso di un qualcosa, dicendo che un ipotetico scienziato, da qualche parte nel mondo, ha fatto una ricerca di cui comunicano i risultati la cui attendibilità, è prossima allo zero, insomma, è come se il mio pizzaiolo di fiducia pubblicasse un articolo sulla fusione nucleare.